5
Tuttavia, è utile mettere in luce un dato fondamentale: un’analisi delle fonti
letterarie quale noi ci proponiamo non può prescindere dalla constatazione
preliminare che tali fonti, pur essendo molto eterogenee – da quelle a carattere più
propriamente geografico a quelle storiche, da quelle mitologiche a quelle
topografiche – e pur ponendosi a diversi livelli di conoscenza geografica, ci
forniscono tutta una serie di informazioni sulla cui base è oltremodo difficile tanto
ricostruire in maniera rigorosa il territorio, quanto chiarire la continuità o le
trasformazioni avvenute nella valorizzazione dei medesimi siti della Venetia ai fini
di un’economia palustre.
3
Si rende quindi il più delle volte necessaria la valutazione
sull’attendibilità delle notizie stesse fornite dalle fonti, ricercando la testimonianza
originaria e il significato storico attraverso la soggettività del racconto, spesso
condizionato dalle idee personali dello storico o da modelli ideologico-
propagandistici da lui recepiti.
Nessuno scrittore antico, eccetto Plinio il Vecchio e, in misura minore, Strabone
4
,
tratta in modo sistematico dell’angolo centro-orientale della Venetia che pure,
proprio in virtù della sua posizione, detenne una notevole influenza già a partire dalla
protostoria. Si trovano negli autori molteplici indicazioni sporadiche, talora
abbastanza precise, specie relativamente alla storia militare
5
, ma sovente
approssimative e incongruenti.
Partendo dai Greci, la conoscenza che essi avevano in età arcaica dei centri
affacciati sull’alto Adriatico, pur risalendo molto indietro nel tempo, era limitata per
lo più alla morfologia costiera: descrizioni di golfi, di foci di fiumi e di promontori,
identificazione di porti e distanze fra questi misurate in giorni di navigazione. Una
conoscenza, dunque, volta ad includere tutti quegli elementi che per l’organizzazione
sociale greca costituivano i punti fissi della comprensione del territorio e di una sua
eventuale rappresentazione. E, soprattutto, una conoscenza che rifletteva gli interessi
pratici da cui era scaturita, tanto da divenire più vaga e discontinua a mano a mano
è necessario avere chiari gli elementi della geomorfologia più direttamente legati alla storia
del popolamento, elementi che cambiano, ovviamente, a seconda della zona in cui ci si trova
ad operare.
3
VEDALDI IASBEZ 1994, pp. 46 sgg.
4
Plin. nat. 3, 126-132; Strab. 5, 1, 5-9 (C212-216).
5
Si veda il passo di Livio (10, 2) dove si narra la spedizione dello spartano Cleonimo ad
litora Uenetorum (302 a.C) - cfr. cap. I, nn. 44 sgg. -, per la cui analisi si rimanda in
particolare a BRACCESI 1990.
6
che ci si allontanava dalla zona litoranea e ci si addentrava nell’interno del territorio.
6
Alla limitatezza dell’informazione bisogna poi aggiungere il deplorevole naufragio di
moltissime opere greche e la frammentarietà di tante altre; dei geografi greci arcaici
infatti, tranne il periplo dello Pseudo-Scilace
7
, ci sono pervenuti solo frammenti, per
giunta in via indiretta cioè incorporati in opere più recenti.
Fermando qui il breve cenno alle fonti greche di età tardo arcaica, sulle quali ci
siamo in ogni caso soffermati solo per una parte limitata della nostra ricerca, merita
ora enucleare le diverse restrizioni cui si può andar soggetti nel delineare un
frammento di storia economica dell’antichità. La povertà e l’indeterminatezza delle
informazioni sono infatti aggravate anche dal limitato interesse verso l’economia
nutrito da gran parte delle fonti classiche, che non sembrano aver mai elaborato
precise formulazioni teoriche o procedure statistiche in merito.
8
Ciò vale ancor di più
per un tipo di economia ‘particolare’ quale può essere quella palustre: elemento
negativo e incerto, la palude ha infatti spesso assunto un ruolo marginale
nell’insieme del paesaggio antico, tanto che il giudizio storico e la valutazione
economica che le competono, nel quadro della geografia mediterranea, hanno più
volte contribuito a cancellarne la presenza dalla memoria collettiva. A prescindere
dal fatto che gravano ancor oggi i pregiudizi sull’immagine della palude, cioè l’idea
che essa sia un elemento malsano e improduttivo, molti testi antichi si prestano a
interpretazioni ambigue; è quindi all’ ‘archeologia del paesaggio’ (ossia lo studio
della geomorfologia) che viene demandato il difficile compito di ‘riportare in vita’ le
paludi di un tempo. Tuttavia la topografia storica si trova spesso costretta a compiere
un lavoro deduttivo, che si compone di esperienze tecniche e materiali, ma anche di
comparazioni ricavate da una conoscenza dipendente dall’esperienza attuale.
Si riscontra poi contraddizione fra l’uniformità delle fonti e la varietà del
paesaggio mediterraneo, in quanto aspetti assai diversi del territorio vengono descritti
con lemmi simili o uguali. Anche se ciò sta ad indicare una certa capacità di sintesi
6
VEDALDI IASBEZ 1994, pp. 46-47.
7
Sotto il nome di Scilace di Carianda ci è pervenuto un Periplo del Mediterraneo, che la
critica moderna individua come Pseudo-Scilace. Si tratta di un codice unico e lacunoso, il
Parisinus 443 suppl.; la datazione dell’opera è assai controversa, in quanto l’analisi interna
ha dimostrato che, accanto a parti arcaiche, si riconoscono elementi seriori. Sebbene la
descrizione del Ponto Eusino rispecchi una situazione del VI sec. a.C. ca., la maggior parte
degli studiosi a partire dal Müller 1855, pp. XXXIII-LI, sulla base di ulteriori prove interne,
concordano nel datare la redazione pervenutaci tra il 338 e il 335 a.C. Cfr. PERETTI 1979.
8
MUSTI 1987, pp. 6-7.
7
geografica, è innegabile che la povertà lessicale delle lingue classiche nei confronti
di ambienti quali la palude o il deserto sia indice di una “refrattarietà ad aprirsi a
nuove realtà, intuite come mondi lontani e favolosi in quanto ‘altri’”.
9
E tuttavia, per richiamare quanto sarà esposto nel capitolo I, è evidente come da
Eschilo a Strabone, da Virgilio a Livio, si riconosca un progredire delle conoscenze
storico-geografiche, fatto che trova la sua controparte nella ‘terminologia’ del mare
e in quella della ‘palude’: così, mentre Teopompo parlava di
, i
tragici e Apollonio, seppur nell’aura del mito, sembrano insistere maggiormente su
e , dunque sulla connotazione palustre o, per così dire, ‘umida’,
dell’ambiente veneto. Un osservatore privilegiato come Strabone, poi, si sofferma a
descrivere l’incredibile fenomeno della marea che, soltanto in questo lembo di
Adriatico, si distingue per la sua eccezionalità. Strabone, ‘osservatore esterno’, una
conoscenza, la sua, che potremmo definire ‘dal mare’: dallo storico di Amasea non si
discosta molto la posizione di un ‘osservatore interno’, il patavino Livio, la cui
conoscenza ‘dalla terraferma’ lo porta comunque a mettere in luce la spiccata
adriaticità del Venetorum angulus.
In ogni caso, se vogliamo ricostruire l’assetto e i problemi sottesi a sistemi
‘marginali’ come la palude, dobbiamo valutare le fonti classiche con una certa
cautela e, in certi casi, rileggerle attentamente. Le descrizioni letterarie, infatti,
rispondono frequentemente a stereotipi preconcetti, tanto che il ‘paesaggio
marginale’ può venire idealizzato secondo canoni di positività o di negatività.
Sarebbe quindi un’operazione impossibile studiarne l’evoluzione senza l’ausilio delle
fonti archeologiche, anche se la cultura materiale non può sempre aprirci spiragli sui
mutamenti antropologici dovuti alla trasformazione dei territori, almeno per quanto
riguarda il comprensorio che a noi interessa.
Come sottolinea Traina, definire la palude antica non consiste tanto nel
materializzarla, quanto nel darle una dimensione storica.
10
Le paludi, infatti, sebbene
9
TRAINA 1988, p. 44, si propone di tracciare una sintesi storico-geografica sul ruolo
assunto dalle aree paludose nel mondo antico, indicandone aspetti positivi e negativi,
nell’intenzione di sfatare alcuni miti e di inserire il ‘tema palude’ nel più complesso quadro
del paesaggio antico. Attraverso un confronto sistematico delle testimonianze letterarie, ne
consegue anche una nuova lettura storica delle bonifiche antiche, in grado di individuarne i
limiti e l’entità effettiva. In particolare, l’autore sembra voler dimostrare come la
documentazione scritta consenta il ripensamento di alcuni luoghi comuni, sia ‘primitivisti’
che ‘modernisti’, sull’economia rurale del mondo antico.
10
TRAINA 1988, p. 51.
8
la loro menzione nelle fonti sia assai rara, generica e suscettibile di diverse
interpretazioni, dovevano presentarsi con notevole frequenza nel paesaggio antico.
Ciò che maggiormente interessa dal punto di vista dell’analisi storica è precisare
quale spazio occupassero nella mentalità oltre che nella realtà antica; in altri termini,
cercare di capire non tanto quale aspetto assumesse la palude nel paesaggio, ma
quale significato assumesse e quali conseguenze implicasse dal punto di vista
economico.
A voler ora definire meglio l’arco temporale entro cui si inseriscono le fonti
censite, basti qui ricordare che come limite cronologico inferiore della ricerca
abbiamo considerato il 476 d.C., pur tenendo ben presente che le caratteristiche
fondamentali etnico-politiche del mondo romano e della tarda antichità sopravvissero
pressoché immutate ben oltre la caduta dell’impero romano d’Occidente. E, d’altra
parte, siamo stati spesso costretti a non rispettare questo limite, soprattutto al fine di
non tralasciare una qualche preziosa testimonianza antica, solo perché riportata da un
autore di età successiva al V secolo. In questa logica dunque è stato incluso tra le
fonti un autore tardo come Sidonio Apollinare, in quanto nelle sue Lettere,
pubblicate tra il 469 e il 482 d.C., ci offre una preziosa testimonianza sullo stato delle
paludi che circondano Ravenna. Allo stesso modo abbiamo utilizzato all’occorrenza
autori come Paolo Diacono o Cassiodoro che, pur ponendosi agli albori della
letteratura medioevale, attinsero a fonti più antiche. Sempre per la stessa ragione
abbiamo fatto uso anche dell’Itinerarium Antonini (212 d.C., però con interpolazioni
e vere aggiunte successive che riportano al IV secolo) e della Tabula Peutingeriana
(copia medievale del XII-XIII secolo da un’originale romano del IV secolo), le quali,
pur non rientrando nel novero delle fonti letterarie strictu sensu, sia l’uno che l’altra,
forniscono comunque elementi topografici e toponomastici utili per l’integrazione o
per il chiarimento di dati altrimenti generici forniti dagli autori.
11
Per quanto riguarda le testimonianze iconografiche relative al complesso mondo
del mare, poi, va precisato che alle rappresentazioni provenienti dal comprensorio
territoriale della decima regio maritima, abbiamo affiancato, al fine di sopperire ad
11
L’Itinerarium Antonini viene posto tra i cosiddetti itineraria adnotata (semplici elenchi di
tappe con menzione delle relative distanze), mentre la Tabula Peutingeriana rientra nella
classe degli itineraria picta (schematiche rappresentazioni cartografiche, le quali
all’immagine associano l’indicazione degli assi viari e delle distanze). Tale classificazione
era già nota, intorno al 400 d.C., a Vegezio (mil. 3, 6) . Per l’Itinerarium Antonini si rimanda
a UGGERI 1968, pp. 225-254 e, in particolare, a CALZOLARI 1996, pp. 367-517; sulla
Tabula Peutingeriana si veda soprattutto BOSIO 1983.
9
alcuni dati mancanti e in ragione di una presunta continuità tra modelli, alcuni
esempi di mosaici africani del periodo romano, data la notevole prevalenza in essi di
soggetti legati alla pesca e, in genere, al mare.
Infine, prima di concedere spazio alle argomentazioni centrali di questa tesi, un
ulteriore chiarimento in relazione al metodo seguito: in una ricerca come la nostra,
proprio per la particolarità del tema trattato, abbiamo voluto tenere in massima
considerazione il criterio di quella che è lecito definire ‘umiltà’ scientifica. Infatti,
anche affinando al sommo grado i sistemi d’analisi, si può, tuttavia, cadere benissimo
nell'errore di non comprendere fenomeni che ancor oggi sono semplici ed evidenti
per il contadino (§ II.1), il pescatore (§ II.2.5 e III.1,2), il salinaro (§ III.4). Perciò
abbiamo ritenuto sempre e comunque conveniente porre domande, chiedere
insistentemente spiegazioni, convinti che nella cultura popolare, stando alla prassi
della etno-antropologia, si celi un collettore di conoscenze, il più delle volte
inespresse e tuttavia gelosamente conservate, dunque sempre disponibili a colmare
alcuni ‘vuoti di sapere’.
Ciò è valso sia nello studio degli strumenti piscatori (§ III.2), sia nel tentativo di
interpretare correttamente le ricette del De re coquinaria (§ III.5), apparentemente
così estranee alle nostre logiche conviviali, tanto da riuscire difficili da realizzare ad
un cuoco moderno che non abbia la necessaria cultura archeologica, ma anche
altrettanto incomprensibili agli occhi di un archeologo che non si sia occupato con
passione ed a lungo di cucina.
12
12
SALZA PRINA RICOTTI 1983, p. 217.
10
I
INTERESSE STRATEGICO E POTENZIALE ECONOMICO
DELL’ARCO LAGUNARE ALTOADRIATICO
I.1 Da Eschilo a Paolo Diacono: un profilo territoriale della Venetia
Laddove si debba delineare l’evoluzione storica complessiva di un territorio,
nonché gli sviluppi economici legati ad esso, conoscere il rapporto tra unità
geomorfologiche e scelte insediamentali e possedere una ricostruzione accurata delle
modificazioni verificatesi all’interno della situazione fisiografica rappresenta un
momento fondamentale della ricerca. Ciò è soprattutto vero per quei settori, come la
pianura padana, dove più sensibili sono state le variazioni ambientali e per quei
periodi nei quali l’azione dell’uomo ha avuto maggior capacità di incidere sulla
realtà circostante. Come già accennato, delle condizioni idrogeologiche della Venetia
in età romana hanno trattato più o meno ampiamente, talora sulla base di conoscenze
indirette o derivate dalla cartografia del tempo, talora avvalendosi di ricognizioni
autoptiche, parecchi autori antichi, i quali riflettono situazioni cronologicamente
diverse, non sempre chiaramente distinguibili.
I.1.1 L’Adriatico come via d’acqua? Le direttrici del mito e della storia
Nell’introduzione al primo dei due volumi che compendiano la storia e
l’archeologia de Il Veneto nell’età romana, il Sartori opportunamente sottolinea,
citando Livio (5, 33, 10), che “ai tempi della grande espansione etrusca fra corso del
Po e catena delle Alpi il mondo veneto si configura come un’entità etnico-territoriale
gravitante sull’arco dell’Alto Adriatico”.
1
Lo storico patavino aveva infatti
affermato in modo esplicito che i Veneti sono quelli qui circumcolunt maris.
Sembrerebbe dunque emergere sin dal principio per l’angulus della futura decima
regio augustea una naturale vocazione marittima o meglio, per citare ancora il
1
SARTORI 1987, p. X.
11
Sartori, “una fisionomia ... peculiare, legata a un’area originariamente solo marittima
e via via allargatasi al retroterra immediato”.
2
D’altra parte, la caratterizzazione ‘adriatica’ della regione e dei Veneti stessi è una
sorta di ricorrente nelle fonti letterarie, a partire addirittura da Erodoto che
parla degli “Eneti” definendoli “quelli sull’Adriatico”.
3
Allungato in senso sub-meridiano, chiuso fra terre, al punto che qualcuno lo ha
assimilato a un mare interno, l’Adriatico è un mare che separa e unisce al tempo
stesso: unisce facilmente le sponde ma separa le terre che quelle sponde orlano. Tre,
quattro mondi si toccano sulle stesse acque: quello peninsulare italico, quello
balcanico che smargina verso est nelle continentalità euro-asiatiche, quello
mitteleuropeo, quello mediterraneo ionico-egeo che traspira attraverso la stretta
apertura adriatica a sud.
4
Del resto Teopompo, sebbene erroneamente, descrive
questo mare (
unito con un istmo al Ponto e ricco di isole molto
simili alle Cicladi; in tale errore Teopompo persevera, dal momento che vuole
dimostrare comunicanti i due mari in base al ritrovamento di ceramica chia e tasia
nella valle della Narenta
5
, e tuttavia è in grado di offrirci una preziosa testimonianza
sulle condizioni climatiche e abitative della Venetia et Histria :
“Dicono pure che il golfo Adriatico sia abitato da una moltitudine di circa un
milione e mezzo di barbari, i quali coltivano una terra fertile e produttiva, tanto che
il bestiame, si dice, dà parti gemellari. Il clima di questa regione è diverso da quello
del Ponto, anche se sono vicini; infatti non è nevoso né troppo freddo, ma
costantemente umido dappertutto. È però facile alle perturbazioni improvvise,
soprattutto d’estate, e allora si hanno fortunali, cadute di fulmini e i cosiddetti
tifoni. Nella parte più interna del golfo sono situate circa cinquanta città degli Eneti
che si dice siano venuti dalla Paflagonia, per insediarsi lungo l’Adriatico”.
6
Ora, al di là dell’aura mitica in cui sembra inserirsi tale descrizione, essa
comunque può comprovare il carattere ‘adriatico’ inerente al territorio veneto.
D’altra parte, l’Adriatico riproduce a scala ridotta tutti i tratti essenziali del
Mediterraneo: la limitatezza dello spazio marittimo, che rende amico il mare, ne fa
uno spazio domestico, ben conosciuto, ma al tempo stesso chiuso da terre che si
ergono subito in barriere montuose non facilmente valicabili, “come quinte di
2
SARTORI 1987, p. XI.
3
Hdt. 3, 9.
4
TURRI 1999
1
, p. 7.
5
Theopomp. FGrHist, 115 F 129 = ap. Strab. 7, 5, 9: “(Teopompo) riporta altre dicerie poco
credibili dal momento che si trova ceramica di Chio e Taso nella Narenta”. Si rimanda a
BRACCESI 1979, passim; per maggiori delucidazioni sul passo in questione ed un eventuale
confronto con Eschilo, cfr. CULASSO GASTALDI 1979, p. 31.
6
Theopomp. FGrHist 115 F 130 = Ps Scymn. 369-390.
12
palcoscenici diversi”
7
. È dunque un mare che si impone come bacino chiuso, e si
caratterizza per ‘la diversità’ ben difesa delle terre che vi si affacciano. E tuttavia,
proprio queste che sembrano qualità negative generate dalla natura si sono tradotte
storicamente in forze positive: è la diversità che, nell’incontro, infonde vita alla
storia e suscita un’inesausta tensione culturale, non necessariamente risoltasi in
scontro, ma spesso manifestatasi come occasione generatrice di nuovi spunti.
In quest’ottica si spiegano anche i vaghi ricordi di navigazioni interne attraverso
le grandi pianure continentali, che affiorano nella tradizione mitica antica e più in
particolare nel mito degli Argonauti, che fa di Giasone l’esploratore per eccellenza
delle vie fluviali dell’Europa. L’eroe, partendo dal mar Nero, avrebbe risalito il
Danubio, ridiscendendone poi il mitico corso istriano fino all’Adriatico; in seguito,
avrebbe percorso l’Eridano, valicando le Alpi per giungere infine al Mediterraneo
attraverso il Rodano.
8
Così Apollonio Rodio ci informa sul percorso della nave Argo,
una volta oltrepassato l’Adriatico:
!"
##$$$
9
Questi pochi versi ci offrono diversi spunti di riflessione, in primo luogo per il
problema dell’identificazione del fiume Eridano, e poi soprattutto per la menzione
della saga solare di Fetonte, il giovane imprudente che ottenne di guidare il carro del
padre (il Sole) e precipitò per la sua imperizia nella profonda palude ( ), posta
nei pressi del mitico fiume.
Il destino di Fetonte, figlio del Sole, colpito dal fulmine divino, e quello delle
sorelle, mutate dal dolore in pioppi piangenti ambra, trovavano verosimilmente nelle
7
TURRI 1999
1
, p. 7.
8
Ap. Rhod. 4, 627-28.
9
Ap. Rhod. 4, 595-600: “La nave era corsa lontano/ a vela: entrarono profondamente nel
corso del fiume Eridano,/ là dove un tempo Fetonte, colpito al cuore dal fulmine ardente,/ e
bruciato a metà, cadde dal carro del Sole/ nelle acque di questa profonda palude, ed essa
ancor oggi/ esala dalla ferita bruciante un tremendo vapore...” (Trad. it. di G. Paduano); si
rimanda al commento di LIVREA 1973 ad. loc. e a BRACCESI 1979, pp. 42-44, 114-116; si
veda anche COPPOLA 1991, p. 103.
13
Eliadi eschilee la loro prima compiuta realizzazione poetica.
10
Le Eliadi, l’elettro,
l’Eridano doveva conoscere Eschilo, e probabilmente anche le isole Elettridi, se
aderiamo a quanto riferisce Plinio, il quale colloca il poeta tra il numero dei
diligentiores che avrebbero conosciuto isole di tal nome nel mar Adriatico alla
confluenza del Po: primique ut arbitror Aeschylus, Philoxenus, Euripides, Nicander,
Satyrus... diligentiores eorum Electridas insulas in mari Hadriatico esse dixerunt, ad
quas delaberetur Pado.
11
Tuttavia è lo stesso Plinio a sottolineare come non esista
colà alcuna isola di tal nome, e tantomeno in posizione tale da poter accogliere
eventuali merci trasportate sul corso del fiume; ciò ha fatto ipotizzare, anche alla luce
di un decisivo passo pseudo-aristotelico
12
, la loro identificazione “nei banchi di
deposito alluvionale alla foce del Po”, come d’altra parte hanno confermato i
ritrovamenti a Fratta Polesine di ambra baltica (l’elettro del testo poetico) da
attribuire al Miceneo III C (ca. 1150-1050 a.C.).
13
Peraltro perdura, ancora in Plinio e
in testi a carattere descrittivo-geografico, una collocazione alternativa delle isole
Elettridi nell’Adriatico orientale in corrispondenza dell’arrivo di un’altra via
10
Le lacrime delle Eliadi sono l’origine dell’ambra già in Esiodo, fr. 311 MW. Per la
trattazione del mito in Eschilo cfr. CULASSO GASTALDI 1979, pp. 50-56. Il mito di
Fetonte viene ripreso anche da Euripide nella tragedia omonima, pervenutaci frammentaria, e
nel secondo stasimo dell’Ippolito (versi 732-742), con un palese riferimento all’Occidente; si
veda BURELLI 1979, pp. 91-167.
11
Plin. nat. 37, 31-32 : “hanno raccontato ciò per primi, credo, Eschilo, Filosseno, Euripide,
Nicandro, Satiro ... i più ‘precisi’ tra costoro hanno affermato che nel mare Adriatico vi sono
certe isole Elettridi presso le quali arriva l’ambra trasportata dal Po.”
12
Ps. Arist. mir. ausc. 81, 836 a-b: ... %&
$ ' & ! ! "
#$ %&'(
)*+,-.$%
)*/+,0)12
& &&'3)
4
5
% %+)6 7-) &
&
& 8
$( & 9 ):
* $ $ ' &;)
*<
+)
=
+>)
+
$ %! & ) ,
%
&
* )5
?)
- ' $'
8 .
@
)*
/& %*A
&?$5!$!9!/
;BC
D$
“... Vicino al fiume c’è anche, così sembra, una palude con acqua calda; di qui si alza un
odore grave e metifico, tanto che nessun animale vi si disseta e nessun uccello la sorvola,
perché cade e muore. La palude ha un perimetro di 200 stadi e un’ampiezza di circa 10. Gli
abitanti della regione narrano il mito di Fetonte che, colpito dal fulmine, cadde in questa
palude. Vi sono in essa molti pioppi da cui sgorga quella che viene chiamata ambra. Si dice
che questa sia simile alla gomma, diventi poi dura come pietra e, raccolta dagli indigeni,
venga trasportata fino in Grecia. Secondo una tradizione, Dedalo arrivò sino a queste isole e,
dopo averle occupate, innalzò in una di esse la propria statua, nell’altra la statua del figlio
Icaro” (Trad. liberamente ripresa da VANOTTI 1997).
13
Si rimanda a MASTROCINQUE 1991, passim; cfr. inoltre CULASSO GASTALDI 1979,
p. 52, n. 88.
14
commerciale dell’ambra.
14
La presenza dell’ambra, nella tradizione letteraria e nei
ritrovamenti archeologici di Fratta Polesine, testimonierebbe l’esistenza di antichi
mercati di quel prodotto, dove si sarebbero ricongiunte le doppie direttrici
commerciali provenienti dalle regioni nordiche e mediterranee, rispettivamente
interessate alla vendita e all’acquisto della preziosa merce.
Di fronte a questa complessa realtà storica è necessario qui caratterizzare
l’evidenza della testimonianza eschilea. Stando alla generica notizia pliniana, risulta
infatti indubbio il significato da attribuire al mito fetonteo: “Eschilo ci conserva il
ricordo, in pieno V secolo, di centri per il commercio dell’ambra sulle rive
dell’Eridano”.
15
Accanto a un sostanziale accordo tra gli studiosi sulla identificazione, già in
Eschilo, di questo fiume con il Po, persiste ancora la tesi di una configurazione
totalmente fantastica dell’Eridano, priva di precisi riscontri geografici perlomeno
sino ad Euripide, giacché presso Esiodo ed Erodoto esso assumerebbe i caratteri di
un grande fiume centro-europeo con corrente settentrionale e presso Eschilo l’aspetto
di un fiume che si colloca ‘tra realtà e favola’ ai confini orientali del mondo.
Peraltro già Ferecide identificava l’Eridano con il Po, così come Virgilio e Plinio
interpretavano come Po proprio l’Eridano dei tragici, che evidentemente doveva
assumere una collocazione e un andamento indiscutibili.
16
Infine in questo senso
testimoniano le Adrianái gynáikes del frammento eschileo 71 N
2
(=104 M), “donne
di Adria (che) avranno consuetudine di lamenti”; lo stesso Polibio d’altra parte
ricorda “coloro che abitano presso il Po” per l’abitudine di indossare vesti nere in
memoria di Fetonte.
17
Pertanto Eschilo, attraverso il mito fetonteo delle Eliadi
piangenti ambra lungo le rive dell’Eridano-Po, mito ripreso, in età alessandrina, da
Apollonio, non raccoglie solo la memoria di antichi commerci micenei attivamente
presenti nell’eccezionale nodo di comunicazioni terrestri e fluviali dell’area deltizia,
ma probabilmente testimonia una più attuale realtà, dove si impone l’elemento greco
e nel caso specifico attico. Nella comparsa delle relazioni con la valle del Po che, a
partire dal VI e in particolare nel V sec. a.C., videro impegnati il commercio etrusco
e ateniese nelle sedi consuete di Adria e Spina, dovette sicuramente spiccare l’ambra
come prodotto di lusso accanto a prodotti di più ordinaria importazione. In età
14
Plin. nat. 3, 151-152; cfr. Ps. Scyl. 21; Ps. Scymn. 369-74.
15
CULASSO GASTALDI 1979, p. 53.
16
Pherecyd. ap. Hyg. fab. 154 = FGrHist 3 F 74; Plin. nat. 37, 31 ; Verg. georg. 4, 271-280.
17
Polyb. 2, 16, 177.
15
classica, in sostanza, “la preziosa merce ritorna ad affluire per i primitivi canali
commerciali nelle favorevoli condizioni create dal nuovo e ricettivo mercato
padano”.
18
L’intero arco lagunare tra Ravenna e l’estremità nord-orientale, dunque, dovette
essere interessato da intensi traffici commerciali già in età protostorica: dal VI secolo
a.C., infatti, Adria e Spina furono fiorenti porti in grado di permettere gli scambi tra
la navigazione marittima, che rimontava l’Adriatico, e le diverse vie di navigazione
interna, che attraverso fiumi, lagune e canali convogliavano dall’arco alpino e
appenninico i prodotti dell’interno, collegando in tal modo gli interessi del
Mediterraneo con quelli dell’Europa centrale.
19
Tali percorsi, dunque, non furono
semplicemente legati agli interessi locali della fascia lagunare, ma investirono
relazioni e scambi di ben più ampio respiro. Tutti questi traffici più antichi, in ogni
caso, furono – a detta di G. Uggeri - accomunati a quelli più tardi da una
caratteristica costante, cioè “la capacità di dar vita volta a volta ad un emporio in
grado di polarizzare i più disparati interessi per il convergervi delle principali arterie
sia terrestri che marittime, un porto che detiene la supremazia sull’arco lagunare”.
20
Nella sfera leggendaria in cui si inseriscono le notizie delle fonti sinora esaminate,
rientra anche il viaggio di Diomede, il mitico esploratore dell’Adriatico, che –
procedendo a ritroso rispetto a Giasone – si era spinto fino al porto alle foci del
Timavo, dove, secondo quanto afferma Strabone, è attestato il suo culto:
“... Nel cuore del golfo Adriatico sorge anche un santuario dedicato a Diomede e
degno di essere ricordato, il Timavo. Vi sono annessi un porto, un ameno boschetto
e sette sorgenti, che alimentano un ruscello che si getta dopo un breve tratto in
18
CULASSO GASTALDI 1979, p. 56.
19
Dal ricordo dell’Etruria Padana, dalla sua grandezza e dal suo improvviso tracollo appare
particolarmente affascinato Plinio: l’Etruria, citra e transappenninica, costituisce per lui il
polo di riferimento ideale, e soprattutto di coesione spirituale, fra i popoli del nord e del
centro della penisola, tanto che in quest’ottica egli non si esime dall’‘etruschizzare’ genti
dell’Italia settentrionale, e addirittura dell’arco alpino. Le città dell’Etruria Padana sono da
lui ricordate con una sorta di nota di rimpianto, e sempre con viva memoria del passato
splendore: così Adria (nat. 3, 120 nobilis portus oppidi Tuscorum), e allo stesso modo
Mantova (nat. 3, 130 Tuscorum trans Padum sola reliqua). Si veda, a tal proposito,
BRACCESI 1982, pp. 79 sg. e DE MARINIS 1988, passim.
20
UGGERI 1978, p. 46. Vediamo succedersi, in età storica, Adria, Spina, Altino, Aquileia,
Ravenna, Comacchio, Venezia, quasi a significare, come sottolinea G. Uggeri, che sulla
laguna alto-adriatica non vi sia posto che per una Dominante, destinata tuttavia a mutare
faccia nel corso del tempo per il trasformarsi dell’apparato idrografico. Appare quasi ovvio
allora che, in ogni epoca della storia, possa assurgere a città dominante quel porto che
realizza una più efficiente convergenza di tutte le rotte marittime, fluviali e lagunari e che al
contempo riesce a sfruttare la sua posizione sicura, data dall’essere circondato da lagune.
16
mare, con un corso ampio e profondo. Polibio sostiene che tutte, tranne una, sono
di acqua marina e che perciò gli indigeni chiamano il sito “sorgente e madre del
mare”; Posidonio, invece, afferma che il Timavo è un fiume che, scendendo dai
monti, si inabissa in un burrone, scorre sotto terra per centotrenta stadi e riaffiora in
prossimità del mare”.
21
(Trad. it. di N. Biffi)
Il fatto che il santuario menzionato da Strabone non sia citato da nessun altro
autore in rapporto al Timavo, ci porta a supporre che il geografo di Amasea abbia
trasferito la notizia ‘di peso’ dalla sua fonte – in questo caso, molto verosimilmente
Polibio o Posidonio -, senza curarsi di verificare se, a distanza di circa un secolo e
mezzo, essa fosse ancora valida.
22
D’altra parte è lo stesso Strabone ad affermare,
poco dopo il passo citato, che ai fini di un rigoroso procedere storico “conviene
lasciare da parte le molte leggende o favole [come quella di Diomede o] come quella
di Fetonte e delle Eliadi trasformate in pioppi neri sulle rive dell’Eridano, che non
esiste in alcun luogo della terra, sebbene si dica che sia vicino al Po, e le galline
faraone che in esse vivrebbero, poiché nulla di tutto ciò esiste in questi luoghi”.
23
La sua esposizione è del resto conforme ai criteri che egli stesso premette alla sua
opera, e in cui si propone di “sorvolare sui dati di scarsa importanza e poco noti, per
lasciare spazio a quelli di maggior risonanza e spessore, nonché di valore pratico, di
facile memorizzazione, di sapore dilettevole” e paragona la sua fatica geografica alla
“costruzione di una statua che si sviluppa per grandi linee, ove si eccettui qualche
particolare che possa attirare l’attenzione dell’uomo amante del sapere e di quello
votato all’azione”.
24
D’altra parte Strabone accorda generalmente grande attenzione, oltre che ai dati di
ordine storico e mitologico, ad ogni genere di informazione riguardante le risorse
locali, l’economia, il commercio, le vie di comunicazione terrestre e quelle di
21
Strab. 5, 1, 8 (C 214): ... '&& 0
9
.
E*
%1 )
E
&) B
"&- $
2 F
E G
"
)
#3
$2
%#
5
)
B
4 4 $
22
VEDALDI IASBEZ 1994, p. 164. Sui legami tra il Timavo e l’eroe greco Diomede, si
veda inoltre MASTROCINQUE 1987, pp. 79-96, secondo il quale l’introduzione del culto e
del mito di Diomede in Italia, e in particolare presso il Timavo, andrebbe fatta risalire al
periodo che va dal VI al IV sec. a.C., in connessione cioè con la frequentazione dell’alto
Adriatico da parte dei mercanti ionici e di tutta la grecità dell’Asia Minore in genere. In
generale, su Diomede in Occidente cfr. anche BRACCESI 1991, pp. 89-102.
23
Strab. 5, 1, 9 (C 216).
24
PRONTERA 1983, p. 3, da cui è stata tratta la traduzione del passo straboniano.
17
navigazione fluviale e marittima, cioè quanto cercheremo di esaminare con il
procedere del nostro percorso di ricerca.
I.1.2 La decima regio maritima come polo risorgente dalle acque
Dopo aver per un momento accordato la nostra attenzione a notizie di sapore
leggendario, e comunque utili ai fini del nostro studio in quanto sembrano riflettere
condizioni ambientali caratteristiche del territorio da noi preso in esame, sarà infatti
ora nostro compito tentare di confrontarci con fonti maggiormente eloquenti in
relazione al ‘paesaggio’ della Venetia, a cominciare da Strabone stesso.
Due fondamentali elementi naturali, il Po e le Alpi, caratterizzano l’Italia
settentrionale straboniana: essi sono nei Geographika alla base della descrizione dei
popoli, rappresentando le coordinate principali nella distribuzione spaziale degli
. Assumono un peso quasi esclusivo rispettivamente per le popolazioni della
pianura descritte nel V libro e per quelle della montagna, descritte nel IV.
25
Caratteristica essenziale di questa sezione d’Italia è l’abbondanza di fiumi e
distese d’acqua, cui si aggiungono per la terra dei Veneti fenomeni marini che sono
per certi versi assimilabili a quelli di tipo oceanico:
“... Quasi soltanto qui, infatti, il nostro mare [scil. l’Adriatico] presenta gli stessi
fenomeni dell’Oceano, e sotto la loro azione la maggior parte della pianura si
riempie di laghi marini”.
26
25
TOZZI 1988, pp. 25-43 sottolinea come l’immagine del V libro, basata sull’assetto
geografico portante cui si accompagnano lente trasformazioni antropiche, derivata da
Polibio, sia essenzialmente statica; al contrario, l’immagine del IV libro, incentrata sulla
catena alpina, risulta prevalentemente dinamica “per l’attenzione focalizzata sul decisivo
variare delle situazioni generale e particolare nel volgere di breve tempo e rende idea,
almeno approssimativamente, dell’urgere di una nuova realtà” (ibid., p. 29).
26
Strab. 5, 1, 5 (C 212): ... ()
H I
! 5 ! #!
5
)$È interessante
confrontare il passo in questione con quanto apprendiamo da un autore tardo come Paolo
Diacono, hist. Lang. 1, 6: Nostrum quoque, id est Adriaticum, mare, quod licet minus,
similiter tamen Venetiarum Histriaeque litora pervadit, credibile est, parvos huismodi
occultosque habere meatus, quibus et recedentes aquae sorbeantur et rursum invasurae
litora revomantur.(“Anche il nostro mare, e cioè l’Adriatico, per quanto meno, tuttavia
invade le spiagge delle Venezie e dell’Istria, e si può credere che abbia dei piccoli gorghi
nascosti come questi, dai quali le acque ritirandosi sono assorbite e di nuovo vengono
rigettate a invadere le spiagge”).