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La questione del crocifisso nelle aule scolastiche


Nessun simbolo, tranne la bandiera, è menzionato nella Costituzione italiana.
E che un supremo principio di questa sia appunto il principio di laicità è stato affermato dalla Corte Costituzionale.
Proprio in forza del pluralismo garantito da questo principio, che induce a preservare lo spazio “pubblico” della formazione e della decisione dalla presenza di immagini simboliche di una sola religione, ad esclusione delle altre, la stessa Corte è pervenuta all’eliminazione della rilevanza preminente ed esclusiva assegnata ai simboli della religione cattolica.
Muovendosi lungo questo solco, la Cassazione è intervenuta sulla questione della legittimità delle norme che consentono o impongono l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, stabilendo che “costituisce giustificato motivo dell’ufficio di scrutatore o presidente di seggio, la manifestazione della libertà di coscienza, il cui esercizio determini un conflitto tra la personale adesione al principio supremo di laicità dello Stato e l’adempimento dell’incarico a causa dell’organizzazione elettorale in relazione alla presenza nella dotazione obbligatoria di arredi dei locali destinati a seggi elettorali del crocifisso o di altre immagini religiose”.
Il motivo di rifiuto è giustificato sempre che “non sia stato l’agente a domandare di essere designato al pubblico ufficio”, trovando in caso contrario impedimento nell’accettazione previa delle condizioni di esercizio dell’ufficio e nella conseguente autolimitazione dei propri diritti.
E a tale circostanza ha fatto specifico riferimento il tribunale penale dell’Aquila che ha ravvisato il carattere indebito dell’omissione della funzione giudiziaria da parte di un magistrato, che aveva sollevato per il resto analoga obiezione di coscienza.
La quale non potrebbe essere soddisfatta, secondo il tribunale, che attraverso la “generalizzata rimozione del simbolo cristiano” realizzata con il ritiro della circolare ministeriale del 1926.
Il tribunale dell’Aquila ha disposto il mantenimento del crocifisso sul presupposto che la materia rientrerebbe della giurisdizione amministrativa.
L’orientamento della Cassazione non è stato estraneo ai giudici amministrativi, che hanno sollevato un’eccezione di incostituzionalità, dichiarata poi inammissibile dalla Corte Costituzionale in quanto involgente norme regolamentari prive di forza di legge.
Il mantenimento del crocifisso troverebbe gli italiani favorevoli in percentuale dell’82 %: a fronte di questo dato, dunque, prudenza e cautela da parte della Corte Costituzionale nell’allontanare l’amaro calice della decisione; correttezza tecnica e rispetto della Costituzione, certo, ma funzionali al mantenimento del modello italiano di laicità, che, soprattutto nella scuola, non vuol dire neutralità.
In particolare, il Tar Veneto, rovesciando tutti i motivi di perplessità precedentemente manifestati, ha tessuto un panegirico alla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, per concludere compiaciuto che, grazie ad una “nuova e aggiornata considerazione del simbolo della croce”, la laicità non esclude ma reclama l’esposizione del crocifisso.
Il Consiglio di Stato, in sede di appello contro la decisione, non arriva fino a questo punto, ma si limita ad argomentare anodinamente che l’esposizione del crocifisso “non lede alcuno dei principi custoditi della Costituzione”.
Insomma, alla stregua del principio di laicità dello Stato l’esposizione del crocifisso per il Tar è addirittura dovuta, per il Consiglio di Stato non necessariamente: è però conforme a quel principio e, comunque, non difforme.
Si tratta solo di una sfumatura, che consente ai giudici di appello almeno di ammettere che della “parete bianca” pretesa dai ricorrenti se ne possa parlare “nelle sedi (politiche, culturali) giudicate più appropriate”, benché “non in quella giurisdizionale”.

Tratto da EGUAGLIANZA E DIVERSITÀ CULTURALI E RELIGIOSE di Stefano Civitelli
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