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Capitolo 2 - I monitor all’interno di un
sistema PACS
La radiologia digitale
Gli esami radiografici sono ancora perlopiù eseguiti impressionando una apposita
pellicola tramite l’esposizione a raggi X, poi sviluppata per produrre l’immagine
del distretto anatomico.
In questa condizione il rivelatore (la pellicola) è in sé l’immagine risultante
dell’esame; quindi in unica copia, non modificabile ma deteriorabile.
L’avvento delle tecnologie digitali ha comportato un drastico cambiamento:
l’immagine risultante non è più coincidente con il rivelatore, ma è una matrice
digitale gestita da computer.
Essa può quindi essere archiviata in formato digitale, trasferita con facilità tramite
reti o supporti informatici, e modificata con strumenti di post-elaborazione che i
software dedicati mettono a disposizione.
Questo già avviene con le metodiche più recenti quali Tomografia Computerizzata
e Risonanza Magnetica; solo da poco si sta iniziando a rendere digitali anche le
classiche radiografie tramite l’introduzione della “Computed Radiography”, e in
generale di tutta la diagnostica per immagini.
L’insieme dei componenti sia hardware che software demandati a gestire le
immagini in via informatica viene chiamato PACS (Pictures Archiving and
Communication System); a questo si affianca il RIS (Radiology Information
System) che gestisce invece la parte anagrafica e amministrativa dell’esame
radiologico: anagrafica del paziente, prenotazione, accettazione e gestione del
referto.
Dal punto di vista del medico radiologo la differenza sostanziale consiste nel
supporto su cui viene effettuata la refertazione dell’immagine, cioè la lettura e la
conseguente diagnosi della patologia.
La qualità dell’immagine deve essere garantita in tutti i passaggi della catena,
dall’irradiazione del paziente fino alla lettura da parte del medico. I passaggi
intermedi sono molteplici e si possono così semplificare:
• formazione dell’immagine sul rilevatore
• conversione in digitale dal rilevatore alla matrice digitale
• pre-elaborazione dell’immagine
• trasferimento dell’immagine – archiviazione
• riproduzione dell’immagine su supporti (hard-copy) o su monitor (soft-
copy).
L’obiettivo di tali innovazioni è il giungere a un sistema totalmente “filmless” e
“paperless”, cioè privo di supporti fisici quali pellicola e carta, eliminando così i
rischi di smarrimento e deterioramento, nonché le difficoltà di archiviazione e di
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reperimento e, non per ultimo, un abbattimento dei costi per i materiali di
consumo. Le immagini inoltre risultano immediatamente disponibili in tutti i
luoghi collegati dalla rete informatica, permettendo quindi la refertazione a
distanza, l’immediata reperibilità dell’immagine nei reparti ospedalieri nonché
una estrema facilità nel richiedere consulti anche a grandi distanze.
Non sono assenti naturalmente anche aspetti negativi: i sistemi di archiviazione
non sono esenti da errori e non si possono escludere cancellazioni accidentali o per
incidenti, gli stessi supporti di archiviazione possono diventare obsoleti in breve
tempo richiedendo continui spostamenti dei dati; si possono presentare errori
software o violazioni della sicurezza della rete.
Questo campo dell’informatica applicata alla radiologia è relativamente nuovo e
sta vivendo una evoluzione particolarmente veloce: non bisogna andare indietro
di molti anni per trovare studi che neghino la possibilità di utilizzare sistemi di
soft-copy per la refertazione, o che dichiarino del tutto insufficienti le
caratteristiche offerte dallo stato dell’arte dei monitor [Scott et al. 1993,
1995][Ackerman et al. 1993][Dwyer et al. 1992].
Le workstation su cui refertano i medici radiologi sono quindi una integrazione
dei due sistemi, e sono dotate di un monitor dedicato alle funzioni RIS (da qui in
poi non considerato), dove poter visualizzare le informazioni sul paziente, e di
due monitor ad alta risoluzione dedicati invece alla visualizzazione delle
immagini dell’esame.
L’utilizzo di sistemi multimonitor nasce dalla necessità in fase di refertazione di
visualizzare più immagini contemporaneamente. I medici radiologi sono soliti
visualizzare le due proiezioni, frontale e laterale, di una radiografia toracica;
oppure può essere utile il raffronto diretto di una radiografia recente con una
precedente per poter giudicare l’evoluzione della patologia. Nel caso di immagini
provenienti da Risonanza Magnetica o Tomografia Computerizzata, è necessaria
la visualizzazione contemporanea di decine di immagini, per cui diventa
importante massimizzare la superficie di lavoro disponibile.
Normalmente ciò viene fatto ponendo il numero necessario di pellicole affiancate
sul diafanoscopio.
Nelle prime installazioni PACS si cercò di rendere la visualizzazione a monitor il
più simile possibile all’utilizzo delle pellicole radiografiche; per questo furono
utilizzati sistemi a 4 monitor per workstation proprio con l’obiettivo di simulare il
più possibile il numero di pellicole solitamente confrontate da un medico
radiologo durante una refertazione. L’esperienza pratica di quei precursori ha
insegnato che sono invece preferibili sistemi a due monitor, in quanto risultano
meglio gestibili dall’operatore, mentre il limite del poter confrontare solamente
due immagini alla volta viene facilmente superato dalle possibilità offerte dai
software; per citarne uno la possibilità di passare da una immagine visualizzata
all’altra con facilità tramite la rotella del mouse. [Bennett et al. 2002]
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Le tecnologie dei monitor
Attualmente la tipologia di monitor maggiormente utilizzata per le applicazioni di
“soft-copy” è basata sulla tecnologia “Cathode Ray Tube” (CRT).
E’ una tecnologia matura e collaudata, con una storia di ormai quasi un secolo, ma
sempre in evoluzione. Viene spesso preferita sia per il rapporto
prezzo/prestazioni, sia per la flessibilità di utilizzo che assicura.
Principio di funzionamento
Un flusso di elettroni viene prodotto dal catodo per effetto termoionico e
successivamente accelerato, fino a impattare sullo schermo di fosfori. Il fascio
elettronico passa attraverso una griglia di controllo per arrivare a un primo anodo
dove gli viene impressa l’accelerazione principale. Successivamente il fascio è
focalizzato da una serie di “lenti elettroniche” elettrostatiche, in modo da essere il
più collimato possibile all’impatto con lo schermo. Nel caso dei monitor di alta
qualità la messa a fuoco è dinamica in modo da tenere conto del diverso cammino
percorso dal fascio a seconda della parte di schermo che colpisce. L’ultima fase è
costituita dalle bobine di deflessione, orizzontali e verticali, necessarie per
indirizzare il fascio nel punto dello schermo desiderato.
In Figura 1 è mostrata la struttura di un tubo catodico generico.
Figura 1 – Tubo Catodico
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L’area dello schermo colpita dal fascio elettronico produce così una emissione
luminosa solitamente del diametro di 1-2 decimi di mm con una forma di
campana gaussiana bidimensionale. L’intensità della luce emessa da questo tipo
di monitor ha una distribuzione Lambertiana, cioè varia come il coseno
dell’angolo dalla perpendicolare.
Questa caratteristica garantisce che la luminanza percepita dall’osservatore non
dipenda dall’angolo di osservazione dello schermo, in quanto la superficie
percepita varia anch’essa secondo il coseno dell’angolo di visuale, mantenendo
invariato il rapporto tra intensità luminosa e superficie.
La formazione dell’immagine
L’immagine visualizzata sul monitor viene formata modulando i campi elettrici
del tubo in modo che il pennello elettronico percorra tutte le linee orizzontali del
monitor, da sinistra verso destra, dalla linea superiore a quella più in basso,
modulando la sua intensità in base alla luminosità che si vuole ottenere sul singolo
punto.
La deflessione lungo l’asse x sarà quindi guidata da una forma d’onda a dente di
sega, deflettendo il fascio da un lato all’altro dello schermo e poi ricominciando da
capo; mentre la deflessione lungo l’asse y sarà guidata da un’onda a gradini in
teoria, ma in realtà inclinata, in modo da portare il fascio all’altezza della linea da
tracciare e mantenerlo fino alla linea successiva.
In Figura 2 è mostrato schematicamente questo processo: (1) è il segnale
proveniente dalla scheda video, (2) sono i segnali di sincronia orizzontale e
verticale, (3) il conseguente andamento della deflessione del fascio nella direzione
rispettivamente orizzontale e verticale, (4) il movimento del pennello elettronico
sullo schermo.
Le tensioni applicate alle due bobine determinano quindi le coordinate del punto
sullo schermo colpito dal fascio elettronico.
Per ottenere una immagine che appaia statica all’occhio umano lo schermo deve
essere ridisegnato con una certa frequenza, almeno 50-60 Hz per evitare sfarfallii
fastidiosi. Questa frequenza viene chiamata frequenza di refresh.
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Figura 2 – Formazione dell’immagine
I monitor TV lavorano tuttora in una modalità detta interlacciata, cioè disegnando
alternativamente le linee pari e dispari dello schermo, dividendo quindi
l’immagine in due semiquadri riprodotti alternativamente. I monitor per
computer lavorano invece in modalità non interlacciata, cioè disegnano ogni volta
la totalità dell’immagine, in modo da garantire maggiore qualità e stabilità, al
prezzo però della necessità di una elettronica con caratteristiche molto più
avanzate, dovendo disegnare il doppio delle linee a ogni aggiornamento del
quadro.
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I fosfori
Ai fosfori è demandato il compito di trasformare l’energia del pennello elettronico
in luminanza: sono quindi dei componenti fondamentali di tutta la catena.
I diversi tipi di fosfori sono denominati con dei codici P, a seconda delle loro
caratteristiche: efficienza, invecchiamento, tempo di decadimento, rumore.
Il tempo di decadimento caratterizza il tempo impiegato dal fosforo a cessare
l’emissione luminosa dopo aver ricevuto uno stimolo dal pennello elettronico.
Alti tempi di decadimento tendono a ridurre la percezione di fastidiosi sfarfallii,
ma possono generare immagini latenti e scie nelle immagini dinamiche.
Il rumore dei fosfori è legato alla loro struttura granulare e si osserva come rumore
spaziale.
I più utilizzati sono i fosfori P104 o P45.
Il primo tipo è composto da una miscela di diversi fosfori e garantisce una più alta
efficienza, richiedendo una minore accelerazione degli elettroni per produrre la
stessa luminanza. La sua natura composita ne aumenta però la granulosità e
quindi il rumore spaziale.
I P45 invece garantiscono un minore rumore dell’immagine prodotta, a scapito
dell’efficienza; questo grazie alla struttura a cristallo singolo.
Differiscono inoltre per la dominante cromatica: i fosfori P45 virano verso il blu,
mentre i P104 verso il giallo, producendo quindi una immagine dai colori più
caldi.
Colore
I monitor CRT a colori hanno una struttura molto simile a quelli in bianco e nero.
Vengono utilizzati tre tubi indipendenti per generare tre pennelli elettronici,
ognuno dedicato a un colore della sintesi primaria: Rosso Verde e Blu.
I fosfori sullo schermo dovranno quindi essere di tre tipi disposti secondo una
struttura che permetta a ogni pixel di essere costruito dalla combinazione dei tre
colori.
Lungo il percorso del fascio è quindi necessaria anche la presenza di una
“maschera” che oscuri tutti i fosfori non relativi al pennello elettronico a loro
connesso.
La presenza di questa maschera causa una diminuzione della luminosità del
monitor.
Luminosità/Contrasto
I principali parametri regolabili dall’utente sono “luminosità” e “contrasto”.
Per “luminosità” si intende la luminanza prodotta dallo schermo, il cui valore
dipende dall’intensità del fascio di elettroni; viene modificata variando la
differenza di potenziale tra il catodo e la griglia di controllo, agendo quindi sul
numero di elettroni strappati al catodo e inviati sullo schermo.
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Il “contrasto” agisce invece sull’amplificatore video aumentando o diminuendo la
differenza di segnale tra le aree chiare e quelle scure.
In fase di regolazione del monitor solitamente si agisce dapprima sulla luminosità
per impostare la luminanza minima (Lmin), successivamente sul contrasto per
ottenere la luminanza massima (Lmax) desiderata.
Sarà comunque necessario ripetere più volte l’operazione, in quanto luminosità e
contrasto non sono caratteristiche totalmente indipendenti, per cui necessitano di
una regolazione combinata.
Lmin andrà regolata tenendo conto anche della luce ambientale e soprattutto dei
riflessi che essa genera sullo schermo. Lmax invece sarà invece quella consigliata per
il corretto funzionamento del monitor, non la massima possibile poiché in tal caso
vi sarebbe un veloce degrado del monitor.
La risoluzione spaziale
Il segnale video è generato dalla scheda preposta della workstation, grazie a un
convertitore digitale-analogico (DAC) e inviato al monitor parallelamente ai
segnali di sincronia orizzontale e verticale i quali indicano quando ha inizio una
nuova riga o un nuovo quadro.
Tra una linea e l’altra il segnale video deve essere azzerato per evitare tracce sullo
schermo mentre il fascio viene spostato all’inizio della nuova riga. La pausa tra
due righe è solitamente di 1.3µs, tra due quadri di 5.4µs.
Il segnale video idealmente è un segnale a gradini discreti, ognuno corrispondente
al valore del pixel. La larghezza temporale di ogni gradino dipende dal numero
totale dei pixel e dalla frequenza di “refresh”.
E’ questa la maggiore limitazione alla risoluzione effettiva di un monitor CRT,
infatti il segnale video non può avere esattamente una forma a gradino, ma è
soggetto a dei “rise time” e “fall time”, cioè gli intervalli di tempo in cui l’intensità
del pennello elettronico passa dal minimo al massimo e viceversa. Al crescere
della risoluzione e della frequenza questi due stati transitori saranno sempre più
ravvicinati e significativi nel determinare la forma d’onda definitiva.
La Figura 3 rappresenta schematicamente l’influenza dei “rise time” e “fall time”
sul disegno dei pixel.
Figura 3 – Rise e Fall Time