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La canzone italiana negli anni '50: la canzone napoletana e la commedia musicale

La canzone italiana degli inizi degli anni ’50


La canzone italiana degli inizi degli anni ’50 non solo presenta come dominante il genere melodico ma riporta in auge espressioni linguistiche ormai superate, di origine letteraria. Borgo Antico (1950) cantata da Claudio Villa ne è un buon esempio:
Oh borgo, vecchio borgo degli amanti / che il poeta immortalò / e ch’io ripenso pallidi e tremanti / come amore li avvinghiò, / borgo ascolta, questa volta, / la nuova istoria che narrar ti vo.
Il testo assomiglia più a quello di una poesia che di una canzone, e l’utilizzo di arcaismi come istoria non facilita di certo la comprensione in un’Italia in cui la maggioranza della popolazione usava nel parlare soltanto il dialetto (Borgna: 1985, p 124). Si tratta inoltre di un testo incredibilmente retorico in cui l’uomo esprime tutta la sua sofferenza per essere stato abbandonato dalla donna, caratteristica che si ritrova nelle canzoni di Sanremo, ricche di luoghi comuni, ma non solo in esse. Se infatti l’obiettivo della tipica canzone sanremese è quello di strappare le lacrime con tematiche che riguardano donne di malaffare che ingannano l’uomo ingenuo, donne traditrici che devono essere redente dall’uomo, donne idealizzate, mamme viste come simbolo di purezza e bontà e altri ideali come la patria, la grazia divina, e l’Italia rurale, le canzoni che non appartengono al Festival non sono da meno. Non si compra la fortuna (1952), cantata da Achille Togliani, presenta la figura della classica donna ingannatrice e dal punto di vista linguistico fa un ampio uso della rima (cuor, amor, tentar, ingannar) e di diminutivi (pappagallino, zingarella):
Lungo la strada mi viene vicino / col pappagallino e la gabbia sul cuor. / Ma, zingarella, non ho fortuna, / non sai che pena talvolta è l’amor. […] / Perché / mi vuoi tentar. / Perché / mi vuoi ingannar.
Luciano Tajoli in Campane di Monte Nevoso (1952) canta l’amore e il sacrificio per la patria facendo riferimento a tutta una serie di simboli (le campane, il vespro, la mamma, la terra) e utilizzando diminutivi come paesello con lo scopo di arrivare al cuore dell’ascoltatore:
Campane di Monte Nevoso / che suonate nel vespro divin, / quel suono in un giorno radioso / salutò cento giovani alpin / Lasciarono il bianco paesello / cento mamme e altrettanti tesor. / Un fior tra la piuma e il cappello / e una dolce canzone nel cuor / Ritorneremo ancor sui nostri monti / e falceremo il grano al sole […]
In Terra Straniera (1953), cantata da Claudio Villa, viene messo in evidenza come l’amore per la patria e per la mamma sia più importante di quello per la donna amata:
Terra straniera…Quanta malinconia! / Quando ci salutammo, non so perché / tu mi gettasti un bacio e fuggisti via, / eppure adesso, te lo confesso, / non penso a te […] / Ma sogno notte e dì la mia casetta, / la mia vecchietta che sempre aspetta… / L’amore del paese e della mamma / è una gran fiamma che brucia il cuor! / Questa tristezza, questa nostalgia / sono il ricordo dell’Italia mia!


La canzone napoletana


Un ruolo importante nell’evoluzione della canzone italiana lo svolge la canzone napoletana che proprio in quegli anni conosce il suo rilancio grazie all’affermazione della canzone da “night”. I precursori di questo genere sono Roberto Murolo e Renato Carosone, il primo contribuisce a liberare la canzone partenopea dagli eccessi retorici e melodrammatici che la caratterizzavano fino a quel momento, il secondo fonda con Gegè di Giacomo e Peter Van Wood un famoso trio e trasforma le canzoni in piccoli spettacoli, in cui si inseriscono dialoghi buffi, vengono utilizzati costumi (come il turbante in Caravan Petrol) per creare l’ambientazione e il pubblico viene completamente coinvolto nello spettacolo (come in Tu vuo’ fa’ l’americano e Torero) (Borgna: 1985, p 138).
In Carosone, l'uso del napoletano è in divertita polemica tanto contro l'esterofilia quanto contro la retorica della canzonetta in lingua, e a questo proposito la parodia di …E la barca tornò sola (presentata a Sanremo nel 1954) è significativa (Sito web Treccani): E la barca tornò sola, sola, sola. / E a me che me ne importa, / e a me che me ne importa... / Erano tre fratelli pescatori, / con una mamma nera, / ed una barca bianca / e con tre cuori ancora da creatura... / E a me che me ne importa, / e a me che me ne importa... / Il mare urlava cupo quella sera / e il legno dell'incognita straniera / cercava aiuto in tutto quell'orrore. / "Chi rischierà la vita per salvare / la bionda forestiera, chi sarà?" / chi sarà? Mah?
Tra gli anni ’50 e ’60 il pubblico inizia a non avvertire quasi più il napoletano come un idioma legato a una certa cultura locale ma come una sorta di lingua canzonettistica, e anche i primi successi del pugliese Domenico Modugno sono scritti in questo napoletano 'nazionalizzato'(Sito web Treccani). Tuttavia ci sono anche alcune canzoni in lingua di Domenico Modugno che richiamano lo stile della canzone spettacolo di Carosone, come Pasqualino Marajà (1959) in cui la figura del napoletano che si arricchisce ricorda tanto quella di Caravan Petrol:
Pasqualino marajà / non lavora e non fa niente, / fra i misteri dell’oriente / fa il nababbo fra gli indù / ulla ulla la / ulla ulla la […] / Pasqualino marajà / ha imparato a far l’indiano, / e da buon napoletano / chiama tutti: “Uè, paisà”.


La commedia musicale


Un altro contributo al rinnovamento del panorama canzonettistico arriva in quel periodo dalla commedia musicale. Nata nel 1946-47 ma affermatasi nel 1952-53, la commedia musicale si distingue dalla rivista tradizionale in quanto non presenta più sfarzi coreografici e scenografici che si alternano alle scene recitate o addirittura prevaricano, ma dà al pubblico quello che vuole facendo allusione, tra uno sketch e una canzone, alla realtà contemporanea (L'operetta e la commedia musicale: 1993, p. 950). Garinei e Giovannini sono i rappresentanti di spicco di questo genere, per due anni producono sia riviste che commedie musicali incrementando anche il successo del Quartetto Cetra che con le canzoni tratte da Gran Baldoria, Gran Baraonda e Un trapezio per Lisistrata godono di notevole popolarità. Tra queste si possono ricordare Vecchia America (1951), testo ricco di citazioni musicali:
Vecchia America dei tempi / di Rodolfo Valentino / quando Al Johnson canticchiava / e Frank Sinatra era bambino, / quando Gershwin rapsodiava / tutto in “blues”: / sei rimasta un bel ricordo / e nulla più…
E In un palco della Scala (1952), che presenta molte citazioni operistiche:
In un vecchio palco della Scala, / nel gennaio del novantatré, / spettacolo di gala, / signore in decolleté, / discese da un romantico coupé. / Quanta e quanta gente nella sala, / c’è tutta Milano in gran soirée, / per ascoltar Tamagno, / la Bellincioni Stagno, / in un vecchio palco della Scala.
I pezzi dei Cetra si basano soprattutto sull’equilibrismo vocale degli interpreti e sulla loro straordinaria intesa artistica. Sono pezzi in rima che richiamano il tempo che fu e che trasmettono una certa malinconia.
Con la commedia musicale, Garinei e Giovannini favoriscono anche il lancio di artisti come Delia Scala, Carlo Dapporto e Renato Rascel, quest’ultimo in spettacoli che oltre ad avere in comune il titolo in rima prevedono l’utilizzo sulla scena di un animale ammaestrato: Attanasio cavallo vanesio (1952-53), Alvaro piuttosto corsaro (1953-54), Tobia la candida spia (1954-55). Le canzoni ad esse legate diventano subito dei successi, ma per la maggior parte si tratta di testi malinconici come ad esempio La mia donna si chiama desiderio (1954), che parla di un amore irraggiungibile:
La mia donna si chiama desiderio, / desiderio d’una donna che non ho, / che m’appare come n’un delirio / e scompare sussurrando “no”. / La mia donna si chiama desiderio / e m’aspetta al crocevia dell’irrealtà. / Ogni notte è sempre là, nell’oscurità, / poi con l’alba se ne va.
Oppure La ninna nanna del cavallino (1953), in cui si nota l’uso del letterario “azzurrità” e c’è sempre questo fondo di malinconia:
Lungo i pascoli del ciel, / cavallino va / tutto d'oro è il suo mantel, / nell' azzurrità; / bianca luna di lassù / mostragli il cammin, / stelle d' oro / fate un coro / nell'azzurrità. / Dormi, dormi / mio tesoro, fai la nanna ancor; / dormi, dormi / mio tesoro / fai la nanna ancor.

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