Ergonomia e usabilit�
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Nel capitolo 1 di questa tesi, dopo una panoramica storica
sull�evoluzione e gli sviluppi dell�ergonomia, si introdurranno il concetto di
usabilit� e le tecniche pi� diffuse ai fini della sua valutazione.
Nel capitolo 2 si introdurranno i processi cognitivi coinvolti
nell�interazione tra utente e sistema, mettendo in luce i fattori ergonomici
che influiscono maggiormente sull�usabilit�.
Il capitolo 3 sar� dedicato alla presentazione del test di
usabilit� condotto presso CNH e alla discussione dei risultati emersi in tale
sede, unitamente ai suggerimenti per le modifiche da apportare al prototipo
utilizzato.
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1 - Ergonomia e usabilit�
Nel rapporto fra uomini e macchine, poche caratteristiche sono oggi
pi� apprezzate della semplicit� d�uso. Non ci si riferisce soltanto ad
apparecchiature dalle funzioni varie e complesse, ma anche e soprattutto
agli oggetti con cui si ha a che fare ogni giorno: si hanno sempre pi� cose da
fare, e sempre meno tempo per imparare a farle. Per questo si chiedono
strumenti semplici che facilitino la vita. Strumentazioni progettate in
maniera tale da rendere il loro uso incomprensibile difficilmente potranno
incontrare il favore della clientela, anche a dispetto di un alto valore
estetico. Dunque la scarsa usabilit� di un prodotto, specie se destinato al
largo consumo, non � semplicemente un fastidio o una fonte di frustrazione
per l�utente, ma diventa spesso un danno economico per il produttore.
In alcuni casi il rischio non � puramente economico: diverse ricerche
(Reason, 1990) hanno evidenziato che sciagure come quella nucleare di
Chernobyl o quella chimica di Bhopal sono riconducibili ad errori umani, in
buona parte dovuti a cattiva interpretazione delle informazioni fornite dalle
interfacce di sistema.
Quanto detto fin qui pu� essere visto come una semplice
constatazione di buonsenso: pare piuttosto ovvio che qualsiasi dispositivo
debba perseguire la maggiore facilit� d�uso possibile. Molti oggetti di uso
comune basterebbero invece a chiarire che questo concetto non � ancora
cos� condiviso, per quanto diversi progressi siano stati compiuti.
Un esempio di quanto la semplicit� d�uso possa giovare alla diffusione
commerciale di un prodotto � costituito dall�introduzione delle cosiddette
Interfacce Utente Grafiche (Graphic User Interface o GUI) che, grazie alla
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loro intuitivita� d�uso, hanno reso le nuove tecnologie facilmente accessibili
anche a chi non ha alcuna conoscenza di linguaggi informatici
Il concetto di usabilit� si afferma all�inizio degli anni �80,
contemporaneamente alla diffusione su vasta scala dei sistemi informatici:
inizialmente, infatti, il termine viene riferito al rapporto fra persone e
calcolatori, pi� precisamente alla semplicit� e intuitivit� dell�interazione
fra uomo e macchina.
Ben presto, per�, il concetto viene esteso ad altri campi, diventando
sostanzialmente una specifica diramazione dell�ergonomia, dalle quali
attinge parecchi strumenti teorici e metodologici. Pertanto, la disamina del
concetto di usabilit� non pu� prescindere dalla conoscenza dei concetti e
dell�evoluzione storica dell�ergonomia
1.1 - Il profilo storico dell�ergonomia
Le due parole greche che indicano Lavoro (�ergo�) e Norma
(�nomos�) vengono fuse per la prima volta dal naturalista polacco
Jastzebowsky in uno scritto del 1857, nel quale egli prefigura una disciplina
che racchiuda in s� le metodologie e le tecniche necessarie per condurre un
�buon� lavoro, a prescindere dall�ambito di applicazione. In ogni caso,
questa idea rimane tale fino all�alba del XX secolo, quando viene
recuperato a seguito di macroscopici mutamenti occorsi nell�economia del
mondo occidentale. Negli Stati Uniti, gli impianti industriali si rivolgono alla
produzione di massa, standardizzata e finalizzata al raggiungimento di
economie di scala. Frederick Taylor inizia a porsi il problema di organizzare
il lavoro umano in modo da massimizzarne l�efficienza produttiva: nasce
l�organizzazione scientifica del lavoro, pi� nota come �taylor-fordismo�.
Essa ridefinisce i compiti degli addetti agli impianti, in modo da eliminare il
pi� possibile i tempi morti fra un�azione e l�altra. Come fu detto, si tratta
di �adattare l�uomo alla macchina�. Si vuole ottenere il massimo dai
lavoratori non specializzati che si hanno a disposizione, per una ragione
molto semplice: il lavoro specializzato costa troppo caro. Ha cos� origine la
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famigerata catena di montaggio, le cui norme sono ferree e non di rado
alienanti per i lavoratori.
Il paradigma all�epoca dominante in psicologia � il behaviorismo (o
comportamentismo), che spiega il comportamento umano in termini di
risposta agli stimoli provenienti dall�ambiente.
Qualcosa inizia a cambiare tra gli anni �40 e �50. In questa fase, e in
particolar modo durante la seconda guerra mondiale, gli psicologi sono
interpellati per quanto riguarda la rilevazione dei segnali, il carico di lavoro
mentale imposto ai lavoratori e sulla natura e origine degli errori. Nasce
cos� l�ingegneria dei fattori umani (human factors engineering). Capifila
della nuova disciplina sono i ricercatori statunitensi, finanziati
principalmente dalle strutture militari impegnate nel conflitto.
Il contributo dell�ingegneria dei fattori umani si manifesta a pi�
livelli. Ci si rende conto che alcune mansioni ad alta criticit�, come pilotare
un velivolo o controllare l�attivit� di un radar, impongono una notevole
quantit� di lavoro mentale agli operatori. Si inizia a pensare che, almeno in
questi ambiti, conviene progettare impianti modellati sulle caratteristiche
umane, piuttosto che il contrario: � un rovesciamento del modello
taylorista, sia pur limitato a pochi settori. A testimonianza dell�emergere di
nuove tematiche legate al lavoro umano, nasce nel 1949 a Oxford la
Ergonomic Research Society: � l�atto di nascita dell�ergonomia come
disciplina autonoma.
In merito a quest�ultimo tema, si ha il superamento della distinzione
fra �errore umano� ed �errore tecnico�. Le azioni erronee designate dalle
due espressioni, infatti, sono riconducibili al cattivo funzionamento del
sistema uomo-macchina, inteso come un tutt�uno dinamico: si inizia a
parlare di errore sistematico. In questo salto concettuale si pu� vedere la
fine dell�ergonomia di correzione di inizio secolo, e l�inizio della
�ergonomia dei sistemi�.
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Nella prima met� degli anni �70 avviene il passaggio da una logica
atomistica del lavoro a una visione di tipo relazionale. Si inizia a
considerare il contesto di lavoro come un elemento decisivo nel
determinare le prestazioni del lavoratore: quest�ultimo non � pi� visto
come estraneo all�ambiente che in cui svolge le proprie mansioni, ma come
parte integrante di esso. Lo stesso concetto di adattamento � da ritenersi
superato da quello di interazione. Viene presto abbandonato anche il
termine �macchina�, che richiamava una realt� lavorativa di tipo
puramente fisico. Si parla ora di strumenti intelligenti (tool) al servizio del
lavoro umano. Pu� considerarsi tramontata, almeno a livello scientifico,
l�idea taylorista dell�uomo come anello debole della catena produttiva. Il
sistema non deve pi� essere sicuro, bens� affidabile. La differenza pu�
apparire sottile, ma � ben individuabile. Considerare un sistema in un�ottica
di pura sicurezza portava a distinguere �errori�, di natura umana, da
�guasti�, di origine puramente tecnica. Una prospettiva di questo tipo
portava a ignorare eventuali responsabilit� dei progettisti e degli
organizzatori, e a imputare la responsabilit� di eventuali incidenti soltanto
a singoli operatori: in effetti, leggendo le ricerche infortunistiche condotte
in quegli anni, si potrebbe pensare che gli addetti al trattamento di
materiale incandescente o radioattivo siano soggetti curiosamente facili alla
distrazione. Diversamente, la prospettiva dell�affidabilit� di sistema
consente di prevedere le situazioni di impasse o pericolo che il sistema
potrebbe imporre al lavoratore. E� questo il criterio che informa il decreto
legislativo 626/94 (noto come �la 626�) sulla sicurezza in ambienti di
lavoro.
Questo passaggio ha ragioni che vanno oltre mero ambito produttivo.
In quegli anni il settore dei servizi si espande in maniera esponenziale, e il
lavoro intellettuale prevale per la prima volta su quello fisico. Diventa
quindi importante adattare gli strumenti al modo in cui le persone
elaborano le informazioni ambientali, prima ancora che alle loro azioni. I
contributi del cognitivismo, nel frattempo affermatosi come paradigma
dominante nell�area psicologica, diventano sempre pi� frequenti.
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Con gli anni �80 e la diffusione del computer sui luoghi di lavoro,
emergono nuovi problemi. Proprio nel periodo di massima accelerazione
dell�industria del software, si avverte l�inadeguatezza delle interfacce-
utente: per sfruttare le enormi potenzialit� dei computer, � necessario
apprendere specifici linguaggi-macchina che istruiscano le operazioni dello
strumento. E� un ritorno, sia pure in termini inediti, all�adattamento
dell�uomo alla macchina.
La successiva introduzione delle GUI (Graphic User Interfaces) rende
possibile un�interazione decisamente pi� intuitiva con il sistema, attraverso
le immagini. Ci� che sembra ancora mancare � un�adeguata filosofia di
progettazione del software, che tenga conto dell�utente e delle sue
caratteristiche. E� proprio in quegli anni che viene elaborato il concetto di
Progettazione centrata sull�utente (User-Centered Design, trattato pi�
avanti in 1.3).
Negli ultimi dieci anni, la prospettiva degli studi va allargandosi,
includendo una prospettiva sociale del lavoro: si afferma la teoria
dell�azione situata. Essa muove dalla constatazione che gli oggetti sono
percepiti non come elementi isolati, bens� come parti di uno specifico
contesto, che non conosciamo direttamente, ma soltanto attraverso
un�attivit� interpretativa. E� l�osservatore a creare la realt� che lo
circonda, guidato dai propri scopi, che selezionano gli oggetti cui rivolgere
l�attenzione. L�ambiente � saturo di opportunit� (affordances), colte dal
soggetto nella misura in cui esse corrispondono ai suoi interessi. Un chirurgo
sapr� distinguere i diversi ferri operatori molto meglio di un meccanico;
davanti a un set di chiavi inglesi le parti si invertiranno, per quanto sempre
di ferri si tratti. In sostanza, le situazioni sono il luogo in cui gli interessi
dell�attore e le opportunit� si costruiscono reciprocamente: in assenza degli
uni, le altre restano soltanto potenziali.
Anche la conoscenza dipende dal contesto, risentendo della
specificit� delle situazioni ed essendo intimamente legata all�azione. La
teoria dell�azione situata rende conto di come si possa agire perch� le
circostanze lo richiedono, pur non avendo un quadro preciso della
situazione: il contrario di quanto affermato per anni dalla teoria razionale
delle decisioni. Un esempio spesso citato in proposito � quello
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dell�abbattimento di un aereo di linea iraniano da parte di truppe
americane di stanza nel Golfo Persico, al tempo del conflitto Iraq- Iran. La
contraerea rilev� la presenza di un velivolo nell�area presidiata e inibita ai
voli. Il livello di aspettativa dei militari, acuito da addestramento e
tensione ha innescato l�azione senza ulteriori controlli, causando la
tragedia.
La teoria dell�azione situata ha ridefinito anche l�ambito della
progettazione, specialmente per quanto riguarda la HCI (Human Computer
Interaction). Viene abbandonata l�idea di regole generali per ottenere
affidabilit� di sistema e qualit� delle interfacce, per quella di un
adattamento al contesto specifico. Il problema principale, a questo punto, �
la scarsa prevedibilit� dei contesti possibili. Anche a questo scopo viene
sempre pi� spesso prevista la partecipazione degli utenti alle fasi di
progettazione.
A tutt�oggi una possibile definizione di ergonomia pu� essere la
seguente:
Insieme di conoscenze interdisciplinari in grado di analizzare, progettare e valutare sistemi
semplici o complessi in cui l'uomo figura come operatore o utente, allo scopo principale di
rendere compatibile il mondo che ci circonda e le esigenze di natura psicofisica e sociale,
nell'efficienza e affidabilit� dei sistemi. Questo tipo di ricerca cerca di individuare quali
sono i contesti fisici, le postazioni di lavoro, i materiali, gli ambienti software ed i profili
organizzativi adatti alle caratteristiche e ai limiti degli operatori umani (Murrel, 1949)
L�obiettivo ultimo dell�ergonomia � assecondare le caratteristiche
fisiologiche e cognitive degli utenti, per quanto la definizione di �scienza
della semplicit�� che spesso la accompagna sia scorretta per almeno due
motivi: in primo luogo, perch� pi� che una scienza vera e propria, essa
costituisce un campo di ricerca e applicazione sul quale convergono i
contributi di discipline diverse (psicologia, medicina, design, ingegneria); in
secondo luogo, perch� l�oggetto del suo interesse � andato ridefinendosi a
seconda dei vari periodi della sua evoluzione.
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1.2 - Ergonomia cognitiva
Come accennato sopra, la psicologia non ha fornito da subito i propri
contributi agli studi ergonomici. Solo quando ci si rende conto che le
capacit� richieste dal lavoro umano non sono esclusivamente di natura
fisica, ma anche e soprattutto mentale, inizia a definirsi il campo
d�indagine oggi noto come ergonomia cognitiva. Si inizia a parlare di carico
di lavoro mentale, distribuzione dell�attenzione fra i compiti, processi
decisionali. Di fatto, nasce una nuova branca della psicologia applicata.
Va detto che non esiste ancora un totale accordo riguardo alla
precisa estensione e definizione della disciplina. Ci� � probabilmente
dovuto sia all�eterogeneit� dei contributi teorici, sia all�alta specificit� di
molte ricerche sul campo, per cui � sempre aperto il dubbio che le evidenze
sperimentali raccolte non siano applicabili al di fuori di un ambito
altamente circoscritto. Si riporteranno qui le definizioni che hanno finora
incontrato il maggiore consenso, riassumendo il dibattito generatosi in
proposito.
Innanzitutto, si pu� tentare una distinzione di massima tra ergonomia
classica ed ergonomia cognitiva. Si tratta ovviamente di una distinzione
concettuale, dato che le problematiche affrontate dalle due discipline sono
spesso strettamente correlate. La prima si occupa delle interazioni uomo-
macchina-ambiente soprattutto sotto il profilo meccanico e fisico, e studia
il sistema fisico uomo-macchina, le soluzioni di interazione ottimale,
nonch�, sotto l'aspetto medico, la prevenzione, la diagnosi e la cura dei
disturbi legati a condizioni di lavoro e d'uso scorrette. La seconda studia le
interazioni uomo-macchina-ambiente in cui entrano in gioco fattori cognitivi
ed emotivi, legati ai processi di percezione, apprendimento,
memorizzazione, presa di decisione e soluzione di problemi.In termini molto
generali, dunque, l�ergonomia cognitiva riguarda la progettazione di
interfacce uomo-machina che tengano conto dei limiti cognitivi umani. Le
aree fondamentali sulle quali essa si concentra sono:
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• I processi percettivi di input ambientali (detezione del segnale,
classificazione e individuazione di percorso);
• L�elaborazione cognitiva centrale (processi decisionali, soluzione di
problemi, memoria);
• I processi percettivo -motori (es.: scrittura a tastiera).
Nel corso degli anni, si � assistito a un intenso proliferare di etichette
e denominazioni che si sono disputate tale ambito o parte di esso:
psicologia della progettazione, progettazione della conoscenza,
progettazione cognitiva, psicologia cognitiva applicata ai sistemi. In alcuni
casi, si sono usate queste espressioni come sostanziali sinonimi; in altri, si
sono proposte distinzioni pi� o meno convincenti.
Un tentativo di dare sistematicit� a queste molteplici proposte �
stato portato da Wickens (1992): egli ha individuato una distinzione
concettuale tra ergonomia (o psicologia dei fattori umani, come viene
chiamata la disciplina negli Stati Uniti) e psicologia della progettazione
(engineering psychology), attribuendo alla prima il compito di trovare
soluzioni a specifiche problematiche di design, e riservando alla seconda
l�individuazione di regole generali del pensiero umano, indipendentemente
dalla specifica situazione progettuale.
Long e Dowell (1996,1998), rilevano una distinzione di livello pi�
generale fra psicologia cognitiva ed ergonomia cognitiva. Si attribuisce alla
prima la statura di �scienza�, dedita alla comprensione del comportamento
umano e allo sviluppo di modelli e teorie che aiutino a spiegare e prevedere
risultati dell�azione umana in contesti empirici; alla seconda si assegna
invece il compito di applicare i modelli proposti dalla psicologia cognitiva a
specifici progetti e loro problematiche.
Al di l� della definizione che si intende privilegiare, sembra essere
avvertita una distinzione fra elaborazione di modelli teorici e loro
applicazione. Se questa separazione pu� essere comoda dal punto di vista
concettuale, non sembra per� rispondere alla realt� dei fatti. Scorrendo la
non lunga storia dell�ergonomia cognitiva, si pu� infatti notare che la
maggior parte del corpo teorico deriva da ricerche sul campo, spesso in
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ambiti altamente circoscritti: sicuramente gli strumenti di base sono stati
attinti dalla psicologia cognitiva, ma nuove regolarit� sono emerse dalla
rilevazione empirica. Un esempio, connesso all�oggetto questa tesi, pu�
essere costituito dalle linee-guida per la progettazione dei display proposte
da Wickens (1998): partendo da leggi percettive e cognitive assodate dalla
psicologia, si sono condotti studi in situazioni specifiche (autoveicoli,
sistemi di controllo, equipaggiamenti militari, ecc.), dai quali sono emerse
regolarit� riferite all�ambito specifico. Nel complesso, sembra poco
convincente una distinzione netta tra una �disciplina generale� e una
�disciplina applicativa�, quali che siano i nomi che vi si vogliono attribuire:
l�applicazione dei modelli cognitivi generali ha prodotto nuova teoria, per
quanto settoriale. Volendo comunque mantenere una distinzione
concettuale, si pu� parlare di �momenti� distinti, all�interno di un processo
sostanzialmente circolare.