5
PARTE PRIMA
Teorie e scenari della convergenza
6
1. Convergenza
Voci a distanza, il telefono; suoni e colori, il cinema e poi la televisione; numeri sul filo, internet. Di
convergenze nella storia delle comunicazioni ce ne sono state molte, alcune forse impreviste, altre,
come questa che stiamo vivendo, aspettate ed auspicate da tutti.
Ora tutto sembra poter diventare un mezzo di comunicazione unico: la televisione sul computer,
attraverso internet, internet sul telefonino e il telefono su internet.
Sembra quasi realtà, sembra poter accadere domani, tanti sono gli sforzi che si stanno facendo in
questa direzione, tanti sono i comunicati stampa delle varie aziende che annunciano novità eclatanti.
E in quanto a tecnologie non siamo poi così lontani dal vedere questi sconvolgimenti.
1.1. L’idea del Media Lab
La prima idea di convergenza nel campo delle tecnologie della comunicazione non è recente.
Siamo negli anni ’70, il computer è un marchingegno sconosciuto alle masse, internet collega pochi
centri universitari statunitensi, la posta elettronica è nata solo nel 1971, la televisione è il mass
media per eccellenza e Nicholas Negroponte
1
è un giovane professore. Insegna al Mit
(Massachusetts Institute of Technology) di Boston, ambiente dove da sempre si sviluppano le
avanguardie di pensiero tecnologico.
Al Mit c’è Jerome Wiesner come presidente. Wiesner ha fatto parte del Radiation Lab, il laboratorio
interno al Mit che si occupava, durante la seconda guerra mondiale, di studiare gli effetti delle
radiazioni; è stato consigliere nello staff presidenziale di Kennedy e dal 1971 è arrivato alla
direzione del Mit, dove è rimasto fino al 1980. La sua presidenza ha stimolato le ricerche sullo
sviluppo delle tecnologie e sulle questioni sociali e, grazie ai suoi sforzi, è stato istituito il
programma in Scienze, Tecnologie e Società.
1
Nicholas Negroponte ha studiato al MIT, specializzandosi nel nuovo campo del disegno computerizzato (CAD). E’
entrato come docente alla facoltà dell'istituto nel 1966 e, per diversi anni, ha suddiviso la sua attività di docenza tra il
MIT e le università di Yale, Michigan, e della California a Berkley. Nel 1968 ha fondato il gruppo Architecture
Machine Group al MIT, una combinazione di laboratorio e centro studi per l'approccio innovativo all'interfaccia uomo-
computer. Attualmente è consulente sia del governo che dell'industria privata, membro attivo di diversi consigli direttivi
e partner di un fondo di finanziamento dedicato alle nuove tecnologie per l'informazione e l'editoria, nonché
collaboratore fisso del mensile Wired.
7
Nicholas Negroponte conosce Wiesner nel 1976 al Mit, dove frequenta le personalità più influenti
del pensiero tecnologico e informatico di quegli anni, tra cui Marvin Minsky, uno dei padri
dell’intelligenza artificiale, Seymour Papert, studioso anche lui di intelligenza artificiale e allievo di
Jean Piaget, Muriel Cooper, esperto di computer grafica, Alan Kay, progettista di computer che
lavora all’Arpa (Agenzia per i progetti di ricerca avanzata) con Joseph Licklider
2
e allo Stanford
Research Institute con Engelbart
3
.
Tutte queste brillanti menti sono accomunate da un’unica visione del futuro, forse ispirata dallo
stesso Wiesner e dalla sua direzione, un’utopia tecnologica che ha come idea centrale la
convergenza, diretta conseguenza del maturare delle tecnologie digitali, in particolare di tre
dispositivi già esistenti e fino ad allora ben distinti tra loro: il telefono, il personal computer e la tv.
Negroponte all’epoca non aveva ancora fama e attendibilità; viaggiava per le università statunitensi
facendo conferenze e chiedendo finanziamenti per dare vita al suo laboratorio di ricerca, quello che
sarebbe poi diventato il Media Lab, il centro nato nel 1983 a cui Stewart Brand
4
ha dedicato un
libro definendolo “l’officina della comunicazione del futuro”
5
. Negroponte esponeva le sue idee,
cercava sponsor in grado di credere alle sue chiacchiere profetiche, osteggiato spesso anche dalla
severa comunità accademica nordamericana. Tra le idee che Negroponte presentava allora c’era
quella della metamorfosi dei mezzi di comunicazione. Era il 1979.
Poche persone intuirono cosa significasse realmente l’idea di convergenza, ma Negroponte spiegò
ugualmente il concetto, trattando i media come un unico oggetto in evoluzione, come se stesse
parlando di una metamorfosi collettiva, riguardante elementi diversi che si muovono insieme.
2
Joseph Licklider era uno studioso di psicoacustica; è scomparso nel 1990, prima di poter assistere al boom di Internet,
creatura cui dedicò gran parte della sua vita. Le sue innovative visioni sono raccolte in un saggio intitolato Man-
Computer Symbiosis (simbiosi uomo-computer), che ha avuto una grandissima influenza su tantissimi psicologi e
studiosi di informatica dell'epoca. Già ricercatore presso il Mit, partecipò attivamente alla messa a punto
dell'infrastruttura di Arpanet prima e di Internet subito dopo.
3
Douglas Engelbart è ricordato come uno dei padri fondatori dell'informatica moderna, nonché come l'inventore del
mouse. Si è laureato in Ingegneria Elettronica all’Università dell’Oregon nel 1948. Nel 1963 ha fondato il suo
laboratorio di ricerca, l’Augmentation Research Center, dove ha cominciato a sviluppare le tecnologie in grado di
aumentare l’intelligenza umana.
4
Stewart Brand è un esperto di nuove tecnologie e autore del libro “The Media Lab: inventing the future at the Mit”,
edito nel 1987, che racconta la storia e le intuizioni tecnologiche del famoso laboratorio.
5
Brand S., Media Lab: Il futuro della comunicazione, trad. it. di Saggini E., Baskerville, Bologna 1993 (The Media
Lab: inventing the future at MIT, 1987)
8
INDUSTRIA
DEL BROADCAST
INDUSTRIA
DELLA STAMPA E
DELL’EDITORIA
INDUSTRIA
DEL
COMPUTER
STATO DELLA CONVERGENZA - 2000
Per illustrare l’idea, nelle sue conferenze, Negroponte
disegnò tre cerchi sovrapposti, etichettati rispettivamente
come “industria del broadcast e delle immagini in
movimento”, che comprende la televisione, la radio, il
cinema e il teatro; “industria del computer”, la sfera cioè
emergente del sistema informazionale e “industria della
stampa e dell’editoria”, all’interno della quale è
contenuto tutto ciò che riguarda i media tradizionali e le
forme di comunicazione più legate al mondo della cultura
scolastica e accademica.
I settori già nel 1979, secondo Negroponte si erano avvicinati, ma solo in maniera marginale, per
alcuni aspetti legati essenzialmente alle avanguardie tecnologiche; ogni ambito, infatti, continuava a
mantenere la sua identità specifica. Nell’idea di Negroponte di convergenza futura le tre sfere, in
proiezione nel 2000, tendono a diventare una sola, che può essere trattata come un unico oggetto di
studio.
In quest’idea di convergenza informazione,
spettacolo, istruzione non sono più distinte, e non è
più possibile delimitare le competenze settoriali di
coloro che vi operano, né stabilire a quale categoria
delle tre appartiene un prodotto.
Negroponte e gli altri studiosi del Mit, sono stati i
primi dunque ad arrivare alla conclusione che la
convergenza avrebbe condotto a nuove forme di
comunicazione multimediale.
INDUSTRIA DEL
BROADCAST
INDUSTRIA
DELLA STAMPA E
DELL’EDITORIA
INDUSTRIA
DEL
COMPUTER
STATO DELLA CONVERGENZA - 1979
9
1.2. Opinioni divergenti
Il termine convergenza ha invece suscitato in altri paura e timori; per molto tempo è stata opinione
comune che la convergenza avrebbe condotto ad una riduzione delle forme di comunicazione.
Il fraintendimento deriva dal fatto che la convergenza è spesso intesa come fusione; una fusione
però, implica che due o più entità si muovano insieme per formare una singola entità integrata. La
convergenza invece è più simile all’incrociarsi di due, in questo caso tre percorsi, che si incontrano,
trasformando ciascuna entità in un unico soggetto convergente.
Chi teme la convergenza teme una riduzione, una semplificazione della specificità dei mezzi di
comunicazione, che non avverrà realmente. I media tradizionali continueranno infatti ad esistere in
futuro, a convivere con i nuovi media. La stessa situazione si è già verificata in periodi precedenti,
con attori differenti: con la nascita prima della radio, e poi della televisione si è temuta una dittatura
del nuovo media, uno schiacciamento della pluralità dell’informazione, ma in realtà forme di
comunicazioni differenti, e a volte contrastanti, hanno continuato a coesistere.
Gino Roncaglia
6
afferma di temere la convergenza della nostra cultura verso un mondo digitale,
perché questa trasformazione “non è determinata né dalla tecnologia né dalla teoria, ma è piuttosto
il frutto di una serie di scelte, e comporta essa stessa scelte”
7
. Nell’evoluzione delle tecnologie,
quindi, secondo Roncaglia, qualcosa andrebbe irrimediabilmente perso, vittima di scelte non
necessariamente tecnologiche o sociali, ma politiche ed economiche. La rivoluzione digitale dunque
potrebbe essere indirizzata verso direzioni difficilmente controllabili e umanamente o socialmente
scorrette.
Secondo Manuel Castells
8
invece, la convergenza di alcuni processi segna l’emergere di una nuova
cultura della comunicazione. In particolare i processi che il sociologo spagnolo individua come
caratteristiche proprie della convergenza attuale sono l’integrazione, la combinazione cioè di forme
artistiche e di tecnologia in forme di espressione ibride; l’interattività, l’abilità dell’utente di
manipolare i media con la propria esperienza e di contattare altri utenti; la nascita dei cosiddetti
ipermedia, che permettono di connettere diversi elementi di media separati in modo da collegarli
uno all’altro; l’immersione, cioè l’esperienza dell’utente in ambienti tridimensionali e infine la
creazione di nuove forme narrative, di creazioni artistiche e culturali non lineari che si sviluppano
dalle quattro tendenze precedenti.
6
Gino Roncaglia è ricercatore in filosofia presso l'Università della Tuscia di Viterbo. Si occupa di nuove tecnologie; ha
collaborato ai testi della trasmissione televisiva di Rai Educational Mediamente.
7
Ciotti F., Roncaglia G., Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media Editori Laterza, Bari 2000, pag 29.
8
Manuel Castells insegna all'Università di Berkeley, ed è uno dei più importanti studiosi a livello mondiale della società
dell’informazione. Laureato e dottorato alla Sorbona, ha iniziato nel 1967 la carriera di sociologo insegnando prima a
Nanterre e poi alla Ecole des Hautes Etudes di Parigi, dove ha lavorato in stretti rapporto con Alain Touraine. Fa parte
dell’Advisory Board sulle tecnologie dell’informazione del Segretariato generale delle Nazioni Unite.
10
1.3. Tecnologie “collegate”
A livello tecnico, la convergenza che stiamo vivendo, trova le sue radici nei primi esperimenti di
collegamento tra telecomunicazioni e informatica; nel 1937 Claude Shannon
9
, uno dei pionieri della
tecnologia dell’informazione, prima di entrare a far parte dei Laboratori Bell
10
, sostiene al Mit una
tesi che collega elettromeccanica e calcolo binario. Con i suoi studi riesce a dimostrare che si può
automatizzare ogni operazione matematica complessa per mezzo di circuiti a relè, come quelli usati
in telefonia, utilizzando i numeri binari e rispettando i principi dell’algebra di Boole
11
. Il relè infatti,
per sua natura, può essere acceso o spento, quindi il codice derivato dalla sua applicazione è
necessariamente composto da zero e uno.
Giunse alle stesse conclusioni e nello stesso anno George Stibitz
12
, che realizzò, sempre all’interno
dei Laboratori Bell, un primo calcolatore a relè secondo principi identici. Sempre Stibitz nel 1940
mise a punto un primo esperimento di “telecalcolo”: riuscì a collegare un terminale, attraverso la
linea telefonica, al suo computer, e interrogò il suo calcolatore dalla distanza di trecento chilometri.
Nacque proprio così la telecomunicazione informatica.
All’inizio degli anni cinquanta la rete americana Sage (Semi Automatic Ground Environment),
incaricata della rilevazione aerea e dei calcoli per le traiettorie d’intercettazione degli aerei nemici,
era già costituita da parecchi computer collegati attraverso linee telefoniche.
Ma altre tecnologie trovarono nuove applicazioni fondendosi l’una con l’altra: sempre alla Sage nel
1950 si collegò per la prima volta un computer ad un tubo catodico: l’immagine ripresa poteva per
la prima volta essere elaborata e modificata dal computer per le esigenze della difesa aerea
americana. Nel 1960 la General Motors avviò un sistema per la progettazione di prototipi di nuove
9
Claude Elwood Shannon è nato negli Stati Uniti nel 1916. Dopo gli studi all'università nel 1936 cominciò a preparare
la tesi di dottorato al MIT, sotto la guida del professore Vannevar Bush. Fu in quel periodo che Shannon cominciò a
pensare che la logica a due valori di Boole poteva rendere un computer molto di più che una macchina per addizioni.
Tutto lo sviluppo della teoria dell’informazione è strettamente legato ad un saggio di Shannon del 1948, in cui
dimostrava l’unità di tutti i media informativi. Shannon credeva fermamente nell’idea che l’informazione, una volta
divenuta digitale, poteva essere trasmessa in modo perfetto. E’ scomparso nel 2001.
10
I Laboratori Bell furono fondati nel 1925 (www.bell-labs.com) e svolsero le funzioni di laboratorio nazionale
soprattutto nel periodo in cui la società madre, AT&T, aveva il monopolio sulle telecomunicazioni. Ai Lab Bell furono
inventati il registratore stereo, il primo fax, i satelliti per telecomunicazioni.
11
L'algebra di Boole, detta anche algebra logica, segue le regole della logica con variabili “binarie” che possono cioè
assumere solo due valori. Poiché il funzionamento di tutti i moderni elaboratori è basato su elementi che possono
assumere solo due possibili stati, l'algebra di Boole costituisce il fondamento teorico e pratico di tali macchine.
I due possibili stati che possono assumere le variabili binarie sono tali che si escludono a vicenda: una variabile infatti,
può assumere il valore falso o il valore vero, cioè lo zero o l'uno.
12
George Robert Stibitz (1904 York - 1995 Hanover) è noto per aver inventato il sistema a “virgola mobile”: i
calcolatori non erano sufficientemente potenti per elaborare numeri troppo grandi, quindi questi venivano divisi per 10,
100, 1000. Al momento di fornire il risultato, il calcolatore rimoltiplicava il numero: questo sistema fu adottato su larga
scala a partire dal 1987.
11
autovetture e nello stesso anno al Mit Ivan Sutherland
13
mise a punto un software con le stesse
funzionalità. Tutti questi sistemi consentirono, per la prima volta, una visualizzazione grafica
interattiva, in cui l’utente aveva la possibilità di manipolare tutta o una parte dell’immagine.
Ma per la digitalizzazione vera e propria delle immagini bisogna aspettare il 1978, anno in cui si
incominciarono ad usare nuove tecnologie per la realizzazione di effetti speciali nelle sigle
televisive e nei videoclip.
1.4. Dall’analogico al digitale
Soltanto con il procedimento della digitalizzazione, riducendo sia parole che immagini e suoni ad
un unico formato, si possono rappresentare e gestire informazioni di diversi generi, utilizzando lo
stesso supporto.
Alla base del concetto di analogico, da sempre usato come metafora per le tecnologie, c’è l’idea di
somiglianza e di continuità: nella trasmissione analogica della voce attraverso il telefono, ad
esempio, le vibrazioni raccolte dal microfono della cornetta vengono convertite in variazioni di
potenziale elettrico che giungono dall’altra parte del filo, dove avviene il fenomeno inverso. Lo
stesso avviene per la radio, attraverso il microfono, e per la tv, attraverso le onde elettromagnetiche.
Nella trasmissione digitale invece, le informazioni sono veicolate in forma di bit, l’unità minima
della conversione digitale che può rappresentare, sulla base della codifica binaria, qualsiasi tipo di
informazione. Tutto si riduce quindi ad una lunga sfilza di 1 e 0, che non hanno nessun significato
per un essere analogico come l’uomo, ma che in realtà hanno grandi vantaggi dal punto di vista
tecnologico.
Per convertire in formato digitale, cioè binario, un’informazione di tipo virtuale si è stabilita una
tabella di corrispondenza tra caratteri e numeri binari, chiamata ”tabella di codifica dei caratteri”. I
numeri binari sono tutti espressi attraverso una notazione composta da otto cifre binarie, ovvero di 8
bit
14
, quindi ogni elemento della tabella è caratterizzato da una sequenza di otto 0 e 1.
Per digitalizzare un’immagine occorre sovrapporre all’immagine stessa una griglia formata da
minuscole cellette; ogni celletta rappresenta un pixel, un punto dell’immagine. Attribuendo un
13
Ivan Sutherland (Hastings 1938) ha lavorato allo sviluppo dei programmi per la computer grafica. Nella sua tesi di
laurea cerca il modo per semplificare lo scambio di informazioni tra esseri umani e computer. Nel 1964 è diventato
direttore dell’Ipto (Information Processing Techniques Office) all’Arpa, dove continua ad esplorare i modelli di
interazione uomo-macchina.
14
Per convenzione una parola composta da 8 bit è chiamata byte.
12
codice numerico binario ad ogni differente colore, e quindi ad ogni celletta si ha una mappa
numerica dell’immagine, che può essere letta e riprodotta da qualsiasi supporto digitale visuale. Per
i suoni il procedimento si basa sul concetto di “segmentazione”: il computer memorizza il valore
numerico dell'onda sonora a intervalli di tempo regolari. In un personal computer moderno la
digitalizzazione avviene 44.000 volte al secondo, quindi il calcolatore deve memorizzare 44.000
numeri per ogni singolo secondo di suono. Poiché ogni singola digitalizzazione occupa uno spazio
di due byte, questo significa che un secondo di musica, o parlato, ad alta fedeltà, finisce per
occupare 88.000 byte di memoria, ovvero 88 Kb. I calcolatori moderni possono ridurre la fedeltà di
un suono, dimezzando o riducendo ad un quarto il numero di campioni digitali per secondo.
1.5. Dall’era analogica all’era digitale
Nella storia dell’umanità i cambiamenti dovuti all’introduzione di nuove tecnologie sono sempre
stati causa di sconvolgimenti sociali.
La digitalizzazione dell’informazione ci ha condotto ad una situazione simile a quella dell’epoca di
Gutenberg o dell’introduzione dell’elettricità nelle città, con la differenza che la velocità del
cambiamento è ancora più accentuata. Con l’invenzione della stampa a caratteri mobili si è aperta
per la cultura occidentale una nuova fase di sviluppo: la cultura è diventata lentamente patrimonio
accessibile ad una percentuale di popolazione sempre maggiore, libera dalle costrizioni precedenti,
dalle gabbie della scrittura dei monaci amanuensi e pronta ad una circolazione incontrollata.
La libertà data dalle nuove tecnologie è la stessa libertà che ha sperimentato la città con
l’introduzione della luce elettrica: nuovi spazi si sono aperti, diventando vivibili e accessibili, e le
limitazioni date dal giorno e dalla notte, dalla luce e dal buio sono svanite.
La digitalizzazione dell’informazione ci mette di fronte a cambiamenti simili a quelli del passato:
libertà di essere raggiungibili in qualsiasi luogo, di poter avere a disposizione su un’unica
apparecchiatura tutto ciò che rappresenta la cultura umana, di poter accedere a qualsiasi notizia in
maniera indipendente.
Le reti telematiche sono diventate l’infrastruttura fondamentale della società avanzata; importanti
aspetti della vita economica, politica e culturale si basano sulle comunicazioni digitali; le aspettative
di crescita economica, e dunque di occupazione e di benessere collettivo per i prossimi anni sono
riposte nello sviluppo dell’industria delle telecomunicazioni e dell’informazione. Persino la
comunicazione individuale, i rapporti interpersonali, passano e passeranno sempre di più attraverso
le reti e tutto questo grazie ad una serie ordinata di 1 e di 0.
13
La trasformazione di contenuti analogici in contenuti digitali non è solo un processo meccanico o
economico, ma anche un’astrazione di significato, un passaggio da una visione concreta e reale ad
un mondo dove ciò che vediamo non è reale e tangibile.
Per Roger Fidler
15
il linguaggio digitale si è sviluppato per facilitare la comunicazione tra le
macchine e i loro componenti: solo attraverso un processo di traduzione mediata da calcoli
matematici è possibile usare il linguaggio digitale per la comunicazione con e tra uomini.
In questo senso la digitalizzazione dell’informazione è considerata da Pierre Lèvy
16
una
virtualizzazione, poiché la trasformazione di qualsiasi tipo di informazione in codice binario, non
permette l’accesso diretto alle persone, ma solo ai calcolatori e alle macchine preposte a tale
attività. Gli stessi supporti digitali, ad esempio, non hanno facoltà di visualizzare il loro contenuto
direttamente, hanno bisogno di dispositivi e di interfacce in grado di farlo per loro; la cultura in
formato digitale è dunque, secondo Lèvy, virtuale perché invisibile, inaccessibile agli esseri umani,
facilmente copiabile, trasferibile da un nodo all’altro della rete, indipendente da coordinate spazio-
temporali determinate. All’interno delle reti digitali in realtà l’informazione è fisicamente situata da
qualche parte, su un dato supporto, su un server, su un personal computer ma è anche virtualmente
presente in ogni punto della rete in cui viene richiesta. L’informazione digitale può essere definita
dunque virtuale, in quanto è inaccessibile agli esseri umani.
Nell’universo digitale continua un movimento di virtualizzazione iniziato tempo fa grazie a tecniche
più antiche, quali la scrittura, la registrazione del suono e dell’immagine, la radio, la televisione, il
telefono. Tutte queste forme di comunicazione hanno astratto la normale dinamica della
trasmissione d’informazioni da un emittente ad un destinatario, eliminando o sostituendo le due
entità, rendendole cioè virtuali. In quest’ottica le comunicazioni interpersonali primitive risultano
strettamente dirette, vincolate dallo spazio e dal tempo. Ma il mondo digitale, o come lo chiama
Lèvy il “cyberspazio”
17
, inizia solo con la nascita delle telecomunicazioni, e incoraggia uno stile di
rapporto indipendente dai luoghi geografici e dalla coincidenza dei tempi, uno stile che oggi è
completamente assimilato nel processo di modifica della società dell’informazione.
Per Negroponte in “Being Digital
18
” la vita digitale è come la differenza che esiste tra i bit,
piccolissimi uno e zero, privi di colore e di forma, che viaggiano alla velocità della luce, e gli atomi,
15
Roger Fidler è attualmente direttore dell’Institute for Cyber Informatica dell’Università della Colombia. E’
giornalista, designer, e si occupa dello sviluppo dei nuovi media fin dal 1979.
16
Pierre Lèvy è professore di filosofia; insegna presso il dipartimento Hypermedia dell’Università di Parigi VIII. E' uno
dei più brillanti "media philosopher" del momento.
17
Lèvy P., Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, trad. it. di Feroldi D., Feltrinelli, Milano 1999
(Cyberculture. Rapport au Conseil de l’Europe, 1997) p. 35
18
Negroponte N., Essere digitali, trad. it. di Filippazzi F. e Filippazzi G., Sperling Paperback, Milano 1999 (Being
Digital, 1995) p. 3
14
la minima parte di un elemento chimico, la differenza di quando si passa da un mondo materiale,
fatto di cose palpabili, consistenti, ad un mondo senza confini, globale e virtuale per definizione.
La riflessione sulla differenza tra reale e virtuale conduce Donald Norman
19
alla conclusione che
noi siamo “esseri analogici intrappolati in un mondo digitale”
20
. Secondo l’idea di Norman, infatti,
l’evoluzione tecnologica sta modificando tutto intorno a noi, e noi come esseri umani ci ritroviamo
impreparati di fronte a reazioni anomale rispetto alle nostre abitudini; siamo capaci di interagire
meglio con quei sistemi che fanno parte del mondo reale o risultano ad essi analoghi e ci troviamo
in difficoltà nel capire le astrazioni proprie del mondo digitale. Tutto ciò è conseguenza della
normale evoluzione umana: per migliaia di anni abbiamo imparato nel nostro “essere analogici” ad
estrarre il significato dalle cose nonostante disturbi ed errori; nel mondo digitale in cui invece ci
siamo catapultati, la rappresentazione è talmente arbitraria che un errore anche minimo (uno zero in
più o in meno) può innescare conseguenze inattese. Il problema di essere digitali risiede proprio nel
fatto che ciò implica un certo grado di schiavitù verso la massima precisione possibile, quella
tecnologica. Tutto questo è perfettamente appropriato per le macchine, ma non per l’ambiente di
lavoro umano ed i problemi maggiori nascono appunto quando si arriva all’interazione tra macchine
e persone.
Per questo motivo, afferma Norman, sarebbe necessaria una nuova evoluzione biologico-
tecnologica, anche se l’evoluzione biologica dell’uomo non riuscirà mai ad andare di pari passo con
quella tecnologica. L’unico adattamento possibile per l’uomo è quello sociologico, in grado di
portarci a considerare le nuove tecnologie come oggetti, reali e virtuali, utili per migliorare la nostra
vita, e per condividere le nostre conoscenze attraverso le tecnologie stesse.
Secondo Derrick De Kerckhove
21
“il computer più il telefono rappresentano l’intelligenza
collettiva”
22
, la condivisione della conoscenza e questa intelligenza collettiva cambia la natura dei
nostri processi mentali, e ci permette di dipendere maggiormente dalla nostra rete per prendere una
decisione, per creare assieme ad altri, per scoprire ogni genere di cose. I cambiamenti sono dovuti
semplicemente al fatto non solo una singola mente, ma molte menti divengono parte del network.
La specie umana dunque si adatta a vivere collettivamente nel mondo digitale.
19
Donald Norman è l’ex vicepresidente della Apple Computer. E’ docente di Scienze Cognitiva all’Università della
California, ed è un'autorità riconosciuta nell'attività di studio e di progetto sulle interfacce umane. Norman è laureato al
MIT ed ha un master presso l'Università della Pennsylvania in ingegneria elettrotecnica.
20
Norman D.A., Il computer invisibile. La tecnologia migliore è quella che non si vede, trad. it. di Parrella B., Apogeo,
Milano 2000 (The invisibile computer, 1998) p. 139
21
Derrick De Kerckhove è direttore del Programma McLuhan di cultura e tecnologia e professore del Dipartimento
francese all'Università di Toronto (Canada). Il Programma McLuhan, è indirizzato alla comprensione di come le
tecnologie influenzano e influenzeranno la società. De Kerckhove in questo contesto sta promuovendo una nuova forma
di espressione artistica, che unisce le arti, l'ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione.
22
Intervista del programma di Rai Educational Mediamente a Derrick De Kerckhove, in onda il 23 Giugno 1995. In
linea è disponibile all’indirizzo: http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/d/dekerckh.htm
15
2. La rivoluzione della tecnologia dell’informazione
La trasformazione dell’informazione dal formato analogico al formato digitale può essere inserita in
quella serie di circostanze che hanno dato vita alla “rivoluzione dell’information technology”.
Questa rivoluzione rappresenta un evento storico di straordinaria importanza poiché sta
determinando una logica di discontinuità nei fondamenti dell’economia, della società e della cultura
della nostra epoca. La peculiarità di questa rivoluzione non consiste, secondo Manuel Castells, nella
centralità della conoscenza e dell’informazione, ma nel potere della tecnologia stessa: le nuove
tecnologie non sono infatti “strumenti da applicare”, ma “processi da sviluppare”
23
; gli utenti
possono assumere il controllo della tecnologia e la mente umana riesce in questo modo a diventare,
per la prima volta, una forza produttiva diretta. La digitalizzazione risulta dunque in questo
contesto, un’amplificazione e un’estensione della mente umana.
Altra caratteristica di questa rivoluzione in divenire, è la sua diffusione globale in meno di due
decenni, con l’immediata applicazione delle tecnologie da essa generate, tecnologie che riescono
nel loro obiettivo principale, riuscire a collegare il mondo, trasformare il lontano in vicino.
2.1. La genesi della rivoluzione
Proprio come nella rivoluzione industriale, diversi fattori hanno contribuito allo scoppio di questa
rivoluzione tecnologica. Senza dubbio il centro attivo, il fulcro della rivoluzione, può essere
individuato negli Stati Uniti, in California e più precisamente nella Silicon Valley. Processi
evolutivi legati alla nascita delle tecnologie digitali si sono sviluppati e diffusi in tutto il mondo, ma
in nessun altro luogo si è riscontrata una concentrazione attiva e propositiva come quella che si è
avuta nella San Francisco Bay Area negli anni Settanta.
Lo sviluppo della rivoluzione tecnologica in questa zona viene attribuito da Castells alla “dinamica
autonomia di scoperta e diffusione scientifica”
24
, un’autonomia garantita da vari fattori sia
istituzionali, che economici e culturali, tutelata dall’assenza di particolari necessità prestabilite o da
obiettivi aziendali imposti. La rivoluzione è risultata dunque “tecnologicamente indotta piuttosto
che socialmente determinata”
25
come afferma Castells, perpetrata dalle tecnologie stesse e non
23
Castells M., La nascita della società in rete, trad. it. di Turchet L., Bocconi Editore, Milano 2002 (The rise of the
Network Society, 1996, 2000) p. 32
24
ibidem , p. 52
25
ibidem , p. 53
16
guidata da logiche industriali o governative.
La Silicon Valley è stata ed è ancora terreno fertile per la rivoluzione e negli anni Settanta c’erano
tutte le condizioni necessarie per sviluppare le tecnologie in grado di modificare il mondo, o la
visione che noi abbiamo di esso. Tra gli anni ’50 e gli anni ’60, negli Stati Uniti, era stato
soprattutto il settore militare a dare l’input per lo sviluppo tecnologico, ma ora altri fattori
concorrevano in questo sviluppo.
La presenza di centri universitari come Stanford, Berkeley e la University of California a San
Francisco, hanno creato un substrato scientifico ed accademico accogliente ed innovativo; non sono
mancati, nella zona, i finanziamenti di numerose venture capitalist, aziende che hanno
sovvenzionato i progressi tecnologici con i ricavati dell’industria elettronica, presente in maniera
massiccia nella zona, e che hanno sostenuto le ricerche con la speranza di commercializzare le
creazioni più innovative, senza per questo gestirle; la conseguente nascita di società di tecnologie
avanzate ha, infine, incoraggiato l’arrivo di esperti in tecnologie emergenti.
A metà degli anni Settanta la Silicon Valley aveva attirato migliaia di giovani menti brillanti
provenienti da tutto il mondo, era diventata incubatrice di società e di tecnologie, grazie soprattutto
alla mentalità coraggiosa di investitori pronti ad appoggiare le sperimentazioni e ha rappresentato la
base dei processi di ristrutturazione socio-economica degli anni Ottanta.
Il modello d’innovazione prodotto nella zona conta duplicati in altre parti degli Stati Uniti e del
mondo, ma la spinta innovatrice della Silicon Valley, ha continuato ad espandersi, non solo
tecnologicamente ma anche geograficamente. Se il successo di internet nell’ultimo decennio ha dato
nuova linfa vitale alle aziende leader del settore informatico (Cisco Systems, Oracle, Yahoo! etc.),
la vicinanza di Hollywood ha creato centinaia di imprese che si occupano di effetti speciali e di
grafica digitale. Proprio per questi motivi la San Francisco Bay Area è in grado, ancora oggi, di
rimanere un luogo all’avanguardia per quanto riguarda le tecnologie dell’informazione.
17
2.2. Rivoluzione e cambiamenti
La rivoluzione tecnologica sta decentralizzando, cambiando le concentrazioni culturali e aziendali,
ma anche la natura stessa dei mass media. Il fulcro della rivoluzione è sempre l’informazione ma
poiché le nuove tecnologie agiscono direttamente sull’informazione, vengono modificati gli stessi
media e con questi anche i comportamenti di milioni di persone.
I cambiamenti in corso sembrano spingere verso la nascita di un media unico, conseguenza della
rivoluzione digitale e della convergenza, il “multimedia” o “mixed media”, inteso come ogni media
nel quale due o più forme di comunicazione sono integrate, un media in cui l’informazione non è
limitata dalle caratteristiche proprie del mezzo, ma riesce ad attraversare ogni mediazione, ogni
confine imposto.
Il concetto non è nuovo, perché già Marshall McLuhan
26
aveva descritto l’incontro tra due media
come la nascita di un nuovo mezzo di informazione ibrido
27
. La peculiarità del multimedia è che
cattura all’interno della propria sfera, la maggior parte delle espressioni culturali, in tutta la loro
diversità. Il multimedia, secondo Castells
28
, è equivalente alla fine della separazione tra media
audiovisivi e media stampati, cultura popolare e cultura colta, divertimento e informazione,
istruzione e persuasione, e sembra trascendere da una tecnologia specifica per divenire
completamente indipendente e libero.
La convergenza in questo senso diventa rimediazione, intesa come combinazione di vecchi media
rimodellati e modificati, in particolare del telefono, della televisione e del computer, ognuno dei
quali rappresenta già da sé un ibrido di pratiche tecnologiche, economiche e sociali. Secondo David
Bolter
29
“all’interno della nostra cultura nessuna tecnologia sarà capace di eliminare le altre”
30
;
erroneamente a volte si pensa spesso alla convergenza come se comportasse una soluzione
tecnologica unica, ma in realtà, quando nuove tecnologie compaiono, cominciano a rimediare tutte
le altre, mixandole in quantità e modalità differenti. La rimediazione dunque moltiplica le
possibilità, prevede che ognuno possa lavorare, comunicare, comprare, cercare informazioni da
casa, o da qualsiasi altro luogo.
26
Marshall McLuhan (1911-1980) era un sociologo canadese. Dal 1944 al 1946, McLuhan ha insegnato all'Assumption
university nell'Ontario e, nei 30 anni successivi, al Saint Michael's College della Toronto University. E’ stato uno dei
più influenti critici della civiltà contemporanea. Con i suoi saggi ha rinnovato radicalmente lo studio dei mezzi di
comunicazione di massa. I suoi studi sono proseguiti dal suo discepolo Derrick De Kerckhove.
27
McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, trad. it. di Caprioli E., Net, Milano 2002 (Understanding Media, 1964) p.
66
28
Castells M., La nascita della società in rete, cit., p. 430
29
Jay David Bolter è professore di New Media presso la School of Literature, Communication and Culture del Georgia
Institute of Technology.
30
Bolter J.D., Grusin R., Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, trad. it. di Gennaro B.,
Guerini e Associati, Milano 2002 (Remediation. Undestanding new media, 1999) p. 259
18
Questo ibrido tecnologico oggi ritrova tutte le sue caratteristiche nel web, negli ipertesti
31
che sono
in grado di contenere diversi tipi di linguaggio e di comunicazione in unico media. La formazione
di una rete interattiva grazie agli ipertesti integra per la prima volta, nello stesso sistema, le modalità
scritte, orali e audiovisive della comunicazione umana.
Il termine ipertesto è stato coniato negli anni '60 da Ted Nelson
32
, anche se lo stesso Nelson sembra
ispirarsi ad un altro autore, Vannevar Bush
33
, che in epoca pre-elettronica, aveva già esplicitamente
teorizzato il funzionamento di un sistema ipertestuale. Bush infatti pensava ad uno strumento per
l’organizzazione del sapere umano in forme diverse da quelle tradizionali; nel suo progetto,
chiamato Memex, un microfilm memorizzava tutte le informazioni dell’utente, che poteva
facilmente ritrovarle attraverso dei trails, delle piste in grado di registrare e conservare i
collegamenti della mente umana. Le riflessioni progettuali di Bush, anche se rimaste puramente
teoriche hanno segnato una pietra miliare per l’evoluzione del concetto di ipertesto.
Ted Nelson coniò il termine hypertext ipotizzando un sistema software in grado di memorizzare i
percorsi, i dati e le note compiuti da ogni lettore, sistema che chiamò Xanadu
34
. L’ispirazione è data
sicuramente dagli studi di Bush, ma a livello tecnologico tra Memex e Xanadu c’è l’abisso del
passaggio dall’analogico al digitale. L’idea di Nelson era quella di realizzare un universo
informativo nel quale trovasse posto tutta la produzione culturale umana, in grado di collegare in
una rete milioni di utenti per condividere i propri documenti.
L’ipertesto, come lo intendiamo noi oggi, consiste in una serie di blocchi testuali, di immagini, di
suoni, collegati attraverso dei collegamenti (links) istituiti tra i blocchi stessi. Attraverso il computer
i rimandi avvengono in modo molto rapido e comodo; l'orientamento e la navigazione, sono
facilitati dal fatto che il percorso trasversale intrapreso può essere memorizzato per tornare a ritroso
sui propri passi o per essere richiamato successivamente.
31
Con la parola ipertesto di definisce un documento elettronico che dispone di funzioni per una consultazione non
sequenziale, ma guidata dal flusso logico del criterio di ricerca.
32
Ted Nelson teorizzò per primo gli ipertesti, da cui derivò anche l’idea di ipermedia e di Xanadu.
33
Vannevar Bush nel secondo dopoguerra ricopriva l'incarico di direttore dell'Office of Scientific Research and
Development degli Stati Uniti. Fu docente al Mit e presidente del Carnegie Institute di New York.
34
Ancora oggi in linea c’è traccia del progetto di Nelson. Il materiale è reperibile all’indirizzo: http://www.xanadu.net