Bilinguismo come risorsa cognitiva
Definizione: "chi parla o è esposto a 2 o più lingue". Esistono diversi tipi di bilinguismo:
- Simultaneo: il bambino nasce in un ambiente in cui vengono parlate due (o più) lingue
- Consecutivo: il bambino acquisisce prima la lingua madre (L1) e poi una seconda lingua (L2). Si parla di bilinguismo consecutivo dopo i 3 anni, mentre dopo i 6 anni si parla di bilinguismo consecutivo tardivo.
- Additivo: nel paese in cui il bambino vive entrambe le lingue, L1 e L2, vengono valorizzate --> quindi la positività di entrambe le lingue viene sommata
- Sottrattivo: nell'ambiente socioculturale del bambino si osserva una svalutazione della lingua madre L1 (questa svalutazione toglie qualcosa a L1)
Negli anni 60 si aveva l'idea della bilancia: se si conosce molto bene una lingua, non si possono aggiungere conoscenze di un'altra lingua, altrimenti si perdono competenze nell'altra --> non si possono sapere bene due lingue. Un'altra metafora degli anni 60 è la metafora del palloncino, cioè se si apprende troppo di troppe lingue il palloncino scoppia. Successivamente si è cominciato a pensare che il bilinguismo dia un vantaggio al bambino. Uno studio del 67 (di Peal e Lambert) ha confrontato bambini bilingui e monolingue in compiti cognitivi (somministravano la WISC) --> lo scopo era mostrare che i bambini bilingui erano più bravi nelle prove verbali, in realtà i risultati hanno mostrato che i bambini bilingui avevano un vantaggio nelle abilità non verbali (matrici di Raven e ragionamento simbolico). È così iniziata una nuova mentalità per cui i bambini bilingui vengono visti come bambini con risorse cognitive maggiori rispetto agli altri bambini. Ciò poi è arrivato all'eccesso, dato che molti oggi considerano i bambini bilingui "più intelligenti".
Qual è il vantaggio dei bambini bilingui? Questi bambini sono più competenti nei compiti che implicano le funzioni esecutive di controllo, cioè quelle che riguardano WM, inibizione della risposta, capacità di passare da uno stimolo all'altro ecc. Perchè? Perché i bambini bilingui sono in grado di parlare con la mamma in italiano e con il papà in inglese, quindi continuano a inibire le loro risposte automatiche, dato che prima di rispondere devono sempre riflettere su che lingua parlare. Si è così arrivati alla teoria inibitoria: i bambini bilingui devono sempre inibire uno dei due codici linguistici --> questa continua inibizione porta a un potenziamento delle capacità esecutive, in particolare inibizione della risposta. Molti studi hanno verificato questa teoria. Un paradigma è il dimensional change card sort: il bambino ha delle carte in mano e ha due scatole, una blu e una rossa; deve abbinare la carta che ha in mano al colore delle due scatole in base al colore presente sulla carta. Poi però si cambia il compito, quindi il bambino deve associare le carte non più sulla base del colore, ma sulla base ad esempio della forma, quindi deve inibire la risposta immediata di rispondere secondo le istruzioni precedenti. Lo stesso avviene nel Simon task: vengono mostrati stimoli visivi a destra e a sinistra e c'è un pulsante verde a dx e blu a sx --> indipendente dalla posizione dello stimolo si deve rispondere pulsante verde se lo stimolo è verde e pulsante blu se lo stimolo è blu --> i tempi di reazioni sono inferiori quando c'è match tra posizione e colore. I bambini bilingui però sono più veloci rispetto ai monolingui nei casi di incongruenza. Lo stesso avviene nell'effetto stroop: i bambini bilingui sono più veloci dei bambini monolingui nei casi di incongruenza.
Quindi è stato dimostrato che i bambini bilingui hanno maggiore capacità di decentramento cognitivo, cioè tendono ad avere una maggiore e più precoce consapevolezza che gli altri possono vedere le cose da una prospettiva diversa dalla loro, dal momento che devono mettere continuamente in atto un adattamento al codice della lingua dell'interlocutore a cui si stanno riferendo. In uno studio viene letta una classica storia per testare la presenza nei bambini della teoria della mente. I bambini bilingui già a 3 anni riescono a dare la risposta giusta, mentre i monolingui solo dai 4 anni. Sono stati fatti studi anche sulla percezione delle figure ambigue (esempio: papero coniglio): è stato notato che a 6 anni il bambino riesce a vedere velocemente entrambe le figure senza una perseverazione cognitiva (cioè continuare a vedere la stessa immagine senza riuscire a percepire l'altra o comunque fare fatica a passare da una all'altra). Quindi il bilinguismo determina un vantaggio cognitivo nell'infanzia. Ma in realtà studi recenti hanno mostrato che questo vantaggio non riguarda solo l'infanzia, ma tutte le fasi in cui il nostro cervello è più aperto ai cambiamenti. Uno di questi periodi è la vecchiaia --> è stato fatto uno studio in cui hanno confrontato anziani monolingui italiani e anziani bilingui italiani e tedeschi --> hanno confrontato le loro abilità cognitive ed è stata anche effettuata la PET. A parità di demenza (Alzheimer) si notava come i monolingui erano più giovani di 5 anni. Inoltre anche l'evoluzione della malattia nei bilingui sembrerebbe più lenta, e ciò è dimostrato da un metabolismo cerebrale più lento (nelle aree tipicamente colpite dall'Alzheimer) negli anziani bilingui. L'ipotesi è quindi che in chi parla più lingue i deficit cognitivi inizierebbero a manifestarsi più tardi rispetto all'inizio della malattia.
Qual è il miglior periodo per diventare bilingui? La situazione ottimale sarebbe essere esposti a entrambe le lingue fin dalla nascita. Uno studio però ha mostrato che anche in persone esposte a una seconda lingua in modo tardivo (dopo i 6 anni) sono stati notati effetti positivi sull'attenzione selettiva uditiva.
Miti da sfatare sul bilinguismo
* idea che due lingue richiedano un eccessivo carico cognitivo per il bambino ed è quindi meglio favorire l'acquisizione di una sola lingua. Ciò non è vero, perché è proprio la plasticità cerebrale dell'infanzia a permettere l'apprendimento di più lingue. Inoltre a parità di condizioni sociali e di quantità di esposizione alle due lingue, lo sviluppo linguistico bilingue segue gli stessi stadi dello sviluppo tipico monolingue. È comunque vero che inizialmente il vocabolario in ciascuna lingua tende ad essere più limitato che nel bambino monolingue, poiché le prime parole parole sono spesso distribuite nelle due lingue. A 3 anni un bambino monolingue sa circa 500 parole, mentre un bambino bilingue ne sa circa 250 in L1 (più 250 in L2).
* idea che l'italiano di un bilingue non può essere allo stesso livello di un monolingue, quindi il suo rendimento scolastico sarà inferiore rispetto al monolingue. Questi bambini hanno davvero un disturbo specifico dell'apprendimento? in realtà sono stati fatti studi che mostrano che il miglior funzionamento delle funzioni esecutive ha effetti positivi sull'apprendimento scolastico (quindi il bilinguismo non ha effetti negativi sul rendimento scolastico, ma anzi positivi)
* Idea che i bambini bilingui sono piccoli geni (l'opposto dei primi due miti), hanno un'intelligenza superiore rispetto agli altri. È vero che un bambino bilingue ha alcune facilitazioni in alcune abilità, però è importante dire che tutti gli effetti positivi di cui si è parlato non sono presenti in tutti i bambini bilingui, perché è necessario che vengano esposti a entrambe le lingue nello stesso modo e secondo criteri molto precisi (cosa che non sempre avviene).
* Un bambino con difficoltà linguistiche in una lingua, avrà difficoltà anche nell'acquisizione di altre lingue, e quindi si deve rinunciare a fargli apprendere altri lingue. Questi bambini sono bambini con difficoltà specifiche del linguaggio, che determinano difficoltà in entrambe le lingue, quindi non sono le conoscenze di L1 a determinare le difficoltà in L2. Quindi il bilinguismo non causa ritardi nel linguaggio!
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Dettagli appunto:
- Autore: Mariasole Genovesi
- Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia dello sviluppo e dei processi educativi
- Esame: Psicologia dello sviluppo cognitivo
- Docente: Chiara Turati
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