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Introduzione all’Etica della Comunicazione: le teorie di Habermas e Apel

La comunicazione è stata, sin dalle origini, uno dei temi cruciali della filosofia: la stessa idea di dialogo è un concetto filosofico. Secondo una tradizione molto antica (che comincia con Aristotele) le scelte morali non sono come regole che vanno applicate alla realtà dal di fuori, ma sono esse stesse plasmate dalla realtà. Il modo in cui si vedono le cose presuppone non solo un mondo e degli interlocutori, ma anche delle regole di comunicazione. La possibilità di ragionare e di dialogare implica che si dia ascolto e che si rispetti la posizione altrui. E’ la stessa tradizione linguistica e culturale che presuppone virtù e valori: l'etica della comunicazione sostiene che si possono esplicitare questo insieme di valori. Per i teorici del discorso, come Habermas e Apel, la ragione ha un aspetto più umile e comune, che si annida tra le pieghe del linguaggio ordinario, ma che costituisce comunque il presupposto del dialogo e della comprensione. Per il solo fatto che l’uomo è un essere ragionevole e comunicativo, non può non riconoscere principi e vincoli morali. Talvolta la soluzione di un problema morale comporta un radicale riorientamento del pensiero perché introduce un nuovo modo di vedere, che a volte può rivelarsi totalmente imprevisto. Non bisogna supporre di sapere sin dall'inizio quali sono i confini della ragione morale, bensì andare a scoprire di volta in volta come si presentano i nuovi paesaggi morali. 
L’obiettivo di questa tesina è quello di ripercorrere brevemente le origini dell’etica della comunicazione, cercando di focalizzarsi sugli aspetti principali che ad oggi risultano interessare coloro che sono coinvolti (sia come comunicatori che come fruitori) nell’agire comunicativo.
La tesina si compone di due capitoli: nel primo capitolo viene fornita una breve sintesi dei significati dei termini “etica”, “morale” ed “etica applicata”, cercando di capire come si è arrivati al concetto di etica della comunicazione. Si vuole focalizzare sull’origine dell’etica comunicativa, cercando di descrivere l’evoluzione del progetto di etica del discorso che Habermas, insieme ad Apel e altri filosofi, ha voluto proporre. Nel secondo capitolo si entra nel cuore della disciplina, percorrendo i principali paradigmi con lo scopo di individuare le linee guida etiche che ad oggi risultano le più idonee, affinché si possa agire nell’ambito della dimensione del “comunicare bene”.

Moralità ed eticità


L'etica (dal greco antico èthos, "carattere", "comportamento", "costume", "consuetudine") è quella branca della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di distinguere i comportamenti umani in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati.
L'etica può anche essere definita come la ricerca dei criteri che consentano all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri. Essa pretende inoltre una base razionale, quindi non emotiva, dell'atteggiamento assunto, non riducibile a slanci solidaristici o amorevoli di tipo irrazionale. In questo senso essa pone dei confini entro cui la libertà umana si può esprimere. In questa accezione viene spesso considerata sinonimo di filosofia morale, poiché in quest'ottica essa ha come oggetto i valori morali che determinano il comportamento dell'uomo.
E’ consuetudine però differenziare i termini etica e morale. Sebbene essi spesso siano usati come sinonimi, in realtà l'etica si occupa anche di determinare quello che può essere definito come il “senso” dell'esistenza umana. Si preferisce riservare la parola “etica” per riferirsi all'intento razionale (cioè filosofico) di fondare la morale intesa come disciplina. L’uso del termine “morale” invece si usa per indicare l’insieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un determinato gruppo. 

L'etica può essere:
- descrittiva se descrive il comportamento umano;
- normativa (o prescrittiva) se fornisce indicazioni;
- soggettiva, quando si occupa del soggetto che agisce, indipendentemente da azioni od intenzioni;
- oggettiva, quando l'azione è relazionata ai valori comuni ed alle istituzioni.
L'etica applicata è la parte della filosofia morale in cui i teoremi normativi sono applicati ai singoli casi (es. etica della comunicazione, etica medica, etica del business…). Essa compare all'inizio degli anni '70 con l'intento di promuovere una riflessione etica non di tipo generale o fondamentale, ma strettamente agganciata alle problematiche particolari, per tenere testa allo sviluppo tecnologico e scientifico, sforzandosi d'integrare la propria competenza con l'acquisizione di nozioni che provengono dalle scienze naturali, biologiche, sociali ecc. Tale studio sistematico del comportamento umano nel campo delle scienze della vita e della salute, è pertanto esaminato alla luce di valori e principi morali.
Con la riabilitazione negli anni ‘60 della filosofia pratica ad opera di un gruppo di filosofi, si sostiene che l'ambito della ragione sia molto più ampio di quello prettamente scientifico, che la filosofia non ha solo funzione di analisi ma anche di valutazione e elaborazione di norme, che l'agire etico e politico sia razionalmente argomentato. La filosofia pratica è già definita da Aristotele nella divisione delle scienze (intese come diverse forme di conoscenza) in teoretiche, pratiche e poietiche. Tra le scienze egli include etica e politica. La tradizione di ricerca della filosofia pratica si è poi mantenuta attiva fino a Kant. Nell'Ottocento la nascita delle scienze dello spirito e la specializzazione del pensiero ha allontanato le discipline pratiche dalla ricerca filosofica.

La spiegazione di una riabilitazione della filosofia pratica (ovvero una filosofia capace di fornire orientamenti morali, principi ispiratori per l’agire adeguati ad un tempo a contesti specifici) e del progetto al suo interno di una etica applicata, è collegata ad una serie di ragioni:
- l’esistenza di nuovi problemi e interrogativi etici legati a temi come la bioetica, l’ecologia, la globalizzazione;
- l’insoddisfazione per le modalità tradizionale di gestire le questioni etiche;
- la ricerca di un’etica uguale per tutti, di un’etica di comunità, di un’etica delle professioni;
- la crisi della neutralità scientifica quale assunto di partenza, l’inadeguatezza di criteri soltanto individuali;
- la consapevolezza dei limiti del nostro conoscere;
- l’esigenza crescente di partecipazione e di responsabilità.

L’etica applicata si impegna a fornire degli orientamenti capaci di fornire criteri etici per le nostre azioni. Da essa ci si aspetta di trovare modalità per regolare il dissenso insanabile tra individui e di giungere a decisioni razionali nonostante i dissensi di fondo.

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