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Caratteristiche della commedia all’italiana


La commedia all’italiana prende il nome da Divorzio All’italiana di Germi.
La commedia registra immediatamente i primi effetti disgreganti dovuti allo shock del boom.
Se la commedia anteriore era una commedia d’integrazione e individuava nel matrimonio e nel lavoro i due principali varchi attraverso cui il singolo individuo poteva fare il suo ingresso nella società, le due stesse figure appaiono ora come limitative ed insopportabili ad un soggetto fortemente individualista che aspira ad un’etica esibizionistica del successo ad ogni costo. Integrazione come fallimento, bisogna brillare, esagerare, possedere.
Le figure presentate sono quelle di disgregazione, non più il matrimonio ma il divorzio, la fuga l’erranza, non l’accettazione della regola ma la sua trasgressione.
S’intuisce il grosso cambiamento anche da come viene trattato il topos del ballo:
Poveri ma belli--> si balla su una terrazza a coppie, chi non è accoppiato balla con una scopa ed assistono nel tripudio del visivo tutti i vecchi.
Guendalina-->Singole individualità accalcate indistintamente; ognuno balla da solo condividono esclusivamente un codice ritmico.
I singoli individui sono restii alle opportunità di interazione che offre il ballo, la danza per eccellenza è il twist che è una sorta di gesto nevrotico, un riflesso incondizionato.

Se la commedia italiana era una commedia del noi, la commedia all’italiana è una satira dell’io.
La nuova commedia ricorre massicciamente alla strategia della stereotipizzazione sostituisce cioè il personaggio con la maschera, e mette in scena il tic invece che il comportamento, l’espressività viene sostituita dal ghigno.
Anche i grandi attori affermati s’irrigidiscono nel clichè o nell’iterazione ossessiva di gesti e comportamenti:
Gassman--> spavalderia
Sordi--> vittimismo e furbizia
Manfredi--> scetticismo
Mastroianni--> ironia e disincanto
S’impegnano nella costruzione di nuovi personaggi piccolo borghesi che non gli sono propri.
La galleria di maschere stanche risale alla tradizione della commedia dell’arte ma sono un po’ ridondanti, perdono quella purezza e allegria delle origini per mostrare il lato peggiore della maschera--> cioè il tentativo di ancorarsi ad un modello identitario per evitare la disgregazione dell’identità.

Anche l’intreccio subisce con la stessa violenza la frammentazione dell’unità tradizionale, si sgretola e si riduce ad un agglomerato di aneddoti, sketch, episodi e gag. I personaggi si muovono alla cieca in un presente senza storia, fatto di istanti senza spessore alla ricerca frenetica del successo, raggiunto attraverso qualunque mezzo.
La commedia si trasforma in carosello, sfilata diventa un contenitore di barzellette.

La commedia all’italiana vive di guizzi di istanti di esagerazioni, per questo non è più una commedia del visibile ma si denota come una pratica scopico-voyeuristica che consente di spiare gli altri. Lo spettatore, inadempiente ai suoi doveri sociali può coltivare l’illusione di non essere a sua volta guardato: le maschere infatti sono talmente grottesche ed eccessive che gli consentono di disconoscerle, proiettandole come qualcosa di diverso da sé. E’ dunque un pharmacos un capro espiatorio che consente alla società effetti terapeutici che li liberano delle proprie colpe. Non si ride di sé, si ride sempre degli altri.

Se la commedia italiana istituzionalizzava la spensieratezza e cercava l’equilibrio attraverso l’inclusione, la commedia all’italiana esorcizza il disagio con pratiche basate sull’esclusione. Il nuovo cinema diventa un cinema di “occhiate” lasciando intravedere il fantasma incombente della tv.

Tratto da IL CINEMA ITALIANO TRA GLI ANNI '60 E '70 di Asia Marta Muci
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