Habermas e l'etica del discorso
L’etica del discorso è stata elaborata e portata aventi da due grandi pensatori e filosofi contemporanei: Jurgen Habermas e Karl-Otto Apel. Essendo entrambi docenti nell’Università di Francoforte, spesso si fa riferimento alla loro filosofia pratica designandola come Nuova Scuola di Francoforte.
Come per le teorie della giustizia sviluppatesi in ambito anglo-americano, prima fra tutte quella di John Rawls, Habermas accoglie la sfida dei nostri tempi e tenta la fondazione razionale dei principi dell’agire. Habermas è noto innanzitutto per aver elaborato insieme a Karl-Otto Apel l'Etica del Discorso (Diskursethik) (1981), nella quale appoggiandosi alla struttura etica di una situazione dialogica ideale, fa riferimento alla Teoria degli atti linguistici (1981) per definire le condizioni preliminari del Discorso (Diskurs) libero da condizionamenti. La dimensione linguistica della comunicazione umana è quindi il terreno prescelto sul quale compiere il tentativo fondazionale: in particolare la forma dialogica dell’argomentazione manifesta alcune caratteristiche universali implicite che possono essere considerate la base per il raggiungimento del consenso fra i parlanti e quindi per un possibile accordo ponderato sui principi dell’agire nella sfera politica.
Egli ha proposto i lineamenti fondamentali di una teoria discorsiva della morale e della politica. Il discorso pubblico si pone come modello di un agire comunicativo che egli oppone all'agire strumentale sulla scia dei maestri francofortesi. L'agire strumentale sembra organizzato dalle logiche della tecnica e del dominio; l'agire comunicativo indica la possibilità di un'unione sociale non coercitiva, basata sul criterio di riconoscimento intersoggettivo non violento, orientato all'intesa.
Habermas si concentra soprattutto sul tema della comunicazione tra gli uomini, influenzato dalla cosiddetta “svolta linguistica” e dalla “teoria del linguaggio” (sia ermeneutica, sia analitica) negli anni ’60. Al cuore della sua nuova riflessione sta un soggetto pubblico e linguisticamente strutturato in una comunità linguistica nella quale si forma la coscienza dei singoli individui. Questa “svolta” avviene soprattutto con lo scritto Teoria dell’agire comunicativo (1981), in cui è illustrata una teoria interessata al rapporto intercorrente tra il linguaggio e chi ne fa uso.
In questo nuovo capitolo della sua filosofia, Habermas instaura un dialogo proficuo con Karl Otto Apel: i due autori sono convinti che chiunque partecipi a un’argomentazione razionale sensata presupponga implicitamente alcune pretese universali di validità:
1) giustezza (Richtigkeit): ogni dialogante deve rispettare le norme della situazione argomentativa: ad esempio, ascoltare le tesi altrui o ritirare le proprie, qualora si siano dimostrate false;
2) verità (Wahreit): ogni dialogante deve formulare enunciati esistenziali appropriati;
3) veridicità (Wahrhaftigkeit): ogni dialogante deve essere sincero e convinto dei propri asserti;
4) comprensibilità (Verständlichkeit): ogni dialogante deve parlare in modo aderente al senso e alle regole grammaticali.
Se anche una sola di queste quattro pretese non è soddisfatta, allora crolla la possibilità di un’intesa tra gli interlocutori. Naturalmente, queste pretese implicano che la comunicazione avvenga tra soggetti liberi, senza condizionamenti, autorità o interessi, ma soltanto sulla base della capacità di convincimento delle ragioni migliori. Tutte queste pretese hanno un valore etico oltre che logico ed è per questo che danno vita alla già citata “Etica del discorso”. Quando tutte le pretese sono soddisfatte, si ha la “situazione discorsiva ideale”, ossia un modello di società giusta incentrata sull’uguaglianza dei dialoganti. Una società così fatta coincide col modello di comunità democratica composta da uomini uguali, liberi e dialoganti su questioni collettive nel tentativo di risolvere razionalmente i propri conflitti di interessi. Sui temi come quello delle disuguaglianze culturali e il multiculturalismo, Habermas sostiene che non occorrono politiche specifiche mirate, che prescindano da un principio universale di libertà, di eguaglianza fra i cittadini e di pari dignità, in quanto lo stato di diritto e la democrazia sono legati da un rapporto interno per cui un “sistema dei diritti non può essere cieco nei confronti delle disuguaglianze”.
Questo perché i cittadini che possiedono diritti individuali hanno identità che si concepiscono a partire dal rapporto dialogico con gli altri e dal dialogo della pratica democratica, che esprime proprio questa facoltà umana di determinare se stessi e la propria identità. Questo vale per il singolo individuo, come per le culture e le identità collettive presenti all’interno di una società pluralista.
Nell’ottica di Habermas e Apel quindi, l’etica del discorso è un’etica:
- cognitivistica (che fonda razionalmente le norme etiche);
- deontologica (che fa riferimento a principi inaggirabili);
- formalistica (stabilisce principi procedurali, non contenuti);
- universalistica (valida per tutti gli esseri dotati di ragione);
- postkantiana (l’etica non è, kantianamente, una faccenda morale riguardante il singolo individuo, ma piuttosto una questione pubblica che coinvolge tutti i dialoganti);
- “della responsabilità”, e non “dei principi”.
La nuova Scuola di Francoforte rappresentata da Habermas ma anche da Apel e altri, si preoccupa di prospettare ipotesi come quella della nuova pragmatica della comunicazione etica. L’ampio progetto di etica del discorso è l’invito a individuare le radici etiche del comunicare e non le sole strutture del linguaggio. L’individuo habermasiano non parte da sé e dall’affermazione dell’ego, per cercare forme di mediazioni e relazioni con l’altro, ma è direttamente immerso in una fitta rete di relazioni. Habermas rifiuta concezioni presociali dell’individuo e teorizza l’intersoggettività socializzante, seguendo l’esempio dell’antropologa e psicologa Mead, secondo cui l’individualizzazione è possibile solo nella socializzazione. In questo senso la teoria dell’agire comunicativo costituisce una parte fondamentale della teoria di Habermas sulla modernità. E’ lo sdoppiamento fra sistema e mondo della vita (cioè fra sistemi d’azione formalmente organizzati, quali lo stato, il diritto, l’economia ecc.) che si sviluppano tramite mezzi di controllo, e mondi della vita che vengono riprodotti tramite l’agire comunicativo. La teoria dell’agire comunicativo riguarda i rapporti intersoggettivi e col mondo della socialità. L’etica del discorso è parte della razionalità comunicativa e nello stesso tempo presuppone e avvia una teoria dell’agire comunicativo. Allo sdoppiamento dei mondi, Habermas fa corrispondere due paradigmi della storia, una duplice razionalità: la razionalità strumentale del sistema (economia, stato) e la razionalità comunicativa del mondo della vita, vale a dire la sfera privata e l’opinione pubblica. A questo punto Habermas opera una distinzione tra etica e morale. L’etica riguarda la contestualità storica, la conflittualità sociale, il mondo della vita in cui norme e valori non sono differenziati e l’esistenza delle norme coincide con la loro validità. La morale presuppone, invece lo sganciamento del mondo sociale dalla corrente delle ovvietà culturali. Rappresenta il momento della messa in dubbio, della presa di distanza dalla socialità, dall’applicazione delle regole del discorso, della discussione sulla validità delle norme esistenti.
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Autore:
Valentina Marchiò
[Visita la sua tesi: "Consumi e Identità: il rapporto dialettico fra marche e consumatori"]
[Visita la sua tesi: "Corporate Responsibility: nuovi approcci nella relazione tra impresa e società"]
- Università: Università degli Studi Roma Tre
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Scienze e Tecniche della comunicazione
- Esame: Questioni di Etica Pratica
- Docente: Prof. Mario De Caro e Prof. Paolo Nepi
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