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Reddito d'impresa

Definizione di reddito d'impresa


Si basa sul principio dell’autodeterminazione e dell’auto tassazione dopo la riforma del ’70.
Prima era stimato ed era ammesso un contenzioso tra imprese e ente imposotore.
Prima si trattava di imprese meno sviluppate e il numero era più esiguo: con la struttura odierna questo metodo è improponibile. L’amministrazione finanziaria ha quindi meno oneri da questo punto di vista, compensati però dagli obblighi di verifica.
L’ente impositore ha ora solo un mero compiti di controllo e applicazioni delle sanzioni previste in caso di irregolarità.

Art. 55 del TUIR: Redditi di Impresa
1. Sono redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa.
2. Sono inoltre considerati redditi d'impresa:
- i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.;
- i redditi derivanti dall'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne;
- i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio delle attività agricole di cui all'articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa.
3. Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo.

I redditi d’impresa, previsti dall’art. 55 sono quelli che derivano da imprese commerciali: si intendono professioni abituali ancorché non esclusivamente, quelle previste dall’art. 2195 del C.C.
Sono previsti cinque gruppi di soggetti:
dell’attività industriale per la produzione di beni e servizi;
Esercizio dell’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
Esercizio dell’attività di trasporto;
Esercizio dell’attività bancaria o assicurativa;
Esercizio dell’attività ausiliaria alla produzione.
Il reddito agrario a volte diventa reddito d’impresa quando l’attività agricola è esercitata in modo industriale.
Art 55 del TUID: sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’attività in forma di impresa anche quando non rientra nel 2195 C.C.
Lo sono anche le attività di sfruttamento del sottosuolo.
Ogni attività svolta da un’impresa è comunque reddito d’impresa: può anche svolgere attività di consulenza ma se è un’ Srl sarà comunque reddito di impresa.
ILOR: imposta locale sui redditi, gravava esclusivamente sulle imprese ( 16,2%) e la base imponibile era la stessa dell’IRES. Quindi capire se il reddito era di impresa o autonomo aveva conseguenze anche su questo. Questa imposta che causava una doppia tassazione dello stesso reddito fu abolita a seguito di numerose rimostranze.


Determinazione del reddito d’impresa

 
A partire dall’articolo 56 del TUID;
fino all’articolo 71 disciplina il trattamento del reddito delle persone fisiche; riguarda ad esempio l’imprenditore individuale, le SNC e le SAS, poiché esse sono sprovviste di personalità giuridica, per cui vige il principio della trasparenza: la società è riconosciuta dal CC come commerciale, soggiace alle modalità di calcolo dei redditi di impresa che però va a carico dei soci indipendentemente  dalla modalità di distribuzione degli utili, ma in proporzione alle quote di partecipazione come risultanti dall’atto costitutivo, o (se ivi non è indicato) in parti eguali.
Il reddito e’ determinato come reddito di impresa ma viene tassato come IRPEF, che va a carico non della società ma del socio.
Ratio della trasparenza: nelle società di persone sono i soci stessi in prima persona che lavorano e portano avanti l’attività commerciale, quindi il reddito della società coincide con quello della persona fisica.
Dopo l’articolo 71 e’ disciplinato il trattamento del reddito per le società dotate di personalità giuridica, per le quali non vige il principio della trasparenza, quindi l’utile costituito in capo alla società non è tassato in capo al socio.
Rispondono a tale disciplina le seguenti società:
- S.p.A.;
- S.r.l.;
- S.A.P.A.;
- Cooperative;
- Società europee di cui al diritto comunitario.

Art. 73 del TUIR: Soggetti Passivi
Sono soggetti all'imposta sul reddito delle società:
- le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;
- gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
- gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
- le società e gli enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.
Tra gli enti diversi dalle società, di cui alle lettere b) e c) del comma 1, si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo. Tra le società e gli enti di cui alla lettera d) del comma 1 sono comprese anche le società e le associazioni indicate nell'articolo 5.
 Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato.
 L'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto.
In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'oggetto principale dell'ente residente è determinato in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti.

Secondo l’art. 73 sono passivi i soggetti sopraelencati residenti nel territorio dello Stato.
Il sistema tributario italiano è ispirato al metodo del reddito mondiale: i residenti in Italia, che svolgono un’attività commerciale, pagano allo Stato italiano il reddito ovunque prodotto, e i non residenti pagano il reddito prodotto sul territorio italiano. Vale anche gli enti pubblici o privati che svolgono l’attività commerciale solo in maniera residuale.
Lo stesso metodo è utilizzato da molti altri Paesi dell’OCSE.
Ma quand’è che il reddito di uno straniero è prodotto in Italia? Art 23: sono riconosciuti come reddito prodotto in  Italia i seguenti redditi:
Redditi fondiari;
- Redditi di capitale corrisposti dallo Stato italiano o da soggetti residenti in Italia.
- Redditi da lavoro provenienti da attività svolte sul territorio italiano;
- Redditi derivanti dallo sfruttamento dei redditi di ingegno qualora colui che produce il reddito (paga il diritto ad utilizzare  il brevetto) sia residente in Iatalia;
- Redditi di impresa: società straniere che svolgono attività di impresa attraverso una stabile organizzazione.
- Ratio della residenza: nell’ottica tributaria (art 73 comma 3) si considerano residenti le società o gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno avuto sede legale o amministrativa sul territorio italiano, o il cui oggetto principale di attività sia stato svolto principalmente nei confini nazionali.
La sede legale si evince dall’atto costitutivo, o dallo Statuto della società ed è il più facile da eludere.
La sede dell’amministrazione è il luogo dove vengono prese le decisioni strategiche però dato che al C.d.A. si può partecipare anche per video conferenza (ad esempio) si può facilmente eludere anche questo controllo.
È più facile controllare dov’è che si è svolto l’oggetto principale dell’attività (ad esempio controllando dov’è che sono stati ottenuti i maggiori ricavi).
L’art. 73 è stato modificato nel 2006 per evitare comportamenti elusivi, introducendo  delle presunzioni relative, cioè si presume la residenza fino a prova contraria presentata dal contribuente.
Non è più il legislatore a dover dimostrare l’illegalità di una dichiarazione dei redditi, ma l’onere della controprova spetta al contribuente.
Comma 3 secondo periodo: si considerano residenti, salvo prova contraria, i trust e gli organi i cui beneficiari (almeno uno) è residente in Italia.
L’onere della prova vale ad esempio per le holding o le controllate estere che a loro volta controllano un italiana.
Scatta l’inversione dell’onere della prova. Tutto ciò serve a combattere l’esterovastizione ottenuta soprattutto attraverso la creazione di holding. Sono norme di natura antiabusiva e antielusiva.
Quindi chi è residente fiscalmente in Italia attira nel Paese tutti i suoi redditi; per i non residenti invece vale il principio dell’art. 23.

Art. 23 del TUIR: Applicazione dell'imposta ai non residenti
Ai fini dell'applicazione dell'imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato:
- i redditi fondiari;
- i redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti, con esclusione degli interessi e altri proventi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali;
- i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 50;
- i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato;
- i redditi d'impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili organizzazioni;
- i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, con esclusione:
- delle plusvalenze di cui alla lettera c-bis) del comma 1, dell'articolo 6755, derivanti da cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti negoziate in mercati regolamentati, ovunque detenute;
- delle plusvalenze di cui alla lettera c-ter) del medesimo articolo derivanti da cessione a titolo oneroso ovvero da rimborso di titoli non rappresentativi di merci e di certificati di massa negoziati in mercati regolamentati, nonché da cessione o da prelievo di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti;
- dei redditi di cui alle lettere c-quater) e c-quinquies) del medesimo articolo derivanti da contratti conclusi, anche attraverso l'intervento d'intermediari, in mercati regolamentati;
- i redditi di cui agli articoli 5, 115 e 116 imputabili a soci, associati o partecipanti non residenti.
 Indipendentemente dalle condizioni di cui alle lettere c), d), e) e f) del comma 1 si considerano prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti:
- le pensioni, gli assegni ad esse assimilati e le indennità di fine rapporto di cui alle lettere a), c), d), e) e f) del comma 1 dell'articolo 17 ;
- i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui alle lettere c), c-bis), f), h), hbis), i) e l) del comma 1 dell'articolo 50;
- i compensi per l'utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di marchi di impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico;
- i compensi conseguiti da imprese, società o enti non residenti artistiche o professionali effettuate per loro conto nel territorio dello Stato.

Il metodo del reddito mondiale, essendo largamente utilizzato crea il problema della cosiddetta doppia tassazione, la quale viene evitata attraverso accordi bilaterali tra i diversi paesi.


IRES


È l’imposta che pesa sui soggetti dotati di personalità giuridica. C’è il problema della doppia tassazione tra società e socio, in quanto la società realizza un reddito che viene tassato e distribuisci ai soci un utile netto.
Fino al 31 dicembre 2003 i dividente venivano tassati come IRPEF (imposta progressiva a scaglioni) ma veniva riconosciuto ai soci un credito di imposta in modo da evitare la doppia tassazione: in pratica veniva annullata la tassazione pagata in capo alla società, e veniva mantenuto il principio della progressività in capo al socio.
Nell’esempio (in cui per assurdo il Sig. Rossi ha come unico reddito i dividendi) il contribuente paga 7 che sommate ai 33 già pagati dalla Società Alfa fa si che venga rispettato il principio della progressività senza che ci sia doppia tassazione.
Ad oggi vige il meccanismo dell’esenzione, per cui i dividendi non sono più imponibili.
Il credito di imposta creava problemi quando c’erano soci stranieri o i dividendi provenivano da società straniere, dalle quali lo Stato non aveva ricevuto tasse (ovviamente) e  per i quali non poteva concedere credito di imposta (caso Manninen).
Il credito di imposta frenava a tutti gli effetti la libera circolazione del denaro, perché le persone erano spinte a comprare azioni italiane per usufruire del credito di imposta più che azioni di società estere.
Per evitare la doppia tassazione dei dividendi tra imprese e soci si usa il meccanismo dell’esenzione o della partecipation exception dei dividendi in capo ai soci.
L’aliquota Ires in capo alla società è attualmente del 27,5%, mentre prima del 2008 era 33%.
Per facilitare il pagamento delle tasse il legislatore ha deciso di suddividere l’esercizio in diversi periodi di imposta.

Art. 83 del TUID: Determinazione del Reddito Complessivo
1. Il reddito complessivo è determinato apportando all'utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all'esercizio chiuso nel periodo d'imposta, [aumentato o diminuito dei componenti che per effetto dei principi contabili internazionali sono imputati direttamente a patrimonio], le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione.
2. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali […] valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione a bilancio previsti da detti principi contabili.

Secondo l’art. 83 il reddito complessivo è determinato applicando al risultato del CE relativi al periodo di imposta le variazioni in aumento o diminuzione derivante dai criteri delle disposizione successive.
Questo articolo introduce il principio della derivazione: il reddito di impresa è determinato partendo dal risultato civilistico, a cui saranno apportate le variazioni necessarie ad adeguarlo fiscalmente.
Ma perché si parte dal CE?
La legge delega 825 del 1971 con cui il legislatore delegante aveva disposto al governo di determinare il reddito imponibile secondo i criteri di adeguamento del reddito imponibile a quello calcolato secondo il principio della competenza economica. Tenuto conto delle esigenze di efficienza rafforzamento e razionalizzazione dell’apparato produttivo.
Il legislatore delegato ha quindi preso come base di partenza il risultato civilistico di CE, poiché forniva un risultato  determinato secondo il principio della competenza economica.
Il bilancio d’esercizio è effettivamente l’unico documento a cui far riferimento per rispettare la richiesta della delega.
A questo  risultato vengono poi applicate delle variazioni in aumento o diminuzione , perché molte voci sono inserite a bilancio secondo valutazioni soggettive (vedi gli ammortamenti), sostituite fiscalmente da norme e criteri certi, sia per salvaguardare il contribuente sia per salvaguardare il gettito.
Inoltre il bilancio è redatto secondo il principio della prudenza,il quale in poche parole abbassa l’utile  poiché considera i costi presunti, ma non i crediti presunti.
Il reddito imponibile è di derivazione dal reddito d’impresa.
In seguito sono stati introdotti i principi contabili internazionali (IAS/IFRS) per fornire regole comuni a livello globale dato l’allargamento del mercato globalizzato. Il legislatore italiano ha deciso di applicare tali principi anche ai bilanci d’esercizio oltre che ai consolidati ad esempio per le banche o le assicurazioni. Questo fatto ha creato problemi al legislatore tributario poiché gli sono state cambiate le regole con cui viene calcolato il reddito d’esercizio.
A tal proposito l’art. 83 del TUID  è stato modificato: il risultato di CE va aumentato o diminuito a seconda dei valori derivanti dagli IAS/IFRS inseriti a PN (parte tra parentesi quadre). Le poste che per gli IAS/IFRS transitano a PN sono quelle che vanno valutate a fair value, e quindi sono si componenti positivi di reddito, ma sono plusvalenze, non ricavi. Quindi prevale quanto espresso dall’art.86 (norma speciale) che prevede la non imputabilità delle plusvalenze non effettivamente realizzate anche se iscritte a bilancio. Quindi anche con il vecchio 83 in realtà la plusvalenze iscritte PN ma non realizzate non erano rilevanti fiscalmente.
Come si vede gli IAS fanno abbastanza pugni con il principio della prudenza.
Con la finanziaria 2008 tutto cambia semplificandosi. L’art 83 comma 2 prevede che, per i soggetti che li utilizzano essi valgono, anche in deroga alle disposizioni successive, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti per gli IAS.
Come mai questo passi in dietro rispetto a quanto previsto prima? C’è chi sostiene che in realtà la nuova modifica già comprenda la parte abrogata, ma si attende un decreto ministariale o un regolamento che chiarisca la questione.
È prevista l’emanazione di appositi regolamenti per  chiarire i criteri di coordinamento di queste norme.
Un’illuminazione, ancorché ridotta ai costi, deriva dall’art. 109che prevede che siano deducibili tutti i costi previsti dagli IAS, e quindi anche quelli inseriti a PN. Questo parrebbe confermare che il nuovo comma 2 dell’articolo 83 in realtà ricomprenda la parte abrogata.
Il dato contabile quindi assume rilevanza fondamentale. L’impianto contabile della società acquista rilevanza a livello tributario. La contabilità per un soggetto di ridotte dimensioni (carrozzeria fratelli Carmelo) è tenuta quasi esclusivamente per esigenze di carattere tributario, ma per soggetti di grosse dimensioni (FIAT) la contabilità è parte integrante di un complesso sistema di reportistica necessario al buon governo dell’azienda, oltre che essere usato per il calcolo del reddito imponibile.
L’art 83 fa parte delle norme cosiddette di carattere generale, mentre quelle successive, fino allìart 108, sono norme di carattere speciale.
Le norme di carattere speciale, se in antinomia con quelle generali, le sostituiscono anche se esse sono successive.
Si parla di doppio binario perché si parte dallo stesso punto (risultato d’esercizio) e poi si prendono due strade separate.
L’Art 109 è una norma di carattere generale sulle componenti del reddito d’impresa.
Parla dei principi della competenza, della inerenza e della previa imputazione.


Definizione di principio della competenza


È quel principio previsto dalla stessa legge delega.
La competenza economica del C.C. può però non coincidere con quella tributaria, è per questo motivo che sono previste le variazioni in aumento o diminuzione.
Salvo quanto stabilito dalle norme 84/108 le componenti positive o negative del periodo di imposta concorrono a formare il reddito d’impresa.
Tuttavia i ricavi, le spese e glia altri componenti di cui a fine periodo non sia ancora certa la realizzazione o chiaro l’ammontare (obiettivamente calcolabile) NON concorrono a formare il reddito imponibile. È importante far notare che non solo i ricavi, ma anche i costi non certi non concorrono a fare reddito, a differenza di quanto previsto dal C.C. per il quale i costi non certi vanno tenuti di conto per rispettare il principio della prudenza.


Realizzazione certa e obiettiva calcolabilità  


Secondo l’articolo 109 del TUIR i componenti di reddito devono essere calcolati secondo criteri ragionevoli e affidabili, se no non sono fiscalmente rilevabili in quel periodo di imposta.

Articolo 109: Norme generali sui componenti del reddito d'impresa
I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme della presente Sezione non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza;  tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Ai fini della determinazione dell'esercizio di competenza:
i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell'atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l'effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale. Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà. La locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva di proprietà;
i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi;
- per le società e gli enti che hanno emesso obbligazioni o titoli similari la differenza tra le somme dovute alla scadenza e quelle ricevute in dipendenza dell'emissione è deducibile in ciascun periodo di imposta per una quota determinata in conformità al piano di ammortamento del prestito.
I ricavi, gli altri proventi di ogni genere e le rimanenze concorrono a formare il reddito anche se non risultano i
. Le minusvalenze realizzate ai sensi dell’articolo 101 sulle azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni che non possiedono i requisiti di cui all’articolo 87 non rilevano fino a concorrenza dell’importo non imponibile dei dividendi, ovvero dei loro acconti, percepiti nei trentasei mesi precedenti il realizzo. Tale disposizione si applica anche alle differenze negative tra i ricavi dei beni di cui all’articolo 85, comma 1, lettere c) e d), e i relativi costi.
Le disposizioni del comma 3-bis si applicano con riferimento alle azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni acquisite nei trentasei mesi precedenti il realizzo, sempre che soddisfino i requisiti per l’esenzione di cui alle lettere c) e d) del comma 1 dell’articolo 87.
Resta ferma l’applicazione dell’articolo 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 , n. 600, anche con riferimento ai differenziali negativi di natura finanziaria derivanti da operazioni iniziate nel periodo d’imposta o in quello precedente sulle azioni, quote e strumenti finanziari similari alle azioni di cui al comma 3-bis.
Le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all'esercizio di competenza. Si considerano imputati a conto economico i componenti imputati direttamente a patrimonio per effetto dei principi contabili internazionali. Sono tuttavia deducibili:
quelli imputati al conto economico di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle precedenti norme della presente sezione che dispongono o consentono il rinvio;
quelli che pur non essendo imputabili al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge. Gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre rettifiche di valore, gli  accantonamenti e le differenze tra i canoni di locazione finanziaria di cui all’articolo 102, comma 7, e la somma degli ammortamenti dei beni acquisiti in locazione finanziaria e degli interessi passivi che derivano dai relativi contratti imputati a conto economico sono deducibili se in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi è indicato il loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi. In caso di distribuzione, le riserve di patrimonio netto e gli utili d'esercizio, anche se conseguiti successivamente al periodo d'imposta cui si riferisce la deduzione, concorrono a formare il reddito se e nella misura in cui l'ammontare delle restanti riserve di patrimonio netto e dei restanti utili portati a nuovo risulti inferiore all'eccedenza degli ammortamenti, delle rettifiche di valore e degli accantonamenti dedotti rispetto a quelli imputati a conto economico, al netto del fondo imposte differite correlato agli importi dedotti. La parte delle riserve e degli utili di esercizio distribuiti che concorre a formare il reddito ai sensi del precedente periodo è aumentata delle imposte differite ad essa corrispondenti. L'ammontare dell'eccedenza è ridotto degli ammortamenti, delle plusvalenze o minusvalenze, delle rettifiche di valore relativi agli stessi beni e degli accantonamenti, nonché delle riserve di patrimonio netto e degli utili d'esercizio distribuiti, che hanno concorso alla formazione del reddito. Le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi.
Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 96. Le plusvalenze di cui all'articolo 87, non rilevano ai fini dell'applicazione del periodo precedente.
Qualora nell'esercizio siano stati conseguiti gli interessi e i proventi di cui al comma 3 dell'articolo 96 che eccedono l'ammontare degli interessi passivi, fino a concorrenza di tale eccedenza non sono deducibili le spese e gli altri componenti negativi di cui al secondo periodo del precedente comma e, ai fini del rapporto previsto dal predetto articolo 96, non si tiene conto di un ammontare corrispondente a quello non ammesso in deduzione.]
In deroga al comma 1 gli interessi di mora concorrono alla formazione del reddito nell'esercizio in cui sono percepiti o corrisposti.
In deroga al comma 5 non è deducibile il costo sostenuto per l'acquisto del diritto d'usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ai sensi dell'articolo 89.
Non è deducibile ogni tipo di remunerazione dovuta:
su titoli, strumenti finanziari comunque denominati, di cui all'articolo 44, per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi;
relativamente ai contratti di associazione in partecipazione ed a quelli di cui all'articolo 2554 del codice civile allorché sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi.

Il comma 2 del 109 individua i criteri per stabilire quando matura la competenza delle più tipiche voci di bilancio:
Cessione o acquisto di beni mobili: data di consegna o spedizione;
Cessione o acquisto di beni immobili registrati: data della stipula dell’atto;
Spese o ricavi per prestazioni di servizi: alla data dell’ultimazione, con una deroga nel caso in cui siano servizi continuativi con corrispettivi periodici (affitto), in tal caso assume rilevanza fiscale il periodo di competenza economico/civilistico.
Quand’è che la certezza e l’obiettiva calcolabilità possono essere verificate? Cioè, se l’esercizo chiude il 31/12 e la certezza e calcolabilità di una voce avviene in data successiva,  hanno valenza fiscale? Se si, fino a quando? Fino all’assemblea che approva il bilancio? O anche successivamente presentando un integrativa?
L’amministrazione finanziaria ha affermato che la data ultima per cui una voce di bilancio concorre ai fini del calcolo del reddito fiscale è la chiusura dell’esercizio. Questa affermazionedell’amministrazione tributaria non ha però valenza di legge, in quanto mero atto amministrativo (interpello); è assicurata però tutela a chi segue questa norma nel caso di successive variazioni.


Il principio della previa imputazione


Il comma 4 del 109 tratta del  principio della previa imputazione secondo il quale le spese e le altre componenti negative di reddito (altre rispetto a quelle del comma due) non risultano deducibili se non nella misura in cui sono inseriti in conto economico.
Sembra un affermazione quasi superflua dato che già nell’articolo 83 si stabilisce che la base di partenza per il calcolo del reddito imponibile sia il risultato civilistico del Conto Economico.
Questo principio però è importante perché fin dai primi anni della sua comparsa ha comportato un particolare fenomeno, quello della dipendenza rovesciata.
In poche parole invece di essere il reddito imponibile a dipendere da quello civilistico, i redattori partivano da quanto volevano dichiarare per arrivare al reddito d’esercizio.
Si tratta di inquinamento del bilancio da parte di poste fiscali per ottenere dei benefici.
È interessante osservare che fino al 31 dicembre 2003 il codice civile ammetteva la possibilità che fossero imputati a CE anche poste non economiche con il solo scopo di ottenere dei benefici fiscali.
Lo Stato aveva venduto agli operatori telefonici i diritti allo sfruttamento della tecnologia UMTS. Questi operatori, avendo sostenuto un costo decisamente alto per ottenere tali diritti, desideravano ammortizzare tale costo nonostante tali tecnologie non fossero ancora attive. Ciò fu reso loro possibile proprio da questa postilla del C.C.
Vale la pena sottolineare che il principio della previa imputazione vale solo per i costi, e non per i ricavi.
Dato che l’inquinamento dei bilanci non era più sostenibile nel 2003 con la manovra Vietti è stato modificato il CC per impedire che fossero imputati i costi non relativi all’attività economica dell’impresa.
A questa manovra però ne seguì una seconda con la quale fu aggiunto un comma all’articolo 109 (eliminato con la legge 244 del 2007: Finanziaria 2008) con il quale si dava la possibilità alle aziende di imputare anche componenti negative non iscritte a CE, solo se di tipo valutativo, e non connessi a terzi ( ammortamenti, accantonamenti, svalutazioni, altre rettifiche di valore). La differenza si spiega per il fatto che le componenti negative connesse a terzi hanno per l’appunto una controparte nelle componenti positive iscritte nel bilancio dei terzi. Essendo bilaterali o sono a somma zero (io inserisco un costo e lui un ricavo) oppure non si possono inserire, perché lo Stato concederebbe a me una deduzione senza incassare il corrispettivo dall’altra azienda.
Tale deduzione a riserva aveva però dei vincoli: l’accantonamento a riserva non poteva superare l’importo delle deduzioni extra-contabili al netto della fiscalità differita.
Gli ammortamenti anticipati acceleravano il periodo di ammortamento del bene, consentendo un aliquota di ammortamento pari al doppio di quella ministeriale. Tale norme è stata inserita come incentivo al rinnovamento produttivo (come concesso dalla legge delega del ’86 in deroga al principio della competenza), in quanto una minore vita utile poteva spingere le imprese ad investire  di più su nuovi macchinari.
In questo discorso ricopre un ruolo di importanza la fiscalità differita, perché se extra-contabilmente vengono accelerati gli ammortamenti, consentendo una deduzione delle imposte attuali, non bisogna ricordare che contabilmente questi ammortamenti invece ritorneranno negli anni successivi ma non saranno più deducibili.
Come visto prima dal primo gennaio del 2008 il comma sei è stato abrogato: sono deducibili solo gli ammortamenti ordinari e non quelli anticipati o accelerati.
Tale ulteriore modifica ha tre spiegazioni:
Il doppi binario tra CC e Fisco si stava allargando eccessivamente dopo essere partito da un punto comune;
Le imprese ormai presentavano deduzioni extracontabili eccessive rispetto a quelle contabili;
Il reddito imponibile delle imprese ormai deve fare i conti con una duplice serie di principi contabili: quelli internazionali e quelli italian gaap.
L’art. 109 inoltre prevede casi di deroga al principio della previa imputazione;  sono deducibili anche i costi non inseriti nel bilancio dell’ esercizio in esame, se a questo rimandati in osservanza delle norme precedenti: è ad esempio il caso dei costi inseriti contabilmente nei bilanci di esercizi precedenti, ma in essi non deducibili poiché non certi o non obiettivamente calcolabili.
Altre deroghe a tale principio deriva dalla lettera b del suddetto articolo che prevede sia casi specifici, sia cosi diversi, come i costi non inseriti a bilancio ma riferiti a ricavi o ad altri proventi  che siano rilevanti e che abbiano concorso a formare il reddito, purché tali costi siano certi e obiettivamente calcolabili. Tale caso è stato spesso utilizzato nel caso di ricavi non dichiarati; qualora il redattore del bilancio fosse stato colto in atto fraudolento per aver nascosto ricavi rilevanti alla formazione del reddito, oltre all’obbligo di dichiarare tali ricavi, gli è concesso di dedurre i costi a questi collegati.
Hp di paradosso.
Tizio in buona fede inserisce in deduzione un costo il quale sarà in seguito contestato da parte dell’amministrazione finanziaria in base al principio della competenza, in quanto non certo e non obbiettivamente calcolabile.
L’esercizio successivo questo costo non comparirà più nel bilancio del signor Tizio, e quindi, per il principio della previa imputazione, esso non sarà deducibile.
Siamo in un caso di doppia tassazione, in quanto non è riconosciuta a Tizio la possibilità di dedurre tale costo in nessun esercizio, mentre il relativo ricavo è stato tassato.


Principio dell’inerenza


Tale principio, pur essendo universalmente riconosciuto da qualsiasi manuale, non è previsto da alcuna norma specifica.
Spesso per sostenere l’esistenza di tale principio molti richiamano l’art. 109 comma 5.

Articolo 109: Norme generali sui componenti del reddito d'impresa
Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 96. Le plusvalenze di cui all'articolo 87, non rilevano ai fini dell'applicazione del periodo precedente.

I costi sono deducibili se si riferiscono a componenti positivi  che hanno contribuito a creare il reddito.
Tale norma sostiene effettivamente il principio dell’inerenza? In realtà essa introduce il principio di simmetria: si deduce il costo se esso è servito a conseguire dei proventi imponibili, o non imponibili perché esclusi (tipo i dividendi): si tratta di simmetria e non di inerenza.
Il concetto espresso dal principio dell’inerenza invece è un altro, è un principio di tipo qualitativo: il costo è deducibile se afferisce (ha affinità con) all’attività dell’impresa.
Prima di proseguire soffermiamoci un attimo sul concetto di ricavo non imponibile perché escluso: ogni volta che l’impresa ha un ricavo non imponibile le conviene controllare (ai sensi della norma che ne ha sancito la non imponibilità) se esse è esente o escluso. In caso di esclusione, infatti, i costi riferiti a tale ricavo sono comunque deducibili.
Differente è il caso dell’istituto della Partecipation Exemption, il quale prevede l’esenzione al 95% delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, e di conseguenza dei costi relativi a tale operazione.
Un’attenta analisi dell’art. 109 comma 5 ci chiarisce che, mentre nel primo periodo si afferma la necessità di trovare una correlazione simmetrica tra ricavi imponibili e costi a essi correlati, il secondo periodo di tale articolo va oltre, occupandosi dei cosiddetti costi generali.
Tali costi sono deducibili per la percentuale derivante dal rapporto tra ricavi imponibili (o non imponibili perché esclusi) e totale dei ricavi.
Esempio
Costi generali: 800
Ricavi imponibili: 900
Ricavi totali: 1000
900/1000 *100 = 90%
I costi generali sono deducibili per il 90%.
Questa percentuale prende il nome prorata sulle spese generali.
Il principio dell’inerenza c’è, ma non nasce da questa norma.
Fino a qualche anno fa si riteneva che i costi fossero inerenti qualora riferiti ai ricavi conseguiti dall’azienda fossero essi imponibili o meno; una siffatta determinazione, però, escludeva alcuni costi, che per determinati tipi di azienda potevano anche essere rilevanti. Immaginiamo, ad esempio, il costo di ricerca sostenuto da un’azienda farmaceutica per lo sviluppo di un determinato medicinale; ipotizziamo che dopo i test di laboratorio questo nuovo medicinale risulti dannoso, e quindi non commercializzabile. Si può sostenere che tale costo non sia deducibile solo perché il medicinale sviluppato non abbia mai portato dei ricavi all’azienda?
Questo problema è stato risolto modificando la definizione di inerenza: i costi sono inerenti se si riferiscono all’attività dell’impresa, e non più ai ricavi da essa ottenuti.
Tale definizione comunque deriva dalla dottrina, non esiste nel TUIR.
L’amministrazione finanziaria comunque si è riservata il diritto di giudicare il tipo di costo e il suo ammontare per valutarne la coerenza con l’attività dell’impresa.
Per spiegare tale affermazione occorre fare qualche esempio;
Es. 1
Quadro impressionista da 70.000 euro: è la stessa cosa che esso sia appeso nella sala riunioni dell’UNICREDIT S.p.A. in Piazza Duomo a Milano, o nell’ufficio ricavato nella Carrozzeria Bautasso e fratelli S.r.l.? Sicuramente si può sostenere che per la carrozzeria dei fratelli Bautasso questo costo non sia deducibile in quanto non inerente per manifesta antieconomicità dell’operazione (def. by Prof. Lupi), mentre per la UNICREDIT tale costo sia maggiormente inerente.
Il professore non è tanto convinto di una siffatta distinzione, in quanto ritiene che non sia possibile incanalare il principio di inerenza in binari rigidi; a tal proposito fa un altro esempio.
Es. 2
Ufficio in Piazza Duomo a Milano: chi può sostenere che per la UNICREDIT sia inerente avere la sede centrale in un ufficio in Piazza Duomo mentre per i fratelli Bautasso  non lo sia??
Un caso interessante di inerenza è quello legato alla deducibilità o meno delle sanzioni amministrati somministrate all’azienda. La prevalenza della giurisprudenza sostiene la loro non deducibilità, affermando che il contrario si opporrebbe al principio di giustizia; in ogni caso nopn essite una norma espressa.
Es. Sanzioni Anti-Trust
I comportamenti lesivi della concorrenza solitamente portano molti ricavi all’azienda che li intraprende, e proprio per questa ragione sono sottoposti a sanzione.
Accade molto spesso però che la sanzione arrivi in maniera non tempestiva, e quindi non è inverosimili ipotizzare che, prima che ciò avvenga, i ricavi così conseguiti siano già stati inseriti a bilancio e quindi tassati. Non è neanche troppo assurdo sostenere che i costi della sanzione amministrativa siano riferibili ai ricavi ottenuti con il comportamento anticoncorrenziale. Fatte queste premesse, e senza considerare il già citato principio di giustizia, si potrebbe a tutti gli effetti considerare tali costi inerenti all’attività dell’impresa.
Un secondo caso su cui la dottrina ha lungamente discusso è riferito agli stipendi degli amministratori, i quali spesso sono stati giudicati eccessivi, e quindi antieconomici, rispetto all’attività dell’impresa. Ma come definire l’eccessività di uno stipendio?
Tale dibattito comunque è avvenuto in un periodo particolare, in cui la tassazione in capo all’impresa arrivava ad essere quasi del 50% e quindi molte imprese gonfiavano gliu stipendi per diminuire gli utili imponibili.
Esiste comunque una precisa norma a cui spesso si fa riferimento per ricavare, per via indiretta, l’esistenza del principio di inerenza.
Si tratta dell’art. 100, il quale comprende disposizioni analitiche che disciplina la deducibilità dei costi legati agli oneri sociali.

Art. 100 del TUIR: Oneri di utilità sociale
Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi.
Sono inoltre deducibili:
- le erogazioni liberali fatte a favore di persone giuridiche che perseguono esclusivamente finalità comprese fra quelle indicate nel comma 1 o finalità di ricerca scientifica, nonché i contributi, le donazioni e le oblazioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettera g), per un ammontare complessivamente non superiore al 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato;
le erogazioni liberali fatte a favore di persone giuridiche aventi sede nel Mezzogiorno che perseguono esclusivamente finalità di ricerca scientifica, per un ammontare complessivamente non superiore al 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato;
- le erogazioni liberali a favore di università, fondazioni universitarie di cui all'articolo 59, comma 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e di istituzioni universitarie pubbliche, degli enti di ricerca pubblici, delle fondazioni e delle associazioni regolarmente riconosciute a norma del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361, aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione di attività di ricerca scientifica, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ovvero degli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ivi compresi l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, nonché degli enti parco regionali e nazionali];
- le erogazioni liberali a favore dei concessionari privati per la radiodiffusione sonora a carattere comunitario per un ammontare complessivo non superiore all'1 per cento del reddito imponibile del soggetto che effettua l'erogazione stessa;
- le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 e del decreto del Presidente della Repubblica
30 settembre 1963, n. 1409, nella misura effettivamente rimasta a carico. La necessità delle spese, quando non siano obbligatorie per legge, deve risultare da apposita certificazione rilasciata dalla competente soprintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali, previo accertamento della loro congruità effettuato d'intesa con il competente ufficio dell'Agenzia del territorio. La deduzione non spetta in caso di mutamento di destinazione dei beni senza la preventiva autorizzazione dell'Amministrazione per i beni e le attività culturali, di mancato assolvimento degli obblighi di legge per consentire l'esercizio del diritto di prelazione dello Stato sui beni immobili e mobili vincolati e di tentata esportazione non autorizzata di questi ultimi. L'Amministrazione per i beni e le attività culturali dà immediata comunicazione al competente ufficio - dell'Agenzia delle entrate delle violazioni che comportano la indeducibilità e dalla data di ricevimento della comunicazione inizia a decorrere il termine per la rettifica della dichiarazione dei redditi;
- le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico, effettuate per l'acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate  nell'articolo 2 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 e nel decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, ivi comprese le erogazioni effettuate per l'organizzazione di mostre e di esposizioni, che siano di rilevante interesse scientifico o culturale, delle cose anzidette, e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari. Le mostre, le esposizioni, gli studi e le ricerche devono essere autorizzati, previo parere del competente comitato di settore del Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali, dal Ministero per i beni e le attività culturali, che dovrà approvare la previsione di spesa ed il conto consuntivo. Il Ministero per i beni culturali e ambientali stabilisce i tempi necessari affinché le erogazioni fatte a favore delle associazioni legalmente riconosciute, delle istituzioni e delle fondazioni siano utilizzate per gli scopi preindicati, e controlla l'impiego delle erogazioni stesse. Detti termini possono, per causa non imputabile al donatario, essere prorogati una sola volta. Le erogazioni liberali non integralmente utilizzate nei termini assegnati, ovvero utilizzate non in conformità alla destinazione, affluiscono, nella loro totalità, all'entrata dello Stato;
- le erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore al 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato, a favore di enti o istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono esclusivamente attività nello spettacolo, effettuate per la realizzazione di nuove strutture, per il restauro ed il potenziamento delle strutture esistenti, nonché per la produzione nei vari settori dello spettacolo. Le erogazioni non utilizzate per tali finalità dal percipiente entro il termine di due anni dalla data del ricevimento affluiscono, nella loro totalità, all'entrata dello Stato;
- le erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 2.065,83 euro o al 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato, a favore delle ONLUS, nonché le iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell'articolo 15, comma 1, lettera i-bis), nei Paesi non appartenenti all'OCSE;
le spese relative all'impiego di lavoratori dipendenti, assunti a tempo indeterminato, utilizzati per prestazioni di servizi erogate a favore di ONLUS, nel limite del cinque per mille dell'ammontare complessivo delle spese per prestazioni di lavoro dipendente, così come risultano dalla dichiarazione dei redditi;
- le erogazioni liberali in denaro, per importo non superiore a 1.549,37 euro o al 2 per cento del reddito di impresa dichiarato, a favore di associazioni di promozione sociale iscritte nei registri previsti dalle vigenti disposizioni di legge;
- le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute, per lo svolgimento dei loro compiti istituzionali e per la realizzazione di programmi culturali nei settori dei beni culturali e dello spettacolo. Il Ministro per i beni e le attività culturali individua con proprio decreto periodicamente, sulla base di criteri che saranno definiti sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i soggetti e le categorie di soggetti che possono beneficiare delle predette erogazioni liberali; determina, a valere sulla somma allo scopo indicata, le quote assegnate a ciascun ente o soggetto beneficiario; definisce gli obblighi di informazione da parte dei soggetti erogatori e dei soggetti beneficiari; vigila sull'impiego delle erogazioni e comunica, entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento all'Agenzia delle entrate, l'elenco dei soggetti erogatori e l'ammontare delle erogazioni liberali da essi effettuate. Nel caso che, in un dato anno, le somme complessivamente erogate abbiano superato la somma allo scopo indicata o determinata, i singoli soggetti beneficiari che abbiano ricevuto somme di importo maggiore della quota assegnata dal Ministero per i beni e le attività culturali versano all'entrata dello Stato un importo pari al 37 per cento della differenza;
- le erogazioni liberali in denaro a favore di organismi di gestione di parchi e riserve naturali, terrestri e marittimi, statali e regionali, e di ogni altra zona di tutela speciale paesistico-ambientale come individuata dalla vigente disciplina, statale e regionale, nonché gestita dalle associazioni e fondazioni private indicate nell'articolo 154, comma 4, lettera a), effettuate per sostenere attività di conservazione, valorizzazione, studio, ricerca e sviluppo dirette al conseguimento delle finalità di interesse generale cui corrispondono tali ambiti protetti. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio individua con proprio decreto, periodicamente, i soggetti e le categorie di soggetti che possono beneficiare delle predette erogazioni liberali; determina, a valere sulla somma allo scopo indicata, le quote assegnate a ciascun ente o soggetto beneficiario. Nel caso che in un dato anno le somme complessivamente erogate abbiano superato la somma allo scopo indicata o determinata i singoli soggetti beneficiari che abbiano ricevuto somme di importo maggiore della quota assegnata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, versano all'entrata dello Stato un importo pari al 37 per cento della differenza;
le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle regioni, degli enti territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute, per la realizzazione di programmi di ricerca scientifica nel settore della sanità autorizzate dal Ministro della salute con apposito decreto che individua annualmente, sulla base di criteri che saranno definiti sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i soggetti che possono beneficiare delle predette erogazioni liberali. Il predetto decreto determina altresì, fino a concorrenza delle somme allo scopo indicate, l'ammontare delle erogazioni deducibili per ciascun soggetto erogatore, nonché definisce gli obblighi di informazione da parte dei soggetti erogatori e dei soggetti beneficiari. Il Ministero della salute vigila sull'impiego delle erogazioni e comunica, entro il 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, all'Agenzia delle entrate, l'elenco dei soggetti erogatori e l'ammontare delle erogazioni liberali deducibili da essi effettuate.
Alle erogazioni liberali in denaro di enti o di istituzioni pubbliche, di fondazioni o di associazioni legalmente riconosciute, effettuate per il pagamento delle spese di difesa dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, non si applica il limite di cui al comma 1, anche quando il soggetto erogatore non abbia le finalità statutarie istituzionali di cui al medesimo comma 1.
Le erogazioni liberali diverse da quelle considerate nei precedenti commi e nel comma 1 dell'articolo 95 non sono ammesse in deduzione.

La caratteristica comune ai costi considerati dall’art. 100 è che essi sono tutti costi non inerenti, in quanto versamenti a titolo di liberalità, cioè senza alcuna controprestazione precisa.
Quindi per poter dedurre costi non inerenti il legislatore ha dovuto prevedere una norma specifica.
Gli oppositori a coloro che utilizzano l’art. 100 per sostenere l’esistenza del principio di inerenza affermano che essendo che il comma 4 esclude esplicitamente le erogazioni liberali non incluse in questo articolo, allora non è in deroga al principio di inerenza che valgono i commi precedenti, ma in deroga alla non deducibilità delle erogazioni liberali in quanto tali.
Concentriamo adesso la nostra attenzione sui costi relativi ai beni cosiddetti ad uso promiscuo, come il cellulare (i cui costi sono deducibili all’80%) o la macchina aziendale (deducibile al 40%); per questo tipo di beni è difficile scindere i costi legati all’uso personale da quelli legati all’attività lavorativa.


Regime fiscale delle perdite


Art 84 del TUIR: Riporto delle perdite
La perdita di un periodo d'imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d'imposta successivi, ma non oltre il quinto, per l'intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi. La perdita è diminuita dei proventi esenti dall'imposta diversi da quelli di cui all'articolo 87, per la parte del loro ammontare che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi degli articoli 96 e 109, commi 5 e 6. Detta differenza potrà tuttavia essere computata in diminuzione del reddito complessivo in misura tale che l'imposta corrispondente al reddito imponibile risulti compensata da eventuali crediti di imposta, ritenute alla fonte a titolo di  acconto, versamenti in acconto, e dalle eccedenze di cui all'articolo 80.
Le perdite realizzate nei primi tre periodi d'imposta possono, con le modalità previste al comma 1, essere computate in diminuzione del reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi senza alcun limite di tempo.
Le disposizioni del comma 1 non si applicano nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto che riporta le perdite venga trasferita o comunque acquisita da terzi, anche a titolo temporaneo e, inoltre, venga modificata l'attività principale in fatto esercitata nei periodi d'imposta in cui le perdite sono state realizzate. La modifica dell'attività assume rilevanza se interviene nel periodo d'imposta in corso al momento del trasferimento od acquisizione ovvero nei due successivi od anteriori. La limitazione non si applica qualora:
le partecipazioni siano acquisite da società controllate dallo stesso soggetto che controlla il soggetto che riporta le perdite ovvero dal soggetto che controlla il controllante di questi;
le partecipazioni siano relative a società che nel biennio precedente a quello di  trasferimento hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità e per le quali dal conto economico relativo all'esercizio precedente a quello di trasferimento risultino un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

Attraverso l’art. 84 il legislatore ha concesso la possibilità di utilizzare le perdite fiscali negli esercizi successivi a quello di conseguimento ma non oltre il quinto.
Vale sia nei casi di perdita di esercizio sia nel caso in cui, nonostante esista un utile ante imposte, questo si trasformi in una perdita fiscale a causa delle variazione apportategli in ambito tributario. In entrambi i casi, il risultato negativo è utilizzabile per compensare gli eventuali utili dei cinque esercizi successivi.
La ratio di tale norma è legata all’art. 53 della costituzione che sancisce il legame tra il sistema tributario e il riconoscimento di una capacità contributiva; affinché il sistema tributario sia il più rappresentativo possibile, sarebbe necessario tassare l’azienda al momento della sua liquidazione, in modo da avere un idea certa della sua capacità contributiva assoluta; ovviamente una cosa del genere è impossibile, come sarebbe impossibile tassare l’azienda a intervalli di più anni per avere una stima credibile della capacità contributiva dell’azienda.
Avendo scelto di tassare l’azienda alla fine di ogni esercizio, si è pensato che trasferire la perdita fiscale su un periodo di cinque anni fosse meglio rappresentativo della capacità contributiva dell’azienda in quel periodo.
Tale norma si presta a un uso improprio da parte di chi volesse attuare azioni di tipo elusivo, soprattutto per quanto riguarda i gruppi aziendali, i quali spesso attuano comportamenti di tax planning.
È molto importante il comma due che da la possibilità alle aziende di nuova creazione di riportare le perdite dei primi 3 periodi di imposta all’infinito. Questo comma è stato inserito come incentivazione a creare nuove società.
Negli anni recenti questa norma è stata modificata inserendo dei tamponi alla libertà di manovra concessa alle società dal comma due.
Perché esso sia valido è necessario che l’azienda di neo-costituzione che sta sostenendo le perdite sia occupata in una nuova attività produttiva e non in una vecchia attività rilevata da una precednete società. Questo per evitare che una società con grosse perdite e debiti conferisca a una società di nuova costituzione tutte le perdite per poter usufruirne negli esercizi futuri all’infinito senza che in realtà la nuova società sia effettivamente operativa.
Anche il comma tre è stato inserito come tampone: le disposizioni del comma uno non sono applicabili nel caso in cui la maggioranza dei diritti di voto nelle assemblee ordinarie del soggetto in  perdita venga trasferita o comunque acquisita da terzi, i quali decidano di modificare l'attività principale esercitata nei periodi d'imposta in cui la società in era perdita. Questo non vale solo quando:
società acquistata sia effettivamente attiva produttivamente (e non una bara fiscale) e cio si possa dedurre da alcuni dati oggettivi quali  il numero dei dipendenti o l’ammontare dei ricavi;
la società sia stata acquista rilevando le partecipazioni in essa possedute da altre società controllate, e quindi di fatto già controllata.
Come mai c’e stato bisogno di inserire questo comma tre? Non era raro il caso in cui società piene di utili acquistassero società con perdite fiscali per compensare i propri utili imponibili con le perdite della società acquista.


Definizione di ricavo


Art. 85 del TUIR: Definizione di Ricavo
Sono considerati ricavi:
- i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa;
-  i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione;
-  i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli, al capitale di società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa. Se le partecipazioni sono nelle società o enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), si applica il comma 2 dell'articolo 44;
-  i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi dell'articolo 44 emessi da società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diversi da quelli cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa;
-  i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa diversi a quelli di cui alla lettere c) e d) precedenti che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa;
-  le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni di cui alle precedenti lettere;
-  i contributi in denaro, o il valore normale di quelli, in natura, spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto;
-  i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge.
Si comprende inoltre tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1 assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa.
Ai fini delle imposte sui redditi i beni di cui alle lettere c), d) ed e) del comma 1 non costituiscono immobilizzazioni finanziarie se non sono iscritti come tali nel bilancio.

Il comma uno dell’articolo 85 fornisce un elenco di quelli che sono ritenuti essere ricavi; i punti a) e b) di tale comma si riferiscono ai proventi derivanti dall’attività operativa dell’impresa.
I punti c) e d) invece si riferiscono ai proventi dell’attività extra-operativa ottenuti attraverso la cessione di partecipazioni o strumenti finanziari che non costituiscono immobilizzazioni.
Questo articolo rappresenta una forte tutela per le imprese perché il corrispettivo così calcolato non può essere contestato dall’amministrazione finanziaria. La norma fa riferimento all’attività concretamente svolta dall’azienda.
Spesso lo statuto prevede tutta una serie di attività ma ai fini fiscali risulta rilevante solo quella concretamente svolta, o comunque quella caratteristica.
Costituiscono ricavi anche le partecipazioni iscritte nell’attivo circolante, indipendentemente dall’attività svolta. Se iscritta nelle immobilizzazioni, invece, il maggiore valore derivante da un eventuale cessione del bene risulterebbe essere una plusvalenza. Anche altri beni iscritti nell’attivo circolante sono sottoposti al medesimo trattamento al momento della loro alienazione.
A tal proposito è necessario soffermarsi maggiormente per quanto riguarda la contabilizzazione delle partecipazioni secondo i principi contabili internazionali: ricadono nel regime fiscale dei ricavi i proventi derivanti da una partecipazione detenuta per la negoziazione: held for trading.
Anche le indennità per la perdita o il danneggiamento di beni aziendali, o i contributi da parte degli enti pubblici ricadono sotto la definizione di ricavo.
Cosa succede nell’ipotesi che i beni siano destinati all’uso privato dell’imprenditore (o della sua famiglia), o comunque utilizzati per attività estranee a quella aziendale? Se il bene fuoriesce dal perimetro di attività dell’azienda deve essere affrancato, mentre se rimane nell’impresa non ci sono conseguenze tributarie perché permane una continuità di valori dei beni aziendali.
Per affrancamento si intende il pagamento di un vero e proprio dazio, e tal proposito si rilevano due distinte ipotesi:
il bene uscito viene formalmente venduto: il dazio corrisponde al prezzo pattuito più le tasse;
il bene viene destinato a finalità estranee: si fa riferimento al valore normale del bene, come richiesto dal comma 3 dell’art 85.

Art. 9 del TUIR: Determinazione dei redditi e delle perdite
I redditi e le perdite che concorrono a formare il reddito complessivo sono determinati distintamente per ciascuna categoria, secondo le disposizioni dei successivi capi, in base al risultato complessivo netto di tutti i cespiti che rientrano nella stessa categoria.
 Per la determinazione dei redditi e delle perdite i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del giorno antecedente più prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti; quelli in natura sono valutati in base al valore normale dei beni e dei servizi da cui sono costituiti. In caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti. Se le azioni o i titoli ricevuti sono negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e il conferimento o l'apporto è proporzionale, il corrispettivo non può essere inferiore al valore normale determinato a norma del successivo comma 4, lettera a).
Per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso. Per i beni e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in vigore.
Il valore normale è determinato:
per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese;
per le altre azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente, ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, all'ammontare complessivo dei conferimenti;
per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati alle lettere a) e b), comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo.
Ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società.

Una definizione di valore normale si ha al comma tre dell’art 9 del TUIR, il quale lo definisce come il prezzo o il corrispettivo mediamente  praticato per beni similari in condizioni di concorrenza. È una sorta di valore di mercato.
Può non essere semplice però rilevare il valore normale nel caso della prestazione di servizi a finalità estranee.
In altre parole la cessione di beni/servizi a finalità estranee non figura a bilancio, ma è comunque sottoposto a tassazione.


Trattamento delle plusvalenze


Creano plusvalenze i beni diversi da quelli di cui all’art. 85, quindi è una definizione per esclusione se non creano ricavo creano plusvalenza.

Art 86 del TUIR: Plusvalenze patrimoniali
1. Le plusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati nel comma 1 dell'articolo 85232, concorrono a formare il reddito:
se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso;
se sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni;
se i beni vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa.
2. Nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) del comma 1 la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo o l'indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato. Concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso. Se il corrispettivo della cessione è costituito esclusivamente da beni ammortizzabili, anche se costituenti un complesso o ramo aziendale, e questi vengono complessivamente iscritti in bilancio allo stesso valore al quale vi erano iscritti i beni ceduti, si considera plusvalenza soltanto il conguaglio in denaro eventualmente pattuito.
3. Nell'ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni.
4. Le plusvalenze realizzate, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito, per l'intero ammontare nell'esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, o a un anno per le società sportive professionistiche, a scelta del contribuente, in quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La predetta scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è presentata la plusvalenza concorre a formare il reddito per l'intero ammontare nell'esercizio in cui è stata realizzata. Per i beni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, le disposizioni dei periodi precedenti si applicano per quelli iscritti come tali negli ultimi tre bilanci; si considerano ceduti per primi i beni acquisiti in data più recente.
5. La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.
5-bis. Nelle ipotesi dell’articolo 47, commi 5 e 7, costituiscono plusvalenze le somme o il valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione del capitale e delle riserve di capitale per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni.

Dal 1997 il legislatore ha previsto che le plusvalenze per essere tassate dovessero essere realizzate e non meramente iscritte, questo per evitare di andare in contrasto con il principio della capacità contributiva come avveniva prima di tale date:
Realizzata: da una vendita;
Iscritta: da una rivalutazione.
Ma quale fu il motore di tale riforma? Avendo l’Italia ormai adottato i principi contabili internazionali, i quali richiedono l’iscrizione al fair value del bene e il suo costante aggiornamento attraverso l’impairment test, si mettevano le aziende che avevano adotta tali principi in una posizione difficile con il rischio di dover pagare ogni anno tasse sulle rivalutazioni (anche non dovute a variazioni continuative del valore del bene, come invece richiesto dal codice Civile) del fair value. L’iscrizione delle plusvalenze secondo gli Italian Gaap era invece più rara perché prevaleva comunque il principio della prudenza.
Per plusvalenze iscritte a conto economico ma non realizzate si dovrà effettuare una variazione in diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi.
Occorre non dimenticare che se contabilmente una rivalutazione comporta un maggior valore del cespite, allora contabilmente l’impresa iscriverà anche dei maggiori ammortamenti: il maggior valore degli ammortamenti non è deducibile come costo e comporterà una variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi.
Da quanto detto fino ad ora sono escluse le plusvalenze iscritte a bilancio previste ai sensi di legge, ancorché non ancora realizzate. Si tratta delle rivalutazioni disposte direttamente dal legislatore ogni qualvolta il criterio del costo risultasse discorsivo: è il caso ad esempio delle rivalutazione previste a seguito di un lungo periodo di inflazione alta. Questo tipo di plusvalenze previste a norma di legge sono tassate tramite imposta sostitutiva.
Per imposta sostitutiva si intende che tali plusvalenze non concorrono a formare il reddito imponibile, ma sono tassate separatamente attraverso un aliquota del 16%.
L’aliquota minore è dovuta ai benefici fiscali che le imprese otterranno nel futuro dai maggiori ammortamenti. Questi benefici, in quanto futuri, valgono meno rispetto alla tassazione sull’attuale plusvalenza (attualizzazione ammortamenti futuri < rivalutazione prevista a norma di legge).Tale differenza è annullata utilizzando un aliquota più bassa sulla plusvalenza e quella Ires normale sugli ammortamenti.
Anche per questo tipo di beni vale la valutazione al valore normale nel caso di cessione a finalità esterne: viene imputata una plusvalenza.
Anche i finanziamenti in conto capitale (a fondo perduto) sono tassati secondo il principio della cassa.


Plusvalenze esenti


Art. 87 del TUIR: Plusvalenze esenti
1. Non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti nella misura del 91 per cento, e dell’84 per cento a decorrere dal 2007 le plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, 2 e 3, relativamente ad azioni o quote di partecipazioni in società ed enti indicati nell'articolo 5, escluse le società semplici e gli enti alle stesse equiparate, e nell'articolo 73, comprese quelle non rappresentate da titoli, con i seguenti requisiti:
ininterrotto possesso dal primo giorno del diciottesimo mese precedente quello dell'avvenuta cessione considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente;
classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;
residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 167, comma 4, o, alternativamente, l'avvenuta dimostrazione, a seguito dell'esercizio dell'interpello secondo le modalità del comma 5, lettera b), dello stesso articolo 167, che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall'inizio del periodo di possesso, l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati di cui al predetto decreto ministeriale;
esercizio da parte della società partecipata di un'impresa commerciale secondo la definizione di cui all'articolo 55. Senza possibilità di prova contraria si presume che questo requisito non sussista relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l'attività dell'impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell'esercizio d'impresa. Si considerano direttamente utilizzati nell'esercizio d'impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui la società partecipata svolge l'attività agricola.
1-bis. Le cessioni delle azioni o quote appartenenti alla categoria delle immobilizzazioni finanziarie e di quelle appartenenti alla categoria dell’attivo circolante vanno considerate separatamente con riferimento a ciascuna categoria.
2. I requisiti di cui al comma 1, lettere c) e d), devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso.
3. L'esenzione di cui al comma 1 si applica, alle stesse condizioni ivi previste, alle plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, 2 e 3, relativamente alle partecipazioni al capitale o al patrimonio, ai titoli e agli strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi dell'articolo 44, comma 2, lettera a) ed ai contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b). Concorrono in ogni caso alla formazione del reddito per il loro intero ammontare gli utili relativi ai contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), che non soddisfano le condizioni di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo.
4. Fermi rimanendo quelli di cui alle lettere a), b) e c), il requisito di cui alla lettera d) del comma 1 non rileva per le partecipazioni in società i cui titoli sono negoziati nei mercati regolamentati. Alle plusvalenze realizzate mediante offerte pubbliche di vendita si applica l'esenzione di cui ai commi 1 e 3 indipendentemente dal verificarsi del requisito di cui alla predetta lettera d).
5. Per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell'assunzione di partecipazioni, i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante.
6. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle plusvalenze di cui all'articolo86, comma 5-bis.

L’introduzione di questo articola si deve alla modifica del trattamento dei dividendi: si è passati dal credito di imposta alla loro non tassazione.
Le plusvalenze sulle partecipazioni in società di persone o capitali sono quindi state messe sullo stesso piano dei dividendi, perché questi due componenti possono essere fungibili, sostituibili e sovrapponibili. È spesso il socio (soprattutto se di maggioranza) a decidere se realizzare la plusvalenze (futura) o distribuire i dividendi.
Es. compro il 100% di un azienda il cui PN vale 1000, per dieci anni di utili non distribuisco i dividendi ma accantono gli utili a riserva e il nuovo PN risulta essere 1200.  Se decidessi di vendere otterrei una plusvalenza di 20, esattamente pari all’ammontare dei dividendi non distribuiti gli anni passati.
È ovvio che questo è un esempio semplicistico del problema, ma rende l’idea.
Prima del 2008 l’esenzione era dell’84% ora è stata portata al 95%.
Ovviamente al principio delle Partecipation Exception si accompagna il principio dell’irrilevanza fiscale delle minusvalenze e delle svalutazioni delle partecipazioni e la loro non deducibilità.
Qual è la ratio che ha guidato il legislatore? Oltre ad aver voluto semplificare la vita alle imprese ha voluto anche tassare il reddito esclusivamente laddove esso si forma: se A controlla B che controlla C, i redditi di C sono tassati esclusivamente in capo C, e non  più anche in capo alle controllanti attraverso il meccanismo del credito di imposta.
Non tutta la dottrina si è trovata d’accordo su questo nuovo meccanismo, in quanto talvolta le partecipazioni vengono cedute con plusvalenze che non corrispondono agli utili effettivamente accantonati (cioè ai dividenti non distribuiti). Ipotizziamo a tal proposito che nell’esempio di prima io decidessi di vendere la mia partecipazione a 1300 invece che 1200. I difensori di tale dottrina hanno sostenuto che l’eventuale maggior plusvalenza (100 nel nostro esempio) rappresenta gli utili futuri attesi e quindi i futuri dividendi. Inoltre, a fronte della plusvalenza esente di chi vende c’ la minusvalenza non deducibile di chi compra, quindi c’e parallelismo nei trattamenti.
Le possibilità che tale norma lasciava ai furbetti che volevano eludere il fisco hanno portato al moltiplicarsi di bolle speculative con grosse plusvalenze non tassate, e il successivo abbassamento della non imponibilità dal precedente 100% a un provvisorio 84% (cioè la % che compare sul nostro libro) fino all’attuale 95%.
Quella delle partecipazioni è un esenzione, e abbiamo visto che, ai sensi dell’articolo 109, la quota di costi generali riferita ai ricavi esenti non è deducibile. Però, essendo che, come verrà meglio spiegato più avanti, quel 5% di imponibilità delle plusvalenze da partecipazione è già un forfait utilizzato come ammontare di costi non deducibili riferiti a questi proventi, allora escluderli pure dal prorata, ci sarebbe stata una doppia esclusione.

Articolo 109: Norme generali sui componenti del reddito d'impresa
5. Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi[…] sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. […]Le plusvalenze di cui all'articolo 87, non rilevano ai fini dell'applicazione del periodo precedente.

Per questo motivo l’articolo 109 al comma 5 prevede che tali proventi siano completamente esclusi dal calcolo del prorata; la loro esclusione sia al numeratore sia al denominatore li rende neutri rispetto al risultato ed evita la doppia esclusione.
La disciplina in vigore prima del 2003 si prestava a grosse manovre di programmazione fiscale, perché permetteva di dedurre non solo le minusvalenze, ma anche le svalutazioni contabili; nel caso di partecipazioni in società quotate la svalutazione era applicabile anche quando il valore di carico (costo di acquisto) fosse stato superiore alla media delle quotazioni del titolo nell’ultimo mese.
La svalutazione del valore di carico era deducibile fino ad un massimo del 50% del valore di carico stesso.
Nel caso di partecipazioni non quotate invece faceva fede il valore contabile del PN della società partecipata. Quindi la controllante poteva trasferire in capo alla controllata tutta una serie di costi non deducibili ma che comunque concorrevano a portare la partecipata in perdita. In questo modo la controllante poteva svalutare la partecipazione e dedurne il costo. In realtà attraverso questo meccanismo la controllante deduceva gli iniziali costi indeducibili.
Nel 2003 Tremonti è intervenuto rendendo le partecipazioni esenti cioè irrilevanti fiscalmente sia come plusvalenze sia come minusvalenze.
Come detto in precedenza questa modifica altro non è che il necessario corollario della riforma sui dividendi.
In realtà, ancora adesso, esiste la possibilità di sottrarsi al regime della Partecipation Exception, tassando le plusvalenze e deducendo le minusvalenze. In entrambi i casi però non rilevano fiscalmente le svalutazioni o le rivalutazioni delle partecipazioni.
Per poter usufruire dell’articolo 87 bisogna rispondere ai requisiti richiesti dal comma uno dell’art 87.

Art. 87 del TUIR: Plusvalenze esenti
ininterrotto possesso dal primo giorno del diciottesimo mese precedente quello dell'avvenuta cessione considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente;
classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso;
residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale privilegiato di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell'articolo 167, comma 4, o, alternativamente, l'avvenuta dimostrazione, a seguito dell'esercizio dell'interpello secondo le modalità del comma 5, lettera b), dello stesso articolo 167, che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall'inizio del periodo di possesso, l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati di cui al predetto decreto ministeriale;
esercizio da parte della società partecipata di un'impresa commerciale secondo la definizione di cui all'articolo 55. Senza possibilità di prova contraria si presume che questo requisito non sussista relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l'attività dell'impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell'esercizio d'impresa. Si considerano direttamente utilizzati nell'esercizio d'impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui la società partecipata svolge l'attività agricola.

La lettera a) del suddetto coma mira a escludere da questo meccanismo le partecipazioni detenute per speculazione, mentre la b) rende rilevanti solo ai fini contabili la riclassificazione da immobilizzazioni immateriali a quelle finanziarie.
Per quanto riguarda la lettera c) invece vale il principio dell’inversione dell’onere della prova, spetta al contribuente dimostrare che in realtà non vi sono stati trasferimenti di redditi verso i cosiddetti paradisi fiscali.
La lettera d) come la c) sono norme di carattere antielusivo e devono essere rispettate da almeno 3 anni. La d) è stata inserita per evitare che invece di vendere un bene una società decidesse di conferirlo a una impresa non commerciale, diventandone socia con il solo scopo di cedere tale partecipazione per non farsi tassare la plusvalenza.
È importante sottolineare che se la partecipazione è in una società che è a sua volta una holding (sub-holding), i suddetti requisiti debbano essere rispettati non dalla sub-holding ma dalle sue controllate.


Regime fiscale dei dividendi e degli interessi


Art. 89 del TUIR: Dividendi ed interessi
1. Per gli utili derivanti dalla partecipazione in società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato si applicano le disposizioni dell'articolo 5.
2. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione, anche nei casi di cui all'articolo 47246, comma 7, dalle società ed enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c), non concorrono a formare il reddito dell'esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell'ente ricevente per il 95 per cento del loro ammontare. La stessa esclusione si applica alla remunerazione corrisposta relativamente ai contratti di cui all'articolo 109247, comma 9, lettera b), e alla remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all'articolo 98 direttamente erogati dal socio o dalle sue parti correlate, anche in sede diaccertamento.
3. Verificandosi la condizione dell'articolo 44, comma 2, lettera a) ultimo periodo,l’esclusione del comma 2 si applica agli utili relativi alla partecipazione al capitale o al patrimonio,ai titoli e agli strumenti finanziari di cui all'articolo 44, comma 2, lettera a), corrisposti dai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera d), e alle remunerazioni derivanti da contratti di cu all’articolo 109, comma 9, lettera b), stipulati con tali soggetti, se diversi da quelli residenti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze adottato ai sensi dell'articolo 167,248 comma 4, o, se ivi residenti, relativamente ai quali, a seguito dell'esercizio dell'interpello secondo le modalità del comma 5, lettera b), dell'articolo 167, siano rispettate le condizioni di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 87. Concorrono in ogni caso alla formazione del reddito per il loro intero ammontare gli utili relativi ai contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), che non soddisfano le condizioni di cui all’articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo.
4. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli 46 e 47249, ove compatibili.
5. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale.
6. Gli interessi derivanti da titoli acquisiti in base a contratti «pronti contro termine» che prevedono l'obbligo di rivendita a termine dei titoli, concorrono a formare il reddito del cessionario per l'ammontare maturato nel periodo di durata del contratto. La differenza positiva o negativa tra il corrispettivo a pronti e quello a termine, al netto degli interessi maturati sulle attività oggetto dell'operazione nel periodo di durata del contratto, concorre a formare il reddito per la quota maturata nell'esercizio.
7. Per i contratti di conto corrente e per le operazioni bancarie regolate in conto corrente, compresi i conti correnti reciproci per servizi resi intrattenuti tra aziende e istituti di credito, si considerano maturati anche gli interessi compensati a norma di legge o di contratto.

Questa norma è cugina stretta di quella sulle plusvalenze, in quanto questi due istituti sono sovrapponibili o sostituibili come già descritto precedentemente. I dividendi sono componenti positivi di reddito esclusi dalla tassazione al 95%, indipendentemente dal periodo di possesso, residenza della società, o tipologia dell’attività svolta. C’è continuità con la disciplina delle plusvalenze per quanto riguarda la norma anti-elusiva sui paradisi fiscali.
Vige un diverso trattamento per i dividendi a seconda del soggetto cui sono destinati:
Soggetti IRES: esclusione al 95%;
Soggetti Irpef con partecipazioni qualificate, (cioè sopra il 20%, o il 2% nelle quotate): tassazione secondo aliquote IRPEF sul 40% dei dividendi ricevuti;
Soggetti IRPEF con partecipazioni minori del 20%, o minori del 2% per le società quotate(quindi non qualificate): i dividendi sono sottoposti a ritenute di imposta del 12,5%; in altre parole il soggetto erogante trattiene questa percentuale e la paga al fisco.
Come si vede per i soggetti IRPEF si è comunque in un regime di doppia tassazione.
Per quale motivo se tanto la persona fisica (la quale solitamente sta alla fine delle catene di partecipazioni) paga comunque le tasse sui dividendi, allora l’esclusione in favore dei soggetti IRES non è al 100% ma solo al 95%?
Ai tempi del credito di imposta, il legislatore comunitario aveva predicato che in Europa nei gruppi le società fossero sottoposte a una medesima normativa fiscale (normativa madre/figlia), per favorire la libera circolazione dei capitali, la quale era strozzata dal meccanismo del credito di imposta.
La direttiva comunitaria prevedeva che il Paese che avesse adottato tale disciplina comune avrebbe potuto o rendere indeducibili i costi legati all’ottenimento dei dividendi, oppure utilizzare un 5% del componente positivo portato in esclusione come misura forfetaria dei suddetti costi indeducibili. Questa secondo possibilità è stata quella scelta dall’Italia, che così facendo ha alleggerito il contribuente del compito, talvolta gravoso, di indicare quali fossero i costi effettivamente collegati a tale ricavo.
In questo modo è stato anche possibile rispettare l’articola 109 comma 5 sul prorata. I dividendi esclusi sono inseriti sia a numeratore sia a denominatore diventando ininfluenti rispetto al costo delle spese generali.


Le sopravvenienze attive


Si tratta di componenti positivi di reddito connessi a oneri o perdite riportate in esercizi precedenti. Es. Venir meno di una passività.
Diminuzione di un costo iscritto precedentemente a bilancio.
Il differenziale che si forma rispetto a quanto iscritto precedentemente a bilancio forma una sopravvenienza attiva imponibile.
Anche i contributi (diversi da quelli riconosciuti come ricavi, tipo i contributi in conto d’esercizio) sono trattati come sopravvenienze attive.

Art 88 del TUIR: (Sopravvenienze attive)
1. Si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.
2. Se le indennità di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 86242 vengono conseguite per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, l'eccedenza concorre a formare il reddito a norma del comma 4 del detto articolo.
3. Sono inoltre considerati sopravvenienze attive:
le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati alla lettera f) del comma 1 dell'articolo 85 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 86;
i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui alle lettere g) e h) del comma 1 dell'articolo 85 e quelli per l'acquisto di beni ammortizzabili indipendentemente dal tipo di finanziamento adottato. Tali proventi concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell'esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto. Sono fatte salve le agevolazioni connesse alla realizzazione di investimenti produttivi concesse nei territori montani di cui alla legge 31 gennaio 1994, n. 97, nonché quelle concesse ai sensi del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, per la decorrenza prevista al momento della concessione delle stesse. Non si considerano contributi o liberalità i finanziamenti erogati dallo Stato, dalle Regioni e dalle Province autonome per la costruzione, ristrutturazione e manutenzione straordinaria ed ordinaria di immobili di edilizia residenziale pubblica concessi agli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, nonché quelli erogati alle cooperative edilizie a proprietà indivisa e di abitazione per la costruzione, ristrutturazione e manutenzione ordinaria e straordinaria di immobili destinati all'assegnazione in godimento o locazione.
4. Non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti, né la riduzione dei debiti dell'impresa in sede di concordato fallimentare o preventivo o per effetto della partecipazione alle perdite da parte dell'associato in partecipazione. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche relativamente agli apporti effettuati dai possessori di strumenti finanziari similari alle azioni.
5. In caso di cessione del contratto di locazione finanziaria il valore normale del bene costituisce sopravvenienza attiva.

I contributi, solitamente erogati da enti pubblici, rilevati dall’articolo 88 come sopravvenienze attive si dividono in due tipologie:
Contributi in conto capitale, i quali hanno una destinazione generale;
Contributi in conto impianti, destinati a uno specifico acquisto.
Per quanto riguarda i contributi in conto capitale c’e una deroga al principio della competenza, sostituito dal principio della cassa: i contributi vengono tassati solo quando incassati, e spalmati su 5 anni. Come mai il legislatore ha previsto tale regime? I contributi erogati dagli enti pubblici per incentivare gli investimenti hanno una peculiarità: l’ente li eroga sub-conditione. Una volta comunicata l’accettazione della pratica (momento nel quale viene iscritto civilisticamente il contributo) si riserva il diritto di verificare l’effettivo utilizzo del contributo, e, in caso di utilizzo non conforme alla pratica presentata, il contributo viene ritirato. Fiscalmente quindi non si sarebbe rispettato il principio della certezza e effettiva calcolabilità del componente (art. 109) se avesse prevalso il principio della competenza.
Diversi sono i contributi in conto impianti vale il principio della competenza inteso in senso stretto: il contributo non è imponibile interamente nell’esercizio in cui viene ricevuto ma è spalmeto sull’intero periodo di vita utile del cespite.
È importante il comma 4 per il quale non vengono considerate sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società dai propri soci.


Proventi immobiliari


Art. 90 del TUIR: Proventi immobiliari
1. I redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l'esercizio dell'impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa, concorrono a formare il reddito nell'ammontare determinato secondo le disposizioni del capo II del titolo I per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell'articolo 70251 per quelli situati all'estero. Tale disposizione non si applica per i redditi, dominicali e agrari, dei terreni derivanti dall'esercizio delle attività agricole di cui all'articolo 32252, pur se nei limiti ivi stabiliti. In caso di immobili locati, qualora il canone risultante dal contratto di locazione ridotto, fino ad un massimo del 15 per cento del canone medesimo, dell’importo delle spese documentate sostenute ed effettivamente rimaste a carico per la realizzazione degli interventi di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, risulti superiore al reddito medio ordinario dell’unità immobiliare, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione.
2. Le spese e gli altri componenti negativi relativi ai beni immobili indicati nel comma 1 non sono ammessi in deduzione.

L’articolo 90 si occupa della disciplina fiscale dei proventi immobiliari con riferimento agli immobili non strumentali all’attività dell’impresa, né i cosiddetti beni merce, cioè i beni alla cui produzione o commercializzazione è rivolta l’attività aziendale.
Quando questi immobili danno un reddito esso è trattato sulla base dei redditi fondiari. Potrebbe non essere rilevato a CE, ma comporta comunque una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi pari alla rendita catastale.
Non sono ammessi in deduzione i costi di manutenzione perché già forfetariamente  considerati all’interno della rendita catastale.
Questi costi però sono iscritti a CE, e non essendo riconosciuti fiscalmente  si dovrà ricorrere a una variazione in aumento.
L’articolo 90 si occupa so9lo dei beni non strumentali, poiché quelli strumentali sono disciplinati dalla norma sugli ammortamenti dei beni strumentali, e per loro non ha rilevanza la rendita catastale. Gli ammortamenti dei beni strumentali valgono per la sola parte riferibile all’edificio, mentre non rileva il terreno a lui sottostante: questa disciplina è stata prevista per avvicinare la normativa fiscale a quella prevista dagli IAS. Lo scorporo del terreno dal valore del fabbricato avviene forfetariamente.


Disciplina della variazione delle rimanenze


Rientrano i beni merce, quelli comprati per la produzione o perla vendita.

Art. 92 del TUIR: Variazioni delle rimanenze
1. Le variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati all'articolo 85, comma 1, lettere a) e b), rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell'esercizio. A tal fine le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell'articolo 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono.
2. Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati dell'esercizio stesso per la loro quantità.
3. Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all'esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate a norma del comma 2, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente.
4. Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del «primo entrato, primo uscito» o con varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall'applicazione del metodo adottato.
5. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell'ultimo mese dell'esercizio, il valore minimo di cui al comma 1, è determinato moltiplicando l'intera quantità dei beni, indipendentemente dall'esercizio di formazione, per il valore normale. Per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di chiusura dell'esercizio. Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore.
6. I prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell'esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell'esercizio stesso, salvo quanto stabilito nell'articolo 93 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale.
7. Le rimanenze finali di un esercizio nell'ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell'esercizio successivo.
8. Per gli esercenti attività di commercio al minuto che valutano le rimanenze delle merci con il metodo del prezzo al dettaglio si tiene conto del valore così determinato anche in deroga alla disposizione del comma 1, a condizione che nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione del detto metodo, con riferimento all'oggetto e alla struttura organizzativa dell'impresa.

Le rimanenze hanno una disciplina che permette, già da un punto di vista aziendalistico, di correlare costi e ricavi. Occorre utilizzare beni valutati allo stesso modo. Le rimanenze non sono deducibili finché non vengono vendute.
L’articolo 92 prevede tre metodi per la valorizzazione delle rimanenze, e rileva la scelta che l’azienda effettua tra queste tre alternative:
LIFO: abbassa il valore del magazzino, creando delle riserve occulte, in quanto contabilmente il magazzino vale 100, ma a mercato vale 1000;
FIFO: aumenta il valore del magazzino;
Costo medio ponderato.
La manovra d’estate del luglio 2008 ha introdotto il 92 bis, con il quale il legislatore ha previsto il FIFO per alcuni beni specifici come l’energia elettrica e il gas, in modo da far emergere le plusvalenze latenti.
Il comma cinque prevede che si possono dedurre le variazioni negative delle rimanenze dovute a svalutazioni nel rispetto del principio della prudenza.
Quando il valore unitario medio trovato utilizzando i tre metodi è superiore a al valore normale medio dell’ultimo mese, allora è possibile svalutare il valore delle rimanenze a quello che si trova moltiplicando il valore unitario normale per la quantità di merce o beni posseduti in magazzino. La svalutazione così effettuata è deducibile.
Spesso le aziende svalutano le rimanenze ma solo civilisticamente, a causa della difficoltà di dimostrare (per la maggior parte delle categorie di beni, per i quali non esiste un listino prezzi ufficiale) al fisco l’effettività del valore normale sulla base del quale si è proceduto alla svalutazione.
Tanto le rimanenza prima o poi saranno da vendere o distruggere, e quindi a quel punto si potrà rilevare la perdita senza eccessiva difficoltà.
Per beni come il petrolio o i cerali è più facile calcolare la media del valore normale dell’ultimo mese, in quanto esistono dei listini.
Il 92 si occupa di fornire una disciplina sul trattamento degli scaglioni di LIFO o FIFO come conseguenza di tale svalutazione. Gli scaglioni precedentemente calcolati si annullano e si riparte da zero per il loro conteggio.


Opere e fornitura di servizi di durata ultra annuale


La variazione di questa fattispecie di rimanenze, rispetto al loro valore iniziale concorre a formare il reddito.

Art. 93 del TUIR: Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale
1. Le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell'esercizio. A tal fine le rimanenze finali, che costituiscono esistenze iniziali dell'esercizio successivo, sono assunte per il valore complessivo determinato a norma delle disposizioni che seguono per la parte eseguita fin dall'inizio dell'esecuzione del contratto, salvo il disposto del comma 4.
2. La valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti. Delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finché non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento. Per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati.
3. Il valore determinato a norma del comma 2 può essere ridotto per rischio contrattuale, a giudizio del contribuente, in misura non superiore al 2 per cento. Per le opere, le forniture ed i servizi eseguiti all'estero, se i corrispettivi sono dovuti da soggetti non residenti, la misura massima della riduzione è elevata al 4 per cento.
4. I corrispettivi liquidati a titolo definitivo dal committente si comprendono tra i ricavi e la valutazione tra le rimanenze, in caso di liquidazione parziale, è limitata alla parte non ancora liquidata. Ogni successiva variazione dei corrispettivi è imputata al reddito dell'esercizio in cui è stata definitivamente stabilita.
5. In deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 4 le imprese che contabilizzano in bilancio le opere, forniture e servizi, valutando le rimanenze al costo e imputando i corrispettivi all'esercizio nel quale sono consegnate le opere o ultimati i servizi e le forniture, possono essere autorizzate dall'ufficio dell’Agenzia delle entrate ad applicare lo stesso metodo anche ai fini della determinazione del reddito. La richiesta dell'autorizzazione è presentata all’ufficio dell’Agenzia delle entrate e si intende accolta se l’ufficio non notifica avviso contrario entro tre mesi. L’autorizzazione ha effetto a partire dall'esercizio in corso alla data in cui è rilasciata. L’autorizzazione ha effetto a condizione che il contribuente adotti il metodo contabile previsto nel presente comma per tutte le opere, forniture e servizi.
6. Alla dichiarazione dei redditi deve essere allegato, distintamente per ciascuna opera, fornitura o servizio, un prospetto recante l'indicazione degli estremi del contratto, delle generalità e della residenza del committente, della scadenza prevista, degli elementi tenuti a base per la valutazione e della collocazione di tali elementi nei conti dell'impresa.
7. [Per i contratti di cui al presente articolo i corrispettivi pattuiti in valuta estera non ancora riscossi si considerano come crediti ancorché non risultanti in bilancio]

Le commesse si intendono pluriennali quando hanno una durata superiore ai 12 mesi, e in questo si differenziano dalle opere in  corso, le quali sono a cavallo di due esercizi, ma durano meno di 12 mesi.
Comma 2: la valutazione di tali rimanenze è effettuata sulla base dei corrispettivi pattuiti in rapporto alla quota di opera eseguita: % di opera eseguita X corrispettivo pattuito.
Il 93 quind, rispetto al 92, obbliga a considerare insieme alla quota di costo anche la quota di margine, in quanto non si valuta al costo ma al corrispettivo pattuito (corrispettivo = costo + margine).
La ratio di questa disciplina sta nel fatto che essendo le commesse pluriennali regolate da un contratto, esse portano con se un ricavo certo e obiettivamente calcolabile.
Fino al 2006 erano valutate anche al costo, qualora ciò fosse stato autorizzato dall’amministrazione finanziaria; tale concessione fu eliminata dalla manovra visco-bersani con il D Lgs 38, con lo scopo di creare una neutralità normativa tra IT GAAP e IAS. IL suddetto D Lgs 38 prevede inoltre che chi utilizza gli IAS (e quindi possa scegliere solo tra FIFO e Costo medio ponderato) abbia la possibilità, attraverso la creazione di un doppio binario, di utilizzare fiscalmente il LIFO come concesso dagli IT GAAP.


Valutazione titoli


La valutazione di cui all’articolo 92 è applicabile anche nel caso di possesso do titoli azionari o obbligazionari da parte dell’azienda. Questo vale per le partecipazioni (possesso di azioni) iscritte nel capitale circolante, o per le obbligazioni.
Per la loro valutazione si può utilizzare il LIFO, il FIFO, o il Costo Medio Ponderato. A tal proposito bisogna raggruppare i titoli in base alla loro natura e al loro emittente, a prescindere dal loro valore. Si individua la categoria in base al soggetto emittente e alla loro natura di titoli azionari o obbligazionari. Ma se per le rimanenze la svalutazione è sempre deducibile, per i titoli questo non sempre vale.
Questo ha causa del regime della Partecipation Exception, in quanto sarebbe stato incoerente da paret del legislatore esentare le plusvalenze sulle partecipazioni e poi lasciar dedurre la loro eventuale svalutazione. Appare chiara la coerenza dell’irrilevanza fiscale delle svalutazione delle partecipazione sottoposte al regime PEPS, mentre dovrebbero essere comunque deducibili, a rigor di logica, le svalutazioni sulle partecipazioni al di fuori da tale regime fiscale. Ciò non avviene, ma esiste una simmetria tra il trattamento delle plusvalenze e quello delle svalutazioni, poiché anche se non viene considerata deducibile la svalutazione, nel momento in cui la società venderà la partecipazione (cosa che avverrà di certo dato che stiamo parlando di partecipazioni detenute per la vendita) registrerà una minusvalenza che a quel punto sarà deducibile. Quindi si tratta semplicemente di spostare al futuro una deduzione.
Per quanto riguarda le obbligazioni esse possono essere svalutate, e tale minor valore sarà deducibile solo per le obbligazioni quotate per le quali esiste un listino e quindi un valore normale calcolabile oggettivamente.


Interessi passivi

 
Dal 2004 vi sono state molte modifiche per quanto riguarda il loro trattamento. Si tratta soprattutto dell’eliminazione degli articoli 97 e 98, rispettivamente sul prorata patrimoniale e sulla Thin-Capitalisation.
Per molti anni si è cercato di rimediare al problema della thin-capitalisation (sottocapitalizzazione), comportamento molto diffuso anche a causa dell’effetto leva che consentiva, e alla limitata responsabilità (in termine di capitale di rischio) dei soci. Per incentivare la capitalizzazione il legislatore ha da sempre previsto degli incentivi fiscali; ad esempio prima del 2004 era prevista una minor aliquota fiscale per chi reinvestiva gli utili.

Art 98 del TUIR: Contrasto all'utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione)
1. La remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui al comma 4, direttamente o indirettamente erogati o garantiti da un socio qualificato o da una sua parte correlata, computata al netto della quota di interessi indeducibili in applicazione dell'articolo 3, comma 115 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, è indeducibile dal reddito imponibile qualora il rapporto tra la consistenza media durante il periodo d'imposta dei finanziamenti di cui al comma 4 e la quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo e delle sue parti correlate, aumentato degli apporti di capitale effettuati dallo stesso socio o da sue parti correlate in esecuzione dei contratti di cui all'articolo 109272, comma 9, lettera b), sia superiore a quello di quattro a uno.
2. Il comma 1 non si applica nel caso in cui:
l'ammontare complessivo dei finanziamenti di cui al comma 4 non eccede quattro volte il patrimonio netto contabile determinato con i criteri di cui alla lettera e) del comma 3;
il contribuente debitore fornisce la dimostrazione che l'ammontare dei finanziamenti di cui al comma 4 è giustificato dalla propria esclusiva capacità di credito e che conseguentemente gli stessi sarebbero stati erogati anche da terzi indipendenti con la sola garanzia del patrimonio sociale.
3. Ai fini dell'applicazione del comma 1:
si considerano eccedenti i finanziamenti di cui al comma 4 per la parte della loro consistenza media eccedente il rapporto di cui al comma 1;
 si considerano parti correlate al socio qualificato le società da questi controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile e se persona fisica anche i familiari di cui all'articolo 5, comma 5;
il socio è qualificato quando:
direttamente o indirettamente controlla ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile il soggetto debitore;
partecipa al capitale sociale dello stesso debitore con una percentuale pari o superiore al 25 per cento, alla determinazione della quale concorrono le partecipazioni detenute da sue parti correlate. Non si considerano soci qualificati i soggetti di cui all'articolo 74273;
ai finanziamenti erogati o garantiti dal socio qualificato si aggiungono quelli erogati o garantiti da sue parti correlate;
per il calcolo della quota di pertinenza del socio qualificato e di sue parti correlate si considera il patrimonio netto contabile, così come risultante dal bilancio relativo all'esercizio precedente, comprensivo dell'utile dello stesso esercizio non distribuito, rettificato in diminuzione per tenere conto:
dei crediti risultanti nell'attivo patrimoniale relativi ad obblighi di conferimento ancora non eseguiti;
del valore di libro delle azioni proprie in portafoglio;
delle perdite subite nella misura in cui entro la data di approvazione del bilancio relativo al secondo esercizio successivo a quello cui le stesse si riferiscono non avvenga la ricostituzione del patrimonio netto mediante l'accantonamento di utili o l'esecuzione di conferimenti in danaro o in natura;
del valore di libro o, se minore del relativo patrimonio netto contabile, delle partecipazioni in società controllate e collegate di cui all'articolo 73274, comma 1, lettera a) e di cui all'articolo 5, diverse da quelle di cui al successivo comma 5;
la consistenza media dei finanziamenti di cui al comma 4 si determina sommando il relativo ammontare complessivo esistente al termine di ogni giornata del periodo d'imposta e dividendo tale somma per il numero dei giorni del periodo stesso. Non concorrono alla determinazione della consistenza i finanziamenti infruttiferi erogati o garantiti dai soci qualificati o da sue parti correlate a condizione che la remunerazione media di cui alla lettera g) non sia superiore al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di un punto percentuale;
la remunerazione dei finanziamenti eccedenti è calcolata applicando agli stessi il tasso che corrisponde al rapporto tra la remunerazione complessiva dei finanziamenti di cui al comma 4 maturata nel periodo d'imposta e la consistenza media degli stessi.
4. Ai fini della determinazione del rapporto di cui al comma 1 rilevano i finanziamenti erogati o garantiti dal socio qualificato o da sue parti correlate intendendo per tali quelli derivanti da mutui, da depositi di danaro e da ogni altro rapporto di natura finanziaria.
5. Ai fini della determinazione del rapporto di cui al comma 1 non rilevano i finanziamenti assunti nell'esercizio dell'attività bancaria o dell'attività svolta dai soggetti indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, con esclusione delle società che esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni.
6. Si intendono garantiti dal socio o da sue parti correlate i debiti assistiti da garanzie reali, personali e di fatto fornite da tali soggetti anche mediante comportamenti ed atti giuridici che, seppure non formalmente qualificandosi quali prestazioni di garanzia, ottengono lo stesso effetto economico.
7. Il presente articolo non si applica ai contribuenti il cui volume di ricavi non supera le soglie previste per l'applicazione degli studi settore. Si applica, in ogni caso, alle società che esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni.

L’articolo 98 prevedeva l’indeducibilità degli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti,o direttamente esercitati, da un socio, qualora essi superassero il rapporto di quattro a uno con il patrimonio netto della società finanziata.
Gli interessi passivi relativi alla parte di finanziamento eccedente questo rapporto di quattro volte il valore del patrimonio netto erano indeducibili. La norma mirava a far aumentare il patrimonio netto per rendere maggiori i finanziamenti deducibili.
Questa norma è criticata per l’eccessività del rapporto tra finanziamento e patriomonio netto (nel resto dell’Europa non superava il rapporto di due a uno, e per le problematiche di calcolo.
Gli interessi indeducibili subivano una riqualificazione in capo al soggetto concedente.
Come mai gli interessi su quel 920000 di finanziamento non sono deducibili? Questi interessi passivi vengono riclassificati in capo alla concedente com dividendi, e non più come interessi attivi, Questa è la vera ratio di questa norma, evitare che il socio faccia passare come interessi attivi quelli che in realtà sono veri e propri dividendi. In questo modo però i dividendi sono indeducibili solo in capo a chi li paga, mentre per chi li riceve sono addirittura esclusi per evitare la doppia tassazione, mentre se fossero interessi attivi sarebbero tassati. Quindi in realtà è quasi un incentivo.
Per quanto riguarda la norma sulla riqualificazione, questa non vale per i debiti garantiti ma solo per quelli direttamente erogati dal socio; nel caso di finanziamenti solamente garantiti da parte del socio, la parte eccedente il suddetto rapporto era solo indeducibile in capo al soggetto finanziato.
Questa norma delinea una relazione inversamente proporzionale tra il patrimonio netto e gli interessi passivi indeducibile: maggiore è il patrimonio netto, minori sono gli interessi indeducibili, ma anche la necessità di ricorrere al finanziamento.

Art 97 del TUIR: Pro rata patrimoniale
1. Nel caso in cui alla fine del periodo d'imposta il valore di libro delle partecipazioni di cui all'articolo 87 eccede quello del patrimonio netto contabile, la quota di interessi passivi che residua dopo l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 98, al netto degli interessi attivi, è indeducibile per la parte corrispondente al rapporto fra tale eccedenza ed il totale dell'attivo patrimoniale ridotto dello stesso patrimonio netto contabile e dei debiti commerciali. La parte indeducibile determinata ai sensi del periodo precedente è ridotta in misura corrispondente alla quota imponibile dei dividendi percepiti relativi alle stesse partecipazioni di cui all'articolo 87.
1-bis. Agli effetti del comma 1, il requisito di cui all’articolo 87, comma 1, lettera a), si intende conseguito qualora le partecipazioni siano possedute ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello della fine del periodo d’imposta.
2. Per il calcolo dell'eccedenza di cui al primo comma:
il patrimonio netto contabile, comprensivo dell'utile dell'esercizio, è rettificato in diminuzione con gli stessi criteri di cui all'articolo 98, comma 3, lettera e), numeri 1) e 3);
non rilevano:
le partecipazioni in società il cui reddito concorre insieme a quello della partecipante alla formazione dell'imponibile di gruppo di cui alle sezioni II e III del presente capo, salvo quanto previsto rispettivamente dagli articoli 124, comma 1, lettera a), e 138, comma 1, delle predette sezioni;
quelle in società il cui reddito è imputato ai soci anche per effetto dell'opzione di cui all'articolo 115. Tuttavia, nel caso in cui entro il terzo anno successivo all'acquisto avvenga la cessione di tali partecipazioni, il reddito imponibile è rettificato in aumento dell'importo corrispondente a quello degli interessi passivi dedotti nei precedenti esercizi per effetto della previsione di cui al primo periodo.

L’articolo 97 invece colpiva comunque la thin capitalisation, ma con altre finalità; se l’impresa aveva partecipazioni esenti era necessario che si controllasse se esse fossero state acquisti con capitale di debito oppure no. In caso affermativo gli interessi passivi di tale debito erano fiscalmente indeducibili in quanto costi legati a un provento esente. Occorreva a tale scopo verificare a fine esercizio il valore di carico delle partecipazioni esenti, e qualora questo valore fosse stato maggiore dell patrimonio netto dell’aquirente significava che la parte eccedente era stata acquista ricorrendo al capitale di debito. Ovviamente si tratta questa di una presunzione di indebitamento.
Si presume che di quei 1000 di debiti 500 siano stati usati per acquisire partecipazioni esenti, quindi gli interessi passivi su questi 500 non saranno deducibili.
A seguito della legge 24 del 2007 (finanziaria 2008) gli articoli 987 e 98 sono stati abrogati per modificare l’articolo 96 e farne una norma più completa.

Art. 96 del TUIR: Interessi Passivi
1. Gli interessi passivi e gli oneri assimilati, diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi del comma 1, lettera b), dell'articolo 110, sono deducibili in ciascun periodo d'imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L'eccedenza e' deducibile nel limite del 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. La quota del risultato operativo lordo prodotto a partire dal terzo periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di competenza, può essere portata ad incremento del risultato operativo lordo dei successivi periodi d'imposta.
2. Per risultato operativo lordo si intende la differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell'articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui al numero 10, lettere a) e b), e dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, così come risultanti dal conto economico dell'esercizio; per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali si assumono le voci di conto economico corrispondenti.
3. Ai fini del presente articolo, assumono rilevanza gli interessi passivi e gli interessi attivi, nonché gli oneri e i proventi assimilati, derivanti da contratti di mutuo, da contratti di locazione finanziaria, dall'emissione di obbligazioni e titoli similari e da ogni altro rapporto avente causa finanziaria, con esclusione degli interessi impliciti derivanti da debiti di natura commerciale e con inclusione, tra gli attivi, di quelli derivanti da crediti della stessa natura. Nei confronti dei soggetti operanti con la pubblica amministrazione, si considerano interessi attivi rilevanti ai soli effetti del presente articolo anche quelli virtuali, calcolati al tasso ufficiale di riferimento aumentato di un punto, ricollegabili al ritardato pagamento dei corrispettivi.
4. Gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati indeducibili in un determinato periodo d'imposta sono dedotti dal reddito dei successivi periodi d'imposta, se e nei limiti in cui in tali periodi l'importo degli interessi passivi e degli oneri assimilati di competenza eccedenti gli interessi attivi e i proventi assimilati sia inferiore al 30 per cento del risultato operativo lordo di competenza.
5. Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano alle banche e agli altri soggetti finanziari indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, con l'eccezione delle società che esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quelle creditizia o finanziaria, alle imprese di assicurazione nonché alle società capogruppo di gruppi bancari e assicurativi. Le disposizioni dei commi precedenti non si applicano, inoltre, alle società consortili costituite per l'esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, ai sensi dell'articolo 96 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, alle società di progetto costituite ai sensi dell'articolo 156 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e alle società costituite per la realizzazione e l'esercizio di interporti di cui alla legge 4 agosto 1990, n. 240, e successive modificazioni, nonché alle società il cui capitale sociale e' sottoscritto prevalentemente da enti pubblici, che costruiscono o gestiscono impianti per la fornitura di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché impianti per lo smaltimento e la depurazione.
6. Resta ferma l'applicazione prioritaria delle regole di indeducibilità assoluta previste dall'articolo 90, comma 2, e dai commi 7 e 10 dell'articolo 110 del presente testo unico, dall'articolo 3, comma 115, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, in materia di interessi su titoli obbligazionari, e dall'articolo 1, comma 465, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, in materia di interessi sui prestiti dei soci delle società cooperative.
7. In caso di partecipazione al consolidato nazionale di cui alla sezione II del presente capo, l'eventuale eccedenza di interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili generatasi in capo a un soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino, per lo stesso periodo d'imposta, un risultato operativo lordo capiente non integralmente sfruttato per la deduzione. Tale regola si applica anche alle eccedenze oggetto di riporto in avanti, con esclusione di quelle generatesi anteriormente all'ingresso nel consolidato nazionale. 8. Ai soli effetti dell'applicazione del comma 7, tra i soggetti virtualmente partecipanti al consolidato nazionale possono essere incluse anche le società estere per le quali ricorrerebbero i requisiti e le condizioni previsti dagli articoli 117, comma 1, 120 e 132, comma 2, lettere b) e c). Nella dichiarazione dei redditi del consolidato devono essere indicati i dati relativi agli interessi passivi e al risultato operativo lordo della società estera corrispondenti a quelli indicati nel comma 2.

A seguito di questa riforma si utilizza una percentuale calcolata sul margine operativo lordo: gli interessi passivi sono prima nettizzati con gli interessi attivi, dopodiché la parte residua è deducibile per una quota pari al 30% del MOL. In questo modo vengono premiate le società redditizie, più alto è il MOL più alta è la possibilità di indebitarsi. Questa norma è derivante dalla legislazione tedesca.
Per calcolare il MOL si rimanda ai valori del bilancio civilistico. Il valore così ottenuto è aumentato del valore degli ammortamenti e dei canoni di leasing che non vengono considerati tra i componenti negativi di reddito (norma a favore dell’impresa).
Qual’ora gli interessi passivi nettizzati siano minori rispetto al 30% del MOL tale differenze è portata aventi negli esercizi successivi senza alcun limite di tempo (inizialmente era previsto un limite di 10 anni che ora non esiste più) con delle conseguenze: tale differenze è trattata a tutti gli effetti come una differenza temporanea e prima o poi sarà assorbita. Ciò non potrebbe accadere nel caso opposto, poiché non è detto che l’azienda riesca nella sua vita ad avere un MOL > degli interessi passivi nettizzati. Per questo motivo non è previsto la proiezione al futuro degli interessi passivi netti eccedenti il 30% del MOL.
Sono considerati ai fini di questa norma gli oneri legati a voci di natura finanziaria. Occorre soffermarsi sui contratti di leasing: ricadono nell’articolo 96 solo i canoni passivi dei leasing finanziari e non quelli operativi.
Non esiste una norma di codice civile precisa che disciplina il Leasing Finanziario, in quanto questo è un vero e proprio contratto atipico. Ci si rifà a quanto previsto dagli IAS, o meglio a come l’ordinamento italiano ha recitato le indicazioni IASB: nel Leasing Finanziario prevale l’ottica di finanziamento, la durata del contratto coincide con la vita utile del cespite, e i rischi legati a questo restano in capo alla società utilizzatrice. Ulteriore elemento di rinforzo è la presenza di una clausolo di riscatto.
Nel Leasing Operativo invece prevale l’ottica di prestazione di un servizio rispetto a quella di finanziamento del bene, i cui rischi restano in capo alla società di leasing.
Vi sono altre disposizioni all’interno del 96: nel caso in cui il soggetto indebitato paccia parte di un gruppo nel quale viga l’istituto del consolidato fiscale, allora l’eventuale eccedenza tra interessi passivi netti e MOL della società indebitato potrà essere compensata con l’eventuale quota di MOL che eccede gli interessi passivi delle altre società del gruppo (compensazione dei MOL).
Come previsto dal comma 5 di questo articolo, per la banche è prevista l’inapplicabilità di tale norma, dato che gli interessi passivi sono alla base della loro attività operativa: il comma 5 siu riferisce indifferentemente alle banche e agli altri istituti finanziari.
Il comma sei invece prevede che le clausole di indeduciblità previste da altri articoli siano comunque applicabili a prescindere da quanto previsto dai commi precedenti. Un esempio a tal proposito fa riferimento alla legge 549 del 95 riguardo all’indeducibilità degli interessi passivi sui prestiti obbligazionari. Anche questa, come altre, è una norma anti-elusiva: ipotizziamo che una società emetta un prestito obbligazionario che venga sottoscritto interamente da un socio; (pratica molto in voga negli anni ’90); se gli interessi passivi fossero stati deducibili si sarebbe creata la possibilità di effettuare arbitraggio fiscale, in quanto il socio riceveva un utile (interessi passivi) tassato al 12,5%, e l’azienda avrebbe dedotto un costo all’aliquota IRES. Si creava quindi un gaap di aliquote.
La suddetta legge 549 del 95 ha quindi previsto che gli interessi passivi siano deducibili solo qualora non superino di 2/3 il tasso di mercato (tasso ufficiale di riferimento).


Ammortamenti dei beni materiali


La norma tributaria si discosta dalle risultanze civilistiche poiché prevede criteri molto rigidi circa la deducibilità degli ammortamenti attraverso l’uso di coefficienti stabiliti da un apposito decreto ministeriale che indicano il valore massimo ammortizzabile ai fini fiscali.
Il codice civili invece concedeva all’impresa di scegliere soggettivamente le quote di ammortamento in base alla vita utile stimata.
La ratio che sta dietro a questa norma è evidente: il legislatore fiscale non si discosta dal principio della certezza, in quanto la discrezionalità concessa alle società poteva essere anche usata per fini elusivi.

Art 102 del TUIR: Ammortamento dei beni materiali
1. Le quote di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali per l'esercizio dell'impresa sono deducibili a partire dall'esercizio di entrata in funzione del bene.
2. La deduzione e' ammessa in misura non superiore a quella risultante dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ridotti alla metà per il primo esercizio. I coefficienti sono stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi.
3. [La misura massima indicata nel comma 2 può essere superata in proporzione alla più intensa utilizzazione dei beni rispetto a quella normale del settore. La misura stessa può essere elevata fino a due volte, per ammortamento anticipato nell'esercizio in cui i beni sono entrati in funzione per la prima volta e nei due successivi; nell'ipotesi di beni già utilizzati da parte di altri soggetti, l'ammortamento anticipato può essere eseguito dal nuovo utilizzatore soltanto nell'esercizio in cui i beni sono entrati in funzione. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, la indicata misura massima può essere variata, in aumento o in diminuzione, nei limiti di un quarto, in relazione al periodo di utilizzabilità dei beni in particolari processi produttivi.]
4. In caso di eliminazione di beni non ancora completamente ammortizzati dal complesso produttivo, il costo residuo e' ammesso in deduzione.
5. Per i beni il cui costo unitario non e' superiore a 516,46 euro e' consentita la deduzione integrale delle spese di acquisizione nell'esercizio in cui sono state sostenute.
6. Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione,che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all'inizio dell'esercizio dal registro dei beni ammortizzabili; per le
imprese di nuova costituzione il limite percentuale si calcola, per il primo esercizio, sul costo complessivo quale risulta alla fine dell'esercizio; per i beni ceduti, nonché per quelli acquisiti nel corso dell'esercizio, compresi quelli costruiti o fatti costruire, la deduzione spetta in proporzione alla durata del possesso ed e' commisurata, per il cessionario, al costo di acquisizione. L'eccedenza e' deducibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi. Per specifici settori produttivi possono essere stabiliti, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, diversi criteri e modalita' di deduzione. Resta ferma la deducibilità nell'esercizio di competenza dei compensi periodici dovuti contrattualmente a terzi per la manutenzione di determinati beni, del cui costo non si tiene conto nella determinazione del limite percentuale sopra indicato.
7. Per i beni concessi in locazione finanziaria l'impresa concedente che imputa a conto economico i relativi canoni deduce quote di ammortamento determinate in ciascun esercizio nella misura risultante dal relativo piano di ammortamento finanziario. Per l'impresa utilizzatrice che imputa a conto economico i canoni di locazione finanziaria, la deduzione e' ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore ai due terzi del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del comma 2, in relazione all'attivita' esercitata dall'impresa stessa; in caso di beni immobili, qualora l'applicazione della regola di cui al periodo precedente determini un risultato inferiore a undici anni ovvero superiore a diciotto anni, la deduzione e' ammessa se la durata del contratto non e', rispettivamente, inferiore a undici anni ovvero pari almeno a diciotto anni.
Per i beni di cui all'articolo 164, comma 1, lettera b), la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria e' ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del comma 2. La quota di interessi impliciti desunta dal contratto e' soggetta alle regole dell'articolo 96.
8. Per le aziende date in affitto o in usufrutto le quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito dell'affittuario o dell'usufruttuario. Le quote di ammortamento sono commisurate al costo originario dei beni quale risulta dalla contabilità del concedente e sono deducibili fino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato ovvero, se il concedente non ha tenuto regolarmente il registro dei beni ammortizzabili o altro libro o registro secondo le modalità di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435, e dell'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 695, considerando già dedotte, per il 50 per cento del loro ammontare, le quote relative al periodo di ammortamento già decorso. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di deroga convenzionale alle norme dell'articolo 2561 del codice civile, concernenti l'obbligo di conservazione dell'efficienza dei beni ammortizzabili.
9. Le quote d'ammortamento, i canoni di locazione anche finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico di cui alla lettera gg) del comma 1 dell'articolo 1 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, sono deducibili nella misura dell'80 per cento. La percentuale di cui al precedente periodo e' elevata al 100 per cento per gli oneri relativi ad impianti di telefonia dei veicoli utilizzati per il trasporto di merci da parte di imprese di autotrasporto limitatamente ad un solo impianto per ciascun veicolo.

Definizione di bene strumentale: cespite aziendale utilizzato per la produzione di quei beni a cui è destinata l’attività di impresa.
Precedentemente era consentito, alle imprese che avessero dimostrato di utilizzare il bene strumentale in maniera più intensiva di quella media, di ammortizzare il bene con un’aliquota maggiore senza alcuna limitazione normativa: si trattava del cosiddetto ammortamento accelerato.
Inoltre per i primi tre anni di vita del bene all’impresa era consentito di ammortizzare il bene con un’aliquota doppia rispetto a quella normalmente utilizzata: ammortamento anticipato. Questo tipo di ammortamento prevedeva che la quota di ammortamento doppia non fosse imputata in conto economico, ma che venisse effettuata una variazione in diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi.
Questi due casi atipici di ammortamento sono stati eliminati dalla legge finanziaria del 2008.
Il primo anno di vita del bene è prevista un’aliquota pari alla metà di quella degli altri anni, poiché non capita mai che un bene sia acquistato il primo giorno dell’esercizio, nonostante sarebbe stato più equo prevedere un proquota mensile.
Con la finanziaria 2008 tornano ad avere rilevanza fiscale i dati civilistici (se non eccedenti le aliquote ministeriali previste), ma è altresì vero che non sono accettate modifiche dei piani di ammortamento degli esercizi precedenti se non adeguatamente motivati. La maggior rilevanza civilistica fa si che ci siano meno contenziosi da parte dell’amministrazione finanziaria.
Le spese di manutenzione ordinaria (quella straordinaria va in SP in quanto aumenta il valore del bene) sono deducibili per una somma che non ecceda il 5% delle immobilizzazioni inserite a bilancio.
Comma 7: i canoni di leasing sono deducibili allorquando il suddetto contratto sia stato stipulato con una durata non inferiore alla vita utile del bene derivante dall’applicazione delle aliquote ministeriali. Le società di leasing invece deducono gli ammortamenti del bene secondo il rispettivo piano di ammortamento finanziario.
Secondo gli IAS il bene preso in leasing finanziario viene direttamente iscritto a stato patrimoniale della società ricevente nel rispetto del principio di prevalenza della sostanza sulla forma. Nel passivo dello Stato Patrimoniale invece sarà inserito il debito verso la società di leasing diminuito di anno in anno in base ai canoni pagati. In conto economico sarà invece imputato il solo onere finanziario legato al canone (gli interessi passivi).
Per alcuni anni si è dibattuto sulla modalità di trattamento degli ammortamenti così calcolati finché un decreto ministeriale del 2005 aveva previsto la possibilità di dedurre sia l’ammortamento sia gli interessi passivi anche qualora la somma di questi due fosse eccedente il valore dei canoni.
Con la modifica all’articolo 83 avvenuta per mano della finanziaria 2008 (per i soggetti che li utilizzano essi valgono, anche in deroga alle disposizioni successive, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti per gli IAS) il problema è stato risolto alla radice. Rileva fiscalmente i criteri di imputazione temporale e classificazione previsti per gli IAS e quindi anche quello qui oggetto di analisi. Il bene in leasing inserito in SP rileva anche ai fini del calcolo del 5% utilizzato come soglia delle spese di manutenzione deducibili.
L’articolo 102 bis prevede le modalità di ammortamento per le società che operano nel campo delle concessioni di determinate infrastrutture.


Ammortamenti dei beni immateriali


Secondo l’articolo 103 nche per questi beni sono previste aliquote fiscali precise per perseguire la stessa ratio dell’articolo 102.
Le opere di ingegno e i brevetti sono ammortizzabili fino ad un massimo del 50% l’anno, mentre i marchi e avviamento sono deducibili per una quota massima di 1/18. In ogni caso fa fede la quota di ammortamento iscritta a conto economico purché non ecceda tali limiti.
Il comma 3 è una norma contraddittoria dedicata ai soggetti IAS: c’è una deroga al principio della previa imputazione, in quanto viene concessa la deduzione dell’ammortamento dei marchi e dell’avviamento nonostante per gli IAS essi non siano ammortizzabili ma sottoposti all’impairment test annuale.  L’ammontare deducibile è pari a 1/18 del loro valore mentre non sono riconosciute le svalutazioni o rivalutazione dovuta al Fair Velue in quanto per l’articolo 102 continua a far fede il costo.

Art. 103 del TUIR: Ammortamento dei beni immateriali
1. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in misura non superiore a un terzo del costo; quelle relative al costo dei marchi d'impresa sono deducibili in misura non superiore ad un decimo del costo.
2. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell'attivo del bilancio sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge.
3. Le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto nell'attivo del bilancio sono deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del valore stesso.
4. Si applica la disposizione del comma 8 dell'articolo 102.

L’articolo 104 invece prevede una particolare normativa per le società che riceve in concessione beni gratuitamente devolvibili alla fine del contratto. Il concessionario può ammortizzare il suddetto bene secondo il un piano di ammortamento finanziario (costo del bene/numero di anni del contratto) in alternativa alle aliquote previste dal 102.

Art. 104 del TUIR: Ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili
1. Per i beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di una concessione è consentita, in luogo dell'ammortamento di cui agli articoli 102 e 103, la deduzione di quote costanti di ammortamento finanziario.
2. La quota di ammortamento finanziario deducibile è determinata dividendo il costo dei beni, diminuito degli eventuali contributi del concedente, per il numero degli anni di durata della concessione, considerando tali anche le frazioni. In caso di modifica della durata della concessione, la quota deducibile è proporzionalmente ridotta o aumentata a partire dall'esercizio in cui la modifica è stata convenuta.
3. In caso di incremento o di decremento del costo dei beni, per effetto di sostituzione a costi superiori o inferiori, di ampliamenti, ammodernamenti o trasformazioni, di perdite e di ogni altra causa, la quota di ammortamento  inanziario deducibile è rispettivamente aumentata o diminuita, a partire dall'esercizio in cui si è verificato l'incremento o il decremento, in misura pari al relativo ammontare diviso per il numero dei residui anni di durata della concessione.
4. Per le concessioni relative alla costruzione e all'esercizio di opere pubbliche sono ammesse in deduzione quote di ammortamento finanziario differenziate da calcolare sull'investimento complessivo realizzato. Le quote di ammortamento sono determinate nei singoli casi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze in rapporto proporzionale alle quote previste nel piano economico-finanziario della concessione, includendo nel costo ammortizzabile gli interessi passivi anche in deroga alle disposizioni del comma 1 dell'articolo 110.


Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite


Le minusvalenze sono quelle componenti negative di reddito derivante dall’alienazione di beni, non attinenti l’attività tipica dell’azienda, a un prezzo minore rispetto a quello di acquisto.
Le sopravvenienze passive invece riguardano il venir meno di un’attività di bilancio o il sopraggiungere di nuove passività, queste sono deducibili sempre che vengano rispettati i requisiti previsti dall’articolo 109 del TUIR che prevedono i criteri di certezza e calcolabilità.
Per quanto riguarda le perdite bisogna tenere in considerazione soprattutto le perdite su crediti, data l’importanza di questa particolare voce di bilancio.
L’articolo 106 del TUIR consente un accantonamento annuo dello 0,5% dell’ammontare dei crediti a un fondo svalutazione che può raggiungere un ammontare massimo pari al 5% dei crediti stessi.  Per gli accantonamenti effettuati in eccedenza di questi vincoli non sarà consentita la deduzione in sede di dichiarazione dei redditi.
L’articolo 101 prevede che in caso di crediti inesigibili questa rappresenti una componente negativa di reddito deducibile per la parte di perdita eccedente il fondo accantonato.
Negli ultimi anni i crediti sono spesso stati sottoposti ad operazione di cartolarizzazione e  alienazione. La cessione di questi crediti a società di cartolarizzazione potrebbe causare una minusvalenza nel caso in cui essi siano ceduti a un valore inferiore rispetto al proprio valore nominale. Secondo la Cassazione tale minusvalenza sarà deducibile solo nel caso in cui l’operazione si sia svolta in condizioni di economicità: la sentenza della cassazione trova spiegazione nel comportamento fraudolento di alcuni amministratori che cedevano i proprio crediti a un prezzo notevolmente inferiore al loro valore nominale per poter dedurre una minusvalenza maggiore.

Art. 101del TUIR: Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite
1. Le minusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1, e 87, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, lettere a), b) e c), e 2. 1-bis. Per i beni di cui all’articolo 87, fermi restando i requisiti ivi previsti al comma 1, lettere b), c) e d), l’applicazione del comma 1 del presente articolo è subordinata all’ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione, considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente.
2. Per la valutazione dei beni indicati nell'articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), che costituiscono immobilizzazioni finanziarie si applicano le disposizioni dell'articolo 94; tuttavia, per i titoli di cui alla citata lettera e) negoziati nei mercati regolamentati italiani o esteri, le minusvalenze sono deducibili in misura non eccedente la differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto e quello determinato in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo semestre.
3. Per le immobilizzazioni finanziarie costituite da partecipazioni in imprese controllate o collegate, iscritte in bilancio a norma dell'articolo 2426, n. 4), del codice civile o di leggi speciali, non è deducibile, anche a titolo di ammortamento, la parte del costo di acquisto eccedente il valore  corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio dell'impresa partecipata.
4. Si considerano sopravvenienze passive il mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, il sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi e la sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi diverse da quelle di cui all'articolo 87.
5. Le perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali. Ai fini del presente comma, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
6. Per le perdite derivanti dalla partecipazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice si applicano le disposizioni del comma 2 dell'articolo 8.7. I versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società indicate al comma 6 dai propri soci e la rinuncia degli stessi soci ai crediti non sono ammessi in deduzione ed il relativo ammontare si aggiunge al costo della partecipazione.

Le minusvalenze da alienazione crediti sono deducibili solo nel caso di cessione prosoluto, cioè per le cessioni a titolo definitivo.
Come al solito gli IAS creano problemi: l’eventuale cessione dei crediti, ancorché formalizzata giuridicamente, non è riconosciuta dagli IAS nel caso in cui la maggior parte dei rischi resti in capo alla società cedente, la quale continua, in questo caso, a tenere i crediti così ceduti iscritti nel suo attivo di bilancio.
Le perditi su crediti di cui al 101 sono deducibili solo qualora basate su elementi certi e precisi (criterio diverso rispetto a quello di certezza e oggettiva calcolabilità): per crediti di importo irrisorio è sufficiente dimostrare di aver inviato alcune lettere di sollecito per potere considerare il credito inesigibile (non varrebbe la pena cominciare una causa legale per un credito che vale meno della parcella dell’avvocato), mentre per crediti di dimensioni maggiore è diverso: bisogna aver avviato una causa legale con esito negativo, oppure la società debitrice deve essere sottoposta a procedura concorsuale (in tal caso se la procedura si concluderà con una distribuzione del capitale sociale ai creditori, allora si creerà una sopravvenienza attiva disciplinata dall’88).
Una volta che la società ha adempiuto a tutti i suoi doveri per cercare di ottenere il pagamento allora potrà dedurre la perdita sul credito.
Una volta che vengono accertati gli elementi certi e precisi la perdita potrà essere dedotta nello stesso esercizio, diverso è il caso di società debitrice sottoposta a procedure concorsuali, in tal caso le perdite potranno essere dedotte dalla data di dichiarazione della procedura senza limiti di tempo finché il fallimento è ancora in corso.
Esistono quattro tipologie di cause concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare:
- il fallimento;
- concordato preventivo;
- l’amministrazione controllata;
- la liquidazione coatta amministrativa.
Per quanto riguarda i crediti abbiamo già accennato all’articolo 106 che disciplina l’accantonamento al fondo svalutazione crediti.

Articolo 106 del TUIR: Svalutazione dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti
1. Le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi indicate nel comma 1 dell'articolo 85, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi. Nel computo del limite si tiene conto anche di accantonamenti per rischi su crediti. La deduzione non è più ammessa quando l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio.
2. Le perdite sui crediti di cui al comma 1, determinate con riferimento al valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, sono deducibili a norma dell'articolo 101, limitatamente alla parte che eccede l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi. Se in un esercizio l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti eccede il 5 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti, l'eccedenza concorre a formare il reddito dell'esercizio stesso.
3. Per gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela, compresi i crediti finanziari concessi a Stati, banche centrali o enti di Stato esteri destinati al finanziamento delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,40 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio, aumentato dell'ammontare delle svalutazioni dell'esercizio. L'ammontare complessivo delle svalutazioni che supera lo 0,40 per cento è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi. Ai fini del presente comma le svalutazioni si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio. Se in un esercizio l'ammontare complessivo delle svalutazioni è inferiore al limite dello 0,40 per cento, sono ammessi in deduzione, fino al predetto limite, accantonamenti per rischi su crediti. Gli accantonamenti non sono più deducibili quando il loro ammontare complessivo ha raggiunto il 5 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio.
4. Per gli enti creditizi e finanziari nell'ammontare dei crediti si comprendono anche quelli impliciti nei contratti di locazione finanziaria nonché la rivalutazione delle operazioni «fuori bilancio» iscritte nell'attivo in applicazione dei criteri di cui all'articolo 112.
5. Le perdite sui crediti di cui al comma 3, determinate con riferimento al valore di bilancio dei crediti, sono deducibili, ai sensi dell'articolo 101, limitatamente alla parte che eccede l'ammontare dell'accantonamento per rischi su crediti dedotto nei precedenti esercizi. Se in un esercizio l'ammontare del predetto accantonamento eccede il 5 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio, l'eccedenza concorre a formare il reddito dell'esercizio stesso.

L’accantonamento a fondo svalutazione crediti è deducibile per un importo non superiore allo 0,5% dei credit commerciali (e SOLO commerciali) iscritti a bilancio all’inizio dell’esercizio, solo se il fondo non ha ancora superato il 5% dei suddetti crediti commerciali.
L’articolo 106 effettua una precisazione: i crediti sui quali è stata effettuata una polizza assicurativa non  concorrono al calcolo delle suddette soglie, in quanto su di essi non esiste rischio di insolvenza, ed inoltre per questi crediti risulta già deducibile il costo della polizza, e quindi verrebbe concessa una doppia deduzione se tali crediti fossero considerati ai fini del calcolo dell’accantonamento deducibile.


Accantonamento a tfr e altri accantonamenti


L’accantonamento a TFR (ART 105) è deducibili per l’ammontare calcolato secondo i criteri espressi dal codice civile (no doppio binario), questo crea disallinemanto rispetto agli IAS che prevedono criteri diversi.

Art. 105 del TUIR: Accantonamenti di quiescenza e previdenza
1. Gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell'articolo 2117 del codice civile, se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti, sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell'esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti stessi.
2. I maggiori accantonamenti necessari per adeguare i fondi a sopravvenute modificazioni normative e retributive sono deducibili nell'esercizio dal quale hanno effetto le modificazioni o per quote costanti nell'esercizio stesso e nei due successivi.
3. E’ deducibile un importo non superiore al 3 per cento delle quote di accantonamento annuale del TFR destinate a forme pensionistiche complementari.
4. Le disposizioni dei commi 1 e 2 valgono anche per gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui all'articolo 17,290 comma 1, lettere c), d) e f).

Dato che civilisticamente le imprese impegnate in alcuni settori ritenuti ad alto rischio (vedi cantieri nautici o aeronautici) per queste il codice civile prevede l’obbligo di effettuare accantonamenti sui lavori ciclici su navi e aeromobili. Fiscalmente tali accantonamenti sono rilevanti per una loro quota.

Art 107 del TUIR: Altri Accantonamenti
1. Gli accantonamenti a fronte delle spese per lavori ciclici di manutenzione e revisione delle navi e degli aeromobili sono deducibili nei limiti del 5 per cento del costo di ciascuna nave o aeromobile quale risulta all'inizio dell'esercizio dal registro dei beni ammortizzabili. La differenza tra l'ammontare complessivamente dedotto e la spesa complessivamente sostenuta concorre a formare il reddito, o è deducibile se negativa, nell'esercizio in cui ha termine il ciclo.
2. Per le imprese concessionarie della costruzione e dell'esercizio di opere pubbliche e le imprese subconcessionarie di queste sono deducibili gli accantonamenti a fronte delle spese di ripristino o di sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili allo scadere della concessione e delle altre spese di cui al comma 6 dell'articolo 102. La deduzione è ammessa, per ciascun bene, nel limite massimo del cinque per cento del costo e non è più ammessa quando il fondo ha raggiunto l'ammontare complessivo delle spese relative al bene medesimo sostenute negli ultimi due esercizi. Se le spese sostenute in un esercizio sono superiori all'ammontare del fondo l'eccedenza è deducibile nell'esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quinto. L'ammontare degli accantonamenti non utilizzati concorre a formare il reddito dell'esercizio in cui avviene la devoluzione.
3. Gli accantonamenti a fronte degli oneri derivanti da operazioni a premio e da concorsi a premio sono deducibili in misura non superiore, rispettivamente, al 30 per cento e al 70 per cento dell'ammontare degli impegni assunti nell'esercizio, a condizione che siano distinti per esercizio di formazione. L'utilizzo a copertura degli oneri relativi ai singoli esercizi deve essere effettuato a  carico dei corrispondenti accantonamenti sulla base del valore unitario di formazione degli stessi e le eventuali differenze rispetto a tale valore costituiscono sopravvenienze attive o passive. L'ammontare dei fondi non utilizzato al termine del terzo esercizio successivo a quello di formazione concorre a  formare il reddito dell'esercizio stesso.
4. Non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente capo.


Consolidato fiscale


Abbiamo visto che ci sono delle norme per evitare il commercio delle perdite fiscali. Fino al 2003 le società che detenevano partecipazioni potevano svalutare il valore iscritto a bilancio e dedurre tale componente negativo (ad esempio per un ammontare pari alla perdita della società controllata). Dal 2004 questo non è più possibile. Dal primo gennaio dello stesso anno però alle società controllanti è concesso di il consolidato fiscale, in modo da utilizzare le perdite delle controllate; l’istituzione di questa procedura di calcolo del reddito non comporta il riconoscimento legale del gruppo: legalmente le società restano indipendenti.
La legge delega n° 80 del 7 aprile 2003 prevedeva i seguenti vincolo:
determinazione in capo alla holding di un’unica base imponibile su base opzionale;
consolidamento fiscale delle sole società su cui il controllo fosse risconociuto ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;
possibilità di trasferire beni plusvalenti in neutralità di imposta tra soggetti che partecipano al consolidato fiscale;
possibilità di escludere  i dividendi al 100%;
non utilizzabilità delle perdite fiscali pregresse all’interno del consolidato fiscale; esse restano utilizzabili solo in capo alla società che le ha conseguite;
criterio di responsabilità solidale tra i soggetti che partecipano al consolidato fiscale.
Se i punti 3 e 4 sono norme a favore delle imprese, gli ultimi due costituiscono una forma di tutela per il legislatore finanziario.
Il consolidato fiscale, che non ha nulla a che vedere con quello civilistico, è una mera sommatoria degli utili e perdite di esercizio conseguiti dalle società del gruppo.
Il consolidato fiscale nazionale a differenza di quello internazionale ha la caratteristica peculiare di far confluire i risultati d’esercizio delle società controllate interamente all’interno del consolidato fiscale indipendentemente dalla percentuale di controllo: questa proprietà rischia di creare tensioni all’interno del gruppo, in quanto il socio di minoranza potrebbe avere interesse ad utilizzare le perdite fiscali della propria società negli esercizi successivi per compensare gli eventuali utili futuri.
Per sanare tale diatriba il legislatore non ha previsto una norma che disponesse clausole precise per il risarcimento dei soci di minoranza, ma ha lasciato il calcolo di tale risarcimento alla contrattazione privata delle parti. A questo proposito il comma 4 dell’articolo 118 afferma che le somme versate in contropartita dei vantaggi fiscali ricevuti sono escluse dal calcolo del reddito imponibile.
I soggetti che possono usufruire del consolidato fiscale sono gli stessi previsti dall’articolo 73 come soggetti passivi IRES.

Art 117 del TUIR Soggetti ammessi alla tassazione di gruppo di imprese controllate residenti
1. La società o l'ente controllante e ciascuna società controllata rientranti fra i soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettere a) e b), fra i quali sussiste il rapporto di controllo di cui all'articolo 2359, comma 1, numero 1), del codice civile, con i requisiti di cui all'articolo 120, possono congiuntamente esercitare l'opzione per la tassazione di gruppo.
2. I soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), possono esercitare l'opzione di cui al comma 1 solo in qualità di controllanti ed a condizione:
di essere residenti in Paesi con i quali è in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione;
di esercitare nel territorio dello Stato un'attività d'impresa, come definita dall'articolo 55, mediante una stabile organizzazione, come definita dall’articolo 162, nel cui patrimonio sia compresa la partecipazione in ciascuna società controllata.
3. Permanendo il requisito del controllo di cui al comma 1, l’opzione l'opzione ha durata per tre esercizi sociali ed è irrevocabile. Nel caso venga meno tale requisito si determinano le conseguenze di cui all'articolo 124.

Art 118 del TUIR Effetti dell'esercizio dell'opzione
1. L'esercizio dell'opzione per la tassazione di gruppo di cui all'articolo 117 comporta la determinazione di un reddito complessivo globale corrispondente alla somma algebrica dei redditi complessivi netti da considerare, quanto alle società controllate, per l'intero importo indipendentemente dalla quota di partecipazione riferibile al soggetto controllante. Al soggetto controllante compete il riporto a nuovo della eventuale perdita risultante dalla somma algebrica degli imponibili, la liquidazione dell'unica imposta dovuta o dell'unica eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo.
1-bis. Ai fini della determinazione del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero di cui all’art.165:
per reddito complessivo deve intendersi il reddito complessivo globale;
la quota d’imposta italiana fino a concorrenza della quale è accreditabile l’imposta estera è calcolata separatamente per ciascuno dei soggetti partecipanti al consolidato, e per ciascuno Stato;
nelle ipotesi di interruzione della tassazione di gruppo prima del compimento del triennio o di mancato rinnovo dell’opzione il diritto al riporto in avanti e all’indietro dell’eccedenza di cui all’articolo 165, comma 6, compete ai soggetti che hanno prodotto i redditi all’estero.
2. Le perdite fiscali relative agli esercizi anteriori all'inizio della tassazione di gruppo di cui alla presente sezione possono essere utilizzate solo dalle società cui si riferiscono. Le eccedenze d'imposta riportate a nuovo relative agli stessi esercizi possono essere utilizzate dalla società o ente controllante o alternativamente dalle società cui competono. Resta ferma l'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 43-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
3. Gli obblighi di versamento a saldo ed in acconto competono esclusivamente alla controllante. L'acconto dovuto è determinato sulla base dell'imposta relativa al periodo precedente, al netto delle detrazioni e dei crediti d'imposta e delle ritenute d'acconto, come indicata nella dichiarazione dei redditi, presentata ai sensi dell'articolo 122. Per il primo esercizio la determinazione dell'acconto dovuto dalla controllante è effettuata sulla base dell'imposta, al netto
delle detrazioni, dei crediti d'imposta e delle ritenute d'acconto, corrispondente alla somma algebrica dei redditi relativi al periodo precedente come indicati nelle dichiarazioni dei redditi presentate per il periodo stesso dalle società singolarmente considerate. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui all'articolo 4 del decreto legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154.
4. Non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto escluse le somme percepite o versate tra le società di cui al comma 1 in contropartita dei vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti.

Oltre all’agevolazione implicita di compensazione degli utili e perdite di gruppo (agevolazione di tipo meramente finanziario dato che si tratta solo di attualizzare i redditi futuri) il consolidato fiscale inizialmente prevedeva ulteriori agevolazioni:
possibilità di trasferire beni plusvalenti in neutralità di imposta tra soggetti che partecipano al consolidato fiscale, beneficio non di poco conto considerando che per taluni beni è rilevante la plusvalenza ma non la minusvalenza;
possibilità di escludere  i dividendi al 100%.
Le suddette agevolazioni sono state eliminate a seguito della finanziaria 2008.
Il consolidativo fiscale ha la durata di un triennio, ma è consentito di inserire altre società durante gli anni successivi al primo, in tal caso il tre anni ricominciano a decorrere da tele data.
Il comma tre del 118 indica che gli obblighi di versamento degli acconti e dei saldi gravano esclusivamente in capo alla controllante.
Le singole società devono comunque continuare a formalizzare il calcolo delle imposte e della propria dichiarazione dei redditi autonomamente.
Per aderire al consolidato fiscale è necessario che tra le società che ne vogliono far parte ci sia coincidenza nelle date di apertura dell’esercizio.
A questo istituto non possono aderire società che usufruiscono di riduzioni di imposta, e ne sono esclusi i soggetti in fallimento.
Il controllo (di cui all’art 2359 c.c.) sulle società che vi aderiscono deve essere presente fin dall’inizio dell’esercizio, tranne nel caso di soggetti nati nel corso dell’esercizio stesso, i quali possono aderirvi fin dal primo ano di attività.
Secondo la circolare amministrativa del 23 dicembre 1994, bisogna tenere conto dell’effetto demoltiplicatore delle partecipazioni, nel caso di controllo con meno del 100%.
La norma prevede l’irrilevanza fiscale del riconoscimento dei benefici all’interno del C.F., e questi benefici nascono dal fatto che il C.F. prevede una sommatoria algebrica dei redditi imponibili, per l’importo integrale. Questo può comportare delle conseguenze dal punto di vista economico.
Es.
A controlla il 51% di B; A, quindi, può consolidare B, e sappiamo che il risultato integrale di B viene riportato ad A. Ipotizziamo che B realizzi una perdita di 1.000.000 di euro nella Ddr, quindi risultato fiscale negativo. Questo risultato viene comunicato alla controllante. Quindi A paga minori imposte, perché se A aveva un imponibile positivo, allora la somma dovrà essere:
Reddito A        5.000.000
Reddito B        (1.000.000)
Quindi il reddito imponibile del “gruppo” è 4.000.000.
Ipotizziamo che nella società B, c’è il socio Pautasso che detiene il 41% di B.
L’anno successivo B ottiene un utile/dividendo, e in teoria non dovrebbe pagare le imposte, ma le paga perché partecipa al C.F.
Quindi, in teoria, dovrebbero essere redatti accordi di consolidamento, dove vengono remunerati benefici trasferiti da B ad A, che derivano dall’adesione al C.F.
Dal punto di vista contabile, b deve iscrivere un credito verso A, che è a sua volta in debito con B, perché ha ricevuto una perdita fiscale da 1.000.000 di euro.
E come contropartita B deve iscrivere imposte differite per 1.000.000 di euro; invece A come contropartita deve iscrivere imposte ???
 Le società di un C.F. possono accordarsi in tanti modi, perché se B continua a registrare perdite oltre i 5 anni, le perdite vanno perse. Quindi nel contratto di consolidamento, può essere previsto che il credito sia registrato solo in presenza di redditi imponibili. Potrebbe anche non essere previsto nessun accordo.
Fino al 31/12/2007 era possibile beneficiare di vantaggi fiscali, nel’ambito del C.F. Infatti era possibile escludere al 100% dal reddito i dividendi distribuiti da A a B, o da B ad A. B poteva trasferire beni plusvalenti, quindi esclusi dal reddito imponibile, ad A e viceversa.
Dal 1/1/2008 sono state abolite queste possibilità.
Gli unici benefici pagati/attribuiti all’interno del C.F. sono quelli relativi a:
perdite fiscali;
nuovo regime di indeducibilità degli interessi passivi, cioè con la Finanziaria 2008 che ha introdotto un nuovo regime di limitazione alla deducibilità degli interessi passivi, gli interessi passivi sono deducibili nel limite del 30% del MOL. Inoltre(l’articolo 96), in caso di adesione al C.F., è prevista la possibilità di attribuire il MOL eccedente la percentuale massima, a società con MOL <, permettendo così la deducibilità degli interessi passivi.
L’articolo 128, è una disposizione transitoria, ma abbastanza lunga, poiché copre un arco temporale di 10 anni, e viene definita del “riallineamento”, che significa che se tra le società che partecipano al C.F., vi è qualche soggetto che nei 10 anni precedenti ha svalutato una partecipazione che è stata fiscalmente dedotta, ma questa svalutazione deriva da costi deducibili, allora bisogna effettuare il “riallineamento” dei valori.
Esempio
A controlla B che controlla C al 100%
Nell’anno fiscale 2001, C ha  fatto una svalutazione di magazzino per 1.000.000 di euro, che ha comportato quindi un onere a C.E. di 1.000.000 che non era fiscalmente deducibile, creando di conseguenza un f.do tassato in S.P., che può o potrà essere dedurlo, e quindi C ha in dote una variazione in diminuzione di 1.000.000 di euro. Inoltre questo onere ha influito negativamente sul PN di C, e ipotizziamo che C in assenza della svalutazione avrebbe chiuso in pareggio, ma con questa svalutazione ha chiuso con una perdita di 1.000.000 di euro.
B che possedeva C al 100%, ha svalutato la partecipazione in C, deducendo la svalutazione per 1.000.000 euro.
Ora siamo nel 2008, e i 3 soggetti partecipano al C.F., e l’articolo 128 dice che  se vi è disallineamento tra valore civile e fiscale, bisogna operare il riallineamento dei valori civili e fiscali, e quindi se nel 2008 si verificassero le condizioni per registrare la variazione in diminuzione, questa variazione in diminuzione non può essere realizzata.
La ratio di questa norma transitoria , è che il legislatore voleva/vuole evitare che, nell’ambito dei soggetti che partecipano al C.F., si potesse realizzare una doppia deduzione: cioè se tu aderisci al C.F., io, come legislatore, voglio evitare che B abbia dedotto nel 2001 1.000.000 di euro, e nel 2008, deduca nuovamente 1.000.000 di euro.

Articolo 127del TUIR: Responsabilità
1. La societa' o l'ente controllante e' responsabile:
per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, al reddito complessivo globale  risultante dalla dichiarazione di cui all'articolo 122;
b) per le somme che risultano dovute, con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell'attivita' di controllo prevista dall'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, riferita alle dichiarazioni dei redditi propria di ciascun soggetto che partecipa al consolidato e dell'attivita' di liquidazione di cui all'articolo 36-bis del medesimo decreto;
 per l'adempimento degli obblighi connessi alla determinazione del reddito complessivo globale di cui all'articolo 122;
 solidalmente per il pagamento di una somma pari alla sanzione di cui alla lettera b) del comma 2 irrogata al soggetto che ha commesso la violazione.
2. Ciascuna società controllata che partecipa al consolidato e' responsabile:
solidalmente con l'ente o società controllante per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all'articolo 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e per le somme che risultano dovute, con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell'attività di controllo prevista dall'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell'attivita' di liquidazione di cui all'articolo 36-bis del medesimo decreto, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi;
 per la sanzione correlata alla maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all'articolo 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e alle somme che risultano dovute con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell'attività di controllo prevista dall'articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e dell'attività di liquidazione di cui all'articolo 36-bis del medesimo decreto, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi;
 per le sanzioni diverse da quelle di cui alla lettera b).
3. (Comma abrogato)
4. L'eventuale rivalsa della società o ente controllante nei confronti delle società controllate perde efficacia qualora il soggetto controllante ometta di trasmettere alla società controllata copia degli atti e dei provvedimenti entro il ventesimo giorno successivo alla notifica ricevuta anche in qualità di domiciliatario secondo quanto previsto dall'articolo 119.

L’articolo 127 del TUIR disciplina quali sono le responsabilità di tipo amministrativo che sono in capo ai soggetti che partecipano al C.F..
La società controllante è responsabile per le violazioni commesse nella determinazione del reddito imponibile, ed è responsabile per le rettifiche di consolidamento. Inoltre è responsabile solidalmente alle eventuali infrazioni commesse dalle altre società consolidate.
Le società consolidate sono responsabili per il calcolo del loro reddito imponibile, e sono responsabili anche per le sole sanzioni erogate alla società consolidante, per errori commessi nella liquidazione dell’imposta di gruppo, per la quota parte che è riconducibile alla società consolidata, e cioè se l’errore commesso dalla consolidata nella determinazione del suo reddito imponibile, causa errori nella liquidazione dell’imposta di gruppo.
All’inizio la solidarietà era uguale per consolidante e consolidata, poi invece è stata attenuata per via di una sorta di contestazione dei Direttori Amministrativi delle consolidate. A fianco del C.F. nazionale, il legislatore ha introdotto il consolidato mondiale.
Su questo tema il legislatore è stato innovativo rispetto agli altri Paesi dell’UE(tranne la Danimarca).
Tratteremo il consolidato mondiale riguardo le differenze con quello nazionale:
durata diversa rispetto a quello nazionale, infatti la durata di quello nazionale era 3 anni, mentre quello mondiale è di 5 anni ed è irrevocabile;
a differenza di quello nazionale, nel mondiale vige il principio del all in o all out, o tutte le consolidate estere, o nessuna. Invece in quello nazionale si può scegliere quale società consolidare;
non vige il criterio del consolidamento integrale del risultato d’esercizio, in quanto se detengo solo il 60% di una società estera, consolido solo per il 60%, e non per intero. Questo accade perché trattiamo di società estere, e quindi società soggette ad aliquote fiscali diverse;
il soggetto che può fare il consolidato mondiale , è il soggetto residente, purchè quel soggetto non sia controllato da un soggetto estero.
Ma nel caso in cui la mia società è quotata nel mercato regolamentato, o che lo sia la controllante o la società residente in Italia, non c’è bisogno di risalire fino al primo anello della catena partecipativa. Ci si ferma qui perché con la frammentazione della compagine azionaria, sarebbe stato difficile risalire al requisito della residenza.
La ratio di questa norma è una norma di tipo anti- elusivo, e quindi si vuole evitare che i gruppi di multinazionali possano superare il limite di all in o all out.
Esistono altri requisiti per aderire al consolidato mondiale:
identità dell’esercizio sociale;
revisione dei bilanci delle società estere, da parte di soggetti iscritti all’albo CONSOB, cioè abilitati;
riconoscimento del credito di imposta per il reddito già assoggettato all’estero in modo da evitare la doppia tassazione;
richiesta di interpello all’agenzia delle entrate per ottenere il permesso di adesione al consolidato mondiale;
il risultato derivante dall’adesione deve poi essere rivisto dal punto di vista tributario.
La norma sul consolidato nazionale e mondiale fu suggerita dal responsabile finanziario dell’ENI, perché l’ENI aveva un grande interesse a portare a casa dovute alle sue start-up estere.
L’ENI però non ha optato per il consolidato mondiale.
Un aspetto rilevante di natura sostanziale, riguarda il fatto che se la società estera realizza un utile, avrà pagato le imposte. Se ha pagato le imposte, queste imposte verranno nuovamente tassate in Italia, per via del C.F., quindi si ricorre al credito d’imposta.
Un ulteriore aspetto, che mira ad evitare abusi del consolidato mondiale, è la richiesta di interpello che devo obbligatoriamente inoltrare all’Amministrazione finanziaria, cioè l’Agenzia delle Entrate, dopo la verifica iniziale della presenza o meno dei requisiti per aderire al consolidato mondiale. Una volta ricevuto il parere dell’Agenzia delle Entrate, potrò optare per il consolidato mondiale.
Un'altra disposizione riguarda il risultato derivante dal bilancio revisionato dalla società di revisione, che deve essere successivamente rideterminato dal punto di vista tributario,secondo le regole del TUIR, cioè ai fini dell’imputazione della quota di reddito della consolidante.
(Un esempio può essere la differenza di ammortamento dell’avviamento in Italia e in Francia).


Disciplina di specifici componenti di reddito di soggetti non residenti nel territorio dello stato


Nella disciplina dei rapporti internazionali una particolare attenzione è rivolta alle operazioni infragruppo, le quali permettono di spostare ricchezza da un Paese all’altro, orientando la materia imponibile verso Paesi con regime fiscale più favorevole. In quest’ottica tra le imprese partecipanti in queste operazioni il corrispettivo può essere fissato, anziché in rapporto al valore del bene scambiato o del servizio reso, in funzione dei disegni di pianificazione fiscale del gruppo.

Articolo 110 del TUIR: Norme generali sulle valutazioni
1. Agli effetti delle norme del presente capo che fanno riferimento al costo dei beni senza disporre diversamente:
il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte;
si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. Tuttavia per i beni materiali e immateriali strumentali per l'esercizio dell'impresa si omprendono nel costo gli interessi passivi iscritti in bilancio ad aumento del costo stesso per effetto di disposizioni di legge. Nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi da quelli direttamente imputabili al prodotto; per gli immobili alla cui produzione è diretta l'attività dell'impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione;
il costo dei beni rivalutati, diversi da quelli di cui all'articolo 85305, comma 1, lettere a), b) ed e), non si intende comprensivo delle plusvalenze iscritte, ad esclusione di quelle che per disposizione di legge non concorrono a formare il reddito. Per i beni indicati nella citata lettera e) che costituiscono immobilizzazioni finanziarie le plusvalenze iscritte non concorrono a formare il reddito per la parte eccedente le minusvalenze dedotte;
il costo delle azioni, delle quote e degli strumenti finanziari similari alle azioni si intende non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali conseguentemente non concorrono alla formazione del reddito, né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze di tali azioni, quote o strumenti;
per i titoli a reddito fisso, che costituiscono immobilizzazioni finanziarie e sono iscritti come tali in bilancio, la differenza positiva o negativa tra il costo d'acquisto e il valore di rimborso concorre a formare il reddito per la quota maturata nell'esercizio.
2. Per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi e, con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell'articolo 9; tuttavia i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in valuta estera, percepiti o effettivamente sostenuti in data precedente, si valutano con riferimento a tale data. La conversione in euro dei saldi di conto delle stabili organizzazioni all'estero si effettua secondo il cambio alla data di chiusura dell'esercizio e le differenze rispetto ai saldi di conto dell'esercizio precedente non concorrono alla formazione del reddito. Per le imprese che intrattengono in modo sistematico rapporti in valuta estera è consentita la tenuta della contabilità plurimonetaria con l'applicazione del cambio di fine esercizio ai saldi dei relativi conti.
3. La valutazione secondo il cambio alla data di chiusura dell'esercizio dei crediti e debiti in valuta, anche sotto forma di obbligazioni, di titoli cui si applica la disciplina delle obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi o di titoli assimilati, non assume rilevanza. Si tiene conto della valutazione al cambio della data di chiusura dell'esercizio delle attività e delle passività per le quali il rischio di cambio è coperto, qualora i contratti di copertura siano anche essi valutati in modo coerente secondo il cambio di chiusura dell’esercizio.
[4. Le minusvalenze relative ai singoli crediti ed ai singoli debiti in valuta estera, anche sotto forma di obbligazioni, i titoli cui si applica la disciplina della obbligazioni ai sensi del codice civile o di altre leggi o titoli assimilati alle obbligazioni, iscritti fra le immobilizzazioni sono deducibili per un importo non superiore alla differenza tra la valutazione di ciascun credito e di ciascun debito secondo il cambio alla data di chiusura dell'esercizio e la valutazione dello stesso debito o credito secondo il cambio del giorno in cui è sorto o del giorno antecedente più prossimo e in mancanza secondo il cambio del mese in cui è sorto. Non sono deducibili le minusvalenze relative a crediti o debiti per i quali esiste la copertura del rischio di cambio, salvo che il contratto di copertura non sia valutato in modo coerente. La minusvalenza dedotta concorre alla formazione del reddito imponibile quando per due esercizi consecutivi il cambio medio risulta più favorevole di quello utilizzato per la determinazione della minusvalenza dedotta. Ai fini della determinazione dell'importo da assoggettare a tassazione si tiene conto del cambio meno favorevole rilevato alla fine dei due esercizi considerati.]
5. I proventi determinati a norma dell'articolo 90 e i componenti negativi di cui ai commi 1 e 6 dell'articolo 102, agli articoli 104 e 106e ai commi 1 e 2 dell'articolo 107 sono ragguagliati alla durata dell'esercizio se questa è inferiore o superiore a dodici mesi.
6. In caso di mutamento totale o parziale dei criteri di valutazione adottati nei precedenti esercizi il contribuente deve darne comunicazione all'agenzia delle entrate nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato.
7. I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito; la stessa disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito delle speciali «procedure amichevoli» previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l'impresa esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o lavorazione di prodotti.
8. La rettifica da parte dell'ufficio delle valutazioni fatte dal contribuente in un esercizio ha effetto anche per gli esercizi successivi. L'ufficio tiene conto direttamente delle rettifiche operate e deve procedere a rettificare le valutazioni relative anche agli esercizi successivi.
9. Agli effetti delle norme del presente titolo che vi fanno riferimento il cambio delle valute estere in ciascun mese è accertato, su conforme parere dell'Ufficio italiano dei cambi, con provvedimento dell'Agenzia delle entrate, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale entro il mese successivo.
10. Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all'Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti.
11. Le disposizioni di cui al comma 10 non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. L'Amministrazione, prima di procedere all'emissione dell'avviso di accertamento d'imposta o di maggiore imposta, deve notificare all'interessato un apposito avviso con il quale viene concessa al medesimo la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove predette. Ove l'Amministrazione non ritenga idonee le prove addotte, dovrà
darne specifica motivazione nell'avviso di accertamento. La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi di cui al comma 10 è comunque subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti.
12. Le disposizioni di cui ai commi 10 e 11 non si applicano per le operazioni intercorse con soggetti non residenti cui risulti applicabile gli articoli 167 o 168, concernente disposizioni in materia di imprese estere partecipate.

Il comma 7 di questa norma è di rilevante importanza per quanto attiene i gruppi internazionali, viene definita norma sui prezzi di trasferimento, e delinea i presupposti per la sua applicazione.
Questi presupposti sono:
la presenza di una transazione commerciale, con sostenimento di costi e ricavi, che riguarda la compravendita di beni o di servizi;
la transazione deve essere effettuata tra un soggetto residente, e un soggetto non residente nel territorio dello stato;
tra questi soggetti deve intercorrere un rapporto di controllo quindi il soggetto italiano controlla il soggetto estero, o viceversa o sono entrambi controllati dal medesimo soggetto.
I requisiti richiesti per l’applicazione della norma evidenziano efficacemente la ratio della disposizione (evitare lo spostamento di materia imponibile verso paesi con regime fiscale più favorevole).
Il legislatore prevede una norma peculiare quando vengono poste in essere delle transazioni per le quali si può presumere che queste transazioni non siano effettuate a valori di mercato.
Appare legittimo chiedersi quando una transazione non avviene a valori di mercato, nel caso in cui ad esempio, questa venga effettuata tra soggetti appartenenti alla stessa famiglia (come nel caso di un gruppo).
Il presupposto che prevede che uno dei soggetti non sia residente nel territorio dello stato, si motiva col fatto che in presenza di un soggetto residente non è presente un particolare rischio  di elusione delle norme.
Definiti i presupposti bisogna vedere cosa dice la norma, se i presupposti sono verificati, succede che il corrispettivo pattuito o il prezzo convenuto, rilevante fiscalmente, può non essere quello indicato nei documenti contabili o nei contratti sottoscritti dalle parti, la norma dice infatti che il valore deve essere quello coincidente con il valore normale.
Il comma 7 richiede che le operazioni tra soggetti residenti e non residenti, appartenenti allo stesso gruppo, devono essere valorizzate fiscalmente al valore normale della transazione, se così è  non opera nessun tipo di rettifica, in caso contrario bisognerà procedere invece a rettificare il prezzo della transazione.
Il profilo più delicato della disciplina è senza alcun dubbio quello relativo all’individuazione del valore normale, definito dall’art. 9 del Tuir al comma 2, come il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione.
Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d'uso.
È necessario capire il fondamento della norma, ed il modo in cui i gruppi internazionali potrebbero ridurre il reddito imponibile mediante i prezzi di trasferimento delle transazioni.
Il soggetto A controlla il soggetto B residente nel paese estero dove è presente una minore tassazione del reddito d’impresa, ad A conviene trasferire il reddito imponibile nel paese estero, attraverso i prezzi di trasferimento.
Se A produce beni e vende a B residente in Francia, vende beni ad un corrispettivo inferiore al prezzo di mercato, questo comporta che in Italia ci sarà un ricavo più basso, minor reddito imponibile, in Francia vendo ad un costo più basso, c’è maggior rendimento, però con una tassazione minore.
Viceversa il soggetto francese vende a quello italiano, la vendita è un costo che diviene deducibile in Italia e riduce così il reddito imponibile.
Il problema della norma relativa ai prezzi di trasferimento, è un problema per i gruppi internazionali, in quanto, anche se questi soggetti non hanno intenzione di eludere, devono comunque attenersi alle disposizioni dell’art. 9 sul valore normale da applicare alle proprie transazioni.
Questa previsione non è presente solo nel nostro ordinamento ma anche negli altri paesi europei, dove sono presenti norme simili alla nostra.
La presenza di discipline similari nelle legislazioni di quasi di tutti gli stati, e nella quasi totalità delle convenzioni contro le doppie imposizioni, ha spinto l’Ocse, l’organismo che coinvolge tutti i paesi industrializzati, ad elaborare in ambito fiscale dei documenti relativi ai prezzi di trasferimento che sono ritenuti autorevoli anche se non aventi forza di legge.
In riguardo, l’Ocse ha elaborato dei criteri di determinazione del valore normale, e la stessa amministrazione finanziaria ha emanato una circolare ministeriale dell’80 che fornisce gli strumenti per determinare i prezzi di trasferimento.
Vengono indicate tre metodologie di determinazione dei prezzi di trasferimento;
Metodo del confronto del prezzo:
prevede il confronto del prezzo pattuito nell’operazione infragruppo considerata, con il prezzo pattuito per i beni ceduti o i servizi prestati in un’operazione  comparabile attuata in circostanze simili da imprese  indipendenti (confronto esterno), oppure da una delle imprese coinvolte nell’operazione considerata e da un’impresa indipendente (confronto interno);
Metodo del prezzo di rivendita:
comporta l’individuazione del prezzo al quale l’impresa che acquista nell’operazione infragruppo considerata, cede il bene acquistato ad un’impresa indipendente, e la sua riduzione di un appropriato margine lordo (indicativo delle spese di vendita e delle altre spese correnti sostenute dall’impresa che ha comprato e poi rivenduto il bene, nonché del guadagno alla stessa attribuibile in ragione della funzione svolta e dei rischi assunti nella circolazione del bene medesimo), il residuo rappresenta il valore normale assegnabile al bene nell’operazione considerata.
Metodo del costo aggiornato:
implica l’individuazione del costo sostenuto dall’impresa che ha ceduto il bene nell’operazione infragruppo considerata per l’acquisto o la produzione del bene stesso, e la sua maggiorazione di un appropriato margine lordo (mark up ritenuto congruo*), il risultato rappresenta il valore normale assegnabile al bene nell’operazione considerata.
(questa metodologia viene solitamente applicata nel caso di prestazioni di servizi,che generalmente non sono standardizzabili).
Al fine di definire il margine lordo ritenuto congruo, ci sono società che analizzano i profitti e le marginalità di società operanti negli stessi settori, elaborano delle medie di margine lordo per settori che viene considerato come una media di profitto di riferimento.
I prezzi di trasferimento sono sempre oggetto di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria, in quanto si suppone che nei prezzi di trasferimento si operano riduzioni di base imponibile.
Il secondo problema relativo le società internazionali è il caso in cui nell’effettuazione di una  transazione con la controllata estera, l’amministrazione finanziaria nell’effettuazione dei controlli contesti il prezzo di trasferimento.
Se l’amministrazione finanziaria in sede di contenzioso viene riconosciuta la contestazione dell’amministrazione finanziaria,  rimane il problema che in Francia il soggetto francese ha comunque un costo rilevante.
Il fatto che c’è rischio di accertamento e si venga a creare una doppia imposizione rappresenta un problema per le società multinazionali, rappresenta un ostacolo alla libera circolazione dei beni, ed a tal riguardo l’U.E si sta occupando di questo problema.
Il c. 7 sottolinea che il valore normale può essere applicato anche se ne deriva una diminuzione del reddito imponibile.
In definitiva l’amministrazione finanziaria applica il valore normale non solo se ne deriva un maggior reddito, ma anche nel caso in cui dall’applicazione del valore normale ne derivi una diminuzione del reddito imponibile.
Il comma 7 non è una presunzione ma è sancisce una modalità per determinare il corrispettivo delle transazioni al valore normale.
Il comma 10 è più intrusivo in  quanto prevede la non ammissione in deduzione delle spese e gldei altri componenti negativi riferiti ad operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese non residenti nell’Unione europea aventi regimi fiscali privilegiati.
In questa specifica situazione il legislatore non pone attenzione al rapporto di controllo, o al valore normale al quale viene effettuata la transazione, in questo caso il legislatore dichiara che non consente la deduzione del costo se questo deriva da operazioni con paesi che fanno parte della Black list, questa è una presunzione.
I soggetti residenti nei paesi a fiscalità privilegiata sono individuati da apposito decreto, questi paesi si caratterizzano per:
hanno un regime di tassazione privilegiata;
non prevedono lo scambio di informazioni tra i paesi, non vi è dunque rapporto tra le amministrazioni finanziarie.
Il comma 11 prevede una eccezione alla presunzione del comma 10, quindi la presunzione del comma 10 è una presunzione relativa.
Se l’impresa italiana dimostra che la società estera svolge una effettiva attività commerciale e che l’operazione è stata posta in essere effettivamente per rispondere ad esigenze di ordine commerciale (la società estera non è quindi una c.d shell company, conchiglia vuota) il comma 10 può essere disapplicato.
Questo è una di quelle disposizioni dove il legislatore ha invertito l’onere della prova, se la società vuole dedurre il costo è lei che deve dimostrare la presenza delle condizioni sopra enunciate.
Per poter dedurre il costo il contribuente è tenuto a fornire all’amministrazione le prove necessarie per disattendere ilo comma 10
Se l’Amministrazione finanziaria concorda con le motivazioni fornite dal contribuente e rilascia un interpello positivo, il comma 10 può essere disapplicato ed il costo è fiscalmente deducibile,  ma è sempre la società che deve dimostrare l’effettiva attività della società estera, ad esempio nel caso di effettiva attività commerciale, facendo vedere che la società è attiva ed ha quindi costi, dipendenti, utenze, fabbricati.
Il comma 10 non richiede la presenza di un rapporto di controllo tra la società nazionale e quella estera, impone solo la non deducibilità dei costi, se la società nazionale riesce a disapplicare il comma 10 e vi è un rapporto di controllo tra le due società,  il costo diviene deducibile ma bisogna prendere sempre in considerazione il comma 7 e quindi la transazione deve avvenire al valore normale. Al contrario se si disapplica il comma 10 ma non c’è un rapporto di controllo il comma 7 non opera.
Il comma 12 dell’art. 110, specifica che le disposizioni dei c. 10 e 11 non si applicano per le relazioni intercorse con soggetti non residenti cui risulta applicabile gli articoli 167 e 168, concernenti disposizioni in materia di imprese estere partecipate.
Gli articoli 167 e 168, in particolare il primo, prevedono un  regime fiscale particolare per quelle società residenti in un paese a regime fiscale privilegiato che sono controllate da un soggetto italiano.
Questo viene detto “regime CFC -  controlled foreign companies” è una norma introdotta intorno al 2000 (negli Usa era in vigore già da 20 anni) avente carattere antielusivo volta a contrastare il differimento di tassazione del reddito.

Articolo 166 del TUIR:Trasferimento all'estero della residenza
1. Il trasferimento all'estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all'estero. Per le imprese individuali e le società di persone si applica l'articolo 17, comma 1, lettere g) e l).
2. I fondi in sospensione d'imposta, inclusi quelli tassabili in caso di distribuzione, iscritti nell'ultimo bilancio prima del trasferimento della residenza, sono assoggettati a tassazione nella misura in cui non siano stati ricostituiti nel patrimonio contabile della predetta stabile organizzazione.
Articolo 167 del TUIR:Disposizioni in materia di imprese estere controllate
1. Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati.
2. Le disposizioni del comma 1 si applicano alle persone fisiche residenti e ai soggetti di cui agli articoli 5 e 73, comma 1, lettere a), b) e c).
3. Ai fini della determinazione del limite del controllo di cui al comma 1, si applica l'articolo 2359 del codice civile, in materia di società controllate e società collegate.
4. Si considerano privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori individuati, con decreti del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti.
5. Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che:
la società o altro ente non residente svolga un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nello Stato o nel territorio nel quale ha sede;
dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati di cui al comma 4. Per i fini di cui al presente comma, il contribuente deve interpellare preventivamente l'amministrazione finanziaria, ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo statuto dei diritti del contribuente.
6. I redditi del soggetto non residente, imputati ai sensi del comma 1, sono assoggettati a tassazione separata con l'aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 27 per cento. I redditi sono determinati in base alle disposizioni del titolo I, capo VI, nonché degli articoli 84, 111, 112; non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 86, comma 4, e 67, comma 3. Dall'imposta così determinata sono ammesse in detrazione, ai sensi dell'articolo 165, le imposte pagate all'estero a titolo definitivo.
7. Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti di cui al comma 1 non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all'ammontare del reddito assoggettato a tassazione, ai sensi del medesimo comma 1, anche negli esercizi precedenti. Le imposte pagate all'estero, sugli utili che non concorrono alla formazione del reddito ai sensi del primo periodo del presente comma, sono ammesse in detrazione, ai sensi dell'articolo 165, fino a concorrenza delle imposte applicate ai sensi del comma 6, diminuite degli importi ammessi in
detrazione per effetto del terzo periodo del predetto comma.
8. Con decreto del Ministro delle finanze, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le disposizioni attuative del presente articolo.

Il differimento di tassazione del reddito è contrastato imponendo al soggetto residente in Italia (sia società che persona fisica) detentore del controllo di cui all’art 2359 del C.c, in una società residente in uno dei paesi individuati dall’apposito decreto ministeriale la tassazione del reddito secondo il regime della trasparenza.
Es.
La società A (italiana) detiene il controllo della società B residente alle Bahamas, il reddito prodotto dalla società B viene tassato per trasparenza in capo alla società A indipendentemente dalla sua distribuzione.
Il reddito deve essere attratto a tassazione in Italia, in base alla percentuale di partecipazione, se io posseggo il 60 % della partecipazione, il reddito viene tassato solo per quella percentuale.
Inoltre la norma ha anche qualche paletto di salvaguardia e di garanzia, in quanto il reddito della società residente nel paradiso fiscale viene tassato/determinato, secondo le disposizioni italiane.
Analogamente a quanto avviene per il consolidato mondiale, il reddito della società residente alle Bahamas viene rideterminato secondo le norme italiane e la quota parte viene tassato secondo le norme italiane.
Questa parte non confluisce nel reddito complessivo del soggetto residente ma viene tassato separatamente, nella dichiarazione dei redditi ci sarà una parte separata dove viene indicato questo reddito, e viene tassato con una aliquota  media del soggetto italiano.
Un effetto derivante dalla tassazione separata deriva dalla limitazione per la compensazione delle perdite fiscali.
È evidente il motivo per cui non si applicano i c. 10 e 11 dell’art 110, perché tassando per trasparenza è irrilevante la non deducibilità del costo.
La norma prevede che, se la società estera ha pagato all’estero le imposte queste vengono computate in diminuzione dalla tassazione italiana, perché altrimenti si verrebbe a creare un fenomeno di doppia imposizione.
Anche la norma sulle CFC è una presunzione relativa, perché anche qui c’è l’inversione dell’onere della prova, il contribuente può dimostrare alternativamente che la società svolge una effettiva attività commerciale nel territorio, e quindi si può disapplicare la norma sulle CFC, se la società estera svolge una effettività attività commerciale nella partecipazione posseduta nel soggetto residente non c’è l’obiettivo di localizzare i redditi nel paese estero.
Queste due norme disapplicative devono essere avvalorate dietro richiesta di interpello, è il contribuente che fornisce le  prove all’amministrazione finanziaria al fine di richiedere la disapplicazione del 167.
I dividendi che provengono da paesi a regime fiscale privilegiato sono tassati per l’intero importo, ai sensi dell’art. 89 del Tuir, al fine di evitare la concorrenza fiscale dannosa rispetto agli altri paesi.
L’art. 110 relativo ai prezzi di trasferimento ed alla determinazione del valore normale, è stato analizzato per le transazioni effettuate con società estere ma bisogna comunque procedere a contestualizzare queste nozioni alla realtà italiana.
Se la società italiana controlla la una società italiana le operazioni devono sottostare al prezzo di trasferimento al valore normale?
occhio all’elusione.


Disciplina fiscale delle operazioni straordinarie


La disciplina relativa alle operazioni straordinarie è disciplinata nel capo III del titolo V del Tuir, a partire dagli art. 170 e seguenti.
Le operazioni straordinarie sono: la trasformazione societaria, la fusione, la scissione, il conferimento e la liquidazione della società.
Dal punto di vista tributario, le operazioni di fusione e di conferimento hanno maggior rilievo.
Tra le op. straordinarie viene fatta rientrare anche l’operazione di cessione d’azienda o di ramo d’azienda, per quanto questi due istituti non trovino una puntuale disciplina all’interno del Tuir.
Dal punto di vista tributario le operazioni di carattere straordinario hanno vissuto momenti di discussione in ambito dottrinale, in riferimento al regime realizzativo delle stesse.
La caratteristica principale delle operazioni che stiamo trattando è che si ha il trasferimento di una parte di una azienda o dell’intera azienda da un  soggetto ad un altro soggetto.
Se dal punto di vista civilistico può sembrare banale un operazione del genere, in ambito tributario si è discusso se dall’effettuazione di queste operazioni emerge un’espressione di capacità contributiva.
Le operazioni di fusione e scissione trovano una specifica disciplina nelle norme del Codice Civile ed è lo stesso che dice che c’è una scissione universale, cioè il soggetto beneficiario subentra negli obblighi e diritti della società incorporata o nella società scissa.
Civilisticamente c’è una continuità da parte del soggetto incorporante rispetto al soggetto beneficiario nella vita d’azienda, e quindi non si creano situazioni di eventi realizzativi.
Il legislatore tributario ha disciplinato le operazioni di scissione e di fusione, la caratteristica principale di queste due operazioni è il fatto che non fanno emergere plusvalenze imponibili.
Si usa dire che le operazioni di fusione e scissione sono fiscalmente neutre, al contrario le operazioni di conferimento avevano una natura ibrida.
Un soggetto conferisce a favore di un altro soggetto societario, anziché denaro un conferimento in natura, come retribuzione di questo conferimento non si riceve denaro ma si ricevono partecipazioni.
Materialmente si può dire che la società Beta conferisce alla società Alfa un macchinario,  la società Beta anziché essere ripagata con denaro viene ripagata con una partecipazione al capitale della società Alfa.
Oppure può essere costituita una società mediante conferimento di beni, (che possono essere sia beni materiali che beni immateriali), si evidenzia inoltre, come la Riforma Vietti ha permesso alle società la possibilità di conferire anche prestazioni di servizi in particolari situazioni.
La normativa civilistica prescrive che nel caso di conferimenti in natura è necessaria una relazione di stima dei beni conferiti, redatta da un perito.
Il conferimento ha carattere realizzativo, c’è chi dice che il conferimento sia come una cessione di beni e l’unica cosa che cambia e la modalità di pagamento (anziché in contanti il pagamento avviene con azioni).
Gli articoli 172 e 173 del Tuir disciplinano le operazioni di fusione e scissione.

Articolo 172 del TUIR:Fusione di società
1. La fusione tra più società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.
2. Nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante non si tiene conto dell'avanzo o disavanzo iscritto in bilancio per effetto del rapporto di cambio delle azioni o quote o dell'annullamento delle azioni o quote di alcuna delle società fuse possedute da altre. I maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'eventuale imputazione del disavanzo derivante dall'annullamento o dal concambio di una partecipazione, con riferimento ad elementi patrimoniali della società incorporata o fusa, non sono imponibili nei confronti dell'incorporante  
della società risultante dalla fusione. Tuttavia i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all'ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti.
3. Il cambio delle partecipazioni originarie non costituisce né realizzo né distribuzione di plusvalenze o di minusvalenze né conseguimento di ricavi per i soci della società incorporata o fusa, fatta salva l'applicazione, in caso di conguaglio, dell'articolo 47, comma 7 e, ricorrendone le condizioni, degli articoli 58 e 87.
4. Dalla data in cui ha effetto la fusione la società risultante dalla fusione o incorporante subentra negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate relativi alle imposte sui redditi, salvo quanto stabilito nei commi 5 e 7.
5. Le riserve in sospensione di imposta, iscritte nell'ultimo bilancio delle società fuse o incorporate concorrono a formare il reddito della società risultante dalla fusione o incorporante se e nella misura in cui non siano state ricostituite nel suo bilancio prioritariamente utilizzando l'eventuale avanzo da fusione. Questa disposizione non si applica per le riserve tassabili solo in  caso di distribuzione le quali, se e nel limite in cui vi sia avanzo di fusione o aumento di capitale per un ammontare superiore al capitale complessivo delle società partecipanti alla fusione al netto delle quote del capitale di ciascuna di esse già possedute dalla stessa o da altre, concorrono a formare il reddito della società risultante dalla fusione o incorporante in caso di distribuzione dell'avanzo o di distribuzione del capitale ai soci; quelle che anteriormente alla fusione sono state imputate al capitale delle società fuse o incorporate si intendono trasferite nel capitale della società risultante dalla fusione o incorporante e concorrono a formarne il reddito in caso di riduzione del capitale per esuberanza.
6. All'aumento di capitale, all'avanzo da annullamento o da concambio che eccedono la ricostituzione e l'attribuzione delle riserve di cui al comma 5 si applica il regime fiscale del capitale e delle riserve della società incorporata o fusa, diverse da quelle già attribuite o ricostituite ai sensi del comma 5, che hanno proporzionalmente concorso alla sua formazione. Si considerano non concorrenti alla formazione dell’avanzo da annullamento il capitale e le riserve di capitale fino a concorrenza del valore della partecipazione annullata.
All'aumento di capitale, all'avanzo da annullamento o da concambio che eccedono la ricostituzione e l'attribuzione delle riserve di cui al comma 5 si applica il regime fiscale del capitale e delle riserve della società incorporata o fusa, diverse da quelle già attribuite o ricostituite ai sensi del comma 5, che hanno proporzionalmente concorso alla sua formazione. Si considerano non concorrenti alla formazione dell’avanzo da annullamento il capitale e le riserve di capitale fino a concorrenza del valore della partecipazione annullata.
7. Le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l'ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all'articolo 2501-quater del codice civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato a da altri enti pubblici. Se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall'impresa che le ha ad essa cedute dopo l'esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell'atto di fusione.
8. Il reddito delle società fuse o incorporate relativo al periodo compreso tra l'inizio del periodo di imposta e la data in cui ha effetto la fusione è determinato, secondo le disposizioni applicabili in relazione al tipo di società, in base alle risultanze di apposito conto economico.
9. L'atto di fusione può stabilire che ai fini delle imposte sui redditi gli effetti della fusione decorrano da una data non anteriore a quella in cui si è chiuso l'ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate o a quella, se più prossima, in cui si è chiuso l'ultimo esercizio della società incorporante.
10. Nelle operazioni di fusione, gli obblighi di versamento, inclusi quelli relativi agli acconti d'imposta ed alle ritenute operate su redditi altrui, dei soggetti che si estinguono per effetto delle operazioni medesime, sono adempiuti dagli stessi soggetti fino alla data di efficacia  della fusione ai sensi dell'articolo 2504-bis, comma 2, del codice civile; successivamente a tale data, i predetti obblighi si intendono a tutti gli effetti trasferiti alla società incorporante o comunque risultante dalla fusione.

Articolo 173del TUIR: Scissione di società
1. La scissione totale o parziale di una società in altre preesistenti o di nuova costituzione non dà luogo a realizzo né a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni della società scissa, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento.
2. Nella determinazione del reddito delle società partecipanti alla scissione non si tiene conto dell'avanzo o del  isavanzo conseguenti al rapporto di cambio delle azioni o quote ovvero all'annullamento di azioni o quote a norma dell'articolo 2506-ter del codice civile. In quest'ultima ipotesi i maggiori valori iscritti per effetto dell'eventuale imputazione del disavanzo riferibile all'annullamento o al concambio di una partecipazione, con riferimento ad elementi patrimoniali della società scissa, non sono imponibili nei confronti della beneficiaria. Tuttavia i beni ricevuti sono valutati fiscalmente in base all'ultimo valore riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi, i dati esposti in bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti.
3. Il cambio delle partecipazioni originarie non costituisce né realizzo né distribuzione di plusvalenze o di minusvalenze né conseguimento di ricavi per i soci della società scissa, fatta salva l'applicazione, in caso di conguaglio, dell'articolo 47, comma 7, e, ricorrendone le condizioni, degli articoli 58 e 87.
4. Dalla data in cui la scissione ha effetto, a norma del comma 11, le posizioni soggettive della società scissa, ivi compresa quella indicata nell'articolo 86, comma 4, e i relativi obblighi strumentali sono attribuiti alle beneficiarie e, in caso di scissione parziale, alla stessa società scissa, in proporzione delle rispettive quote del patrimonio netto contabile trasferite o rimaste, salvo che trattisi di posizioni soggettive connesse specificamente o per insiemi agli elementi del patrimonio scisso, nel qual caso seguono tali elementi presso i rispettivi titolari.
5. Gli obblighi di versamento degli acconti relativi sia alle imposte proprie sia alle ritenute sui redditi altrui, restano in capo alla società scissa, in caso di scissione parziale, ovvero si trasferiscono alle società beneficiarie in caso di scissione totale, in relazione alle quote di patrimonio netto imputabile proporzionalmente a ciascuna di esse.
6. Il valore fiscalmente riconosciuto dei fondi di accantonamento della società scissa si considera già dedotto dalle beneficiarie, oltre che, in caso di scissione parziale, dalla suddetta società, per importi proporzionali alle quote in cui risultano attribuiti gli elementi del patrimonio ai quali, specificamente o per insiemi, hanno riguardo le norme tributarie che disciplinano il valore stesso.
7. Se gli effetti della scissione sono fatti retroagire a norma del comma 11, per i beni di cui agli articoli 92 e 94 le disposizioni del precedente comma 4 trovano applicazione sommando proporzionalmente le voci individuate per periodo di formazione in capo alla società scissa all'inizio del periodo d'imposta alle corrispondenti voci, ove esistano, all'inizio del periodo medesimo presso le società beneficiarie.
8. In caso di scissione parziale e in caso di scissione non retroattiva in società preesistente i costi fiscalmente riconosciuti si assumono nella misura risultante alla data in cui ha effetto la scissione. In particolare:
i beni di cui al comma 7 ricevuti da ciascuna beneficiaria si presumono, in proporzione alle quantità rispettivamente ricevute, provenienti proporzionalmente dalle voci delle esistenze iniziali, distinte per esercizio di formazione, della società scissa e dalla eventuale eccedenza formatasi nel periodo d'imposta fino alla data in cui ha effetto la scissione;
 le quote di ammortamento dei beni materiali e immateriali nonché le spese di cui all'articolo 102, comma 6, relative ai beni trasferiti vanno ragguagliate alla durata del possesso dei beni medesimi da parte della società scissa e delle società beneficiarie; detto criterio è altresì applicabile alle spese relative a più esercizi e agli accantonamenti.
9. Le riserve in sospensione d'imposta iscritte nell'ultimo bilancio della società scissa debbono essere ricostituite dalle beneficiarie secondo le quote proporzionali indicate al comma 4. In caso di scissione parziale, le riserve della società scissa si riducono in corrispondenza. Se la sospensione d'imposta dipende da eventi che riguardano specifici elementi patrimoniali della società scissa, le riserve debbono essere ricostituite dalle beneficiarie che acquisiscono tali elementi. Nei riguardi della beneficiaria ai fini della ricostituzione delle riserve in sospensione d'imposta e delle altre riserve si applicano, per le rispettive quote, le disposizioni dettate per le fusioni dai commi 5 e 6 dell'articolo 172 per la società incorporante o risultante dalla fusione.
10. Alle perdite fiscali delle società che partecipano alla scissione si applicano le disposizioni del comma 7 dell'articolo 172, riferendosi alla società scissa le disposizioni riguardanti le società fuse o incorporate e alle beneficiarie quelle riguardanti la società risultante dalla fusione o incorporante ed avendo riguardo all'ammontare del patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dal progetto di scissione di cui all'articolo 2506-bis del codice civile, ovvero dalla situazione patrimoniale di cui all'articolo 2506-ter del codice civile.
11. Ai fini delle imposte sui redditi, la decorrenza degli effetti della scissione è regolata secondo le disposizioni del comma 1 dell'articolo 2506-quater del codice civile, ma la retrodatazione degli effetti, ai sensi dell'articolo 2501-ter, numeri 5) e 6), dello stesso codice, opera limitatamente ai casi di scissione totale ed a condizione che vi sia coincidenza tra la chiusura dell'ultimo periodo di imposta della società scissa e delle beneficiarie e per la fase posteriore a tale periodo.
12. Gli obblighi tributari della società scissa riferibili a periodi di imposta anteriori alla data dalla quale l'operazione ha effetto sono adempiuti in caso di scissione parziale dalla stessa società scissa o trasferiti, in caso di scissione totale, alla società beneficiaria appositamente designata nell'atto di scissione.
13. I controlli, gli accertamenti e ogni altro procedimento relativo ai suddetti obblighi sono svolti nei confronti della società scissa o, nel caso di scissione totale, di quella appositamente designata, ferma restando la competenza dell'ufficio dell'Agenzia delle entrate della società scissa. Se la designazione è omessa, si considera designata la beneficiaria nominata per prima nell'atto di scissione. Le altre società beneficiarie sono responsabili in solido per le imposte, le sanzioni pecuniarie, gli interessi e ogni altro debito e anche nei loro confronti possono essere adottati i provvedimenti cautelari previsti dalla legge. Le società coobbligate hanno facoltà di partecipare ai suddetti procedimenti e di prendere cognizione dei relativi atti, senza oneri di avvisi o di altri adempimenti per l'Amministrazione.
14. Ai fini dei suddetti procedimenti la società scissa o quella designata debbono indicare, a richiesta degli organi dell'Amministrazione finanziaria, i soggetti e i luoghi presso i quali sono conservate, qualora non le conservi presso la propria sede legale, le scritture contabili e la documentazione amministrativa e contabile relative alla gestione della società scissa, con riferimento a ciascuna delle parti del suo patrimonio trasferite o rimaste. In caso di conservazione presso terzi estranei alla operazione deve essere inoltre esibita l'attestazione di cui all'articolo 52, comma 10, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Se la società scissa o quella designata non adempiono a tali obblighi o i soggetti da essa indicati si oppongono all'accesso o non esibiscono in tutto o in parte quanto ad essi richiesto, si applicano le disposizioni del comma 5 del suddetto articolo.
15. Nei confronti della società soggetta all'imposta sulle società beneficiaria della scissione di una società non soggetta a tale imposta e nei confronti della società del secondo tipo beneficiaria della scissione di una società del primo tipo si applicano anche, in quanto compatibili, i commi 3, 4 e 5 dell'articolo 170, considerando a tal fine la società scissa come trasformata per la quota di patrimonio netto trasferita alla beneficiaria.

Si diceva che la fusione è una operazione fiscalmente neutra, non vi è quindi realizzo di plusvalenze, si viene a creare una successione delle posizioni fiscali della società estinta e la società incorporante eredita tutto ciò che c’era nella società incorporata, come ad esempio perdite fiscali in capo all’incorporata, od anche eventuali violazioni commesse dalle società incorporata  (ad esempio l’inquinamento del terreno dove c’è il magazzino) degli adempimenti civilistici e penali, ma anche e soprattutto degli adempimenti di tipo tributario.
Nel disciplinare le conseguenze della fusione di società l’art. 172 esordisce disponendo che questa operazione “non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze ed il valore di avviamento”.
Nel caso di fusione bisognerà trattare il regime fiscale delle differenze da fusione che possono emergere, queste differenze sono le poste contabili che emergono a seguito del’operazione di fusione, in quanto per effetto della fusione le partecipazioni nell’incorporata vengono convertite in partecipazioni nell’incorporante, sulla base del rapporto di cambio indicato nel progetto di fusione.
Questa sono dette differenze da concambio.
Si potranno avere anche differenze da annullamento, queste nascono dall’annullamento della partecipazione nell’incorporata posseduta dall’incorporante,e dalla contestuale immissione nella contabilità di quest’ultima dei valori delle attività e delle passività provenienti dalla prima.
Questi emergono quando il valore contabile della partecipazione annullata diverge dal valore contabile del valore contabile del patrimonio netto dell’incorporata, se il valore contabile della partecipazione annullata è inferiore al valore contabile del patrimonio netto dell’incorporata, si delinea un avanzo, se è superiore un disavanzo.
Ad esempio delineiamo l’ipotesi in cui la società Alfa ha acquisito la partecipazione in Beta ed ha pagato un ammontare pari ad 1 milione di euro, nel caso in cui Beta vale effettivamente 1 milione di euro non ci sono problemi, non emerge alcun differenziale, e si avrà semplicemente l’annullamento del valore della partecipazione.
Ma nella realtà questo non accade: infatti nella realtà dei fatti si ha la situazione in cui la società Alfa acquisisce Beta per un ammontare pari a 3 milioni di euro, ed invece Beta vale un milione di euro.
Nel momento in cui sostituiscono le attività e le passività di Beta nel bilancio di Alfa, bisognerà rilevare questo differenziale di 2 milioni di euro.
L’art. 172 c. 2 esclude della formazione del reddito dell’incorporante l’avanzo o il disavanzo da concambio o da annullamento, stabilendo che i maggiori valori iscritti in bilancio, con riferimento agli elementi patrimoniali dell’incorporata, a fronte del disavanzo da concambio o da annullamento, non son imponibili nel confronti dell’incorporante, ma non incidono sui valori fiscalmente riconosciuti degli elementi medesimi.
I beni ricevuti dall’incorporante sono infatti valutati fiscalmente in base al valore riconosciuto presso l’incorporata, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio ed i valore fiscalmente riconosciuti.
Se il disavanzo viene allocato nell’avviamento, l’ammortamento su questo diviene dunque fiscalmente irrilevante.
Oggi non si assegna alcuna differenza tra differenze da concambio e differenze da annullamento, ma per lungo tempo questi due elementi sono stati tenuti distinti dall’ordinamento tributario, in quanto alla fusione con concambio si forniva una lettura in chiave patrimoniale, mentre a quella di annullamento si attribuiva una lettura in chiave reddituale.
Nella lettura in chiave patrimoniale della fusione con concambio, come strumento per riunire due o più organizzazioni societarie, implicava che agli avanzi, non poteva essere assegnata natura reddituale in quanto non realizzavano alcun incremento di valore del patrimonio del complesso unificato, mentre i disavanzi e le plusvalenze iscritte per coprirli venivano considerate alla stregua di normali plusvalenze iscritte.
Mentre la lettura in chiave reddituale della fusione con annullamento, quale mezzo per acquistare il patrimonio dell’incorporata (mediante l’acquisto della relativa partecipazione e la successiva incorporazione) a sua volta comportava, per gli avanzi, che questi venissero considerati componenti positivi di reddito, corrispondendo al maggior valore del patrimonio acquisito rispetto all’investimento, mentre i disavanzi, che le plusvalenze iscritte per assorbirli non potessero essere considerate delle normali plusvalenze iscritte, bensì lo strumento per salvaguardare, riversandolo sui beni acquisiti per fusione, il costo della partecipazione annullata.
E per queste si era ritenuto necessario configurare un regime diverso da quello delle normali plusvalenze iscritte e per quanto dando vita a maggiori valori fiscalmente riconosciuti, non corressero a formare il reddito dell’incorporante.
Il trattamento del disavanzo da fusione è stato quindi trattato in maniera differente nel passare degli anni.
Dal 1gennaio 2008 è stato reintrodotto a regime la possibilità di affrancare i maggiori valori derivanti da fusione (il disavanzo), sono previste delle aliquote variabili in relazione all’ammontare del disavanzo. (aliquota progressiva a scaglioni).
Ad oggi fusione e scissione possono beneficiare della neutralità fiscale mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva.


Il riporto delle perdite fiscali


Il riporto delle perdite fiscali in tema di fusione, genera fenomeni di interesse da parte dei soggetti partecipanti alla fusione che hanno redditi imponibili, in quanto l’operazione di fusione gli consente di abbattere il reddito imponibile, in quanto visto che fusione e scissione prevedono la successione universale, questo avviene anche per le perdite fiscali. (fenomeno delle cosiddette bare fiscali).
A tal fine il legislatore ha imposto alcuni paletti, poiché il ricorso ad operazioni di fusione al fine di incorporare società con perdite fiscali per abbassare il reddito imponibile, sarebbe un’operazione all’ordine del giorno, a tal fine l’art. 172 prevede norme di natura antielusiva.
L’art. 172 c. 7, prevede che le perdite delle società partecipanti alla fusine possono essere portate in deduzione dal reddito dell’incorporante solo a certe condizioni e in una certa misura.
La disciplina riguarda il potere dell’incorporante di portare in diminuzione dai redditi conseguiti nei periodi d’imposta chiusi dopo la fusione sia le perdite fiscalmente riconosciute dell’incorporata sia le proprie perdite fiscalmente riconosciute (relative a periodi d’imposta chiusi prima dell’operazione).
Il diritto di riporto delle perdite pregresse incontra nella norma due distinte, ma concatenate, restrizioni, una prima sull’an ed una seconda sul quantum.
Le perdite fiscali possono essere utilizzate dalla incorporante, è necessario che dal conto economico della società le cui perdite sarebbero altrimenti riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata,si evidenzi come questa sia una società vitale, ed al fine di individuare questa vitalità il legislatore ha selezionato due requisiti;
ammontare dei ricavi e dei proventi dell’attività caratteristica;
ammontare del costo per il personale.
Questi due valori devono essere superiori al 40% della media del biennio precedente.
Il limite relativo al quantum, è l’ammontare delle perdite utilizzabile in diminuzione dei redditi conseguiti dopo la fusione.
Il parametro di riferimento utilizzato è il patrimonio netto, questo limite coesiste con quelli precedentemente enunciati.
La società che ha conseguito perdite fiscali deve avere un patrimonio netto almeno pari all’ammontare delle perdite fiscali, la parte eccedente delle perdite rispetto al patrimonio netto è inutilizzabile.
Non si deve però tener conto dei versamenti a patrimonio effettuali negli ultimi 24 mesi (altra norma di carattere antielusivo).
La norma sulle limitazioni delle perdite fiscali riguarda non solo l’incorporata ma anche l’incorporante.
Il test di vitalità deve essere effettuato sulla società che ha conseguito le perdite fiscali che può essere sia l’incorporata o l’incorporante.


Decorrenza della fusione e la dichiarazione dei redditi d'impresa delle società incorporate o fuse


Per l’incorporata il lasso di tempo racchiuso tra l’inizio del periodo d’imposta e il giorno in cui la fusione ha effetto costituisce un autonomo periodo d’imposta, in relazione al quale, entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo, l’incorporante deve presentare un’apposita dichiarazione dei redditi.
Se nell’atto di fusione non viene indicata la data a partire dalla quale l’operazione è efficace ai fini delle imposte sui redditi, la data che segna per l’incorporata il termine del periodo d’imposta coincide con quella in cui secondo la norma civilistica si realizza l’unione delle società partecipanti all’operazione, e quindi ai sensi dell’art. 2504 bis con la data in cui la società risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione.
La seconda parte dell’art. 2504 bis, prevede solo nel caso di fusione per incorporazione di spostare la decorrenza degli effetti della fusione  ad una data successiva (questa è detta anche clausola di post-datazione che vale anche ai fini tributari).
L’art. 172 c. 9 riconosce in maniera esplicita alle società partecipanti alla fusione la facoltà di indicare nell’atto di fusione la data a partire dalla quale l’operazione esplica effetti ai fini delle imposte sui redditi, questa data non può essere anteriore  a quella in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate o a quella, se più prossima in cui si è chiuso l’ultimo esercizio della società incorporante.
Se la fusione viene effettuata al 14 dicembre, dovrebbero essere redatti due bilanci, se io ho la possibilità di retrocedere evito di fare il bilancio della incorporata, è solo per un effetto fiscale retroattivo.
Attraverso questa previsione è possibile impedire che il periodi pre-fusione diventi un autonomo periodo d’imposta ed esercizi sociali.
Il legislatore ha stabilito che sebbene nell’atto di fusione è stata deliberata la retroazione degli effetti fiscali di fusione al 1 gennaio 2008, l’eventuale perdita generata nel corso del 2008 deve comunque superare i test di vitalità (altrimenti i controlli sarebbero stati fatti solo per le perdite fino al 2007).
Un ulteriore conseguenza fiscale nell’ipotesi di fusione, si ha quando, la società incorporata ha iscritte nel P.N delle riserve in sospensione di imposta in questo caso l’incorporante o risultante della fusione (o la società beneficiaria) deve ricostruire nel proprio patrimonio netto le riserve in sospensione.
Al fine di ricostruire le riserve in sospensione, in mancanza di riserve disponibili, queste si considerano distribuite e quindi assoggettate a tassazione.


Il regime fiscale dei conferimenti


Fino alla fine del dicembre 2007 era presente un duplice regime fiscale in tema di conferimenti.
Il conferimento poteva essere un conferimento di tipo realizzativo o un conferimento in continuità dei valori.
Questo implicava che il contribuente doveva optare per uno o per l’altro regime, in sede di atto di conferimento, decidendo dunque il regime fiscale da assegnare al conferimento.
Se si optava per il conferimento in continuità di valori, l’operazione veniva assimilata ad un operazione di fusione, il conferimento comportava il mantenimento dei valori fiscali dal conferente al conferitario, e proprio come conferma della similitudine con le operazioni di fusione, qualora il soggetto conferente avesse conferito anche il magazzino in quel caso il soggetto conferitario ereditava la stratificazione Lifo e Fifo che aveva il magazzino, così come avviene nella fusione.
Si delineava dunque come un conferimento fiscalmente neutro, poteva essere comunque realizzato evidenziando dei plusvalori, se il conferimento evidenziava maggiori valori civilistici, ma si realizzava comunque una plusvalenza fiscalmente irrilevante.
Vi era dunque una completa neutralità, in alternativa il conferimento poteva essere fatto secondo il modello realizzativo, in tal caso il soggetto conferente realizzava una plusvalenza imponibile il cui regime fiscale era disciplinato dall’art. 86 del Tuir.
Al tempo stesso visto che si optava per un regime realizzativo, i valori dei beni in capo del conferitario erano valori fiscalmente rilevanti.
Es.
Conferimento d’azienda di un valore di 1000, viene venduta a 2000.
I beni presenti in azienda sono:
Crediti 1000;
Magazzino 2000;
Immobilizzazioni 10.000;
Debiti  5000.
Il valore netto contabile dell’azienda pari a 8.000 euro, il valore fiscalmente rilevante dell’azienda è pari a 8.000, il conferimento è fatto con il regime realizzativo, in cambio vengono date partecipazioni il cui valore è di 20.000.
In questo modo si realizza una plusvalenza pari a 12.000 euro, che diviene plusvalenza imponibile.
Il soggetto conferitario (colui che si prende in carico l’azienda) iscriverà i valori contabili dei beni aziendali, dato che il conferimento è fatto secondo il regime realizzativi la plusvalenza potrà essere allocata nei valori delle attività, oppure sarà iscritto nell’avviamento per 12.000 fiscalmente deducibile, in questo caso si crea assimetria, da una parte tasso la plusvalenza dall’altra deduco i valori.
Questo era quello che accadeva fino al 2007, dal 2008 ad oggi il legislatore ha attribuito un regime fiscale proprio al conferimento.Il conferimento di azienda o di ramo d’azienda, gode oggi di un regime fiscale ordinariamente applicabile, che è il regime di neutralità.
Sembrano superati quindi i dubbi relativi al fatto che il conferimento sia un atto di tipo realizzativo.
L’art 176 al c. 1, afferma che i conferimenti d’azienda effettuati nell’esercizio di impresa, tra soggetti residenti nel territorio dello stato non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze, tuttavia il soggetto conferente deve assumere come valore delle partecipazioni l’ultimo valore  pari al valore fiscale dell’azienda che ho conferito.
C’è una sorta di doppio binario, perché i maggiori valori in capo al conferitario non saranno fiscalmente rilevanti come ad esempio l’ammortamento relativo sull’avviamento di 12.000 che non sarà fiscalmente deducibile.
Anche nel caso del conferimento, la finanziaria del 2008, ha previsto la possibilità di applicare una imposta sostitutiva.
A differenza del precedente regime, dove veniva comunicato in sede di atto di conferimento, in questo caso la decisione di dare rilevanza fiscale ai valori spetta solo al conferitario, che  può decidere di sua iniziativa di dare rilevanza fiscale ai maggiori valori di immobilizzazioni materiali ed immateriali acquisite a seguito del conferimento.
Prima era la società incorporante o risultante della fusione che decideva, ora invece è la società conferitaria che decide di affrancare i maggiori valori.
L’opzione per l’affrancamento può essere esercitato nell’esercizio in cui è avventa la fusine o nell’esercizio successivo.
Passato questo termine il soggetto non può più optare per l’affrancamento dei valori.
La norma sui conferimenti tende a mantenere una continuità dei valori, prevede che se io conferisco la mia azienda e ricevo la partecipazione, queste partecipazioni ricevute ereditano anche il cd holding period.
In quanto nel momento successivo in cui io vendo le partecipazioni ed applicherò il regime P. EX posso tener conto del periodo di possesso precedente, questo è espressamente previsto dalla norma.
C’è una relazione tra partecipazione posseduta e periodo di partecipazione posseduta, che viene utilizzato per l’applicazione del regime PEX.
Le imposte sostitutive che sono applicabili con la vigente normativa sono sostitutive di tutte le imposte, sia Ires che Irap.
Se il tributo è sostitutivo dell’Ires e dell’Irap significa che gli ammortamenti che vado a determinare sono deducibili sia ai fini Ires ed Irap.
La fusione e la scissione sono dunque ad oggi assimilate, e sono operazioni effettuate in neutralità di imposta, ed entrambe prevedono la tassazione dei maggiori valori attraverso il versamento di imposta sostitutiva.


Le operazioni straordinarie internazionali


Le operazioni straordinarie possono essere effettuate anche tra soggetti non residenti, l’art. 178 e 179 disciplinano il regime fiscale delle fusione, scissione e conferimenti effettuati tra un soggetto residente ed un soggetto non residente nell’area euro.
È presente inoltre una direttiva comunitaria, che è stata emanata col fine di rendere omogenea la disciplina sulle operazioni straordinarie effettuate tra società appartenenti all’UE.
Anche per le operazioni transazionali è previsto il regime di neutralità fiscale, purché l’operazione sia svolta tra una società italiana e una società dell’area euro.
L’art. 178 del Tuir indica come operazioni:
le fusioni tra società di capitali residenti in Italia e società analoghe residenti in altri stati membri dell’Unione europea;
delle scissioni proporzionali totali di una delle società indicate sopra con attribuzione del patrimonio a due o più altre società indicate sopra, preesistenti o di nuova costituzione, alcuna delle quali residente in un Stato membro diverso da quello della prima, e limitatamente alla corrispondente parte dell’operazione;
dei conferimenti di aziende da una ad un’altra delle società sopra indicate, residenti in Stati diversi dell’Unione, sempre che una sia residente in Italia;
delle operazioni menzionate in precedenza tra società indicate sopra non residenti in Itali con riguardo alle stabili organizzazione in Italia;
degli scambi di partecipazioni mediante i quali una delle società indicate sopra acquista o integra una partecipazione di controllo in un’altra società sopra indicata, residente in un altro stato dell’Unione.
La norma prevede la neutralità fiscale a condizione che siano verificati determinati presupposti.
Il primo requisito riguarda la residenza europea dell’altra società, l’ulteriore requisito richiesto è che la società acquirente la società europea mantenga nel territorio dello stato europeo una stabile organizzazione.
Nel caso di una fusione tra una società italiana ed una francese, la normativa implica che si può godere del regime di neutralità fiscale dell’operazione purché, l’ex azienda francese divenuta italiana,mantenga una stabile organizzazione in Francia.
L’aspetto rilevante è che il soggetto italiano incorporante il soggetto francese, gode della neutralità fiscale, se il soggetto francese (che ormai non esiste più perché è stato incorporato) con i suoi stabilimenti francese diviene una stabile organizzazione italiana nel territorio francese.
Questo consente di avere la neutralità e il legislatore francese ha la possibilità di mantenere una società che genera reddito d’impresa, e mantiene la possibilità di tassare i plusvalori sulla società non più francese che è una stabile organizzazione italiana in Francia.


Operazione di trasformazione


Questa è un’operazione che di per sé non è un evento realizzativo, si concretizza con il cambiamento del vestito giuridico della società trasformante.
La trasformazione può essere:
- trasformazione omogenea;
- trasformazione omogenea involutiva;
- trasformazione omogenea evolutiva;
- trasformazione eterogenea.
Nel caso di trasformazione omogenea tra società di capitali, il regime tributario non cambia, (ad esempio da S.r.l. e s.p.a.) in questo caso non c’è emersione di plusvalenze.
Nel caso di trasformazione omogenea evolutiva, (ad esempio da s.n.c. in spa) non sono generate plusvalenze, in questo caso è  però necessario evidenziare e tenere ben distinti gli utili precedentemente prodotti dalla società di persone, in quanto questi hanno un regime di tassazione differente, (regime della trasparenza), questi devono essere distintamente indicati nel bilancio della società di capitali, in quanto già tassati.
Le trasformazioni che avvengono tra soggetti che esercitano attività d’impresa sono dette trasformazioni di tipo omogenee, a differenza delle trasformazioni eterogenee, quando c’è una trasformazione da un soggetto che esercita attività d’impresa ad uno che non esercita attività d’impresa.

Tratto da DIRITTO TRIBUTARIO di Alessandro Pastore
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