L'evoluzione della canzone in Italia dopo gli anni '50
Una canzone che si distingue completamente dalla massa di canzoni melodiche che andavano per la maggiore in quel periodo è Tchumbala Bey (1953), e segna il primo successo di Fred Buscaglione come autore assieme a Leo Chiosso.
A cantarla è Gino Latilla, che veniva considerato fino a quel momento una sorta di alter-ego del romantico Achille Togliani. Quello che colpisce in questa canzone non è solo il fatto che non si occupi di amori struggenti e di donne traditrici, ma che si tratta di un “fuoco d’artificio sonoro” (con l’utilizzo di fischi, colpi di pistola ecc.) che richiama il Far West, in cui si sente anche la risata forsennata del cavaliere che attraversa la steppa e dove Gino Latilla arriva al punto di strapparsi letteralmente la camicia:
Tchumbala-bey! / Io sono il grande Tchumbala-bey! / Il folle cavaliere per la steppa va, / veloce come il vento nessun mi fermerà…/ Son Tchumbala-bey! / Tchumbala-bey! / L’illuso, il folle Tchumbala-bey! / Ognuno si domanda: “Che cosa cercherà?!” / perché seguendo il vento per la gran steppa va?!
Fu proprio Gino Latilla, grazie al successo della canzone, a convincere i discografici a incidere i brani di Buscaglione.
In quegli anni in Italia si assiste a numerosi cambiamenti. Nel ’53 inizia a diffondersi il 45 giri, molto più leggero e maneggevole rispetto al 78 giri, e fa il suo ingresso nel mercato la Rca, colosso musicale per il quale il marketing rivestirà un ruolo fondamentale. Nel ’54 nasce la televisione, ma a possederla sono solo in 24 mila, rispetto ai quattro milioni e mezzo di abbonati alla radio, e quindi la maggior parte degli italiani assiste agli spettacoli televisivi nei locali pubblici. Nel ’55 fa la sua prima apparizione il juke-box, che sembra fu inventato a Chicago da Al Capone negli anni Trenta per ascoltare musica nei locali gestiti da gangster, e che grazie al 45 giri permette di ascoltare fino a duecento dischi. L’introduzione del juke-box determina una svolta in campo musicale poiché è pensato per essere utilizzato nei luoghi chiassosi, e di conseguenza riscuoterà grande successo con la nascita del rock ‘n ‘roll e le voci degli ‘urlatori’. Nel ‘56 in Italia i juke-box sono già più di cinquecento ma si trovano soprattutto nelle grandi città come Roma, Milano e Torino. Nel ’57 inizia in televisione “Il Musichiere”, con testi di Garinei e Giovannini, che diventa anche una rivista cartacea con allegati i dischi di plastica con brani dei cantanti.
Tutti questi avvenimenti hanno contribuito al decollo della discografia, basti pensare che nel ’51 in Italia si vendevano tre milioni di dischi mentre nel ’58 se ne vendevano più di sedici milioni (Borgna: 1985, p. 150).
In quest’aria di rinnovamento si inserisce Fred Buscaglione. Con il suo aspetto da duro, alla Clark Gable, la voce rauca e la sigaretta all’angolo della bocca diventa l’interprete ideale della canzone alla “bulli e pupe” in cui per la prima volta è l’uomo ad essere succube della donna emancipata. Ottimi esempi di questo genere sono Che bambola! (1956), Teresa non sparare (1957), Eri piccola così (1958).
Che bambola! è uno swing galoppante, e può essere definita come la prima vera criminal song all’italiana. Il linguaggio utilizzato dal cantante è quello tipico da “duro”, con espressioni come “mammifero” per definire una bella donna e il fischio di apprezzamento ad essa rivolto che si ripete per tutta la canzone. Qui i ruoli sono capovolti, è la donna che domina la situazione e che “lo incolla ad un lampion” dimostrando di non apprezzare il suo corteggiamento:
Mi trovavo per la strada circa all’una e trentatrè, / l’altra notte mentre uscivo dal mio solito caffè, / quando incrocio un bel mammifero modello “103” / (fischio) … Che bambola! […] / “Ehi, ehi, ehi, le grido, piccola, / dai, dai, dai, non far la stupida, / sai, sai, sai, io son volubile, / se non mi baci subito / tu perdi un’occasion” / Lei si volta, poi mi squadra come fossi uno straccion, / poi si mette bene in guardia come Rocky, il gran campion, /finta il destro e di sinistro lei mi incolla ad un lampion. / (fischio) … Che sventola!
Teresa non sparare si ispira a un fatto di cronaca nera, una moglie che aveva sparato al marito dopo averlo sorpreso con l’amante, e il brano parte con Fred Buscaglione in versione strillone, che annuncia la notizia su tutti i giornali per sottolineare l’enormità di un fatto del genere in una realtà provinciale come quella dell’Italia degli anni ’50 (Sito web Galleria della canzone). Secondo Ernesto De Pascale, curatore di una raccolta di Buscaglione, si tratta di “una sorta di reportage giornalistico dell’epoca con tanto di omissione di cognome, sottolineato da una semplice ed effettistica sonorizzazione”:
Teresa, / ti prego, / non scherzare col fucile, / per la rabbia la tua bile può scoppiar! / Teresa, / ti prego, / io non son certo un vile, / ma se tocchi quel fucile può sparar! / È stata una follia, / l’ho incontrata per la via, / disse “vieni a casa mia” / cosa mai potevo far?
In "Eri piccola così" la protagonista è un’altra “femme fatale” per di più anche assassina. La canzone parte con una rullata di batteria sul ritmo della quale entrano basso e pianoforte, come base ritmica, e poi tromba e sax che cominciano a inseguirsi. Fred Buscaglione attacca, parlando, la prima strofa e in ogni intervallo tra le ripetizioni di “piccola” i fiati sillabano su due note la stessa parola . Il brano diventa famoso anche per il gesto di Buscaglione con l’indice e il pollice per indicare le dimensioni della protagonista. Il linguaggio è sempre quello da “duro”, con l’utilizzo di espressioni gergali come “grano” riferito al denaro, o “squagliato” per indicare che l’amante è fuggito, mentre la sequenza delle azioni è segnata dall’utilizzo dell’enfatico “t’ho” ripetuto più volte (t’ho veduta, t’ho seguita, t’ho fermata) e si fa sempre un ampio uso della sonorizzazione (viene riprodotto il suono degli spari e del colpo di tosse nel finale della canzone):
T’ho veduta / t’ho seguita / t’ho fermata / t’ho baciata / eri piccola / piccola / piccola…così! ] Tu… fumavi mille sigarette / Io… facevo il grano col tresette, / poi un giorno / m’hai piantato / per un tipo / svaporato… / T’ho cercata - t’ho scovata, / l’ho guardato - s’è squagliato / quattro schiaffi t’ho servito / tu mi hai detto “disgraziato” / la pistola m’hai puntato / ed un colpo m’hai sparato / e spara (bang) / spara (bang) /spara (bang) (colpo di tosse) / e pensare che eri piccola / ma piccola, / tanto piccola / così.
Tra le canzoni scritte da Fred Buscaglione assieme a Leo Chiosso ce n’è una in particolare che pur non rientrando nell’ambito della criminal song è rappresentativa della società di quell’epoca. Si tratta di Porfirio Villarosa (1956). Il personaggio a cui si riferisce il testo della canzone è realmente esistito e si chiamava in realtà Porfirio Rubirosa. A quanto pare era un avventuriero dominicano (ma alcuni sostengono che fosse portoricano o argentino) diventato famoso per le sue storie d’amore con numerose attrici come Ava Gardner e Zsa-Zsa Gabor. Il paroliere Leo Chiosso prese il personaggio, lo trasferì a Torino cambiandogli il cognome in Villarosa, cittadina in provincia di Enna, e lo trasformò in un lavoratore della Viscosa, stabilimento torinese in cui si producevano fibre sintetiche e dove la maggior parte degli immigrati siciliani trovava lavoro in quegli anni. Il risultato fu un testo che cantava le epiche gesta di un manovale, poiché la mentalità di allora, come spiegato da Leo Chiosso, era quella di “far uscire i reietti, i poveri, i metalmeccanici e i braccianti agricoli dal grigiore della loro vita, per immetterli in un mondo in cui la donna dicesse loro ‘grazie dei fior’”.
Alcune strofe della canzone sono scritte in uno spagnolo italianizzato che richiama l’atteggiamento del playboy di bassa estrazione sociale che cerca di fare il conquistatore:
“Esta è la canción de Porfirio Villarosa / che faceva el manoval alla Viscosa / PORFIRIO! Che, me conosse? / Conoscete Porfirio Villarosa / dalla bocca fascinosa / lo credevano spagnolo o portoghese, / egli invece è torinese, era un rude / e modesto terrazziere faceva il suo mestiere / ch’era un piacere / Ora invece Porfirio Villarosa / todo el giorno se reposa […].
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