Appunti del corso di Diritto Bancario a.a. 2009-10 integrati con il manuale adottato dalla docente di F. Giorgianni – C.M. Tardivo, 'Manuale di diritto bancario', Giuffrè, Milano.
Diritto bancario
di Fabio Muzzolu
Appunti del corso di Diritto Bancario a.a. 2009-10 integrati con il manuale
adottato dalla docente di F. Giorgianni – C.M. Tardivo, 'Manuale di diritto
bancario', Giuffrè, Milano.
Università: Università degli Studi di Sassari
Facoltà: Economia
Esame: Diritto bancario
Docente: Manuela Tola1. Lo sviluppo storico dell'attività bancaria
Tutti sanno che le attività finanziarie di maggiore rilevanza svolte nel nostro mercato, unitariamente inteso,
si contraddistinguono per la previsione di speciali operatori, legislativamente definiti “banche”,
“intermediari finanziari non bancari” e “intermediari finanziari mobiliari”, ai quali viene affidato, con
riferimento al pubblico, la custodia, la circolazione, la gestione e l’investimento del risparmio, e
rispettivamente: l’esercizio dell’attività di raccolta di risparmio e l’esercizio del credito (artt. 10 e 11 t.u.b.);
l’esercizio di attività di intermediazione finanziaria (artt. 106 e ss. t.u.b.); l’esercizio di attività di
intermediazione mobiliare o di gestione collettiva di strumenti finanziari (art. 1, 18 e ss., 33 e ss. t.u.f.).
Uno degli aspetti principali che differenzia notevolmente l’attività bancaria dall’attività degli intermediari
finanziari non bancari e dagli intermediari mobiliari è la diversa imputazione del rischio derivante
dall’impiego del risparmio da parte dell’operatore. Tale profonda differenza, che consente di riservare alle
sole banche il ruolo tradizionale e storicamente consolidato della raccolta di risparmio a vista e
conseguentemente della “raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento a
spendibilità generalizzata” (artt. 10 e 11 t.u.b.), si dimostra direttamente collegata alla capacità della banca:
di poter trasformare la moneta legale raccolta dai risparmiatori in credito disponibile, ovvero in moneta
scritturale, che, sebbene posizione giuridica di natura obbligatoria e non più reale come per la moneta legale,
dimostra di avere il medesimo valore e le medesime caratteristiche di spendibilità e circolazione
generalizzata proprie di quest’ultima; e di consentire ai propri clienti l’utilizzazione di tale particolare
credito attraverso una serie diffusa e crescente di strumenti bancari di pagamento di generale circolazione e
accettazione anche per l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie.
L’attività bancaria, che può dunque collocarsi fra le attività finanziarie rilevanti per il mercato, deve pertanto
tenersi distinta dalle altre attività finanziarie il cui esercizio professionale non è riservato alle sole banche,
quali in particolare: quelle che possono essere svolte da intermediari finanziari non bancari (assunzione di
partecipazioni, concessione di finanziamenti, prestazione di servizi di pagamento e d’intermediazione in
cambi) e dagli intermediari di valori mobiliari.
È bene, infatti, ricordare che l’attività, precipuamente costituita da “la raccolta del risparmio tra il pubblico e
l’esercizio del credito”, “è riservata alle banche”, anche se “le banche esercitano, oltre all’attività bancaria,
ogni altra attività finanziaria” (art. 10 t.u.b.); e che le “altre attività finanziarie”, esercitate da intermediari
non bancari, non possono comprendere anche l’attività bancaria.
Già dal XIX secolo il capitalismo industriale ha presentato caratteristiche evidenti di una sua dipendenza
dall’attività bancaria: il credito bancario rappresentava, ed ancora oggi rappresenta, la maggiore fonte del
finanziamento dell’impresa. Tale dipendenza, tuttavia, grazie forse alla composizione del potere politico
della fine dell’Ottocento, non ha determinato particolari ingerenze dei pubblici poteri sull’attività bancaria
sino alla grande crisi dei primi decenni del Novecento. Occorre ricordare che sino all’emanazione del t.u.b.
ora vigente la struttura del nostro sistema bancario era costituita da un corpo organico di norme,
comunemente indicate come “legge bancaria”, dettate con r.d.l. 17 marzo 1936, n. 375, poi convertito con
rilevanti modificazioni con l. 7 marzo 1938.
In precedenza, all’indomani della prima guerra mondiale, una serie di provvedimenti in materia monetaria e
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Diritto bancario bancaria (r.d.l. 7 settembre 1926, n. 1511 e 6 novembre 1926, n. 1833) dettavano talune disposizioni per le
imprese bancarie.
Tali precedenti disposizioni normative, invero dirette alla “tutela del risparmio”, abbozzavano un primo
sistema regolamentato sia per le c.d. aziende di credito ordinario sia per gli istituti sorti per l’esercizio di
crediti speciali. Esse, tuttavia, non eliminavano la frantumazione del potere di controllo, che rimaneva
attribuito ad una pluralità di Ministeri (delle Finanze, dell’Agricoltura e Foreste, delle Corporazioni e
dell’Economia nazionale) e alla Banca d’Italia.
Un primo obiettivo da perseguire, conseguito dalla “legge bancaria” del 1936-38, fu quello di affidare ad
un’unica struttura pubblica la “difesa del risparmio e la disciplina della funzione creditizia”. Non solo, ma a
tale struttura furono riconosciuti poteri di controllo anche su buona parte del risparmio destinato agli
investimenti.
La nuova struttura di controllo era costituita da un Comitato di Ministri (Finanza, Agricoltura, Economia
nazionale) presieduto dal capo del Governo, alle cui dipendenze veniva posto un organo statale, denominato
“Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito”, a capo del quale era posto il
Governatore della Banca d’Italia. Quest’ultimo, nella veste di capo dell’Ispettorato, partecipava alle riunioni
del Comitato dei Ministri, il quale avrebbe dovuto inoltre sentire il Comitato corporativo centrale. In tal
modo, di fatto, il controllo sulle banche fu affidato all’Ispettorato.
La legge bancaria non si limitò, poi, a trasferire il controllo sulle banche dalla Banca d’Italia all’Ispettorato,
ma attribuì a quest’ultimo poteri molto ampi senza una precisa indicazione dei loro limiti e senza neppure
specificare i fini per il cui conseguimento gli stessi potevano essere esercitati.
La legge bancaria aveva anche recepito e confermato la forte specializzazione che caratterizzava le imprese
bancarie e la profonda differenza che caratterizzava gli statuti legislativi degli enti che esercitavano tale
attività (c.d. pluralismo bancario).
La più espressiva specializzazione bancaria fissata dalla legge bancaria era rappresentata, infatti, dalla
distinzione fra aziende di credito e istituti di credito: la prima legge dettava due corpi di norme separate
rispettivamente per i “raccoglitori del risparmio a breve termine” e per la “raccolta del risparmio a medio e
lungo termine”. La distinzione fra aziende e istituti di credito, che ha caratterizzato il sistema bancario
italiano fino ai primi anni novanta, era fondata sulla diversa durata della raccolta: la raccolta delle Aziende
era a vista o a breve e quella degli Istituti a medio e lungo termine. La raccolta a vista e a breve imponeva
una vigilanza più intensa e diversa specie in ordine alla liquidità e quindi alla capacità di far fronte alle
richieste di rimborso dei depositari.
Il pluralismo che caratterizzava il sistema bancario, vigente la legge bancaria, trovava riscontro, nell’ambito
delle sole aziende di credito, ad una serie nutrita di categorie di enti: Istituti di credito di diritto pubblico,
Casse di risparmio, Monti di crediti su pegno, Casse rurali artigiane, Banche popolari, Banche ordinarie in
forma di società lucrativa. Ad essi si aggiungeva la miriade di istituti che operavano sul medio e lungo
termine.
Il crollo del regime, pur non determinando l’abrogazione della legge bancaria, comportò importanti
modifiche del sistema dalla stessa preordinato specie con riguardo alla struttura dell’appartato pubblico.
Soppresso il Comitato corporativo centrale, fu anche soppresso l’Ispettorato per la difesa del risparmio e per
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Diritto bancario l’esercizio del credito e le relative facoltà e attribuzioni passarono al Ministro per il tesoro unitamente ai
poteri e le attribuzioni in precedenza riservate al Comitato dei Ministri, al capo del Governo e al capo
dell’ispettorato. La vigilanza sulle aziende di credito, invece, venne delegata alla Banca d’Italia, salva la
facoltà del Ministro di “disporre nei casi in cui lo ritenesse opportuno, dirette ispezioni avvalendosi del
personale proprio”.
Di lì a poco anche tale sistema venne modificato. Veniva, infatti, istituito il “Comitato interministeriale per
il credito ed il risparmio”, presieduto dal Ministro per il tesoro, al quale era attribuita “l’alta vigilanza in
materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria”,
mentre le funzioni dell’Ispettorato venivano assegnate alla Banca d’Italia, la quale, pertanto, iniziò ad
esercitare l’attività di vigilanza non in quanto delegata del Ministro per il tesoro, ma come titolare della
relativa funzione.
Il sistema bancario, come sopra revisionato, doveva rimanere sostanzialmente immutato fino alla seconda
metà degli anni ’70.
In questo periodo, infatti, nascono le prime direttive europee, le quali modificheranno notevolmente tutte le
leggi nazionali precedentemente esistenti.
Primo passo decisivo sulla via dell’armonizzazione della normativa bancaria viene indicato nella direttiva 12
dicembre 1977 sul “coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nel
campo bancario”, direttiva n. 77/780/CEE.
Tale direttiva ha formulato alcuni importanti principi in una materia dove le differenze fra Stati membri
erano notevoli. Sinteticamente, in essa si è affermato il principio della necessità di una semplice
autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa per la costituzione di enti creditizi e per l’esercizio
dell’attività bancaria.
Ancorché possa ritenersi eccessivo qualificare la seconda direttiva in materia bancaria (89/646/CEE del 15
dicembre 1989, relativa al “coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative
riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi ed il suo esercizio) fonte primaria del c.d. diritto bancario
europeo, indubbiamente le disposizioni normative in essa contenute avrebbero fortemente influenzato e
modificato le diverse legislazioni nazionali ed accelerato il processo di unificazione.
La direttiva, quale ambito di applicazione soggettivo, aveva come destinatari gli enti creditizi, mentre dal
punto di vista oggettivo introduceva principi e criteri di armonizzazione minima e regole prudenziali
comuni.
Dei criteri di armonizzazione introdotti dalla direttiva, merita menzione l’imposizione di un capitale minimo
e il controllo degli assetti proprietari, con una più puntuale disciplina delle partecipazioni.
In ordine alla libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, la seconda direttiva aveva previsto il
meccanismo del c.d. passaporto europeo (principio del mutuo riconoscimento).
Affinché il meccanismo della direttiva potesse operare e l’ente creditizio godere del passaporto europeo ed
essere abilitato a insediarsi tramite succursali ed a prestare servizi negli altri paesi comunitari, occorreva
fossero rispettate tre condizioni:
- Che si trattasse di un ente creditizio autorizzato dalle autorità dello Stato membro d’origine e sottoposto
alla loro vigilanza;
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Diritto bancario - Che le attività che svolgeva fossero debitamente autorizzate dalle autorità dello Stato membro d’origine;
- Che si trattasse di attività contemplate nell’allegato alla direttiva medesima.
In Italia l’avvio del processo di trasformazione del sistema bancario viene normalmente indicato
nell’emanazione del d.P.R. 27 giugno 1985, n. 350 che dava concreta attuazione nel nostro ordinamento alla
prima direttiva CEE.
L’innovazione più consistente di tale decreto è rappresentata dal riconoscimento del diritto all’ingresso sul
mercato bancario a qualunque soggetto che presenti le qualità richieste dalla legge per poter esercitare la
relativa attività: viene, cioè, privato da ogni discrezionalità l’esercizio del potere di controllo sull’accesso
all’esercizio dell’attività bancaria attribuito alle autorità di vigilanza sul settore.
Ultima e forse più significativa tappa verso il nuovo sistema può essere indicata l’emanazione del d.lgs. 14
dicembre 1992, n. 481 (c.d. legge Amato) che ha definitivamente consentito la più ampia operatività agli
enti creditizi, riconoscendo così piena cittadinanza nel nostro ordinamento, accanto al c.d. gruppo
polifunzionale, alla c.d. “banca universale”: gli enti creditizi potevano esercitare, oltre all’attività bancaria,
tutte le attività ammesse al mutuo riconoscimento ossia tutte le attività finanziarie; veniva così,
definitivamente abolita la vecchia distinzione fra aziende ed istituti di credito.
La legge Amato non viene però particolarmente ricordata in quanto è stata sostituita nel giro di pochi mesi
dal “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” che comportò molteplici innovazioni per il
nostro sistema normativo in materia bancaria.
Basterà in questa sede ricordare:
- Il chiarimento sulle finalità che possono essere perseguite dalle autorità creditizie: “le autorità creditizie
esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti … avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti
vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario” (art. 5, 1°
comma);
- Il forte collegamento fra i poteri delle autorità creditizie e le disposizioni comunitarie (art. 6)
- Le significative modificazioni, non solo in termini linguistici, dei soggetti che svolgono l’attività bancaria,
ora definiti non più “enti creditizi (d.lgs. 481/1992) ma “banche (art. 1);
- Il riconoscimento che “la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito” costituiscono
l’attività bancaria, la quale “ha carattere d’impresa” ed il cui “esercizio” “è riservato alle banche” (art. 10).
Si poneva fine, in tal modo, alle dispute più o meno risalenti sul carattere pubblico dell’attività bancaria
(concezione originata dalla legge bancaria del 1938-38, secondo la quale la “raccolta del risparmio” e
“l’esercizio del credito” erano “funzioni di interesse pubblico”);
- L’importante rielaborazione del concetto di “raccolta del risparmio” (definito come “l’acquisizioni di fondi
con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”) riservata alla banche(art. 11);
- L’esplicita autorizzazione per le banche di esercitare “ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina
propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali”, fatte salve le riserve previste dalla legge (art.
10,3);
- Le rilevanti novità riguardanti la disciplina delle operazioni di credito e delle garanzie mobiliari assumibili
per la concessione dei finanziamenti bancari. Viene, infatti, eliminata la maggior parte dei c.d. crediti
speciali che caratterizzavano il nostro sistema (credito industriale, credito per le imprese di pubblica utilità,
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Diritto bancario credito edilizio), riducendo le “speciali” operazioni creditizie al credito fondiario e alle opere pubbliche
(artt. 38-42), al credito agrario e peschereccio (artt. 43-45) ed al credito sul pegno (art. 48).
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Diritto bancario 2. Le autorità creditizie
Le norme del t.u.b., oltre ad essere soggette alle modifiche, integrazioni ed abrogazioni dettate dal
legislatore, lasciano molti spazi in bianco all’intervento normativo, per così dire secondario, delle c.d.
Autorità Creditizie (Ministro dell’economia, CICR e Banca d’Italia), alle quali sono attribuiti anche poteri di
regolamentazione e istruzione.
Così, ad esempio, il Ministro dell’economia e finanze “determina con regolamento” i requisiti di onorabilità
dei soci di riferimento e di professionalità degli esponenti aziendali e delle banche (artt. 25 e 26) – e degli
intermediari finanziari (artt. 108 e 109) – e “determina i criteri e i limiti degli interventi” del Fondo
Interbancario di garanzia (art. 45,2).
Il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) dispone di un’ampia competenza
deliberativa (art. 2) anche di carattere normativo.
La Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 4, co. 1, oltre a formulare “le proposte per le deliberazioni di competenza
del CICR”, “emana regolamenti, nei casi previsti dalla legge, impartisce istruzioni e adotta provvedimenti di
carattere particolare di sua competenza”.
Da segnalare in questa sede che detti provvedimenti di carattere generale, nel cui ambito si collocano tanto i
regolamenti (le cui violazioni possono incidere nella validità dei rapporti stipulati con i terzi) che le c.d.
istruzioni (le cui violazioni possono comportare sanzioni amministrative) devono essere motivati,
accompagnati da una relazione ed emanati nel rispetto del “principio di proporzionalità, inteso come criterio
di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minor sacrificio degli interessi dei
destinatari” (art. 23 l. 262/2005 Legge sulla tutela del risparmio), e devono essere pubblicati sul Bollettino
della vigilanza e, ove contengano “disposizioni destinate anche a soggetti diversi da quelli sottoposti a
vigilanza”, sulla Gazzetta Ufficiale (art. 8).
Il Sistema Europeo delle Banche Centrali (S.E.B.C.), strumento essenziale dell’Unione economica e
monetaria, è stato istituito dal Trattato di Maastricht nel 1992.
Il Sistema è costituito dalla Banca Centrale Europea (B.C.E.) e dalle banche centrali nazionali dei paesi
membri che hanno adottato la moneta unica.
Il SEBC, privo di personalità giuridica, è governato dagli organi della BCE e sostiene le politiche
economiche generali dell’Unione europea.
La Banca Centrale Europea svolge tutte le funzioni di politica monetaria, ivi comprese le competenze in
materia valutaria, e promuove il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento. Inoltre, sempre la BCE,
ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote all’interno della comunità e quello di detenere
e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri.
Si tratta di materie per le quali è attribuito alla BCE un potere normativo “primario”, nel senso che può
dettare norme che derogano alle disposizioni delle legislazioni nazionali e che non possano essere
contrastate dalle legislazioni nazionali. Peraltro, si è cercato il più possibile di istituzionalizzare
l’indipendenza della BCE, non solo vietandole di concedere scoperti di conto o qualsiasi altra forma di
facilitazione creditizia alle istituzioni comunitarie e nazionali, ma dotandola di autonomia personale. Tale
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