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Conseguenze della riforma del 1923 sulla giurisdizione esclusiva


Dalla riforma del 1923 emergeva in modo chiaro che:
- Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, il riparto fra giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria seguiva il criterio della distinzione per materie: da questo punto di vista la riforma del 1923 comportava un certo recupero della logica propria del modello di contenzioso amministrativo.
Le materie assegnate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo erano però individuate in via tassativa.
- Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, nelle vertenze per diritti soggettivi, il giudice amministrativo disponeva degli stessi poteri di cognizione e di decisione che gli spettavano nel caso di giurisdizione sugli interessi legittimi.
Pertanto l’assegnazione di una materia alla giurisdizione esclusiva comportava conseguenze importanti sulla tutela dei diritti.
- Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, la tutela dei diritti era “aggiuntiva” rispetto a quella degli interessi.
Di conseguenza, si potevano avere casi di giurisdizione esclusiva nei quali il giudice amministrativo esercitava solo una giurisdizione di legittimità (ipotesi normale), ma anche casi di giurisdizione esclusiva nei quali il giudice amministrativo esercitava una giurisdizione “anche in merito”.
- Anche nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo poteva conoscere in via incidentale delle situazioni di diritto soggettivo non inerenti alla materia devoluta alla giurisdizione esclusiva che fossero però rilevanti per la decisione.
Al giudice amministrativo, invece, era preclusa la cognizione, sia in via principale, sia in via incidentale, di questioni inerenti allo stato e alla capacità delle persone, o di questioni di falso che erano riservate pertanto al giudice ordinario.
- Al giudice ordinario, anche nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, erano riservate “le questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di legittimità dell’atto o provvedimento contro cui si ricorre”.
I “diritti patrimoniali consequenziali” furono identificati dalla dottrina successiva e dalla giurisprudenza con il diritto al risarcimento del danno che assumeva rilevanza in seguito all’annullamento di un provvedimento amministrativo che avesse inciso su un diritto soggettivo.
Le azioni per il risarcimento dei danni dovevano essere proposte sempre davanti al giudice ordinario anche se era stato arrecato un danno a un diritto devoluto alla giurisdizione esclusiva (questa riserva di giurisdizione al giudice ordinario è stata superata solo di recente).
La riforma del 1923-’24 introdusse alcune modifiche anche all’ordinamento del Consiglio di Stato.
Fra esse la più importante è rappresentata dal superamento della distinzione di competenze fra Quarta e Quinta sezione: la distinzione fra le due sezioni da allora fu di ordine meramente interno.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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