Capacità contributiva e inflazione
Particolare considerazione merita il tema dell’inflazione monetaria nella sua incidenza sulla problematica suscitata dal rispetto del principio di capacità contributiva.
Occorre al riguardo distinguere un duplice profilo.
Il primo concerne il cosiddetto fiscal drag, o drenaggio fiscale, che si verifica essenzialmente in ordine ai tributi sul reddito e comunque in presenza di aliquote progressive: ciò in quanto la progressività determina un aggravio del prelievo a motivo dell’inserimento dell’imponibile negli scaglioni più elevati, dovuto al lievitare del medesimo ancorché in via soltanto nominale e non reale, per effetto appunto della svalutazione monetaria.
In presenza di inflazione è in linea di principio rimesso alla discrezionalità del legislatore di intervenire per correggere un simile effetto distorsivo, sia abbassando le aliquote o riducendo il numero degli scaglioni, sia aumentando le detrazioni dall’imposta e le deduzioni dall’imponibile.
Fermo ciò, tuttavia, non sembra potersi dubitare che, sotto il versante qui considerato, possano venire in considerazione i limiti che discendono dall’articolo 53 cost. nei termini in precedenza delineati: più precisamente la violazione del principio di capacità contributiva può profilarsi tutte le volte che la maggiore incidenza del prelievo a causa dell’inflazione e la correlata sopravvenuta inadeguatezza delle deduzioni e detrazioni vengano ad intaccare il cosiddetto minimo vitale; oppure può emergere quale riflesso del diminuito potere di acquisto della moneta, suscettibile di rendere l’applicazione delle aliquote marginali più elevate particolarmente esorbitante e gravosa, al punto da attribuire al fenomeno impositivo o una connotazione para-espropriativa ed eventualmente in modo da contrarre in termini di marcata irrisorietà la parte di ricchezza disponibile dopo il prelievo.
A conclusioni non diverse si perviene per quei particolari componenti della base imponibile reddituale che sono le plusvalenze, costituite dall’incremento di valore dei beni tanto dell’impresa quanto di soggetti non imprenditori.
Anche qui, l’inflazione provoca alla fine un maggior prelievo in quanto determina l’incremento della base imponibile con le conseguenze appena segnalate.
Il secondo profilo concerne in modo precipuo quelle imposte tese a colpire il plusvalore acquisito dai titolari di determinati beni, in specie immobili, per cause dipendenti non dall’attività dei medesimi ma, per converso e di solito, dall’intervento di enti pubblici preposti alla cura di determinati interessi della collettività; plusvalore che, in presenza dell’inflazione, è naturalmente destinato ad aumentare ove non si aggiorni con gli indici di svalutazione il valore iniziale del bene predetto, dal cui confronto con il valore cosiddetto finale scaturisce la base imponibile da assoggettare al tributo.
Sembra a noi che in tale ipotesi il rispetto dell’articolo 53 cost. si ponga con riferimento alla sussistenza del presupposto e della base imponibile: dovendosi ritenere che nei casi in esame l’assoggettamento al tributo di un incremento di valore solo apparente equivalga a colpire una manifestazione di capacità contributiva inesistente.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
- Università: Università degli Studi di Firenze
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Diritto Tributario, a.a. 2008/2009
- Titolo del libro: "Manuale di diritto tributario" di P. Russo e "L'imposta sul valore aggiunto" di F. Padovani
- Autore del libro:
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