Distretti e grandi imprese al Nord, assistenzialismo al Sud in Italia negli anni 70
Di fronte alla crisi della grande impresa degli anni 70 al Nord, queste regioni registrano un aumento. Si creano dei distretti.
Il fatto che non ci furono le grandi imprese è stato un bene, si evitarono i traumi.
Le pmi non erano diffuse a caso ma accorpate per aree: ad esempio nelle Marche a Pesaro c'erano mobili e cucine, a Castelfidardo e Recanati strumenti musicali, a Macerata e Civitanova le calzature. Per omogeneità produttiva.
Una valida alternativa al modello della grande impresa. Le pmi sono più dinamiche.
Nei distretti si frantuma il processo produttivo fra le imprese: ad esempio calzature, suole, pelli, assemblaggio. Il vantaggio di essere elastiche e dinamiche si ha nelle crisi, riconversioni, adattamento al mercato. Inoltre si aprono all'estero meglio delle grandi imprese che invece si rivolgevano soprattutto al mercato interno. Quando le grandi imprese esaurivano le potenzialità, avevano difficoltà ad essere concorrenziali. Non accade per le piccole medie imprese e dei distretti specialmente nel made in Italy ( produzioni di qualità che conquistano i mercati stranieri).
Perché sono così importanti: sono una terza via, diverso dalla grande impresa del Nord e dall'assistenzialismo al sud. Non soltanto per il sostegno allo sviluppo industriale ma per le loro origini: le piccole medie imprese sono precedenti allo sviluppo industriale ottocento: artigiani, manifatture già da prima dell'unità d'Italia. Sono radicate nel territorio.
Fuà: questa lunga gestazione ha consentito negli anni 70 80 uno sviluppo senza fratture. La micro impresa è già inserita nel contesto e non è estranea come al sud, le reti sono già legate al territorio. Si passa da manifatture a piccole medie imprese con imprenditori direttamente impegnati. Ad esempio il plexiglas di Guzzini di Recanati proviene dalle origini della lavorazione del corno. I mobili di Pesaro Urbino provengono da falegnami. Uno dei motivi di successo dei distretti è che non sono stati spezzati gli equilibri delle comunità. Non c'è un arrivo improvviso ma un'integrazione nel paesaggio. C'è stato anche un sistema creditizio che è riuscito a sostenere, finanziare la micro imprenditorialità. È così che di fronte alle crisi le piccole medie imprese si gestiscono meglio.
Dicevamo che le piccole medie imprese crescono anche negli anni 80 e 90 quando invece le grandi imprese non crescono e anzi sono in crisi.
La grande impresa non è proprio declino ma necessita di un processo di risanamento: si cerca di recuperare posizioni perdute. Come? Con politiche monetarie (ripresa dell'inflazione per recuperare parte dei profitti con le esportazioni) e flessibilizzazione della manodopera ma non per le piccole medie imprese che il più delle volte sono familiari. Si ha involuzione del processo di sviluppo sociale di un paese. Dal 1984 è iniziato il percorso per depotenziare e abolire la scala mobile. Queste politiche agiscono solo sul lavoro: e riguardo all'innovazione e la ristrutturazione? In Italia lo Stato era sempre a favore della grande impresa sia per politica che per connivenza.
Un ulteriore processo sono le concentrazioni di grandi imprese tramite fusioni. Esse non sono sempre limpide e lineari, vedi Tangentopoli. Ad esempio Montedison, con la famiglia Ferruzzi e Raul Gardini.
L'esigenza delle industrie private di concentrarsi si aveva a causa della presenza delle grandi aziende pubbliche come Iri. Inoltre la scarsa dimensione internazionale delle imprese italiane, concetti entrambi di lungo periodo nella storia d'Italia, qui più evidenti.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Barbara Pavoni
[Visita la sua tesi: "L'evoluzione della valutazione nel pubblico impiego"]
- Università: Università Politecnica delle Marche
- Facoltà: Economia
- Docente: Augusto Ciuffetti
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