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Nenni e la fiducia nella rivoluzione socialista

Nenni e la fiducia nella rivoluzione socialista


Ma il dilemma intrinseco che avrebbe perseguitato il partito per decenni era un altro: annacquare il contenuto socialista del loro programma attirando così il consenso elettorale dei negozianti e dei piccoli imprenditori, o varare una linea intransigente? Anche l'argomento famiglia era un discorso complesso. Il PCI difficilmente poteva presentarsi come campione della famiglia rispetto alla DC, nemmeno portando come esempio quello della famiglia proletaria.
I socialisti di Pietro Nenni erano terribilmente subordinati rispetto al PCI e l'assurdità diventa ancora più grave se si pensa che nelle prime elezioni del dopoguerra essi avevano preso più voti del PCI. Le motivazioni comunque c'erano. In una fase in cui il mondo appariva sempre più diviso in due, toccava al PCI rappresentare il mondo socialista e fin quando il PSIUP rimaneva filosovietico aveva poche chance di scartare dal binario tracciato dal PCI. Nenni non era poi, certamente, un grande dirigente politico, mancando dell'abilità strategica di Togliatti e incapace di tenere assieme un partito che diventasse una grande “chiesa” di opinioni socialiste; l'infelice uscita sul finto socialismo borghese delle classi medie lo condannò. Nel PSIUP del resto non mancavano le correnti e il movimento non fu mai unitario: Giuseppe Saragat portava avanti le idee di Filippo Turati e sosteneva che il partito socialista aveva assunto un irrigidimento operaistico che limitava la sua capacità di attrazione; accusava Nenni di vederci per l'unità ma di essere cieco per l'autonomia: il socialismo occidentale doveva essere libero rispetto al modello sovietico, autoritario e antidemocratico. Saragat portava avanti l'ala antistalinista, socialdemocratica ed esplicitamente riformista del PSIUP. Ma proprio le continue discussioni lasceranno del partito socialista solo sciabli e sbiaditi ricordi.
Il sindacato era il solo altro strumento importante. La CGIL poteva vantare un dirigente di eccezionale talento e umanità, Giuseppe Di Vittorio, fiero antagonista della Confindustria di Angelo Costa. Eppure, nemmeno l'ascendente di questo grande dirigente sindacale poteva mascherare la situazione per la quale la CGIL, al di là degli sforzi togliattiani, non divenne mai un sindacato unito e omogeneo in difesa della classe operaia, essendo i suoi dirigenti appartenenti a ciascuno dei tre partiti di massa, con una netta preponderanza democristiana nel tono degli accordi man mano presi.
In campo internazionale l'URSS era per il partito comunista ciò che gli USA erano per la DC e questo devoto stalinismo fu deleterio almeno per due motivi:

- la fiducia nella rivoluzione socialista come un qualcosa che arrivava dall'esterno privò la classe operaia italiana di qualsiasi possibilità di elaborare una strategia trasformativa basata sulle proprie forze.
- l'accettazione cieca e adulatoria della dittatura stalinista, vista come modello virtuoso anche per l'Italia, divenne una pesante arma di distruzione appena cominciarono a diffondersi le voci sull'inferno di tale dittatura in Russia.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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