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Cinema di propaganda fascista. Marcellini, Gallone e Rossellini


Agli inizi degli anni trenta il regime abbandona la politica ruralista a favore di un’immagine di un Italia pacifica e concorde, dominata da un’ideologia piccolo-borghese  e dal potenziamento dell’istanza celebrativa e monumentale.  Il fascismo sembra chiedere al cinema di costruire monumenti al presente. In quest’ottica è da considerarsi Scipione l’africano di Carmine Gallone, unico film sulla romanità con uno sforzo produttivo e spettacolare di tale livello durante il periodo imperiale fascista. A partire dalla guerra in Etiopia riparte la richiesta di propaganda diretta, Marcellini, esponente di tale corrente, andò a girare in Spagna, dove poi si concentrarono più registi per affrontare la tematica della guerra lì in atto; in Spagna si gira anche l’Ebbrezza del cielo di Ferroni in cui verrà tentato il prima esperimento italiano di colore. Con l’entrata in guerra dell’Italia il potenziamento della produzione propagandistica diventa necessario e si denota la qualità sorprendente di riprese documentarie. Roberto Rossellini si cimenta in tre opere di propaganda che faticherà a far dimenticare nella sua produzione successiva, La nave bianca (1941), Un pilota ritorna (1942), L’uomo della croce (1943). Si accosta alle immagini con stile quasi documentario. Con Noi vivi ed Addio Kira si esalta una tipologia tematica di attacco al sovietico denunciando le purghe staliniane. Durante la fase della guerra molti registi hanno aperto gli occhi anche se prenderanno posizione solo con la caduta del fascismo.

Tratto da STORIA DEL CINEMA ITALIANO di Asia Marta Muci
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