APPROFONDIMENTI
Habermas e Rawls a confronto
Un grave deficit in termini di intersoggettività è ciò che Habermas contesta alla teoria della giustizia rawlsiana.
Trovo non priva di interesse e significato questa disputa in quanto mette in rilievo come due autori, prendenti le mosse entrambi da Kant, nel tentativo di interpretare l’imperativo categorico in termini intersoggettivi, giungano poi a formulare due teorie tra loro fronteggiantesi.
Il punto d’incontro tra le diverse istanze dei due autori è il tentativo di riportare il discorso politico su tematiche prettamente normative tentando una fondazione del consenso che sta alla base del vivere insieme. Ma proprio qui i due colossi s’incontrano e si dividono: la profondità delle ragioni che fondano tale consenso è uno dei motivi principali dello scontro che qui proporrò.
Rawls in Una teoria della giustizia immagina una situazione ideale in cui ipotetici sceglitori, posti sotto un velo d’ignoranza che non permette loro di conoscere la loro posizione all’interno della società, le loro caratteristiche personali e la loro concezione del bene, debbano accordarsi sui principi di giustizia che dovranno regolare la società futura in cui vivranno.
La critica di Habermas non è rivolta contro la giustizia dei principi sopracitati, né, in generale, contro la concezione della giustizia propria di Rawls; Habermas nutre parecchie perplessità sulle intuizioni che stanno a monte della costruzione della posizione originaria, sul fatto che tale posizione sia la via migliore per garantire l’imparzialità del giudizio delle parti in causa.
La critica habermasiana si muove su tre diversi fronti:
1. In primo luogo Habermas si dimostra perplesso sull’effettiva efficacia del modello della posizione originaria nel garantire il punto di vista imparziale di principi di giustizia intesi in chiave deontologica.
2. In secondo luogo contesta a Rawls di non aver tenuto sufficientemente distinto il momento della fondazione dei principi da quello della loro accettazione fattuale.
3. Da ultimo critica Rawls per aver concesso troppo poco alla legittimazione democratica in favore dei classici diritti liberali, ovvero di non aver saputo conciliare libertà degli antichi e libertà dei moderni.
In questa sede mi addentrerò solamente nei meandri della seconda delle sopracitate critiche.
Pluralismo, consenso per sovrapposizione e ragionevolezza
A seguito delle Dewey-Lectures del 1980, Rawls, preoccupato del sempre crescente pluralismo sociale e, soprattutto, ideologico delle società moderne sottolinea il carattere “politico” della sua concezione della giustizia.
Con tale attributo il filosofo vuole evidenziare la neutralità della sua teoria rispetto alle diverse visioni del mondo.
A tale proposito avrebbe dovuto essere funzionale, nell’intento rawlsiano, anche il concetto di “consenso per sovrapposizione”, ovvero quel consenso che risulta dalla parziale intersezione delle diverse visioni del mondo lasciando ognuna così come è, senza creare fenomeni di incoerenza o provocare rivisitazioni forzate delle diverse dottrine comprensive: in altre parole tutti i cittadini possono dare il loro consenso alla concezione della giustizia proposta da Rawls e ai due principi che da essa conseguono, pur mantenendo ciascuno la propria personale visione del mondo. Nell’ottica di Rawls (o, per meglio dire, nelle sue speranze) la concezione della giustizia da lui proposta si integra perfettamente all’interno di qualunque dottrina ragionevole.
La critica di Habermas si inserisce proprio a questo punto.
Il filosofo tedesco si sofferma ad analizzare il ruolo occupato all’interno della teoria rawlsiana da due concetti ritenuti portanti:
1. Il concetto di “consenso per sovrapposizione”.
2. Il concetto di “ragionevole”.
Il concetto di consenso per sovrapposizione
Habermas si chiede se il consenso per sovrapposizione, cui Rawls attribuisce apparentemente un ruolo di primaria importanza, svolga, in realtà, un mera funzione strumentale o, se invece, abbia effettivamente una portata cognitiva in grado di fornire un’ulteriore giustificazione dei due principi.
La conclusione cui Habermas giunge è la seguente: il consenso per sovrapposizione, all’interno della teoria rawlsiana, occupa, nei fatti, una posizione di secondaria importanza, in quanto non fornisce un’ ulteriore conferma della giustezza dei due principi, ma indica solo se possono effettivamente essere utilizzati nelle condizioni di pluralismo in cui le società reali versano.
In effetti, soffermandosi attentamente sulla procedura che conduce alla scelta dei due principi di giustizia, è evidente che tutti i discorsi legittimanti sono già stati fatti al momento stesso della fondazione di tali principi; tutte le discussioni si sono già svolte all’interno della posizione originaria e, pertanto, una volta giunti nella società reale i principi non hanno alcun bisogno di un’altra fondazione, si può soltanto mettere in discussione la loro effettiva utilizzabilità ma non già la loro giustezza. Se, infatti, per dirla con Habermas, si potessero “riaccendere gli ardori radical democratici” e si potesse rimettere tutto nuovamente in discussione, a che sarebbe servito allora il modello della posizione originaria? A che pro il velo d’ignoranza garante dell’imparzialità di giudizio?
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