APPROFONDIMENTI
Discutiamo di RockPolitik
Com’era immaginabile, l’ultima apparizione televisiva di Adriano Celentano, con il suo RockPolitik, ha suscitato grande attenzione. Fin dall’estate si era voluta creare una grande attesa con un susseguirsi di voci: la trasmissione si farà, non si farà, Celentano ha rotto con la Rai, Celentano avrà carta bianca. Alla fine la trasmissione si è fatta, forse non era mai stata veramente in dubbio, ma intanto in tutti è cresciuta la curiosità e il debutto ha avuto uno share d’ascolto da record. 12.000.000 di italiani (con una percentuale che rappresenta quasi la metà di tutti i televisori accesi in Italia a quell’ora) incollati al video per sentire i silenzi di Celentano, le sue canzoni, i suoi discorsi un po’ confusi, le provocazioni, la satira politica…e tutto questo è arrivato. Secondo copione, potremmo dire.
Ma c’è qualcosa di più che va riconosciuto al programma ed è il suo collocarsi in una categoria piuttosto inesplorata del nostro panorama televisivo: non è un varietà di quelli a cui siamo abituati e non è nemmeno un dibattito. C’è spazio per la musica e per alcuni dei più bei pezzi di Adriano, quelli che hanno fatto la storia della canzone italiana, ci sono ospiti molto conosciuti e amati, ci sono dei bravi comici e c’è un modo leggero, ironico, forse in alcuni tratti anche un po’ banale, di presentare argomenti seri. Il tutto riesce a rendere partecipe il pubblico che si trova coinvolto in riflessioni su temi di attualità che lo riguardano da vicino. Non ci sono gli approfondimenti e gli interventi di personaggi qualificati come nei talk show più tradizionali, quelli che vengono considerati programmi più “difficili”, più impegnativi, che forse non sempre ci si sente di seguire dal divano di casa dopo una giornata piena di impegni.
Celentano no, con l’immagine di “re degli ignoranti” che si è voluto costruire ci dà l’impressione di proporci un programma tutto sommato leggero e, quasi senza che ce ne rendiamo conto, ci porta a trattare temi impegnativi come la guerra, il progresso, la povertà, l’ecologia, la libertà…ognuno di noi può avere un suo grado di coinvolgimento diverso, può sentirsi più o meno interessato e partecipe ma tutti, proprio tutti, non possiamo fare a meno di pensare, almeno per un attimo, a quello che stiamo ascoltando, a qual’è la nostra posizione in merito e, magari, a confrontarla con quella di chi ci è seduto vicino.
Gli argomenti si alternano con una certa agilità, il discorso non viene mai esaurito, ma resta aperto ad interventi successivi e a quello che ciascuno vorrà aggiungere di suo. Gli spunti sono tanti, alcuni lasciano il segno più di altri.
E’ bella, anche se forse poco realistica, l’idea di immaginare una grande nazione che usa come simbolo una casetta di legno abitata da contadini invece di torri gigantesche, ostentazione di una forza e di un potere che non si piega anche a costo di decidere per una guerra sbagliata, contraria all’opinione di quasi tutto il mondo, anche a costo di seminare morte, miseria e devastazione soprattutto tra persone comuni, senza colpe.
E’ forte l’accusa all’assenza di umilità, alla prepotente affermazione di forza degli USA “…i grattacieli sono l’arroganza del potere, l’ostentazione di una ricchezza sbattuta in faccia alla povera gente…”.
Fanno sorridere battute e canzoni sui vari personaggi della classe politica, ma non c’è mai nel programma una presa di posizione univoca, la satira investe tutti i protagonisti, al di là delle loro bandiere, e si spinge anche oltre i confini nazionali.
Forse è un po’ ingenuo, ma terribilmente romantico e nostalgico, l’attacco alla modernizzazione architettonica a discapito della natura. Forse è vero che l’epoca moderna richiede la creazione di grandi strutture, ma non è anche vero che, in fondo, tutti sogniamo un giardino sotto casa? Che nel fine settimana i parchi si riempiono fino all’inverosimile? Che la gente ama la natura più dei grattacieli? E che i danni all’ecosistema gravano su di noi molto più che un grattacielo non realizzato?
Anche l’ambientazione è studiata in modo da invitare ad un clima di dialogo amichevole ma non per questo superficiale. Lo studio ricorda una piazza di paese, dove ci si incontra, quasi per caso, e si scambiano battute sulla vita di tutti i giorni. Gli sfondi, con i richiami alle grandi città americane, sembrano creare un collegamento fra quella piazza e il mondo intero, immagine sostenuta e rafforzata da spezzoni di riprese trasmesse su schermi giganti che mutano l’insieme del paesaggio. E’ la vita vera, con i suoi stridori, che irrompe nel quotidiano.
Quando finisce al trasmissione è già tardi. Si va a dormire. Il mattino dopo in metropolitana, nei bar, molti giornali sono aperti sulla cronaca di RockPolitik, negli uffici si commentano gli interventi della serata. Evidentemente qualcosa è rimasto di quello che si è visto e sentito. Questo sembra essere uno dei pochi programmi che invita alla discussione e non è poco dopo tutti i reality show a cui ci siamo dovuti abituare. E’ una boccata d’aria fresca che rivaluta il ruolo di noi telespettatori e ci concede, finalmente, l’opportunità di usare la testa e di avere una nostra opinione anche mentre ce ne stiamo comodamente seduti sul divano di casa.