regionale (in grande ritardo rispetto ai paesi europei) di
popolazioni la cui storia era stata vissuta per secoli in
condizioni di problematiche peculiarità sociali, culturali ed
etniche.
Per il rispetto della differenza tra le molte realtà
territoriali, i costituenti del 1978 anziché definire con volontà
imperativa tutti i termini delle Regioni da istituire, attraverso
il principio cosiddetto "dispositivo" lasciarono che si
sviluppasse con gradualità mirata, prima le Regioni più
urgenti sul piano storico, poi lentamente le altre. Un quadro
dinamico, asimmetrico, transitorio di istituzioni regionali
autonome che, per la varietà di aspettative sempre in
fermento, non solo si sono ritrovate in competizione tra loro,
ma hanno anche orientato il Governo centrale e le prevalenti
forze politiche a porre un freno alla variabilità di richieste
autonomistiche e rendere alquanto più omogeneo l'assetto
territoriale soprattutto nelle competenze da assumere da
parte delle Regioni.
Questo studio si è posto l'obiettivo di analizzare, nella
parte centrale, il concetto o valore del "principio dispositivo"
e dell'asimmetria creatasi conseguentemente nel variegato
quadro delle Comunidades Autònomas.
L'asimmetria del quadro generale delle Regioni spagnolo
fa emergere differenziazioni innumerevoli, sia normative che
competenziali, e dà luogo a diseguaglianze materiali tra i
cittadini, ma è anche sintomo di libertà di scelta, dinamismo
ed autonomia politica di rilevante valore. Se, insieme a tutto
ciò verranno rispettati doveri e diritti costituzionali e se il
senso di cooperazione si identifica con il senso della
competizione, la Spagna sarà anch'essa parte vitale,
integrante e produttiva dell'Europa.
CAPITOLO 1
DAL REGIONALISMO DEL XIX SECOLO AL DIRITTO
ALLA AUTONOMIA DELLE “NAZIONALITÀ” E DELLE
“REGIONI” SANCITO DALLA COSTITUZIONE DEL 1978
1.1 - PROBLEMA REGIONALE NELLA STORIA SPAGNOLA
DAL XIX SECOLO AL REGIME FRANCHISTA.
Fin dal XIX secolo la storia dello Stato spagnolo e della
sua amministrazione è stata caratterizzata da un ricorrente e
duraturo accentramento, i municipi e le provincie sono state
sempre legati al governo centrale da un rapporto di rigida
subordinazione
1
. Le strutture amministrative e politiche
dell’ancièn règime, anche dopo la costituzione di Cadice del
1812, non godevano di alcuna effettiva autonomia e, la
provincia non era altro che pura circoscrizione
dell’amministrazione statale al servizio del potere di Madrid
2
.
1
R CARR, Storia della Spagna, 1808-1939, Firenze, 1978.
2
E. GARCIA DE ENTERRA, La Provincia en el regimen local espanol, in Problemas actuales del
regimen local, Sevilla, 1958, spec., pp. 11 e ss..
Infatti gli innumerevoli progetti di riforma esposti a livello
politico per tutto il secolo XIX provenivano sempre da
iniziative del governo centrale e quasi mai dagli organismi
locali.
Solo il progetto di costituzione della prima Repubblica
del 1873 fu prodotto e sostenuto da forze democratiche molto
ampie e varie fautrici di un federalismo che ebbe un ruolo
importante nella evoluzione del pensiero politico spagnolo
3-4
.
Dall’inizio del 1900 le richieste dal basso di un
decentramento amministrativo e più espressamente di
un’autonomia della Regione, intesa come aggregazione
spontanea di provincie e comuni, furono ricorrenti e
significative di una vera reazione nei confronti del
centralismo.
Ma è solo con la costituzione della seconda repubblica
spagnola (09/12/1931) che il regionalismo si affermò in modo
estremamente innovativo tanto da influenzare nel dibattito i
3
E. TRUJILLO, El federalismo espanol, Madrid, 1967, pagg. 67-69.
4
C.A.M. HENNESSY, La Republica federal en Espana, Madrid, 1966, pag. 23.
costituzionalisti italiani ed europei
5
.
Riconoscendo nel preambolo della costituzione del 1931
che “in alcune regioni spagnole ci sono molti aneliti di
personalità autonoma e che sarebbe una scempiaggine
politica non tenerne conto”, i progettisti della nuova
costituzione vollero battere una strada nuova con l’idea di
uno “Stato integrale” superando sia lo Stato federale sia lo
stato unitario, prefigurando la coesistenza di regioni
autonome e di regioni strettamente dipendenti dal potere
centrale senza imporre uniformità nel rapporto tra Stato e
Regioni
6
.
Con l’art. 1 della costituzione del 1931, la Repubblica
spagnola si costituì come “Stato integrale” compatibile con
l’autonomia dei municipi associati in Provincia e delle
Regioni. L’art. 11 sosteneva che: “se una o più province
limitrofe delibereranno di organizzarsi in regione autonoma
per formare un nucleo politico-amministrativo entro lo Stato
5
E. ROTELLI, L’avvento della regione in Italia, Milano 1967 pag. 243 ss, Il Rotelli si rifece alle
opere di G. Ambrosini che trattavano appunto dello Stato regionale in riferimento alla
costituzione spagnola del 1931.
6
L. JIMENEZ DE ASUA, Constitucion de la Republica espanola, Madrid, 1932, pag. 61.
spagnolo, presenteranno il loro statuto” con evidente
carattere di pura possibilità ed eventualità.
Lo statuto doveva essere:
a) proposto dalla maggioranza dei consigli comunali della
Regione;
b) accettato dai 2/3 degli elettori;
c) approvato dalle “Cortes” (parlamento spagnolo).
Se lo statuto avesse presentato qualche contrasto con le
norme della Costituzione, le “Cortes” avrebbero potuto
agevolmente respingerlo.
Il procedimento per la formazione e la perfezione dello
statuto delle Regioni era indubbiamente complesso e la
dottrina espresse opinioni diverse, divise tra chi riconosceva
agli statuti carattere di legge costituzionale dello Stato e chi li
considerava “leggi speciali”, sia della Repubblica, sia delle
Regioni, non collocabili né tra le leggi organiche, né tra quelle
costituzionali
7
.
7
A. CARENA, Tendenze federali e decentramento politico nella costituzione della Repubblica
spagnola, Milano, 1936, pp. 198-199.
Relativamente alle competenze, secondo l’art. 14 allo
Stato erano attribuite materie come: la cittadinanza, i rapporti
tra Stato e Chiesa, la politica estera, l’ordine pubblico, la
difesa, l’emissione della moneta, il tribunale supremo.
Secondo l’art.15 allo Stato spettava la legislazione sul
diritto penale, sociale, mercantile, processuale, sui pesi e
misure, sulle miniere e sulla stampa, ma l’esecuzione di tali
competenze poteva essere lasciata alle Regioni.
L’art. 16 prevedeva esclusiva competenza delle Regioni,
solo nelle materie residuali rispetto agli articoli precedenti e
sulle quali lo Stato si riservava il potere di determinarne i
principi fondamentali (bases).
L’art. 20 sanciva il principio secondo cui l’esecuzione
delle leggi statali nelle regioni autonome spettava alle
autorità regionali. Si trattava di un sistema di competenze,
dunque, molto articolato.
La Costituzione, da un lato attaccava l’unitarismo e
riconosceva la “capacità politica” delle regioni con
competenze non solo esecutive, ma anche legislative,
dall’altro lato respingeva il federalismo perché lasciava allo
Stato materie che di solito spettano, negli Stati federali, ai
singoli membri, attribuendo allo Stato Nazionale la
competenza residuale.
Nella dottrina il Posada
8
ritenne tale Stato regionale una
nuova forma di Stato unitario, mentre il Prelot
9
lo considerò
una semplice parvenza di Stato federale. Sostanzialmente si
affermò la concezione di uno Stato intermedio, un terzo tipo
di Stato a metà tra lo Stato unitario e lo Stato federale
10
.
In base ai principi della costituzione del 1931, prima che
la guerra civile travolgesse la seconda Repubblica, solo in due
Regioni, nella Catalogna e nei Paesi Baschi, furono emanati
gli statuti, approvati dalle Cortes: il catalano, nel ’32 e quello
basco nel ’36 in piena guerra civile.
La vittoria militare della “falange”, cioè delle truppe del
“movimento” di Francisco Franco, produsse immediatamente
la cancellazione delle autonomie istituite dalla costituzione
8
POSADA, La nouvelle constitution espagnole, Paris, 1932, pp. 196 ss..
9
M. PRELOT, Institutions politiques et droit constitutional, Paris, 1961, pp. 252-253.
10
G. AMBROSINI, Un tipo intermedio di Stato fra l’unitario e il federale caratterizzati dall’autonomia
regionale in Rivista Diritto Pubblico, 1933, pp. 93 ss..
repubblicana e l’annullamento della stessa costituzione del
1931 come fonte di pericolo per l’unità politica e territoriale
della Spagna. A capo delle amministrazioni provinciali e
comunali furono poste solo persone seguaci del “movimiento
nacional”. Gli statuti della Catalogna e dei Paesi Baschi
furono abrogati (1937/38) per ristabilire un regime che
doveva restituire “a quelle province l’onore di essere
governate su un piano di uguaglianza con le loro sorelle del
resto della Spagna” e per eliminare “privilegi” che avrebbero
costitutito “un ingiusto aggravio per le restanti regioni”.
Durante tutto il regime franchista ogni forma di
autonomia locale fu soppressa e la tendenza
all’accentramento amministrativo fu sancita dalla legge del
1967, la cosiddetta “legge organica dello Stato”
11
, che
riconosceva come amministrazioni locali solo i municipi e le
provincie pur se lasciava alla discrezionalità di leggi
ordinarie future la possibilità di istituire divisioni territoriali
11
Sono le leggi organiche, relative allo sviluppo dei diritti fondamentali e delle libertà
pubbliche, quelle che approvano gli statuti di autonomia e il regime elettorale generale e le
altre previste nella Costituzione spagnola.
diverse dalla provincia. Il regime franchista non ha mai
attivato alcuna forma di autonomia regionale
12-13
.
La regione e la sua autonomia non furono mai prese in
esame come reale possibilità di un ente locale e come
strumenti di decentramento ma vennero elogiate solo in
quanto forme di deconcentrazione della amministrazione
centrale
14
.
Il piano di sviluppo del 1972 consentiva, per la
realizzazione di azioni congiunte di sviluppo regionale e
interprovinciale solo forme di associazione
(mancomunidades) fra province, nella totale dipendenza dal
governo centrale. Se tra le norme dei vari piani di sviluppo vi
era un qualche riferimento al regionalismo, si trattava di un
regionalismo “economico” o “funzionale” perché la volontà
politica del governo era rivolta ad evitare che poteri regionali
potessero opporsi ad esso
15
.
12
L. COSCULLUELA MONTANER, La Region in Decentralizacion administrativa y organizacion
politica, Madrid, 1978, pp. 327-328.
13
A. GUAITA, Division territorial y decentralizacion, Madrid, 1975, pp. 237 –251.
14
L. LEGAZ LACAMBRA, La regionalizacion en el III plan de desarrollo in problemas politicas de la
vida local XIII, Madrid, 1973, p. 165.
15
S. MARTINE-RETORTILLO e J. SAIA ERNANDEZ, El nuevo regionalismo y la llamada regionalizacion
de la planificacion economica, Madrid, 1988, pp. 217 ss..