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Tra eguaglianza e diversità culturali e religiose


L’eguaglianza, forza di richiamo del moderno Stato costituzionale di diritto, è oggi disturbata dalla forza centrifuga insita nella nuova “voglia di differenza”.
Egualitarismo e differenzialismo sono ormai le polarità opposte verso cui si muovono le legislazioni: nel primo caso le differenze culturali sono lecite, ma confinate nel privato, senza alcuna rilevanza nella sfera pubblica; nel secondo acquistano predominanza tendendo a ridurre al minimo il modello sociale condiviso.
Il liberalismo intransigente è cieco verso le differenze religiose e culturali, si autodifende dal pericolo della frammentazione sociale e giuridica, teme la dissoluzione del comune patrimonio di valori e perciò esclude dalla sfera pubblica perfino l’esibizione vistosa dei valori particolari, confinandoli nella sfera privata.
Viceversa, nell’ottica differenzialista l’esercizio di quei diritti diventa possibile solo in accordo con la comunità.
La recente legge francese 2004/228 sui segni religiosi portati in maniera vistosa nelle scuole pubbliche è stata percepita quasi come il frutto di una “crociata culturale” condotta dei sostenitori dell’unità nazionale contro i particolarismi disgregatori di quell’unità.
Laddove una vicenda giudiziaria relativa ad un problema del genere era stata risolta dalla magistratura inglese fin dal 1978 in senso opposto, riconoscendosi il diritto di uno scolaro di religione Sikh a indossare il turbante, anziché il copricapo previsto dalla divisa della scuola.
Invero, la tradizionale politica britannica, che si muove nel solco delle proprie tradizioni coloniali, implica il lasciar decidere alle comunità sulle materie che esse ritengono essenziali per la conservazione della propria identità.
Tuttavia, nonostante gli esiti evidentemente contrapposti, queste politiche presuppongono la stessa concezione statica delle culture come sistemi di senso rigidi e impenetrabili, insiemi compatti, che possono evolvere, ma senza oltrepassare i loro confini, senza interagire.
Il liberalismo consente di abbattere, in nome dell’universalismo, muri e recinti spinati, ma respingendo le differenze nella sfera privata pur di assoggettare all’inclusione obbligatoria, alla omologazione nella sfera pubblica.
Il comunitarismo spinge i diversi, siccome non adattati, verso l’esclusione: possono vivere in loro comunità finché non danno fastidio e non accampano nella sfera pubblica pretese incompatibili con i diritti della comunità statale.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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