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Studio delle società: economia, ambiente, ecologia


In società non così integrate nell’economia di mercato come in occidente, era impossibile applicare la scienza economica: in ogni luogo dove l’economia non era un settore autonomo, era difficile parlare di allocazione delle risorse, di profitto, di domanda e offerta, di compravendita… Dopo la scoperta di cerimonie spettacolari che davano luogo a distribuzione e distruzione massiccia di beni, svaniva l’idea del selvaggio che cercava solo di sopravvivere: dà luogo alla teoria dello scambio e del dono. Ci si era accorti che in certe società lo scambio non aveva sempre finalità economiche, e perciò non lo si poteva studiare se non tenendo conto del contesto: alcune avevano lo scopo di attestare pubblicamente lo status dei gruppi presenti, avevano l’effetto di neutralizzare il surplus sul piano economico, era una modalità di esercizio del potere.
Le analisi degli scambi cerimoniali lasciavano in ombra sfere meno prestigiose di produzione e scambio, ma ci si rese conto che nella maggior parte delle società che non sono governate in prevalenza dall’economia di mercato, non esiste alcun termine che designi l’economia come settore autonomo. Gli studi sulle relazioni tra gli uomini e il loro ambiente erano all’inizio di tipo determinista: le diverse società o culture dovevano le loro caratteristiche all’ambiente in cui si erano sviluppate; l’andamento culturale seguiva la stessa logica di quello biologico darwiniano. Ben presto però è venuto alla luce il fatto che le differenze di organizzazione sociale e le caratteristiche culturali non si potevano spiegare solo in base alle limitazioni date dall’ambiente, visto che molte società sullo stesso territorio avevano forti differenze, mentre società su territori diversi avevano forti analogie. Negli anni ’50 tornò in voga il vecchio pensiero, sotto il nome di "ecologia culturale" e poi di "materialismo culturale": tutti i tratti culturali (dalla tecnologia ai riti, passando per l’habitat e i sistemi di parentela) corrispondono a scelte razionali in funzione delle esigenze locali di adattamento. Pur avendo constatato che non sempre era così, alcuni studiosi utilizzarono il termine "ecosistema" per indicare l’insieme delle relazioni di scambio materiale in un ambiente dato: questo modello ha il merito di riconoscere che, se l’ambiente incide sulla vita collettiva degli esseri umani, anch’essi incidono sull’ambiente, ma mette in secondo piano il concetto di cultura, non più studiato per sé ma in relazione a come vengono portati a termine gli scambi. Secondo altri ricercatori favorevoli all’etnologia si dovrebbe mettere l’accento sul bisogno di comprendere le motivazioni che spingono gli attori a prendere certe decisioni.
Da queste discussioni emerge il fatto che le configurazioni locali sono molto più complesse di quanto non si pensasse. Molto interessante è l’analisi dei diversi tipi di mediazione che i gruppi umani operano con il non-umano: porta alla nascita delle etnoscienze, che studia i procedimenti scientifici così come sono appresi dalle diverse culture. Nelle sue espressioni più avanzate l’antropologia cognitiva si avvicina alla psicologia: tenta di avvicinare i propri criteri di scientificità a quelli delle scienze sperimentali, ma si scontra con le difficoltà della raccolta di informazioni sul campo, che non è mai pura, ma dipende dalle ipotesi e dai fulcri di interesse del ricercatore; procede in senso contrario rispetto al metodo strutturalista, con le sue classificazioni, ragionamenti, meccanismi mnemonici, rappresentazioni attinenti a tutte le branche del sapere. Il metodo strutturalista invece parte da un corpus diversificato di produzioni sociali per ridurli ad alcune strutture fondamentali che definiscono gli spazi mentali del pensiero; il metodo cognitivo parte dai meccanismi mentali attivati dall’individuo per pensare e agire in modo idoneo in quanto membro di una società, metodo che è vicino alle ricerche di psicologia sperimentale, di linguistica, logica e neurologia: si assiste a un riavvicinamento delle scienze naturali alle scienze sociali, dal momento che la cultura fa parte della natura.

Tratto da L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Elisabetta Pintus
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