Le intese restrittive della concorrenza
L’art. 2 l. 287/90 definisce “intese, gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese” vietando quelle “che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o di una sua parte rilevante”; del tutto analoga è la formulazione dell’art. 81 Trattato CE, con l’unica variazione del riferimento geografico al possibile pregiudizio per “il commercio fra Stati membri”.
Particolare rilievo hanno le c.d. pratiche concordate, che si riferiscono al c.d. parallelismo consapevole delle imprese che uniformano i loro comportamenti sul mercato; si tende, però, a precisare che tale condotta, per poter integrare un’intesa, deve accompagnata da elementi di fatto che la “qualificano” come il frutto di una scelta consapevole delle imprese (per esempio, la prova di scambi di informazioni).
Sia la norma italiana, sia quella comunitaria contengono un elenco di carattere esemplificativo, e non tassativo, di intese considerate anticoncorrenziali.
La “lista nera” comprende sia intese orizzontali, cioè fra imprese che operano allo stesso livello economico, sia intese verticali, per esempio quelle tra produttore e rivenditore.
Le ipotesi tipiche riguardano:
- intese sui prezzi di acquisto, di vendita o sulle condizioni contrattuali;
- intese che limitano l’accesso al mercato;
- intese di ripartizione dei mercati;
- intese che ledono la parità di trattamento;
- intese che impongono prestazioni supplementari non collegate con l’oggetto del contratto.
Le intese non sono vietate in generale, ma solo quando impediscano, restringano o falsino in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale (o comunitario) o di una sua “parte rilevante”.
Appare così il concetto di mercato rilevante, che assume la veste di parametro generale alla luce del quale valutare l’esistenza di un’effettiva lesione della concorrenza.
Il mercato rilevante si individua essenzialmente in base a parametri merceologici e geografici: è evidente che più è ampio il concetto di mercato rilevante che si accoglie, più è difficile ravvisare una lesione della concorrenza nei comportamenti degli imprenditori.
Sia la legge italiana, sia il Trattato CE conferiscono rispettivamente all’AGCM e alla Commissione la possibilità delle c.d. autorizzazioni in deroga (sia per singole intese, sia per categorie).
Presupposto per tale deroga è, secondo la normativa interna, che “le intese diano luogo a miglioramenti nelle condizioni di offerta sul mercato” con l’effetto di “comportare un sostanziale beneficio per i consumatori”.
Ove l’AGCM accerti la violazione del divieto di intese può adottare i provvedimenti necessari per rimuoverne gli effetti anticoncorrenziali ed emettere sanzioni pecuniarie nonché disporre, in caso di reiterata inottemperanza, la sospensione dell’attività d’impresa fino a 30 giorni.
Indipendentemente da ogni provvedimento dell’AGCM chiunque può adire la corte d’appello per far dichiarare la nullità dell’intesa.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto commerciale, a.a. 2007/2008
- Titolo del libro: Corso di diritto commerciale (vol. 1 e 2)
- Autore del libro: Gaetano Presti e Matteo Rescigno
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