funzione che esso svolge: per la prima volta un mass media tenta di collegare, tramite un
ideale raccordo comunicativo, un utopistico, per allora, legame artificiale tra loro i " due
Abruzzi ", la regione geograficamente e politicamente circoscritta e i moderni insediamenti
urbani formatisi oltre i confini nazionali, nell'ultimo secolo, soprattutto oltre oceano: le
cosiddette little italies; comunità atipiche che continuamente hanno bisogno del ricordo, della
testimonianza e dell'interesse dei loro corregionali rimasti in patria, ma soprattutto di
corrispondere in modo continuativo con il paese natio. Per poter meglio capire e analizzare
questo giornale - ponte dobbiamo inquadrare e incanalare il campo di indagine in due grandi
filoni di interesse, che poi ci aiuteranno a comprendere nel migliore dei modi questo nascente
tipo di giornalismo: il sorgere di una avanzata editoria abruzzese e l'annosa problematica
realtà dell'emigrazione transnazionale.
Nel primo capitolo, infatti, ci occuperemo di definire la realtà da analizzare, partendo dalla
vasta editoria che è nata e si è sviluppata nel corso del XIX e del XX secolo nella nostra
regione, la quale, attraverso esperienze diverse e più o meno fortunate, ha toccato tutti i campi
della sfera pubblica, dalla cronaca nera alle vicende politiche, dal costume agli aspetti
culturali della società. Parleremo di tutte quelle pubblicazioni che, in un modo o nell'altro,
hanno cercato di divulgare e comunicare la ricchezza delle comunità regionali, ormai già
delineate e stabilizzate, e la cultura popolare abruzzese, all'interno dei propri confini.
Passeremo in rassegna, quindi, la varietà dei tentativi raccolti attraverso copie originali delle
testate e documenti significativi di questo inaspettato fermento comunicativo. In secondo
luogo mostreremo i primi timidi esempi di editoria per emigranti, per mezzo di giornali che
tuttavia continuano ad esistere a tutt'oggi, ma che hanno avuto una sfera di influenza e
d'interesse molto contenuta e non hanno saputo ottimizzare tutte le risorse umane a
disposizione che avrebbero arricchito il ricambio delle idee e la persistenza dei prodotti
editoriali sul territorio.
Invece, nel secondo capitolo, analizzeremo, attraverso alcune ricerche, studi raccolti e dati
statistici, nazionali e regionali, la problematica dell'emigrazione in tutti i suoi aspetti.
Cercheremo di capire quali possano essere state le cause e le conseguenze, le motivazioni e le
aspettative che hanno spinto abitanti di zone relativamente ricche a cercare fortuna altrove,
restringendo il cuore dell'inchiesta progressivamente dalla situazione nazionale a quella
abruzzese. La realtà più recente dell'emigrazione abruzzese è maggiormente legata al lavoro,
inteso come autorealizzazione e progresso, e all'integrazione all'estero, interpretato come
conquista di uno status sociale di prestigio. Insomma, è entrato in gioco ultimamente il fattore
della competitività, si è assottigliato il sentimento collettivo del senso di colpa per aver
abbandonato la terra natia e lo struggimento della lontananza, invece, fortemente avvertiti
dagli emigranti di altre generazioni. Questi emigrati riconoscono di pensare e sognare,
oramai, nella lingua acquisita; d'altronde, si tratta di persone che hanno lasciato l'Abruzzo nel
momento in cui cominciava a frammentarsi l 'universo dei valori tradizionali, e se è vero che,
tramite la biografia di un singolo è possibile leggere la società
1
, potremmo definirli come la
fascia di confine, il trait d'union, tra la passata emigrazione abruzzese, totalmente orientata
verso il paese natio, e l'emigrante del futuro, che si proclama multiculturale ed è educato e
assai propenso alle diversità dei bagagli culturali e alla reciprocità delle esperienze. Ampio
spazio sarà riservato al problema dell'accettazione e dell'integrazione dello straniero in una
terra non sua, in una situazione di iniziale povertà, dove i pregiudizi spesso hanno confinato
gli stranieri in una latente ma assai pericolosa emarginazione. Infine ci cureremo di
evidenziare lo stringente bisogno di comunicazione e di resoconto della vita oltre oceano che i
lontani avvertivano e testimoniavano attraverso lettere e corrispondenze di vario genere,
quella continuità della vita abruzzese all'estero che cresceva tra problematiche legate alle
nuove generazioni e la conservazione della propria cultura d'origine dei primi emigranti.
Il centro dello studio effettuato sarà esplicitato nel terzo capitolo dove ci si soffermerà
sull'esperienza originale de "La Voce di Fossacesia", attraverso una dettagliata ricostruzione
storica dell'evoluzione nella grafica, nel linguaggio e nei contenuti. Si cercherà di mettere in
luce le peculiarità e l'originalità di tale giornale: l'intrecciarsi nella storia della pubblicazione
di eventi legati alla famiglia Marrone, che ha avuto nel corso dei decenni la direzione e ha
curato la distribuzione del periodico, delle gesta ciclistiche del corridore Alessandro Fantini,
causa primaria della nascita dei resoconti giornalistici che poi hanno assunto una forma più
ordinata e cristallizzata e hanno fatto da apripista per l'accettazione e l'affermazione della
rivista nella comunità abruzzese, senza tralasciare l'impatto sociale inaspettato che ha avuto
1
J. P. SARTRE, Critique de la raison dialectique, Tomo II, a cura di Arlette Elkaïm-Sartre, Gallimard,
1985
sulla vita politica e culturale frentana e su quella degli emigrati nelle Americhe da ormai oltre
cinquant'anni. Fermento che, tuttavia, è ancora in corso, seppure con motivazioni e periodicità
differenti, e che costituisce un altrettanto territorio di analisi per il moderno modo in cui le
terze e quarte generazioni si rapportano e interagiscono con la popolazione abruzzese e
frentana attuale.
In appendice verranno mostrati stralci di interviste a collaboratori del passato e del presente,
grazie alla cui pazienza e disponibilità è stato possibile ricostruire l'evolversi di questa
esperienza e le figure salienti della sua storia; racconti di vita e di lavoro grazie ai quali è stato
possibile ricostruire il ruolo che il target particolare di pubblico ha avuto ed ha, nella sua
interattività, nelle scelte contenutistiche dell'edizione.
Speriamo che questo lavoro possa servire da input per un nuovo interesse verso le realtà locali
tipiche di ogni regione e di ogni territorio, sovente a torto dimenticate. Per me è stata
un'ottima occasione per avvicinarmi alla mia terra in modo diverso e insolito e ho potuto
conoscere e capire quanto le tradizioni, anche le più semplici e umili, possano fare da sottile
linea di congiunzione tra epoche, generazioni e stili di vita completamente differenti.
Come, infatti, può essere riscontrato nelle cronaca del mio "Viaggio a Fossacesia", un breve
resoconto che ho voluto inserire all'inizio di questo studio, con l'obiettivo di radicalizzare
maggiormente la mia tesi nel tessuto connettivo in cui la storia del giornale raccontata si è
sviluppata ed evoluta.
Le culture umane, nella loro ricchezza e varietà, costituiscono un prezioso patrimonio di
esperienze e una potenziale fonte di novità per ogni popolo; l'importante è saper
continuamente corrispondere, con ogni forma e modalità, con chi ne sa più di noi o conosce
quel qualcosa che può illuminare e arricchire ogni pensiero. In questo caso, infatti, il medium
giornale ha suscitato un'occasione di allargamento culturale e di democratizzazione; ha
saputo, in altre parole, riconoscere e soddisfare pienamente il bisogno e la funzione sociale
che nella situazione reale si doveva adempiere.
Necessità ed esigenza che negli anni, soprattutto negli ultimi decenni, si è ingrandita e
ramificata, ha dovuto mutare e specializzare le proprie linee comunicative e di diffusione.
Insomma, sono resistiti solo quei giornali o quelle riviste che hanno saputo riconoscere le
occorrenze delle nuove generazioni, senza, però, dimenticare l'apporto inesauribile della
memoria e del ricordo. Basti pensare che nel periodo compreso tra il 1860 e il 1985 sarebbero
emigrate dall'Italia circa 29 milioni di persone e che oggi la popolazione di origine italiana nel
mondo sarebbe di circa 60 milioni di individui, parte dei quali, magari, ha solo sentito
pronunciare qualche parola italiana o abruzzese dai propri nonni. L'emigrazione è stata
sicuramente uno dei fenomeni sociali più complessi nella storia italiana. L'Italia è il solo tra i
Paesi industrializzati con un'emigrazione di massa che ha saputo passare dallo stato di povertà
delle strutture produttive italiane al processo di integrazione europea ed internazionale.
Questo è il mondo italiano. Un fenomeno globale che sta nascendo dall'aggregazione di
italiani di etnia, di sangue e di italiani oriundi, legati ai primi dalla memoria, di "colleghi",
cioè, e di alleati, che assumono sempre più frequentemente come riferimento l'elemento
connettivo rappresentato dall'insieme dei valori dell'italianità.
VIAGGIO A FOSSACESIA
DICEMBRE 2002
Mi sono sempre chiesto come abbiano fatto milioni di persone nel passato a trasformare di
colpo la propria vita, a lasciare tutto e tentare l'indefinito, a provare, a scommettere sui propri
progetti, a cambiare rotta e seguire altre orme; per me era un vero mistero; per me che, prima
di partire per i campeggi estivi o per i viaggi con gli amici, ero colto dal desiderio di mettermi
in gioco totalmente, di evadere dalla mia realtà, dalle mie abitudini e dai miei ritmi, ma al
contempo ero attanagliato dalla malinconia di lasciare i miei giochi, la mia famiglia, il mio
cagnolino fidato; per me che, prima di compiere scelte più impegnative e di prendere
decisioni importanti per la mia vita che avrebbero potuto allontanarmi per periodi di tempo
indefiniti, ero tentato molte volte di lasciar perdere tutto, di rimanere con le mie comodità e
con le mie sicurezze. Ma alla fine ero sempre vinto da quella forza misteriosa che ti spinge a
curiosare, a rischiare, a mettere in gioco tutte le tue conoscenze, le tue forze e la tua voglia di
vivere. Penso che ci sia stato anche questo desiderio che alla fine ha prevalso nell'animo di
tutti i nostri corregionali emigrati, salpati su quei bastimenti che vedi, ormai, solo nei film, su
quelle navi piene di persone, assiepate di corpi e intrise di dolore, ma consapevoli di poter
voltare pagina una volta per tutte! Certo, la spinta economica e materiale era forte: le
incertezze dovute all'insicurezza di un lavoro perduto o, peggio, mai avuto, la precarietà
dovuta a un continuo doversi arrangiare per sbarcare il lunario, senza la prospettiva, neanche
lontana, di un futuro sicuro per sè e per la propria famiglia, hanno, infine, vinto tutta quella
riluttanza originaria che aveva pervaso le singole decisioni per un avvenire sicuramente
migliore. Quando nei mesi passati mi sono avvicinato ad un altro mondo, ad una vera e
propria galassia inesplorata, è stato per me come immedesimarmi in quegli uomini, che,
magari, anche contro voglia e contro la volontà dei propri congiunti sono partiti, sì perché la
mascolinità ha caratterizzato il primo periodo dell'emigrazione, ovvero le "italiche braccia
forti" che potevano farsi valere ovunque; mi sono incuriosito e ho voluto soprattutto
conoscere le motivazioni, le speranze, le ritrosie, i dubbi anche e specialmente, quelli più
personali e più ordinari, che la nostra terra d'Abruzzo aveva infuso con il suo modo di
pensare e con i suoi rituali in quegli uomini alla ricerca di un qualcosa di più sicuro e
duraturo, ma difficile e arduo da conquistare.
Fig. 1 Il mare di Fossacesia
Sono partito anche io, in cerca di
qualcosa, alla volta di un territorio
sconosciuto, di gente mai vista, di
abitudini, pensavo, differenti dalle mie.
Lasciando il mio mare, la mia costa
pescarese, così calma e tranquilla,
soprattutto in primavera, mi sono
ritrovato in altre spiagge più frastagliate,
rocciose e irregolari (Fig. 1), quelle teatine e frentane, ma subito era come stessi nella mia
città, mi sono sentito a casa, respiravo la stessa atmosfera. Ho pensato e riflettuto sul perché
di quella sensazione, di quel senso di appagamento e di serenità: forse, anzi, sicuramente, è il
mare che collega noi abruzzesi, da qualsiasi città, paesino o provincia proveniamo e a
qualsivoglia classe sociale apparteniamo e tipo di istruzione abbiamo; è il mare che trasporta
la nostra tenacità e la nostra caparbietà nel raggiungere gli scopi prefissi; è lo stesso mare che
ha legato e lega ancora oggi gli emigrati con i loro congiunti, quella distesa blu che da
qualsiasi punto la guardi o da qualsiasi luogo la pensi o la immagini ha sempre lo stesso
colore, lo stesso sapore e quel vago senso di indefinito e di inesplorato. Ho riscoperto una
parte dell'Abruzzo che conoscevo poco, il sud della mia regione pieno di ambienti, di
paesaggi, di coste che emanano i sapori tradizionali, che fanno riscoprire l'identità locale:
come ad esempio lo squarcio caratteristico che offrono i pescatori che ancora hanno le loro
dimore, i caratteristici trabocchi, particolari piattaforme in legno utilizzate per la pesca,
costruite su specie di palafitte non del tutto sicure, ma che forse danno loro quella sicurezza
propria del ricordo e dell'attaccamento alle proprie origini. Quasi senza che me ne accorgessi,
forse per la dolcezza del panorama, mi sono ritrovato a costeggiare tutti quei pendii, i soli che
ormai mi dividevano dalla mia meta, la lussureggiante Val di Sangro piena di piante, di
querce secolari, di arbusti, e anche e soprattutto di timide pianticelle e di piccoli alberi,
seminati qua e là e curati dalla paziente amorevolezza dei contadini e dei braccianti che
ancora oggi costituiscono la forza della nostra regione. Ma allora è vero che siamo una terra
ricca di contadini, di lavoratori, di gente che suda per vivere, come ci raccontano le nostre
nonne. E sicuramente ne dobbiamo essere fieri! Insomma, mi sono trovato calato pienamente
e interamente in questa concretezza, per la prima volta sono andato a visitare la misteriosa
Fossacesia, paese visto finora solo in cartina, luogo in cui decenni fa alcuni miei coetanei
hanno progettato la loro vita e hanno cercato di realizzarsi. Luogo in cui un certo Francesco
Marrone ha fondato e diretto un giornale che anche oggi sopravvive. Ma che c'entra un
giornale così importante, come è divenuta "La Voce di Fossacesia", con l'anelito a vivere la
propria vita? Ero molto incuriosito da questo nesso e così è iniziata la mia ricerca: il cercare e
il trovare una risposta reale a questa mia domanda così semplice, ma al contempo, ho
scoperto, complessa di fattori. Spinto da questo mio bisogno naturale, che mi faceva sentire
più abruzzese di prima, vado a visitare la tipografia - redazione del giornale per sapere
qualche fondamentale notizia sulla direzione, sull'eventuale pubblico, sui vari giornalisti che
avrebbero potuto dare una mano a un lavoro inizialmente così arduo. Con mia grande sorpresa
non vedo una redazione con gente scalpitante, con redattori infuriati col direttore che magari
non ha accettato la pubblicazione di un vero o presunto scoop, al contrario scopro una
dimessa ma funzionale stanza dove il direttore con la sorella, con dei bambini che
scorrazzavano e giocavano, stavano portando a termine con tranquillità l'ultimo numero del
giornale, senza trascurare la telefonata alla zia che stava poco bene e che cercava conforto da
un familiare. Sì, la conduzione di questo giornale è a livello familiare. Quante sorprese! Chi
l'avrebbe mai detto? Come le antiche fattorie o drogherie che puntellavano i nostri paesi
cinquant'anni fa e che con la loro semplicità e genuinità assicuravano una vita tranquilla e
rassicurante. La freschezza e la naturalezza con cui veniva confezionato, davanti ai miei
occhi, il periodico è quello che mi ha colpito nei primi cinque minuti dell'incontro con questa
realtà a me estranea fino ad allora. Anche il colloquio con il direttore, non un giornalista
attempato, magari reso burbero dall'esperienza e dalla fretta di uscire in edicola, ma un
signore che sapeva ciò che stava facendo da anni e quali ricordi e speranze poteva trasmettere
e suscitare nei suoi lettori distanti centinaia, migliaia di chilometri; il giornale non viene
venduto nelle edicole, ma solo spedito in abbonamento a chi ne fa richiesta: un giornale per
pochi. Quella sicurezza che infondeva anche a me, raccontando le umili origini del giornale,
nato quasi per caso per seguire le gesta di un ciclista di Fossacesia, un tale Alessandro Fantini,
diventato un eroe nazionale, un beniamino in cui sperare, magari anche per dimenticare gli
strascichi dolorosi e gli anni difficili che seguirono il secondo conflitto mondiale. Certo quel
paesino quasi idilliaco che i vari giornalisti dei primi anni descrivevano sulle pagine del
giornale (Fig. 2), per tenere aggiornati i lontani sugli eventuali mutamenti, non esiste più, ora
Fossacesia è un paese dotato di ogni comodità e di tutti gli agi moderni, però si respira ancora
quell'aria di campagna, quel profumo di sani principi, che forse noi, gente di città, abbiamo
dimenticato troppo presto.
Fig. 2 Fossacesia nel 1930
INCONTRO I PROTAGONISTI
Torniamo al mio viaggio. Vado a trovare un giornalista che da anni collabora con il giornale,
un professore, mi hanno detto, che però sin dalla telefonata che con molta titubanza gli ho
fatto, mi ha rassicurato, quasi non fosse un professore cattedratico di storia o filosofia, ma di
vita. E così è stato. Entro nella sua casa ben arredata, senza sfarzi, ma con quel tocco di
signorilità che subito fa stimare chi si incontra. Timidamente, per rompere il ghiaccio, mi
presento, gli porgo qualche domanda, penso: "Chissà se mi risponderà? Mi sarà d'aiuto?", ma
non faccio in tempo a fantasticare, che ecco un fiume di parole in piena esplode davanti a me.
I suoi occhi e tutto il suo sguardo trasudavano la contentezza e la gioia di raccontare a
qualcuno quello che egli era stato, quello che gli era capitato, come era stato capace di
arrivare fin dove era seduto ora. Ora aveva trovato l'interlocutore giusto. Non facevano forse
così i nostri emigrati, in quelle lettere lunghe e accorate che spedivano o facevano recapitare
manualmente, dove persino una sola parola voleva esprimere molteplici significati, che però
venivano frenati e inficiati dalla spietatezza e dalla freddezza del mettere nero su bianco. Non
come oggi, dove un sentimento può essere pienamente espresso anche se ci si trova dall'altra
parte del mondo nella sua interezza, grazie alla moderna tecnologia. Gli scritti rimangono, è
vero, per parafrasare un antico detto latino, ma le parole anche se volano, questo lo aggiungo
io, sono più dense di affetto e di calore e arrivano dritte al cuore. Tutto quell'incalzare di
eventi e di aneddoti che le mie orecchie udivano per la prima volta mi hanno permesso di fare
un salto indietro, di entrare in un sogno, in uno spaccato di vita quotidiana, le parole che
sentivo si mescolavano alle immagini che evocavano nella mia mente. " C'era nei dintorni di
Fossa (così è chiamata da suoi abitanti) - racconta il prof. Policella - il frantoio dei fratelli
Marrone, dove veniva fatto e non prodotto - puntualizza - l'olio per tutti gli abitanti del
territorio circostante. Ogni anno bisognava prenotare con tempo la propria scorta per
l'inverno, e ogni anno era più difficile assicurarsi la propria quota, proprio per la genuinità e
la passione con cui questo frantoio era diretto. Un giorno, andai con mio padre, con il
furgoncino della Parrocchia a prendere l'olio e trovai proprio il signor Francesco che stava
leggendo una lettera di un amico emigrato (Fig. 3); siccome era un pò avanti negli anni e
sapeva che ormai io mi sapevo bene destreggiare nella lettura, grazie ai miei studi, (nel
dopoguerra il tasso di analfabetismo era ancora molto elevato) me la fece leggere. I suoi occhi
erano rossi per la commozione e per la gioia di sentire vicino quel suo amico". Leggendo la
missiva vennero loro in mente tante scene di parenti e di conoscenti costretti a partire,
bisognosi di un lavoro stabile e remunerativo, che però lasciavano dietro di sé una storia, una
famiglia, mille ricordi.
Fig. 3 Emigranti dell'Italia meridionale, che dopo il traghettamento, arrivano ad una
stazione canadese, 1950
Il signor Marrone non sapeva come poter
rispondere a quelle lettere, a decine di
lettere e di richieste di informazioni sulla
vita politica, sugli avvenimenti sociali, su
chi era morto o si era sposato, che
provenivano sempre più insistenti dai
compagni lontani. Egli, però, aveva un
sogno segreto, che aveva confidato a pochi, una sua utopica volontà: quella di intrecciare un
filo comunicativo ininterrotto tra i lontani e i vicini, una rete di corrispondenze, di fotografie,
di testimonianze, di cronache di vita quotidiana che però dovessero avere una certa regolarità.
Quale miglior modo che formalizzare il tutto su un foglio, un bollettino, un giornale come
quelli che la domenica si trovano in Parrocchia? E poi molti chiedevano anche di Fantini,
delle sue vittorie, delle medaglie conquistate. Poteva essere un valido spunto per iniziare le
pubblicazioni, visto l'attaccamento dei nostri paesani al ciclismo, e conquistare un pubblico
affezionato. E allora si provò questa nuova esperienza. Il signor Francesco aveva molte
conoscenze e subito, a titolo di amicizia, contattò alcuni suoi amici per tentare di iniziare una
collaborazione nella creazione di una "voce" nuova, di un dialogo aperto con tutti coloro che
erano interessati allo sviluppo e alle mutazioni di Fossacesia e dei paesi circostanti e che
andavano fieri di appartenere al popolo frentano. Stampare i primi numeri fu una vera e
propria odissea, un'impresa ogni volta che, con pochi soldi in tasca, si doveva andare nelle
tipografie di Chieti e Teramo per pubblicare alcuni fogli, alla ricerca di un prezzo alla nostra
portata. Comunque l'esperimento fu portato a termine. Dopo alcuni mesi un altro lampo di
genio del signor Francesco. A Torino si svolgeva una fiera campionaria concernente alcune
nuove macchine industriali. Egli si trovava lì in visita ad alcuni parenti emigrati nel Nord
Italia ricco e produttivo, aveva prontamente notato e gli era subito piaciuta una avveniristica,
per i tempi, macchina rotativa tedesca, che acquistò all'istante. Il suo utilizzo permise di
valorizzare la stampa e di renderla più tempestiva e meno dispendiosa (Fig. 4).
Fig. 4 Rotativa ad alta velocità del 1951
Mi risveglio da questo viaggio temporale nei luoghi e nelle immagini di una geniale
intuizione. Mi accorgo che è passata tutta la mattinata, devo togliere il disturbo. Dalla cucina
già escono gli odori tipici della buona cucina frentana. Di corsa rimetto a posto i miei appunti
e saluto cordialmente quel tale archivio storico umano che avevo di fronte. Ma il professor
Policella, ancora non sazio dei ricordi che mi aveva dispensato, mi mostra alcune foto: uomini
distinti in smoking insieme a donne con abiti lunghi da sera che danzano in una balera. In
lontananza si intravede la sagoma robusta di un noto sportivo dell'epoca. Mi domanda se lo
riconosco, ma io non riesco a immaginare chi poteva essere. Mi fa vedere un'altra foto in cui
egli era in ripreso in primo piano con Gino Bartali. "E' un'edizione del "Galà dell'Amicizia",
una festa che organizzavamo ogni estate al rientro di alcuni emigranti nella loro Fossa e in
cui invitavamo personaggi famosi di quegli anni; Alessandro (Fantini) era molto amico di
Bartali". Approfitto della quiete dell'ora di pranzo per girovagare indisturbato per il paese.
Squarci caratteristici del tempo che furono si alternano a moderne costruzioni, sempre però
nel rispetto del territorio. Contadini e donne di casa già ritornano nei campi per sbrigare il
loro lavoro quotidiano, unico mezzo di sostentamento, prima che il buio invernale prenda il
sopravvento. Quante belle emozioni, estemporanei tranquilli momenti che, anche se non ho
vissuto realmente, mi hanno fatto immedesimare in un'età in cui ognuno, con rischi e
vantaggi, segnava il proprio divenire. Ma il viaggio ancora non è finito. Preferisco non usare
la mia macchina, desidero, almeno per un giorno, andare a piedi, godermi i profumi e i colori
di questa fine d'autunno. Rimango veramente estasiato da questi ambienti quasi fuori dal
mondo. Mi dimentico quasi che nella mia agenda c'era un altro appuntamento. Devo andare a
Chieti, in Corso Marrucino, in pieno centro storico, dove c'è un ottico che ha la passione per il
giornalismo, fervente cattolico, che collabora da anni con la famiglia Marrone. Ogni istante di
più mi accorgo della straordinarietà e della genialità di questa "voce", ormai divenuta
ufficialmente mezzo di comunicazione assai importante per migliaia di abruzzesi sparsi in
ogni parte del mondo. Ripercorro a ritroso tutto il percorso, scegliendo di non passare per
l'autostrada che mi avrebbe fatto guadagnare tempo, ma al contempo perdere ricordi
indimenticabili di questa giornata. Arrivo al negozio "Ottica Moderna" del dottor Di Simone,
che amichevolmente mi accoglie nel suo negozio. A quest'ora ancora non c'è tanta gente in
giro e i suoi clienti non entrano nell'ottica. Può dedicarmi momenti preziosi. Smesso il
camice, mi introduce, su per una scala a chiocciola nel suo studio privato, dove mi mostra il
suo ultimo articolo: una lettera aperta legata al tema della memoria dimenticata e del difficile
trapasso delle tradizioni alle nuove generazioni. "La mia passione - mi confida - è quella di
tenere vive le tradizioni che hanno accompagnato nel corso dei decenni le genti d'Abruzzo.
Ho capito che solo attraverso il mantenimento di certi valori, fondamentali, ma troppo
spesso dimenticati, si possono formare le persone, così come è accaduto a me
personalmente". Ha una collezione di molte fotografie con persone con abiti d'epoca, scorci di
processioni guidate da araldi addobbati con caratteristici vestiti popolari, cartoline che
provengono dal Canada, ma anche vecchie lettere di familiari esuli nella parte settentrionale
della nostra Italia. Insomma, mi incoraggia, implicitamente ed esplicitamente, in questa mia
ricerca ardua e complessa ma, se svolta bene, ricca di soddisfazioni personali e di più ampio
respiro. Il recupero della memoria storica è, secondo le impressioni di questa giornata,
un'esigenza e un dovere urgente. Il mantenimento del ricordo e del monito per la mia
generazione non passa però solo ed esclusivamente attraverso le gesta dei grandi personaggi o
degli avvenimenti eccezionali. Studiare e capire una piccola realtà può fungere da cartina di
tornasole per accostarsi a problematiche più estese territorialmente, spazialmente e
concettualmente. Forte appare, ora, l'esigenza, per me, di ricostruire la storia della gente, dei
piccoli prodotti , in questo caso giornalistici, che hanno costellato la nostra terra, dei costumi
e delle abitudini che ancora oggi resistono e di quelle che sono scomparse da anni. Come
motivo di fondo ho pensato di scegliere la tematica dell'emigrazione che ha colpito l'Italia,
l'Abruzzo, le sue comunità locali, forse più duramente di altri paesi e località, in un periodo
particolarmente doloroso come il secondo dopoguerra. Forse una risposta degli uomini
dell'ultima parte del Novecento che poteva offrire una soluzione al problema millenario della
fame, con la speranza e il desiderio di una vita diversa in America. Quell'America idealizzata
come un Paradiso, come un mondo avulso da qualsiasi pericolo o difficoltà, scoperta grazie ad
un ultimo regalo di un passante che ho incontrato, tornando a piedi per il centro storico, avanti
con l'età, provato da una esistenza a volte irriguardosa, ma fiero nel suo camminare, nel suo
abbigliarsi di essere frentano, di appartenere a una generazione di emigranti, a cui
fortunatamente ho rivolto una domanda circa il significato personale, secondo la sua
esperienza, di questo fenomeno di allontanamento forzato per gran parte delle volte. Una
risposta emblematica e particolare, quasi serbata per lungo tempo nella memoria per farla
uscire al momento opportuno. Una poesia che bene può suggellare la cronaca di questo
viaggio:
"Parlà d'America miezz'a tempesta
eva chemmà parlesce de le fate
ca'nde pareva le vèire a jì diesta,
luntane dau paese addò sci nate"
1
.
1
V. MONACO, "Racconto conviviale", in Castagne pazze, Sulmona, 1977
Traduzione italiana: Parlare d'America in mezzo alla tempesta / era come parlasse delle fate, / quando sembrava
vederlo andare da quella parte, / lontano dal paese dove sei nato. Si tratta di un dialetto abruzzese - pugliese, con
influenze linguistiche dovute con molta probabilità alla transumanza dei pastori dall'Abruzzo verso la Puglia,
con permanenza di alcuni mesi tra settembre e maggio nei pascoli del Tavoliere. Tra i paesi individuati figurano
Pettorano sul Gizio (AQ) e Bovino (FG).