In primo luogo, si può porre la questione dell’ intangibilità delle
pronunce della Corte, con lo scopo di verificare il grado effettivo di
immodificabilità e le garanzie esistenti in favore del giudicato
costituzionale.
In secondo luogo, si può adottare il punto di vista della ‘tangibilità’:
discutere dell’opportunità di predisporre strumenti (attualmente inesistenti)
per controllare le decisioni, cioè di introdurre garanzie nei confronti della
Corte stessa. Un punto di vista che implica il tentativo di ideare nuove
forme di garanzia, considerata la difficoltà di applicare quelle tradizionali.
Introduzione
I.
La questione preliminare della natura
della Corte costituzionale e delle sue pronunce
Prima di affrontare il tema del giudicato costituzionale, occorre
anzitutto dire qualcosa, sia pure sommariamente, delle varie posizioni
teoriche relative alla natura della Corte e delle sue pronunce, quali
risultano dagli scritti dei giuristi e da alcune decisioni della Corte stessa.
Tale ricognizione è necessaria perchè l’ effetto di giudicato è considerato
caratteristico ed esclusivo delle decisioni giurisdizionali
1
.
Schematicamente
2
, si può dire che la dottrina si sia attestata su
due posizioni.
1
L’esame degli scritti dei giuristi su questo argomento - come quello di
qualunque dibattito sulla ‘natura giuridica’ di un istituto – impone di premettere
che non si può accertare scientificamente se la Corte costituzionale abbia o meno
natura giurisdizionale ma solo se sia effettivamente considerata tale (in
particolare se essa stessa si consideri tale, trattandosi di un organo non
sottoposto a controlli esterni); ciò è dovuto al fatto che la discussione verte su
valutazioni: si tratta di stipulare un significato di attività giurisdizionale tale da
includervi, oppure no, quella svolta dalla Corte.
2
Una rappresentazione più articolata del dibattito su questo argomento si
può ricavare dagli scritti che riportano e commentano le opinioni dottrinali più
significative. Ne cito alcuni che mi sembrano esaurienti: B. Baccari, Natura
giuridica delle pronunzie della Corte costituzionale nei giudizi di legittimità
costituzionale, in La Corte costituzionale, Rassegna di studi promossa
dall’Avvocatura dello Stato, Istituto poligrafico dello Stato, Roma, 1957, pp. 192
ss.; A. Brancaccio, Osservazioni sulla natura giuridica delle funzioni della Corte
costituzionale, in “Rassegna di diritto pubblico”, 1962, pp. 209 ss.; S. De Fina, Il
controllo sulla legislazione, in “Rivista di diritto processuale”, 1961, p. 40 ss.; G.
Falzone, Sull’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi alle sentenze di
accoglimento della Corte costituzionale, in “Rivista di diritto pubblico”, 1969, pp.
426 ss.; F. Pierandrei, Le decisioni degli organi della “giustizia costituzionale”
(Natura, efficacia, esecuzione), in “Rivista italiana per le scienze giuridiche”,
1954, pp. 101 ss.; A. Pizzorusso, La Corte costituzionale tra giurisdizione e
legislazione, in “Il foro italiano”, 1980, V, col. 117 ss.; G. Pugliese, Giudicato civile
(diritto vigente), in Enciclopedia del diritto, X, Giuffrè, Milano, 1962, p. 864; A.M.
Sandulli, Natura, funzione ed effetti delle pronunce della Corte costituzionale sulla
legittimità delle leggi, in “Rivista trimestrale di diritto pubblico”, 1959, pp. 23 ss.
1) Da un lato, c’è chi nega che la Corte sia un organo
giurisdizionale e che le sue pronunce
3
abbiano la relativa natura e
costituiscano sentenze.
Questa soluzione lascia aperto il problema di stabilire la vera
natura della Corte: alcuni la prospettano come legislativa
4
, altri si
limitano a porla al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri dello
Stato
5
.
La negazione della natura giurisdizionale della Corte non elimina,
a mio parere, il problema del vincolo conseguente alle decisioni anche se,
certamente, impedisce di parlare di giudicato in senso tecnico. La Corte
stessa, nonostante in varie occasioni abbia mostrato di escludere la
possibilità di inquadrare precisamente le proprie funzioni, ha ormai
assunto come pacifica la sussistenza di un giudicato come vincolo al
3
La maggior parte dei giuristi ha affrontato la questione riferendosi
esclusivamente alla funzione di sindacato di legittimità delle leggi; qualche
autore ha invece esteso l’ indagine a tutte le competenze della Corte, in alcuni
casi giungendo a conclusioni diverse in relazione a ciascuna di esse. In proposito
cfr. F. Casamassima, La giurisdizione costituzionale, in La Corte costituzionale,
Rassegna di studi promossa dall’Avvocatura dello Stato, cit., pp. 102-103.
4
L’opinione più famosa in questo senso è quella di P. Calamandrei, La
illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, Cedam, 1950;
l’argomento principale utilizzato da Calamandrei a sostegno della propria tesi è
basato sull’ efficacia erga omnes assegnata nel nostro ordinamento alle sentenze
di accoglimento, che consentirebbe l’assimilazione alla funzione legislativa.
5
Cfr. ad esempio G. Abbamonte, Il processo costituzionale italiano, II,
Napoli, Jovene, 1962, p. 365; N. Jaeger, Sui limiti di efficacia delle decisioni della
Corte costituzionale, in “Rivista di diritto processuale”, 1958, pp. 372-374.
Si può dubitare, però, del fatto che l’attribuzione della natura
giurisdizionale alle funzioni della Corte sia incompatibile con la configurazione
della stessa come un potere dello Stato distinto dagli altri: cfr. A.M. Sandulli,
Natura, funzione ed effetti ..., cit. alla nota 2, p. 24; G. Azzariti, Dichiarazioni alla
stampa nella conferenza del 30 dicembre 1958, in “Giurisprudenza
costituzionale”, 1959, pp. 956-957; Id., Gli effetti delle pronunzie sulla
costituzionalità delle leggi, in “Rivista di diritto processuale”, 1950, p. 202-204. A
rigore, escludere la possibilità di inquadrare la Corte in una delle tre funzioni
dello Stato comporta la rinuncia a trarre la soluzione dei problemi dall’ analogia
con altre forme di attività giuridica e impone il ricorso esclusivo al sistema
proprio dell’ istituto, quale risulta dal diritto positivo che lo riguarda.
rispetto delle proprie pronunce.
E’ assai diffusa, in dottrina, l’ opinione che a questo primo
orientamento corrispondano alcune affermazioni del nostro organo di
giustizia costituzionale (cfr. Corte cost. 38/1957, 13/1960). Nella
sentenza n. 13/1960 la Corte ha affermato di esercitare “essenzialmente
una funzione di controllo costituzionale, di suprema garanzia dell’
osservanza della Costituzione”; ha proseguito rilevando che “la sua
attività si svolge secondo modalità e con garanzie processuali” e che
“tutto ciò riguarda, però, la scelta del metodo considerato più idoneo dal
legislatore costituente”; esclude inoltre di poter essere annoverata fra gli
organi giudiziari, ordinari o speciali, data la singolarità delle proprie
attribuzioni, senza precedenti nell’ordinamento giuridico italiano
6
.
Tali affermazioni sono state ritenute da vari autori segno evidente
che la stessa Corte respingerebbe la tesi giurisdizionalistica
7
.
2) Dall’ altro lato c’ è chi afferma che la Corte sia un organo
giurisdizionale e che le sue pronunce siano vere e proprie sentenze. Da
questo punto di vista acquista rilevanza la questione della configurabilità
del giudicato, questione che viene risolta nei modi più vari
8
anche in
considerazione della varietà delle pronunce dell’ organo, nell’ ambito
delle sue diverse competenze e all’ interno della stessa funzione
6
Il caso che ha originato la sentenza n. 13/1960 riguardava la regolarità
delle notificazione di un ricorso per conflitto di attribuzioni; la relativa soluzione
dipendeva dalla possibilità di configurare la Corte come organo giudiziario
amministrativo o speciale.
7
Cfr. ad esempio, G. Balladore Pallieri, Effetti e natura ..., cit., p. 171.
A mio avviso le affermazioni contenute nella sentenza n. 13/1960 non
possono essere considerate decisive: non è sicuro che con la definizione delle
proprie funzioni compiuta in questa pronuncia la Corte abbia inteso senz’altro
escludere che esse possano essere qualificate come giurisdizionali. E’ possibile
che - pronunciandosi nel rispetto dei limiti imposti dalla ristrettezza della
questione processuale prospettata - la Corte abbia voluto soltanto sottolineare la
singolarità delle proprie funzioni, singolarità che non è necessariamente
incompatibile con la natura giurisdizionale.
8
Come vedremo (cfr. infra, cap. IV, spec. § 1), alcuni autori ritengono che
sulle pronunce della Corte si formi giudicato (nonostante varie particolarità), altri
individuano soltanto una preclusione, altri ancora negano entrambi questi tipi di
effetti.
principale di sindacato di legittimità delle leggi.
Al secondo orientamento appartiene la dottrina prevalente. Gli
argomenti che sorreggono questa teoria sono per la maggior parte
comuni a tutte le formulazioni e hanno come base:
(a) i termini adoperati nelle disposizioni relative alla Corte: si
osserva che i vocaboli sono generalmente identici a quelli che vengono
utilizzati in relazione a soggetti, funzioni e atti giurisdizionali (‘Corte’,
‘giudici’, ‘giudizi’, ‘controversie’, ‘conflitti’, ‘accuse’, ‘sentenze’, ‘ordinanze’
; si possono leggere, ad esempio, gli articoli 134-137 della Costituzione e
l’ articolo 18, I c. della legge n. 87/1953);
(b) il contenuto, i fini e la forma degli atti e delle funzioni della
Corte: si ravvisano in essi le caratteristiche proprie dell’ attività
giurisdizionale
9
.
Da un punto di vista parzialmente diverso, le caratteristiche
sostanziali della funzione in esame risaltano indagando sui seguenti
elementi
10
:
(a) le modalità di funzionamento dell’ organo: questo aspetto fa
propendere per una configurazione della Corte come organo non politico,
assimilabile a quelli giurisdizionali. Essa utilizza infatti un procedimento
di natura contenziosa, non può attivarsi da sè ed è vincolata alla regola
della corrispondenza tra chiesto e pronunciato
11
, che le impedisce di
delimitare discrezionalmente l’ oggetto del giudizio;
(b) la composizione: è un altro elemento che concorre a raffigurare
la Corte come organo non politico. I giudici costituzionali sono infatti dei
tecnici (giudici, avvocati o professori di diritto)
12
e sono politicamente
9
Che l’attività della Corte si svolga nelle forme tipiche della giurisdizione
è riconosciuto anche dagli autori che respingono la tesi giurisdizionalistica: P.
Calamandrei, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, cit.; N.
Jaeger, Sui limiti di efficacia delle decisioni ..., cit., p. 58.
10
L’ elencazione che segue è ispirata a quella enunciata nel libro di R.
Guastini Dalle fonti alle norme, Giappichelli, Torino, 1990, pp. 217 s.
11
Art. 27, legge 87/1953.
12
Cost., art. 135, II c.
irresponsabili (non possono essere revocati
13
nè nominati una seconda
volta
14
);
(c) le modalità di formazione: si utilizzano procedure diverse da
quelle previste nel nostro ordinamento per la selezione dei giudici. Per i
membri della Corte costituzionale è prevista l’ elezione da parte di altri
giudici e del Parlamento in seduta comune; vi si aggiungono le nomine
compiute dal Presidente della Repubblica, che presentano, almeno in
linea di principio, una caratterizzazione politica minore;
(d) le cd. guarentigie dei giudici costituzionali: l’ art. 3 della legge
cost. 9 febbraio 1948, n. 1, prevede che “i giudici della Corte
costituzionale non possono essere rimossi, né sospesi dal loro ufficio, se
non con decisione della Corte, per sopravvenuta in capacità fisica o civile
o per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni. Finchè durano in
carica, i giudici della Corte costituzionale godono dell’ immunità
accordata nel secondo comma dell’ art. 68 della Costituzione ai membri
delle due Camere. L’autorizzazione ivi prevista è data dalla Corte
costituzionale”;
(e) lo stile delle decisioni: un aspetto che fa propendere per la tesi
della natura giurisdizionale. Le pronunce della Corte si chiamano
‘sentenze’ od ‘ordinanze’ e si atteggiano a tali: sono scritte nello stile
tipico dei provvedimenti del giudice (quello proprio di chi mostra di fare
mera applicazione del diritto) e sono motivate sulla base di norme
(almeno dichiarate) preesistenti.
Il quadro è completato dall’ art. 28 della l. 87/1953, che vieta alla
Corte “ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’ uso del
potere discrezionale del Parlamento”.
La giurisprudenza costituzionale fornisce un argomento anche ai
sostenitori di questa seconda opinione, i quali danno risalto alle
decisioni nelle quali la Corte afferma la propria legittimazione a sollevare
13
Art. 3, I c., legge cost. 1/1948.
14
Cost., art. 135, III c.
giudizi incidentali di legittimità. Il riconoscimento del processo
costituzionale come ‘giudizio’
15
a quo appare infatti a molti come una
presa di posizione implicita della Corte
sulla natura delle proprie
funzioni
16
. Poiché la rimessione della questione deve avvenire da parte di
un’ autorità giurisdizionale, alla Corte si dovrebbe riconoscere, in quanto
legittimato giudice a quo, la natura relativa
17
.
15
L’art. 1 della legge cost. 1/1948 e l’art. 23, I e III c., della legge
87/1953 richiedono che la questione di legittimità costituzionale sia sollevata (o
rilevata d’ufficio) ‘nel corso di un giudizio’.
16
Si può dubitare di questa conclusione: c’è chi pensa che da simili
sporadiche affermazioni non si possano trarre illazioni così impegnative. Uno
spunto in tal senso può leggersi di V. Crisafulli, Le funzioni della Corte
costituzionale nella dinamica del sistema: esperienze e prospettive, in “Rivista di
diritto processuale”, 1966, pp. 23 e 220-221: “l’ammissibilità di questioni di l. c.
dinanzi alla Corte potrebbe quindi ritenersi, ... inerente alla peculiarità della
posizione della Corte nel sistema, e nessun rapporto avrebbe, allora, con l’essere
o meno la Corte una ‘autorità giurisdizionale’ ai sensi dell’art. 1 legge cost. n.
1/1948 o con la natura delle funzioni svolte dalla Corte stessa”; in tale scritto
Crisafulli rinuncia ad enunciare la soluzione della questione dichiarando che
essa rimane aperta, non potendosi ritenere decisivi né gli argomenti contrari al
carattere giurisdizionale né quelli favorevoli.
17
La questione si fa più intricata proprio nel tentativo di approfondirla:
anche all’ interno della decisione solitamente citata per ricavarne la nozione di
giudice a quo (C. Cost. 83/1966) si trovano sia elementi per sostenere la natura
giurisdizionale dell’organo sia per negarla; ciò in quanto si richiede che la
questione sia sollevata da una ‘autorità giurisdizionale’ ma si precisa –
immediatamente dopo – che si possono considerare tali, al fine di individuare un
giudice a quo legittimato, anche ‘organi … estranei all’organizzazione della
giurisdizione ed istituzionalmente adibiti a compiti di diversa natura’. L’indagine
oggetto del mio lavoro può prescindere dalla soluzione del dilemma.
II.
Giudicato, preclusione,
inimpugnabilità
1. ‘Giudicato’
Nel comune linguaggio dei giuristi
1
, la parola ‘giudicato’ indica l’
incontestabilità della pronuncia giurisdizionale. Si tratta di un fenomeno
che presenta due diversi aspetti e per questo viene descritto,
comunemente, attraverso una distinzione: quella tra giudicato in senso
formale e giudicato in senso sostanziale.
1
In apertura di questo capitolo ho cercato di sintetizzare le definizioni di
giudicato contenute negli scritti della dottrina che ho selezionato. Ho tentato di
superare alcune ambiguità derivanti dal fatto che non tutti i giuristi utilizzano,
in proposito, le stesse espressioni e distinzioni, ma vocaboli e classificazioni a
prima vista non omogenei (ad esempio: ‘giudicato’ vs. ‘cosa giudicata’, ‘giudicato
formale e sostanziale’ vs. ‘formazione e autorità del giudicato’, ‘efficacia negativa
e positiva’ vs. ‘efficacia preclusiva e pregiudiziale’, ‘efficacia processuale’ vs.
‘efficacia sostanziale’).
La letteratura in argomento è assai vasta. Mi limito a segnalare alcuni
degli scritti che ho consultato: Enciclopedia del diritto, voce Giudicato, vol. X.,
Giuffrè, Milano, 1962, pp. 727 ss.; G. Chiovenda, Cosa giudicata e preclusione, in
“Rivista italiana per le scienze giuridiche”, 1933, pp. 3 ss.; A. Lugo, Manuale di
diritto processuale civile, X ed., Giuffrè, Milano, 1992; P. M. Vipiana, Contributo
allo studio del giudicato amministrativo, Giuffrè, Milano, 1990.
2. Giudicato formale e giudicato sostanziale
In senso formale, il giudicato consiste nell’ inattaccabilità della
sentenza, la quale non è più soggetta ai mezzi di impugnazione ordinari
2
(per l’ avvenuto esaurimento di essi oppure per la decorrenza dei termini
per l’ impugnazione); in tale senso il giudicato è inteso come chiusura
definitiva del processo. Questo primo aspetto attiene alla formazione del
giudicato; ad esso è riconducibile la figura del ‘passaggio in giudicato’
3
.
In senso sostanziale, il giudicato consiste nell’ incontestabilità del
contenuto della sentenza
4
. Esso fa stato ad ogni effetto tra le parti e
coloro che succedono alle parti nel rapporto giuridico che ne costituisce
2
Dispone in questo senso, ad esempio, l’art. 324 cod. proc. civ.: “Cosa
giudicata formale. - Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più
soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per
cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell’art. 395”.
Nell’ ordinamento italiano il giudicato nasce come certezza quasi
irreversibile: non diviene mai di per sè (cioè senza usucapione o prescrizione)
irreversibile in modo assoluto; può infatti intervenire la revocazione salvo che,
per effetto appunto dell’usucapione o della prescrizione, non sia ormai divenuta
irreversibile la situazione di fatto conforme al giudicato.
3
Ci sono ordinamenti - tra i quali quello italiano - che subordinano il
giudicato alla condizione che la sentenza non sia più soggetta a talune o a tutte
le possibili impugnazioni e quindi conoscono la figura della sentenza che ‘passa
in giudicato’. In altri ordinamenti, nei quali una simile condizione non viene
richiesta, la figura del passaggio in giudicato della sentenza è sconosciuta oppure
sostanzialmente diversa. Nell’ ordinamento inglese, affinchè si produca l’effetto
dell’estoppel, che è il mezzo per impedire la durata indefinita delle liti, non è
richiesto che la sentenza non sia più impugnabile: è sufficiente che abbia
carattere definitivo e non interlocutorio. Le osservazioni di carattere storico e
comparatistico sono tratte dalla lettura della voce Giudicato dell’ Enciclopedia del
diritto, cit.
4
La differenza con l’aspetto precedente emerge se si considerano i casi in
cui il giudicato viene addotto in processi relativi a una lite dipendente dalla
diversa lite decisa con quel giudicato: è evidente che in ipotesi di questo genere
ciò che rileva non è la sentenza divenuta inattaccabile (perchè si tratta di una
lite diversa) ma il suo contenuto, che deve essere assunto come un dato ormai
certo. Un esempio: se Tizio esercita contro Caio un’azione negatoria relativa a
una servitù sul fondo F ed esiste una sentenza passata in giudicato nella quale
si riconosce che Tizio è proprietario del fondo F, ciò che è incontestabile nel
nuovo processo non è la sentenza (che non viene neppure in considerazione,
trattandosi di una diversa lite) ma il suo contenuto: l’accertamento del fatto che
Tizio sia proprietario del fondo F.
l’ oggetto
5
. In tale senso il giudicato riguarda il regolamento del rapporto
sostanziale.
A proposito di questo secondo aspetto si parla di ‘autorità’ del giudicato,
cioè degli effetti di esso
6
.
Da un punto di vista teorico si possono configurare diverse ipotesi
circa la portata degli effetti del giudicato. Esso può avere:
(a) un’ efficacia solo negativa: se si esplica soltanto nel senso di
impedire un nuovo processo de eadem re, quindi una qualunque
pronuncia (per l’ antichissima regola ‘ne bis in idem’). In questo caso ciò
che rileva è la mera esistenza del giudicato, non il suo contenuto. Si
parla anche, a questo proposito, di efficacia meramente ‘preclusiva’;
(b) efficacia positiva: quando impedisce una decisione divergente;
ciò che conta è allora il contenuto del giudicato e si parla di efficacia
‘pregiudiziale’.
Un’ efficacia positiva in senso proprio si ha quando non soltanto
viene impedita una pronuncia difforme dal giudicato, ma il giudicato
stesso è assunto come un dato sul quale fondarsi; esso consiste cioè in
un vincolo a considerare in futuro esistente o inesistente la situazione
giuridica che ne costituisce l’oggetto e impone pertanto una pronuncia
conforme.
In dottrina si è discusso a lungo sulla reale portata degli effetti del
giudicato: né gli argomenti a favore della tesi negativa né quelli contrari
sono risultati decisivi; appare sostenibile che, nell’ esperienza giuridica
concreta, gli effetti del giudicato varino da un contenuto meramente
negativo ad uno propriamente positivo a seconda della situazione
5
Art. 2909 cod. civ.: “Cosa giudicata. - L’accertamento contenuto nella
sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o
aventi causa”.
6
Gli effetti della sentenza, va notato, non si esauriscono in quelli del
giudicato. Ce ne sono altri, come ad esempio gli effetti esecutivi, oppure quello di
precedente. Gli effetti del giudicato vengono indicati con l’espressione ‘autorità
del giudicato’.
sostanziale e processuale in cui esso si inserisce e viene fatto valere
7
.
Un’ altra distinzione comunemente usata e sovrapponibile alla
precedente è quella tra efficacia processuale ed efficacia sostanziale del
giudicato, nella quale vengono contrapposte le conseguenze che il
giudicato produce nel processo e fuori di esso. L’ efficacia processuale è
determinata dalla regola ’ne bis in idem’ che esclude la riproponibilità
della questione decisa; l’ efficacia sostanziale riguarda le conseguenze
che possono prodursi fuori del processo, variando a seconda del tipo di
giudizio
8
.
Gli effetti del giudicato differiscono inoltre a seconda che la
decisione sia stata presa da un giudice civile, penale o amministrativo. I
giudizi costituzionali presentano caratteristiche in parte diverse rispetto
a tutti gli altri settori del diritto: ciò incide sulla distinzione tra giudicato
formale e sostanziale, sugli effetti e sugli altri elementi che vengono
comunemente descritti a proposito del giudicato.
7
Ad esempio: emerge un’efficacia meramente negativa nel caso in cui la
sentenza passata in giudicato contenente il riconoscimento di Tizio come
proprietario del fondo F contro il convenuto Caio venga invocata per respingere
una nuova identica azione proposta da Tizio; emerge invece l’efficacia positiva
nell’ ipotesi in cui la stessa sentenza venga invocata per sostenere un’ azione
negatoria promossa da Tizio per contestare una servitù esercitata da Caio sul
fondo F. Sulle discussioni della dottrina in argomento, cfr. la voce Giudicato in
Enciclopedia del diritto, cit.
8
A proposito dei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi si potrebbe
fare l’ esempio dell’ effetto ‘cassatorio’ proprio delle sentenze di accoglimento.