Verità e finzione in "Storia immortale"
In "Storia Immortale" Welles sottolinea come sia impossibile rappresentare con realismo storie vere, in quanto non è possibile riprodurre la verità attraverso un mezzo e nel momento stesso in cui una verità viene messa in scena, viene rielaborata artisticamente e quindi perde il suo alone di realismo. “Non mi piacciono le finzioni, io voglio i fatti: se questa storia non è mai accaduta, io la farò accadere” dice ad un certo punto Clay. La voce narrante all’inizio richiama a "L’orgoglio degli Amberson" e viene ad un certo punto interrotta dall’intervento del coro di personaggi secondari: ancora una volta la voce narrante e il coro, quindi la dimensione extradiegetica e quella diegetica finiscono con il dialogare in maniera attiva, esattamente come accadeva in L’orgoglio degli Amberson. Questo è il primo film di Orson Welles girato a colori e i toni della fotografia sono molto cupi, tristi, tutt’altro che sgargianti, anzi molto sommessi. La stanza di Clay contiene due librerie ricche esclusivamente di libri contabili, cioè quanto di più concreto e riconducibile a ciò che conta di più per questa persona, vale a dire il denaro. Il film è molto breve (58 minuti, quindi di fatto un mediometraggio), ma ricco di tematiche e assai affascinante dal punto di vista visivo anche grazie ad un uso del colore mai banale e sempre sofisticato.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Marco Vincenzo Valerio
[Visita la sua tesi: "La fortuna critica italiana de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli"]
- Università: Università degli Studi di Milano
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Teoria e analisi del linguaggio cinematografico
- Docente: Elena Dagrada
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