Consultazione psicologica e modifica dell'immagine di sè
Ci sono almeno due dimensioni che ci governano dunque in una consultazione quello che il soggetto chiede non è un miglioramento delle tecniche con cui aggiustare la sua immagine ma chiede che si possa in qualche modo interrogare su qual è il suo posto effettivo in questo gioco sul perché fa così.
Come operatore io non sono li in soggettiva con le mie caratteristiche personali sono li in una maniera più oggettiva, sono lì a costituire il luogo a partire dal quale il soggetto sarà in grado di interrogarsi sul suo posto :le mie caratteristiche personali servono a far si che il soggetto si trovi interessato alla sua immagine o alla mia immagine è lo stesso.
Non è facile nemmeno per noi operatori ammettere che ci sia così tanta dimensione immaginaria in quello che l’altro fa ma che infondo noi facciamo.
Al di là del teatro che allestisce quindi al di là delle immagini che ci propone delle rappresentazioni che lo contraddistinguono chi è il soggetto che rappresenta?
In una consultazione secondo il modello che vi sto proponendo non siamo interessati a che ci siano degli aggiustamenti progressivi dell’immagine del soggetto alla realtà che lo circonda questo ci sarà forse di conseguenza.
Noi facciamo il nostro mestiere su un versante di etica non adattiva alla realtà del soggetto ma più legata alla irrepetibilità del soggetto alla sua singolarità e quindi alla invenzione che di sé in qualche modo il sorgere di un sintomo lo invita a fare.
Non ”adesso vieni qui che ti curo meglio io di come ha fatto la mamma..” MA che il soggetto possa porsi la questione del “perché compiacere la mamma o dispiacere la mamma”
Molto spesso il sintomo è avvertito come un segnale di allarme a non cedere a modalità adattive che infondo uccidono la dimensione soggettoettiva più reale.
Il soggetto può avvertire le cose in questi termini noi come operatori dovremmo aver deciso prima cosa noi ne vogliamo fare del sintomo: ricordate che siamo partiti sulla
questione del fantasma a partire però dalla valorizzazione della dimensione del sintomo. Il sintomo in qualunque sua manifestazione può essere la cosa più strana e la meno avvertibile dal suo entourage è in fondo l’unico punto con il quale il soggetto effettivamente arriva a confrontarsi nel senso di una reale alterità.
Perché entri in gioco con evidenza questo elemento che di solito resta inavvertito nella relazione quotidiana occorre che ci sia una certa volontà del soggetto a coglierlo:
se voi andate in una consultazione e non avete troppa voglia in realtà di fare quel punto e a capo che dicevo prima e i vostro partner non è in grado di spingere invece sul farvi fare quella operazione di rettifica quindi se c’è una collusione a non porsi la vera questione tra operatore e utente, semplicemente si rigioca tutto sullo stesso asse e riduciamo la portata di un incontro a al non incontro di questo asse che abbiamo detto immaginario.
Occorre da parte nostra analisi L’analisi della domanda che non sia semplicemente stare li a sfogliare la margherita di quale sono le componenti sociali psicologiche di storia personale della persona MA è il cogliere quanto quel soggetto sia disposto a operare un certo spostamento di asse della sua questione.
La quale questione ci viene ovviamente sull’asse immaginario.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Beatrice Segalini
[Visita la sua tesi: "Il panico: un approccio integrato"]
- Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
- Facoltà: Psicologia
- Corso: Psicologia
- Esame: Metodi e tecniche di analisi della domanda nel colloquio psicologico
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