APPROFONDIMENTI
Romania - Europa e viceversa: oltre le impressioni…
Richiesta l’adesione nel 1995, il primo gennaio 2007 la Romania è entrata ufficialmente in Europa. Nel centro di Bucarest l'ultimo Natale "pre-adesione" si è vestito di blu, brillando di stelle che seguono la familiare disposizione circolare. I segni “istituzionali” dunque non sono mancati, e nel rispondere ad una preoccupazione che è evidentemente reciproca, da mesi nei circoli accademici i temi piu’ discussi riguardano l’ingresso dei nuovi membri, i relativi benefici e problematiche, e in particolare la loro capacità di assorbimento dei Fondi Strutturali. I rumeni si interrogano soprattutto sui primissimi cambiamenti nel paese, così che accanto ai timori generalizzati si percepisce una visione allegorica dell’Europa, in cui la bacchetta magica della Politica di Coesione sembra risolverà tutti i problemi; viceversa per l’Unione la sfida è intesa non solo in termini di governance quanto piuttosto per la società europea che si raffronta con un’opportunità ben al di là delle singole prospettive di investimento.
Se la prima regola dell’interagire umano consiste nell’evitare le cosiddette “prime impressioni”, permettetemi di aggiungere che le “seconde” sono forse peggio delle prime, positive se di apertura verso un’opinione consapevole!
Considerando che la componente migratoria di origine est-europea cresce da diversi anni in misura considerevole, sento il bisogno di scrivere nel desiderio di condividere la scoperta di un paese prima di tutto “latino”, la cui percezione giunge tendenzialmente offuscata in virtù della vicinanza “balcanica” da una parte e “caucasica” dall’altra. A mio avviso, la stessa prospettiva della neo-entrata nell’Unione Europea rende l’attrattiva del conoscere una sorta di obbligo morale, la base per una convivenza “obiettiva” in qualità di cittadini europei!
Geograficamente membro a fortiori del “club europeo”, la somiglianza della Romania in particolare all’Italia stupisce già dopo la prima settimana, in termini di lingua così come di usi e costumi… Tuttavia, le specificità rumene e la particolare congiuntura storica esaltano l’atteso “valore aggiunto” della vecchia Dacia! Partita per un lavoro a progetto nel Dipartimento per l’Integrazione Europea del Comune del Secondo Distretto di Bucarest, la voglia di restare per me come per tanti altri nei rispettivi ambiti, si è subito imposta senza riluttanze, lasciando alle spalle le “frustrazioni” legate a dei contesti comprensibilmente meno vitali.
Dieci mesi dopo, curiosità e stimoli sono ancora all’ordine del giorno in un paese che a circa un ventennio dalla rivoluzione del 1989 vive tuttora profonde e rinnovate tensioni tra la base sociale e la dimensione istituzionale: impossibile non restare affascinati dalla realtà di un cambiamento diffuso e multiforme; a mio parere, la questione fondamentale risiede piuttosto nella direzione di tale cambiamento, sia essa suggerita dalla longa manus della “madre Europa”, maturata in seno alla nazione, oppure e forse più verosimilmente risultato di una prospera combinazione delle precedenti.
“Non siamo ancora come noi vogliamo!” sono le emblematiche parole di una ventisettenne, consulente per lo Sviluppo Sostenibile del gruppo bancario di origine olandese ABN-AMRO, che dopo due anni trascorsi in Costa Rica come HR President di una organizzazione studentesca internationale ha scelto di tornare e contribuire con i suoi “desideri” alle necessità di sviluppo locale: evidente in questo non solo il sintomo di un generale senso di appartenenza al proprio paese, ma anche la sincera volontà di “partecipare” avendone finalmente riconosciuta la possibilità!
Se affermare che i giovani rumeni sono di fatto la principale forza di cambiamento nel paese sembra all’apparenza scontato, non bisogna trascurare l’eredità di una “vecchia guardia” che permane in molti ambiti, non solo amministrativi. Similmente, a livello di società la resistenza al cambiamento si riflette nel cosiddetto gap intergenerazionale, laddove i giovani si confrontano con la tendenza adulta a non vedere la “necessità” in primo luogo dell’Europa, e i timori dell’apertura al suo mercato interno.
Tale dinamicità si riflette in particolare nella società civile, orientata a cogliere e definire opzioni di voice effettive ed efficaci. Difatti, è necessario tenere a mente la sostanziale puntualizzazione che la Romania non è Bucarest, bensì a pochi chilometri dalla Centura che avvolge la capitale è già evidente il divario col resto del paese. Dunque, se considerare la Romania un “paese in via di sviluppo” significa riconoscerne le potenzialità unitamente alle difficoltà che in misura variabile ancora influenzano le varie regioni del paese (in termini di infrastrutture così come di necessità primarie quali acqua ed energia), allo stesso tempo diventa fondamentale comprendere l’importanza di un coinvolgimento sostanziale delle Organizzazioni Non Governative nei processi locali di decision-making.
D’altra parte, è significativo ribadire la crescente presenza di rumeni all’estero, studenti ma anche e soprattutto lavoratori sempre più qualificati.
In questo contesto, lo scambio implicito nell’adesione all’Unione Europea è senza dubbio positivo e va perseguito in senso bidirezionale! Laddove l’orientamento del rumeno a godere dei risultati immediati deve trovare un equilibrio con l’impellente necessità di investimenti a lungo termine, dinamicità e abitudine alla lungimiranza propri degli interessi esteri offrono una spinta efficace nel senso di comprovati standard di competitività e reciproca affidabilità, insieme ad opportunità per molti fino ad ora sconosciute. Viceversa, il beneficio più grande per l’Europa risiede a mio avviso non solo nell’inclusione di nuovi mercati o nel consolidamento della politica di sicurezza, ma in misura considerevole anche nella disponibilità di un “capitale umano” del tutto singolare, una risorsa inesauribile da valorizzare sia in loco che oltre i confini propriamente rumeni. A tale proposito, ogni fuga da standardizzazioni equivoche riporta inevitabilmente ad esaltare la generale predisposizione di questo popolo a cogliere le opportunità, combinando pragmatismo e capacità di adattarsi con umiltà alle situazioni più difficoltose, con l’ambizione di migliorare la specifica situazione. Focalizzando dunque l’attenzione nel senso dell’interazione Europa–Romania, è inutile negare che la realtà rumena ancora si identifica con l’espressione “politique d’abord”: comprendere le “relazioni di potere” e le peculiari modalita’ di approccio diventa allora fondamentale per sentirsi ed essere considerati parte attiva della trasformazione in atto; in gioco sono infatti non solo le “opportunità da cogliere”, bensì le risorse umane a disposizione e soprattutto la possibilità di influire su un sistema di riforme aperto e vulnerabile.
Eppure il vento del cambiamento soffia oramai sempre più forte, e la serata di gala della Revista Vip mi e’ sembrata un esempio emblematico: il 12 dicembre al Teatro Nazionale, in una dissonante atmosfera stile “american show”, nel ricevere il premio come “uomo dell’anno” il presidente Basescu ha infatti dichiarato sulla base dell’ovvia importanza e risonanza mediatica, l’inopportunita’ di considerare la carica presidenziale in merito alle candidature future...
Ripetute volte mi è stato chiesto perché ho deciso di restare, trovando quasi assurdo che al contrario, i rumeni tendono a trasferirsi in Italia e circa uno su due ha almeno un parente che vi lavora. Spontaneamente rispondo esaltando in generale la vivacità del quotidiano svilupparsi dei cosiddetti “vantaggi” dell’allargamento, evidenti senza distinzione per i Membri, non-Membri e Nuovi Membri, e in particolare l’emozione indescrivibile che si prova nel trovarsi attivamente al centro di questo “fiume in piena”! Con la consapevolezza che risultati significativi arriveranno indicativamente tra almeno cinque anni, mi unisco oggi al coro che spero il più possibile sincero e generalizzato: “La mulţi ani Europa”!