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Definizione di abrogazione di un provvedimento amministrativo

Definizione di abrogazione di un provvedimento amministrativo


Da tempo è stata proposta un terza figura, l'abrogazione: si poneva come misura reattiva contro un provvedimento divenuto inopportuno per sopravvenienza, distinguendosi dalla revoca, invece intesa quale rimozione dell'atto viziato ab origine nel merito. Questa impostazione è giunta fino al progetto di legge generale sull'azione amministrativa, che ha poi impostato il moderno trittico: annullamento, revoca, abrogazione.
L'atto può essere abrogato quando risulti viziato per merito per mutate condizioni di fatto o per nuove esigenze dell'interesse pubblico. Conseguentemente, mentre la revoca avrebbe avuto effetto dalla data dell'atto revocato, cioè ex tunc, l'abrogazione avrebbe avuto un'efficacia ex nunc, dal momento in cui viene pronunciata.
Simile orientamento è stato criticato e respinto dalla più recente dottrina, perché si parla esplicitamente di 2 tipi di revoca: la prima, quella contro un vizio originario del merito, è un rimedio che si traduce in un annullamento dell'atto invalido; la seconda non può essere l'abrogazione: è quella sola e tipica revoca che interviene quando l'atto di primo grado è divenuto inopportuno per sopravvenienza. Ma allora è conveniente mantenere in piedi lo schema dell'abrogazione?
Il preteso effetto abrogativo non esclude l'esistenza di un potere tipico e di un atto di abrogazione, ovviamente se questi vengono intesi con finalità e contenuti diversi da quelli proposti nella tradizionale letteratura.
È stato rilevato che i provvedimenti con efficacia continuativa possono legittimamente essere mantenuti in vigore in quanto perdurino le condizioni di fatto e di diritto, in presenza delle quali furono poste in essere. Se tali condizioni di fatto o di diritto vengono meno, l'amm. già procedente in primo grado ha il dovere di intervenire: c'è una precisa doverosità nell'esercizio del potere, in quanto l'amm. è tenuta con l'atto di abrogazione a rimuovere l'antigiuridicità che si è venuta a creare nel perdurare dell'assetto di interessi a suo tempo predisposto dalla medesima.
Qui la sopravvenienza non introduce alcun vizio che invalidi il provvedimento: si tratta di nuove ragioni di legittimità che impediscono ex lege la continuazione dell'efficacia di quel provvedimento valido che dovrà essere ritirato, rimosso, disapplicato, o meglio abrogato.
L'effetto dell'abrogazione prodotto dal provvedimento non potrebbe avere un'efficacia ex nunc, ripetendosi anche per l'abrogazione l'accadimento temporale della sopravvenienza, parimenti ricorrente nel modello della revoca.  L'unica eccezione può esserci nell'ipotesi di un'abrogazione che disapplichi il provvedimento divenuto illegittimo in forza di una legge con valenza retroattiva. L'effetto retroattivo però non è nell'abrogazione, ma nella legge.
In tutti gli altri casi l'abrogazione consiste in una disapplicazione dell'atto valido ed ancora efficacie: l'atto abrogato perde la sua efficacia pur conservando la sua originaria validità, nonché tutti gli effetti maturati nel frattempo. L'effetto dell'abrogazione è demolitorio, ma opererà sempre ex nunc. La rimozione o il ritiro del provvedimento per sopravvenute ragioni di legittimità si ottiene dunque non già in sede di annullamento, dal momento che manca uno stato viziante la validità del medesimo: la stessa amm. che ha adottato l'atto è tenuta a fare ricorso allo schema dell'abrogazione, unico modello di riesame in cui poter affrontare e superare l'intervenuta antigiuridicità.

Tratto da DIRITTO AMMINISTRATIVO di Beatrice Cruccolini
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