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Heidegger e la verità nella scienza


Cos’è la verità. Il problema che ci poniamo è carattere normativo. Partiamo dalle situazioni comuni: “Il pennarello è sul tavolo”. Questa asserzione può essere vera o falsa. Se dico che questo enunciato è vero significa che facendo determinate operazioni ottengo certi risultati che mi confermano che il pennarello è sul tavolo. C’è dunque un legame strettamente pragmatico tra l’enunciato e la sua verità o falsità, perché questa dipende da un’osservazione pratica. In questo caso la verità non ha nulla di intuitivo o metafisico. Non dimentichiamoci che gli enunciati che possono essere veri o falsi sono solo quelli apofantici o dichiarativi (o assertivi). In effetti però il problema è ancora più alla radice: cosa è vero? Enunciati, enuncianti, pezzi di mondo? Cioè cosa è che si fa portatore di verità? È bene fare una precisazione e cioè che noi stiamo affrontando il problema a partire da un impostazione semantica, cioè concentrandoci sugli enunciati. Ma questa non è l’unica pista che si può seguire. Heidegger ad esempio smonterebbe questa impostazione perché sostiene che i pezzi di mondo hanno una loro esistenza e quindi una loro falsità o verità a prescindere dal loro rapporto che instaura con il soggetto conoscente. Quindi il portatore di verità è il pezzo di mondo in sé e per sé e non l’enunciato che io costruisco. Alla luce dell’impostazione di H. ci chiediamo: questo modo di procedere che mette in primo piano gli enunciati esaurisce il concetto di verità? La sensazione è che non sia così. Infatti delle volte succede che la scienza non proceda per enunciati, ma ad esempio intuitivamente.

Tratto da FILOSOFIA DELLA SCIENZA di Carlo Cilia
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