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La stabilità economica dell'Italia - 1945 -


Si assiste ad una stabilità relativa dei prezzi e ad un livello assai basso della produzione, essendo nel 1945 meno di un terzo di quella del 1938. L'Italia aveva sempre sentito la mancanza di quelle materie prime che erano alla base dello sviluppo industriale. Essa dipendeva in modo oneroso dall'importazione di materie prime e cercava di coprirne i costi con una intensificazione delle esportazioni. Nel 1945 vi fu un accordo unanime sulla necessità di abbandonare l'artificioso sistema autarchico fascista a favore di una liberalizzazione degli scambi commerciali e di una ripresa di quelle importazioni necessarie a rimettere in sesto l'economia italiana.
Comunisti e socialisti non furono mai in grado di offrire una valida alternativa al liberismo democristiano, ciò perché la preparazione economica di gran parte dei dirigenti era nulla o ferma ai dogmi degli economisti sovietici dell'epoca, centrati sullo strangolamento del capitale produttivo ad opera del capitale finanziario. Questa povertà di idee si trasformò in una sostanziale subordinazione al liberismo voluto dagli imprenditori. Del resto se era il comunista Mauro Scoccimarro il ministro delle Finanze, il Tesoro rimaneva saldamente in mani democristiane o liberali. I ministri dell'economia non elaborarono mai una qualche forma di intervento pianificato e l'edilizia fu l'esempio più lampante di tale neghittosità: a fronte di 1.200.000 vani distrutti in città con oltre 50.000 abitanti, nel 1946 ne furono ricostruiti 15.063!
La ricostruzione non fu mai statalizzata ma ad opera e voglie dell'imprenditoria privata, che ricavò per pochi enormi profitti, e che rimase sempre vicina al personale dirigente della burocrazia di Stato – non ultima la Banca d'Italia di Einaudi – pur paventando pubblicamente la sua diffidenza per il settore pubblico.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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