3
imprese pubbliche
3
; liberalizzazione del commercio con l’abbattimento
delle tariffe doganali e le barriere protezionistiche per favorire l’afflusso di
capitali; riforma del mercato del lavoro con l’introduzione di maggiore
flessibilità
4
; un nuovo patto fiscale tra governo federale e province che
diede vita ad una maggiore decentralizzazione ed un “Piano di
convertibilità” (1991) preparato dal ministro dell’economia di allora,
Domingo Cavallo, che imponeva il cambio alla pari tra peso e dollaro (1
peso=1 dollaro).
Il pacchetto delle riforme diede presto i suoi frutti : l’abbassamento delle
tariffe doganali e l’ “ancoramento” della moneta locale al dollaro
statunitense diedero fiducia agli investitori determinando un forte afflusso
di capitali, che insieme allo sviluppo sostenuto dell’esportazione hanno
permesso di contenere l’inflazione e di far crescere il PIL , con
un’economia che si é espansa da una dimensione stimata di 141 miliardi di
dollari nel 1990 a 298 miliardi di dollari nel 1998 (World Bank Group,
2000).
3. Il 90% di tutte le imprese statali furono privatizzate nel 1994 (telecomunicazioni, banche,
trasporti, servizi urbani, società petrolifere).
4. La Ley de Empleo del 1991 fu la prima di una serie di riforme intente a cambiare la
legislazione del lavoro. Fu creata un’assicurazione di disoccupazione e s’introdussero
moduli diversi di lavoro basati su contratti provvisori (minimo 4 o 6 mesi, massimo 2
anni), i quali erano esenti parzialmente o totalmente da contributi di previdenza sociale.
Nel 1995 furono introdotti nuovi cambiamenti tramite la Ley de Promociòn de Empleo che
introdusse maggiore flessibilità nell’assumere nuovi lavoratori, principalmente attraverso
l’introduzione di contratti di prova (che passarono da 3 a 6 mesi), ed apprendistato. In
base a questi tipi di contratti il datore di lavoro fu esentato da ogni tipo di contributo
sociale così come da pagamenti per la terminazione del lavoro. Da parte loro, i lavoratori,
dovevano aderire ad uno schema obbligatorio d’assicurazione, le Obras Sociales
(assicurazione contro le malattie). Nel 1998 una nuova riforma ridusse il periodo di prova
ad un mese ma con la possibilità di estenderlo a sei mesi se avvenuto attraverso il
processo di contrattazione collettiva.
4
Un importante punto di riferimento per l’economia argentina é stato la
nascita del Mercosur
5
(Mercado Comun del Sur), il patto d’integrazione
economica segnato da Argentina, Brasile, Paraguay ed Uruguay, che oltre a
favorire lo sviluppo delle singole regioni ha permesso anche la nascita di
una macroeconomia più “chiusa”
6
.
Pochi sembravano presagire ciò che di lì a poco sarebbe successo. La stessa
World Bank nel 2000 disegnava per l’Argentina un quadro favorevole
dichiarando che i risultati del programma di riforme del governo erano stati
notevolissimi, poiché avevano permesso di contenere l’inflazione,
abbassare la quota di debito e di far scendere il deficit del governo; tuttavia
faceva notare che la forte dipendenza dell’economia argentina dal mercato
dei capitali stranieri la rendeva vulnerabile agli “shock” esterni (World
Bank Group, 2000). Il primo shock destabilizzante avvenne nel 1995 con la
crisi messicana ed il conseguente “effetto tequila”
7
. Il secondo nel 1999 con
5. Gli obiettivi principali del Mercosur sono: la libera circolazione di beni e servizi tra gli
Stati membri; la fissazione di una tariffa esterna comune; coordinamento delle politiche
macroeconomiche e settoriali per assicurare una libera e regolare competizione tra i
sistemi economici degli Stati membri; modifica della legislazione interna in contrasto con
il processo d’integrazione.
6. Per esempio un incremento della domanda dei consumatori di un Paese poteva essere
soddisfatto da un altro Paese aderente al Patto usufruendo delle leggi che regolavano gli
scambi commerciali.
7. La crisi del Messico esplosa nel 1994, con il crollo del pesos messicano nei confronti del
dollaro,introdusse il concetto del cosiddetto “effetto tequila”, ossia della possibilità che la
crisi coinvolgesse altri paesi che avevano seguito politiche di stabilizzazione monetaria
simili, in primis l’Argentina. Da ciò emerge quali siano le conseguenze per un Paese che
riceve per un lungo periodo una quantità di fondi esteri di natura volatile. E’ importante
attuare politiche economiche che non abbiano come obiettivo esclusivo l’attirare risorse in
misura indiscriminata, ma, relative alla capacità di risposta del Paese e che siano dirette
verso investimenti di lungo termine piuttosto che ai consumi finali (Richardo Ffrench
Davis, 1998).
5
la crisi del Brasile
8
, Paese membro del Mercosur che aveva adottato nel
1994 un piano di riforma simile a quello argentino, il “piano real” che tra le
altre cose fissava il cambio alla pari tra real brasiliano ed il dollaro (1
real=1 dollaro).
La crisi economica, culminata con la dichiarazione d’insolvenza del debito
estero (dicembre 2001) e la conseguente dichiarazione del fallimento
dell’economia argentina, ha risvegliato l’attenzione degli analisti del
mondo accademico suscitando diverse correnti di pensiero sulle cause della
crisi e sulla sua “prevedibilità”.
Coloro che hanno posto le basi dell’analisi analizzando lo sviluppo del
Paese da un punto di vista economico-territoriale ed istituzionale, hanno
rilevato come la crisi attuale sia dovuta principalmente a motivi di
vulnerabilità strutturale interna precedenti le riforme. Principale
responsabile il fatto che l’Argentina abbia subito una crescita senza
industrializzazione. L’economia basata sull’allevamento
9
, la produzione di
beni agricoli e la loro relativa esportazione ha favorito lo sviluppo di una
società oligarchica (in cui il potere economico e sociale è esercitato
attraverso la proprietà della terra) e la crescita di una borghesia terziaria
urbana (legata principalmente al commercio ed alla finanza) non
8. Il Brasile assorbiva il 30% delle esportazioni argentine. Questi mancati guadagni, in uno
situazione già di per sé critica, costituirono un dramma.
9. I primi a sviluppare l’agricoltura nell’Argentina precolombiana, furono i gruppi di indigeni,
mentre le tribù nomadi si dedicavano alla caccia. Buenos Aires prese forma come centro
abitato intorno al 1580, ma per oltre 200 anni rimase in un letargo economico e culturale.
L’allevamento del bestiame costituì una fortuna per pochi proprietari terrieri.
6
antagonista, ma complementare ad essa ; le attività industriali, svolte per lo
più da immigrati italiani e spagnoli hanno sempre avuto un ruolo marginale
sia dal punto di vista politico che sociale.
Anche la politica delle Import Substitution
10
e la liberalizzazione
economica, con l’abbassamento delle tariffe doganali, non sono riuscite a
far decollare il settore industriale ed approfittare di una situazione
favorevole di mercato (P. Bianchi, 2002).
La mancata competitività, per un Paese ricco di risorse, in un mondo
sempre più globalizzato, sembra essere il fattore propulsore delle politiche
economiche nella storia argentina
11
. La World Bank, nel 2000,
sottolineando i progressi fatti in campo economico avvertiva come la
mancanza di credito interno e la forte dipendenza dai capitali stranieri
potesse costituire un “collo di bottiglia” per le piccole e medie imprese,
incapaci di essere concorrenziali nel mercato globale (World Bank Group,
10. Nel periodo 1945-1975 molti Paesi dell’America Latina,tra cui l’Argentina, adottarono la
strategia della “sostituzione delle importazioni”. L’idea era di proteggere le industrie
nascenti locali, per un tempo limitato, dalla competizione straniera fino a quando fossero
diventate competitive nei mercati mondiali. Lo strumento utilizzato fu l’innalzamento
delle barriere protezionistiche alle importazioni ed il sostenere le imprese nazionali che
producevano i beni manufatti fino allora importati dall’Europa. Tale strategia fallì poiché
condusse ad un eccesso di capacità in qualche settore e scarsità in altri. Inoltre le
compagnie protette non raggiunsero mai i livelli che le avrebbero rese competitive nei
mercati mondiali.
11. <<La globalizzazione é un processo i cui costi e benefici dipendono dalla forma
particolare in cui ogni economia e società si lega ad essa, aggrava la tensione tra struttura
locale e la richiesta globale dei mercati>>; inoltre essa offre molteplici opportunità che
possono tradursi in benefici che dipendono solo dalla capacità di risposta del Paese, il
quale deve adottare politiche economiche di lungo periodo e non prospettive
<<frammentate e dogmatiche>> come si fece in Argentina. (Roberto Bouzas*, “Argentina
despues de las reformas”, Revista brasileira de comercio exterior, vol.71, abril-junio,
2002).
* Ricercatore indipendente al Consejo Nacional de Investigaciones Cientificas y Tecnicas
(CONICET) e principale ricercatore per la Facoltà Latinoamericana di Scienze Sociali
(FLACSO/Argentina). Professore d’Economia Internazionale per la facoltà di Economia
7
2000). La mancata competitività fu attribuita alla mancanza di conoscenze
e tecnologie capaci di aggiungere valore alla produzione, ed all’
“ancoramento” al dollaro statunitense, che ha sì permesso di contenere
l’inflazione, ma ha reso l’economia vulnerabile alle crisi internazionali,
basando la propria crescita sulla fiducia degli investitori. Un ulteriore
studio nel 2002, quindi dopo la dichiarazione di insolvenza del debito,
mostrò empiricamente che, nonostante la retrocessione nello sviluppo dopo
il 1999 avesse colpito duramente tutta l’area latinoamericana, la maggior
parte dei Paesi del LAC cominciava a riprendersi, mentre l’Argentina
cadeva in un profondo baratro (World Bank, 2002). Indagando sul
comportamento differenziale di questi Stati, prendendo in esame
l’andamento dei principali indicatori economici, si cercò di stabilire se la
situazione argentina fosse dovuta al fatto di aver ricevuto maggiori “colpi”
dalle crisi internazionali rispetto agli altri Stati della regione, o fosse la
conseguenza di un fattore specifico tipico del Paese che lo ha reso più
vulnerabile ai colpi esterni rispetto alle altre economie latinoamericane. Gli
studi mostrarono come i repentini stop di afflussi di capitale agirono più
come amplificatori di problemi preesistenti che come causa primaria. Il
rallentamento dell’economia statunitense e mondiale in realtà colpì molto
meno l’Argentina che gli altri Paesi dell’area, poiché l’economia argentina
é sempre stata abbastanza “chiusa”: per esempio, la frazione delle
esportazioni dell’Argentina destinata al mercato statunitense e mondiale é
8
sempre stata molto più modesta di quella degli altri Paesi della regione, per
questo la decelerazione mondiale si tradusse in un modesto declino nei
livelli di commercio che comportarono, a loro volta, solo modesti
cambiamenti nei redditi reali rispetto a quelli avvenuti negli altri Paesi
dell’area latinoamericana (come per esempio in Venezuela ed in Ecuador,
principali esportatori di petrolio). Le crisi internazionali trovarono in
Argentina un terreno fertile per moltiplicare i loro effetti negativi. La
vulnerabilità specifica della posizione argentina fu attribuita ad una serie di
fattori tra cui: grande debito pubblico, posizione fiscale fragile,
caratteristiche deboli del sistema bancario che insieme all’adozione di
politiche sbagliate, tra cui i continui aggiustamenti fiscali e l’esitare sulla
scelta definitiva del regime di cambio
12
, agirono congiuntamente
rinforzandosi l’un l’altro e determinando il deterioramento dell’economia
(World Bank, 2002).
I punti di vista fin qui esposti partono dalla considerazione che presupposto
essenziale per lo sviluppo di un Paese è la crescita economica. In effetti,
abbiamo visto fino ad ora come siano state messe in discussione solo le
12. Politiche quali la continua rivalutazione del peso sul dollaro nello scenario della
svalutazione continua degli altri Paesi coinvolti nella crisi in particolare quelli del
Mercosur, e la scelta nel 1998 di mantenere la parità con il dollaro ed aspettare la fiducia
degli investitori stranieri. Secondo la World Bank sarebbe stato meglio attuare una
svalutazione in tempi non sospetti ossia quando l’economia argentina mostrava segni di
ripresa. Ma questo è il senno del poi, poiché il governo argentino seguì le direttive
menzionate nelle “lettere di intenti” proposte dalle istituzioni finanziarie internazionali:
Fmi e World Bank..
9
politiche economiche, cercando le cause della crisi attraverso l’analisi
economica. Di tutt’altro avviso é la posizione dell’UNDP (United Nations
Development Programme) secondo cui premessa necessaria per lo sviluppo
di un Paese é considerare lo sviluppo umano come fine e la crescita
economica come mezzo, intendendo con sviluppo umano il processo di
ampliamento delle scelte della gente ossia la realizzazione di un ambiente
che consenta alla persone di condurre una vita lunga e sana, di acquisire
conoscenze e di accedere alle risorse necessarie per un tenore di vita
dignitoso. A tale scopo alla misura del PNL pro capite, utilizzato come
misura principale per i livelli di sviluppo fra Stati, è contrapposto l’Indice
di Sviluppo Umano (HDI)
13
il quale é costruito sulla base di tre indicatori a
livello nazionale: la speranza di vita alla nascita (per misurare la
dimensione vita lunga e salutare), il grado di istruzione ossia
alfabetizzazione adulta e iscrizione alla scuola primaria-secondaria-terziaria
(per misurare la dimensione conoscenza), il PIL pro-capite espresso in
“dollari internazionali” cioè in termini di Parità di Potere d’Acquisto
PPA$
14
(per misurare lo standard di vita). Il valore dell’HDI compreso tra 0
13. L’Indice di Sviluppo umano utilizzato dall’UNDP nei suoi Rapporti sullo sviluppo
umano pubblicati ogni anno a partire dal 1990, sarà ampiamente discusso nella seconda
parte di questa tesi.
14. <<L’uso dei tassi di cambio ufficiali per convertire i dati espressi in valuta nazionale. in
dollari USA, non consente di confrontare il potere d’acquisto. L’International
Comparision Project (ICP, Progetto Internazionale di Comparazione) ha elaborato delle
stime del PNL reale su una scala confrontabile a livello internazionale, utilizzando
come fattori di conversione, al posto dei tassi di cambio, le Parità di Potere d’Acquisto
(PPA). Il metodo di misurazione dei redditi pro capite relativi, basato sulle PPA,
consiste nel deflazionare i redditi, espressi in valuta comune con un indice dei prezzi in
cui il paniere dei beni e servizi di ciascun Paese è posto uguale a quello del Paese (o
gruppo di Paesi) di riferimento. Nel caso dell’ICP si costruisce in paniere
convenzionale, identico per tutti i Paesi.>> (Aureli C. E., 1996, parte seconda pag.102)
10
e 1 indica quanto ciascun Paese ha percorso, di anno in anno, verso il
massimo valore possibile (uno) e permette di fare paragoni tra Stati.
Dalla prospettiva dello sviluppo umano, la crisi argentina é dovuta a
politiche e riforme “unidirezionali” che hanno subordinato la qualità e la
sostenibilità della crescita alla logica del profitto, poiché le priorità della
politica economica furono solo la stabilizzazione dei prezzi e
l’amministrazione del ciclo economico, senza prestare attenzione ad una
distribuzione delle entrate più equa che permettesse il pieno utilizzo delle
risorse locali ed assicurasse pieno impiego e sviluppo sostenibile (UNDP,
2002).
La crescita avvenuta nei primi anni novanta mostrò che era frutto di fattori
transitori e seminò i propri dubbi circa le strategie di crescita fondate
ponendo come obiettivo primario la creazione di ricchezza. Il successo del
Piano di convertibilità permise di nutrire la speranza che in seguito, con
l’adozione di adeguate riforme strutturali, potesse iniziare un processo di
espansione sostenuto. Non fu il caso dell’Argentina poiché le riforme
attuate enfatizzarono una società frammentata dal punto di vista sociale ed
economico, documentato dal diverso grado di sviluppo delle diverse
province ed all’interno delle stesse. Tali frizioni non solo non permisero di
usufruire dei vantaggi economici ottenuti, ma agirono da elemento
catalizzatore causando una forte retrocessione. L’esperienza argentina
dimostra che é errato sostenere che non appena le economie danno segnali
11
di ripresa le società raggiungono il livello sociale di cui godevano prima
della crisi. Era necessario alla luce di determinate riforme valutarne i costi
e prevedere un modello di crescita che includesse tutti i settori e le province
ossia era necessaria <<una messa a fuoco multidisciplinaria dello
sviluppo>> (UNDP, 2002). Nei successivi paragrafi vedremo come,
nonostante la ripresa economica, la ricchezza non si sia tradotta in un
ampliamento delle possibilità di scelta da parte della gente. Anzi,
dall’andamento dei principali indicatori socio-economici (paragrafi 2,3,4),
emerge il quadro di un Paese disarticolato con una frammentazione sociale
e territoriale senza precedenti. Tutto ciò in disaccordo all’indice di sviluppo
umano in Argentina (paragrafo 5), che registra un incremento costante per
tutta la decade.
12
2. I “NUOVI” POVERI
Le riforme di politica economica degli anni ‘90 hanno permesso di
contenere l’inflazione e ripristinare la crescita. L’evoluzione degli
indicatori economici presentati nella tabella 1 mostrano come gli effetti del
nuovo modello stabilito negli anni ’90, portarono ad una fase di espansione
tra il 1990 ed il 1994, ed una fase di contrazione che condusse il Paese ad
una profonda retrocessione, tra il 1995 ed il 2000.
Tabella 1 : Indicatori dell’economia Argentina, 1990-2000
Anno Pil
(Tasso di crescita
annuale)
Pil
pro capite
(tasso di
crescita
annuale)
Inflazione
Esportazioni
(Tasso di
crescita
annuale)
Debito
estero
(% del
Pil)
1990
-1.8 -3.2 1343.9 .. ..
1991
10.6 9.2 84.0 -3.6 32.3
1992
9.6 8.2 17.5 -1.0 27.4
1993
5.9 4.5 7.4 4.7 28.0
1994
5.8 4.4 3.9 15.1 30.4
1995
-2.9 -4.1 1.6 22.6 35.2
1996
5.5 4.1 0.1 7.8 36.9
1997
8.0 6.6 0.3 12.0 42.6
1998
3.9 2.6 0.7 10.1 47.1
1999
-3.0 -4.2 -1.8 -1.1 51.2
2000
-0.5 -1.7 -0.7 1.8 51.8
Fonte:
ECLAC (Comisiòn Econòmica para América Latina y el Caribe),
Economic Survey of Latin American and the Carribean (vari anni).
13
Sebbene l’Argentina abbia già affrontato altre crisi (nel 1975 e dal 1981 al
1989), ciò a cui assistiamo oggi é una crisi economica, sociale e politica
senza precedenti.
Tutti gli attori sociali ne sono coinvolti in distinti gradi e come quasi
sempre accade, in questi casi, vittime principali sono coloro che non hanno
possibilità di scelta, ma sono costretti ad affrontare il “mestiere” di vivere.
Secondo stime ufficiali elaborate dall’INDEC (Instituto Nacional de
Estadistica y Censos) in base all’Indagine Permanente sulle famiglie
(EPH
15
), relativa al mese di ottobre 2002 (INDEC/b, Eph, 2002), si stima
che il 57,5% della popolazione dei centri urbani rilevati sta al di sotto della
linea di povertà; mentre il 27.5% si trova sotto la linea di indigenza il che
vuol dire che non può contare sull’entrata minima necessaria per soddisfare
i livelli proteici e calorici necessari per la sussistenza (Per il calcolo della
linea di povertà e di indigenza vedere l’Appendice A). La povertà di
reddito, in Argentina, é un fenomeno strutturale, permanente e crescente
dal 1993. I dati nel grafico 1, riferiti all’area di Gran Buenos Aires,
15. L’Encuesta Permanente de Hogares (EPH) nasce nel 1972 dalla necessità dopo il
Censimento del 1970 di continuare con una rilevazione periodica che potesse dare
informazione socioeconomica e demografica sulle case e sui suoi abitanti nei principali
agglomerati urbani del Paese. Attualmente l’EPH si realizza due volte l’anno (maggio e
ottobre) in 28 agglomerati urbani che rappresentano il 70% della popolazione urbana del
Paese ed il 98% della popolazione residente nei centri con più di 100.000 abitanti (o meno
solo se sono capitali di provincia). La rilevazione avviene mediante due questionari : uno
riferito agli hogares ossia coloro che condividono la stessa abitazione e provvedono
insieme a soddisfare le proprie necessità alimentari o di altra natura, indipendentemente
dal fatto che abbiano o non rapporti di parentela (in tal senso possono essere costituite da
una sola persona); ed uno individuale. Unità di rilevazione sono quindi gli edifici, le
convivenze, le famiglie ed i singoli individui (INDEC, “Encuesta Permanente de
Hogares-Base usuaria ampliada de total EPH”, maggio 2001).
14
mostrano l’evoluzione della indigenza e della povertà dal 1988 al 2002.
Grafico1: Evoluzione povertà ed indigenza.
Gran Buenos Aires
16
,1988/2002
16. L’EPH é stata soggetta nel corso degli anni a continue riformulazioni a vantaggio di una
maggiore copertura e rigorosità scientifica che fornisse più informazione. In particolare il
modo di codificare le informazioni é cambiato tre volte nel corso della decade degli anni
’90. Tali cambiamenti hanno generato inconvenienti agli utenti al momento di confrontare
dati provenienti da anni diversi, contrastare ipotesi e raggiungere delle conclusioni. Per
questi motivi molti investigatori hanno optato per utilizzare l’inchiesta nella cornice del
GBA, per la quale zona i dati ebbero lo stesso disegno di indagine, forti anche del fatto
che in tale zona si concentra il 38.3% della popolazione urbana del Paese, la quale a sua
volta rappresenta in base ai dati del Censimento 1991, l’87.1% della popolazione totale
(INDEC,2002). Gran Buenos Aires (GBA) é la più importante zona metropolitana del
Paese in termini di popolazione ed attività economica. In poco meno dello 0.2% del
territorio nazionale si concentra più di 1/3 della popolazione nazionale e più di ½ del PIL.
Si presenta come una zona fortemente eterogenea, che presenta contrasti significativi tra
le condizioni di vita dei suoi abitanti. GBA comprende la città di Buenos Aires (Capital
Federal) dove si concentra il 9.1% della popolazione nazionale; ed i Partidos del
Conurbano che é costituito da 19 municipi che appartengono alla provincia di Buenos
Aires ed abbraccia il 24.4% della popolazione argentina. Quest’ultimo a sua volta é
suddiviso in 2 anelli concentrici: uno costituito dai municipi confinanti con la Capitale
Federale (GBA1), l’altro dai rimanenti (GBA2). Nella zona di Gran Buenos Aires si
concentra il 60% della produzione nazionale, é stata il principale centro di migrazione
europea nel XIX sec., ed é tutt’oggi fonte di migrazione interna per i poveri del Nordest e
Nordovest del Paese.
32,3
47,3
21,5
17,8
16,8
19,0
24,8
27,9
26,0 25,9
26,7
28,9
35,4
54,3
10,7
16,5
3,2
4,4
3,5
6,3
7,5
6,4
6,9
6,7
7,7
12,2
24,7
33,7
6,6
3,0
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
60,0
m
a
g
-
8
8
o
t
t
-
8
8
m
a
g
-
8
9
o
t
t
-
8
9
m
a
g
-
9
0
o
t
t
-
9
0
m
a
g
-
9
1
o
t
t
-
9
1
m
a
g
-
9
2
o
t
t
-
9
2
m
a
g
-
9
3
o
t
t
-
9
3
m
a
g
-
9
4
o
t
t
-
9
4
m
a
g
-
9
5
o
t
t
-
9
5
m
a
g
-
9
6
o
t
t
-
9
6
m
a
g
-
9
7
o
t
t
-
9
7
m
a
g
-
9
8
o
t
t
-
9
8
m
a
g
-
9
9
o
t
t
-
9
9
m
a
g
-
0
0
o
t
t
-
0
0
m
a
g
-
0
1
o
t
t
-
0
1
m
a
g
-
0
2
o
t
t
-
0
2
Fonte: INDEC/a, Encuesta Permanente de Hogares .
% persone povere % persone indigenti