APPROFONDIMENTI
Giusto è Utile
Kant difendeva a spada tratta la sua teoria deontologica sulla giustizia: ciò che è giusto deve essere definito a priori, a prescindere dall’esperienza pratica, a prescindere da ciò che avviene nella realtà sociale quotidiana! La giustizia come valore supremo e assoluto, misura di ogni altro valore e fine in vista del quale ogni scelta deve essere compiuta.
Habermas, anni dopo, riprenderà la teoria deontologica del maestro e la trasporterà nella dimensione politica giungendo alla conclusione che “giusto è ciò che può essere accettato da tutti senza distinzione di razza, cultura, religione o qualunque altra caratterizzazione e scelta di vita”. Anche qui, dunque, ciò che è giusto viene prima di tutto e deve essere stabilito prima di qualsivoglia esperienza pratica e concreta: sarà l’esperienza a doversi adeguare all’ideale di giustizia e non viceversa! La giustizia come ideale, appunto, senza continuità o collegamento con il reale se non come modello pre-imposto.
L’errore è ammesso se e solo se involontario, non premeditato: meglio rompere 10 tazze senza volerlo piuttosto che 1 sola ma intenzionalmente! Aristotele, dal canto suo, sosteneva esattamente l’opposto: meglio il calzolaio che sbaglia di proposito il suo lavoro per uno scopo preciso piuttosto di colui che sbaglia involontariamente in quanto chi fa la cosa sbagliata di proposito è in gradi di discernere tra giusto e sbagliato e, dunque, come è in grado di fare la cosa sbagliata così ugualmente sarà anche in grado di fare quella giusta laddove, invece, colui che fa il male senza rendersene conto non è in grado di distinguere tra giusto e sbagliato e, pertanto, non sarà in grado di compiere il giusto se non per puro caso.
Per anni sono stata una fedelissima seguace della teoria deontologica ma il confronto con la quotidianità, specialmente con la realtà socio- politica quotidiana dei nostri tempi, mi porta un po’ più lontano da Kant e mi costringe a pormi la domanda: e se non fosse la giustizia il valore assoluto ma la funzionalità? E se il pensare a ciò che è utile “hic et nunc” fosse un altro modo di ripensare la giustizia?
Riprendiamo un altro esempio kantiano: ci troviamo ad un bivio ferroviario, su un binario sono legate 5 persone le quali, inevitabilmente, moriranno in quanto il treno passerà proprio su quel binario; sull’altro binario, su cui il treno non passerà, è legata una sola persona. È in mio potere, se lo vorrò, dirottare la traiettoria del treno facendolo passare sul binario su cui è legata una sola persona. A questo punto il dilemma morale: se non farò cambiare traiettoria al treno lascerò morire 5 persone; se dirotterò il percorso ne farò morire una soltanto. La differenza fondamentale sta nel fatto che nel primo caso non sarò io volontariamente a procurare la morte dei 5 soggetti ma semplicemente lascerò che il destino faccia il suo corso; nel secondo caso, invece, sarò io che di proposito causerò la morte di un individuo. Secondo la teoria kantiana non ci sono dubbi: se cambiassi la traiettoria del treno mi renderei moralmente colpevole in quanto agirei di proposito e, dunque, per agire giustamente non dovrei fare nulla e restare a guardare quel treno che uccide le 5 persone legate sul binario.
Ma, aggiungo io, poniamo il caso che tra quelle 5 persone ci sia un ricercatore medico che, grazie ai suoi studi e alle sue scoperte, è in grado di guarire parecchie malattie mentre quell’unico individuo legato sul binario opposto sia un criminale che si è già macchiato di diversi crimini e la cui utilità per il benessere sociale è uguale a zero. A questo punto resta pur sempre vero che cambiano di proposito il percorso del treno causerei una morte volontariamente ma, indubbiamente, renderei un beneficio alla società in cui vivo in quanto toglierei di mezzo un individuo pericoloso e continuerei a far vivere un atro individuo che potrebbe salvare la vita di molto altri. Dunque farei un qualcosa di utile.
Perché mai rendere un servizio utile alla società non può essere considerato anche giusto anche se non corrisponde ad un criterio di giustizia deontologico? Sicuramente la mia decisione di dirottare il treno non può essere giustificata da un criterio ideale ma nella realtà fattuale è giustificabilissimo in base al criterio di utilità sociale.
Mi si potrà ribattere che il criterio di utilità non è per tutti il medesimo e che, in ogni caso, non può essere stabilito una volta e per tutte ma è mutevole come mutevole è la realtà.
Proprio questo è il punto: l’ideale viene stabilito una volta e per tutte come se ciò che è valido ora dovesse essere valido sempre ma la realtà non si dà una volta e per tutte, la realtà cambia, si trasforma anche ogni giorno, e il fatto che ciò che è utile oggi potrebbe non esserlo più domani non è un limite ma, anzi, uno stimolo a mettere e mettersi sempre in discussione, a ripensare e rivedere le proprie teorie e convinzioni sul mondo e sulla giustizia di volta in volta a seconda dei problemi che dobbiamo affrontare.
Altra obiezione che mi aspetto: seguendo il criterio dell’utilità sarà impossibile raggiungere l’uguaglianza sociale in quanto all’occorrenza i diritti di determinati individui o gruppi sociali potrebbero venir sacrificati in quanto no utili al benessere complessivo di una determinata società. Questa è un’ obiezione sicuramente vera, seguendo il criterio di utilità, o funzionalità, non potrà più valere la regola del “giusto è ciò che può essere accettato da tutti” ma varrà, piuttosto, il criterio del “facciamo ciò che deve essere fatto per risolvere il problema che dobbiamo affrontare”, una sorta di “super-etica” di stampo nietzschiano secondo cui, in nome di una soluzione concreta e soddisfacente, si andrà anche al di là del bene e del male, non perché non esisteranno più bene e male, giusto o sbagliato ma perché dovranno essere ripensati in chiave meno ideale ma molto più fattuale ed immediata e ciò che oggi viene sacrificato in nome di altro domani potrebbe tornare a risplendere in prima linea in quanto nuova soluzione per un nuovo problema da affrontare.
Una morale, una teoria politica più vicina al presente, al “qui e ora”, meno progetti a lunga scadenza ma più soluzioni immediate ed efficaci: forse, considerata la situazione sociale e politica in cui versa attualmente la società in cui concretamente e quotidianamente viviamo, l’utilità e la funzionalità sono il modo davvero più onesto su cui misurare i criteri di giustizia.
Concludo con una frase che mi è rimasta nella mente fin dai tempi dell’Università, una frase habermasiana:
“non sacrifichiamo le persone concrete in nome di idee astratte”!
Biografia dell’autrice
Samanta Airoldi nasce a Genova nel 1984. Nel 2008 consegue la laurea specialistica in Filosofia presso l’Università degli studi di Genova con una tesi dal titolo “Morale e agire comunicativo in J. Habermas” riportando la votazione di 110 con lode.
Nel marzo 2012, presso la medesima Università, consegue il Dottorato di ricerca, sempre in Filosofia, presentando la tesi “Universalismo e pluralismo in dialogo”.
Attualmente vive a Milano e continua a coltivare i suoi interessi nel campo delle scienze umane con particolare attenzione al rapporto tra i differenti gruppi culturali che convivono nella stessa società nonché alle dinamiche che legano gli individui alle comunità di appartenenza anche in riferimento allo sviluppo psicologico e morale dei singoli.
Altri articoli dello stesso autore:
- Il delicato rapporto tra Giusto e Bene ovvero tra Libertà privata e Benessere pubblico
- Fatti e norme: il concetto di “verità” in morale
- Habermas e Rawls a confronto
- Libertà DA e libertà DI
- Pluralismo vs. Multiculturalismo
- Mens sana in corpore sano
- Costruzionismo delle norme e oggettività morale
- A volte ritornano: da Euripide ai giorni nostri
- Pensieri e Parole
- Responsabilità e funzionalità
- Distribuzione delle risorse: Rawls e Nozick oggi