La paralisi dell'amministrazione pubblica nell'Italia degli anni '60
- La paralisi dell'amministrazione pubblica. Appare chiaro come l'amministrazione pubblica si fosse data una struttura ed una fisionomia che non facilitavano interventi di riforma: il 95% dei funzionari di grado superiore era entrato in servizio prima del 1943; per questa gente – disse Putnam – non era tanto la vita politica italiana quanto il concetto stesso di democrazia che non era congeniale. Due furono i fenomeni che sarebbero diventati i peggiori ostacoli alla riforma della P.A.
1. L'utilizzo dei residui passivi. Un enorme flusso di residui passivi tornava al Tesoro perché la rete giuridica e amministrativa era così intricata che i procedimenti si bloccavano sul nascere.
2. La mancata attuazione di leggi di riforma già approvate. Ciò a causa dell'inadeguatezza e dell'ostilità della burocrazia e per il barocchismo sotteso ad ogni procedimento di preparazione di leggi, che implicava sempre reinterpretazioni, confusione e riformulazioni, in un processo lungo ed esasperante.
- Il rafforzamento del clientelismo in Meridione. A livello locale, soprattutto nel Meridione, il decennio dei dorotei marcò una fase di sviluppo sistematico del clientelismo, fondato soprattutto su una incessante opera di appropriazione di una spesa pubblica in espansione. In tutto il Meridione una nuova generazione di politici democristiani prese in mano le redini dei governi locali: Antonio Gava a Napoli, Salvo Lima e Giovanni Gioia a Palermo, Antonino Drago a Catania, Ciriaco De Mita ad Avellino, Nino Gullotti a Messina. Il loro dominio clientelare discendeva in gran parte da quattro principali fonti economiche:
1. Boom edilizio. Il posto chiave era l'assessorato ai Lavori Pubblici e il sacco di Palermo ne è uno degli esempi più vergognosi. E alla luce di questo come di altri esempi si capisce perché la riforma Sullo non fu mai attuata.
2. I nuovi poli di sviluppo industriale. Finanziati a larghe maniche dalla Cassa del Mezzogiorno, fu condotta al Sud una industrializzazione selettiva che permisero ai mediatori di accedere a nuove fonti di denaro e di potere, di ampiezza senza precedenti, spesso destinati a tutto fuorché a investimenti di sviluppo industriale. Anche quando tale denaro era destinato allo scopo per cui era nato, potevano nascere paradossi mostruosi come la fabbrica Alfa Romeo di Pomigliano d'Arco, dove il costo di produzione del veicolo superava il prezzo di vendita.
3. Le risorse finanziarie degli enti locali. Le spese degli enti locali erano destinate a dare posti di lavoro in cambio di voti. A Palermo nel 1976 non c'erano meno di 2500 spazzini municipali del'AMNU.
4. La distribuzione di fondi da parte del governo. Il caso pensionistico è il più lampante: il 32% dei fondi pensionistici nazionali andava al Meridione, il doppio di quanto statisticamente avrebbe dovuto ricevere.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
[Visita la sua tesi: "Le geometrie irrequiete di Fleur Jaeggy"]
[Visita la sua tesi: "Profezie inascoltate: il "Golia" di Giuseppe Antonio Borgese"]
- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia contemporanea
- Docente: Salvatore Adorno
- Titolo del libro: Storia d'Italia 1943 - 1996
- Autore del libro: Paul Ginsborg
- Editore: Einaudi
- Anno pubblicazione: 1989
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