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Le sfide dell’antropologia


A differenza della maggior parte degli animali, l’essere umano non è legato a un ambiente specifico: a lui si offre l’intero pianeta e grazie alla sua cultura egli si sa adattare in territori diversi. Le sue determinazioni biologiche lo rendono capace di vari comportamenti, che gli permettono di svilupparsi non solo in un ambiente naturale, ma anche in uno specifico ambiente sociale e culturale: la condizione umana non è pensabile se non in termini di organizzazione sociale, l’essere umana si pensa soltanto al plurale, non si pensa singolo e solo. Ogni pensiero dell’uomo è sociale, e quindi ogni antropologia è anche sociologia. Apprendere routine e abitudini dispensano gli uomini dalla necessità di riflettere e prendere decisioni in ogni momento: gran parte dei nostri comportamenti sfuggono alla rappresentazione cosciente, pur obbedendo a delle regole e seguendo un modo adeguato di comportarsi in società, con un senso incorporato e non rappresentato; questi automatismi liberano gli esseri umani e li rendono capaci di innovare, anche se diventano fardelli nel momento in cui non si cambiano velocemente come richiesto dal contesto.
L’antropologia studia i rapporti intersoggettivi tra i nostri contemporanei, con rapporti d’identità e di alterità che sono in continua ricomposizione: vengono usati la lingua, la parentela, le alleanze matrimoniali, le gerarchie politiche e sociale, i miti, i riti, le rappresentazioni del corpo.
L’oggetto specifico dell’antropologia è come sia concepita dagli uni e dagli altri la relazione tra gli uni e gli altri: è tale relazione che riveste un senso, che mette in luce rapporti di forza, è simbolizzata; è un interesse per lo studio della relazione con l’altro, così come si costruisce nel suo contesto sociale.
La questione del senso, dei mezzi con cui gli esseri umani che abitano in uno spazio sociale si accordano sul modo di rappresentarlo e di agire al suo interno, è l’orizzonte del procedimento.
Il ricercatore deve mettere sempre in discussione i propri comportamenti a priori e mettersi nella posizione di chi apprende, posizione comunque obbligata in un ambiente poco familiare, cercando quindi di non appiccicare le proprie idee preconcette sulle proprie osservazioni ma mantenere sempre una certa distanza al fine di mettere tali osservazioni in prospettiva con informazioni rilevanti desunte da altri contesti. Il concetto di alterità non si colloca soltanto al centro del procedimento antropologico per il fatto che questo tratterebbe delle diversità, ma ne è lo strumento: un progetto di ricerca implica uno scarto tra osservatore e oggetto, evitando di produrre un certo esotismo selezionando indizi piccanti e non confondendo analista e oggetto. Questo perché le informazioni ormai viaggiano a velocità elettronica da un estremo all’altro del pianeta, e ciò porta a mettersi a confronto con l’immagine del mondo. La concezione della persona umana e le relazioni tra questa e l’ambiente non restano inalterate, considerando le applicazioni come agricoltura chimica, antibiotici, OGM, ricerche del DNA, clonazione… Ormai quasi ovunque ci si interessa delle differenze di linguaggio, usi e costumi, con una sempre maggiore consapevolezza della loro interdipendenza, delle differenze e della trasformazione del mondo. L’antropologia così prodotta non ha come fine la conoscenza, ma la costruzione di un’identità, l’espressione di una strategia politica: il processo di globalizzazione cammina insieme alle rivendicazioni politiche che vogliono riaffermare culture e tradizioni etniche.
Le categorie del senso comune sono attualmente veicolate dalla stampa che prende a prestito le modalità di linguaggio politiche, artistiche, sociali e scientifiche, portando a espressioni inesatte (non ci sono mondi come tali, ma sono in stretta relazione tra di loro) ma intuitivamente giuste (rimanda i riflessi cangianti dei mondi costruiti nello specchio di un’umanità compresente a se stessa). Non esiste più alcuna isola culturale, tutti gli spazi investiti e simbolizzati dall’uomo si analizzano in un contesto globalizzato. Quasi tutti i popoli della terra vedono le proprie condizioni di vita determinate da decisioni prese in luoghi lontani da loro e subiscono un dominio economico, politico e culturale esercitato da poteri e forze esterne; vivono concretamente le conseguenze di fenomeni demografici, biomedici, ecologici, economici e politici che a loro sfuggono ma che li avvicinano ad altri gruppi anch’essi vittime.

Tratto da L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Elisabetta Pintus
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