6
Queste le vicende che fanno da sfondo: l’intensificarsi dell’utilizzo 
dello strumento rogatoriale tra le nostre autorità giudiziarie e quelle 
elvetiche ha indotto i due Paesi a redigere, nel 1998, un Accordo bilaterale 
finalizzato a definire ambiti e modalità della collaborazione, a 
completamento della ormai “datata” Convenzione europea di assistenza 
giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959. 
Da ciò ha preso avvio un percorso le cui tappe sono ben note: 
Accordo ratificato a tambur battente in Italia, con l’aggiunta di alcune 
disposizioni di carattere generale, per l’appunto con la già citata l. 
5.10.2001, n. 367. A fronte di ciò, le polemiche non hanno tardato a 
imperversare: da un lato, vi è chi ha sottolineato il valore garantista delle 
disposizioni della legge di ratifica che impongono il rispetto delle forme 
nell’acquisizione degli atti rogati; per altro verso, altri hanno ritenuto che 
questa legge si prefigga come scopo principale quello di “polverizzare” le 
prove raccolte all’estero dall’accusa, in ben noti processi milanesi. 
Il dibattito si è incentrato su alcune questioni interpretative che 
hanno dato luogo a pronunzie giurisprudenziali. Le esamineremo, non senza 
segnalare che i timori di quanti hanno additato la legge sulle rogatorie 
come eccessivamente garantista, sembrano trovare conferma anche in 
dichiarazioni del Consiglio Federale elvetico, il quale non ha ancora 
ratificato l’Accordo del 1998 poiché non condivide alcune norme della 
legge italiana di ratifica che, a suo dire, invece di snellire i procedimenti di 
assistenza giudiziaria potrebbero condurre ad una complicazione degli 
stessi; in particolare, gli svizzeri non accettano la scelta del nostro 
legislatore di richiedere la certificazione degli atti trasmessi in esecuzione 
delle domande di assistenza e che la trasmissione degli atti eseguiti 
avvenga attraverso canali ministeriali, a discapito del collegamento diretto 
tra autorità giudiziarie. Secondo Bernard Bertossa (procuratore generale di 
Ginevra) si tratta di «disposizioni politiche dirette a far cadere le indagini e 
i processi più delicati»; poi aggiunge che per i magistrati svizzeri in futuro 
«diventerà praticamente impossibile continuare a collaborare con l’Italia 
  7
nelle indagini sulla corruzione, sul riciclaggio dei patrimoni mafiosi e sulle 
organizzazioni che finanziano il terrorismo». 
Comunque sia, l’orizzonte del presente lavoro non vuole essere 
circoscritto all’indagine sui contenuti dell’Accordo fra Italia-Svizzera del 
1998 e della legge di ratifica allo stesso, pur d’estrema importanza. Anche 
per comprendere meglio le singole questioni è parso opportuno premettere 
un complessivo riesame della materia delle rogatorie internazionali, pure 
nei suoi assetti storico-dogmatici e nelle prospettive d’evoluzione futura.                         
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  9
CAPITOLO PRIMO  
LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE IN MATERIA 
PENALE  
 
SOMMARIO: 1.1. Trasformazioni complessive del diritto penale internazionale: dalla visione autarchica 
del codice Rocco alle attuali prospettive di uno “spazio giuridico europeo”. – 1.2. L’adattamento del 
diritto interno al diritto internazionale: principi costituzionali. – 1.3. Cenni storici sull’interazione fra 
norme di diritto internazionale ed il codice di rito: la prevalenza del principio di residualità. – 1.4. Alcune 
fonti di diritto penale internazionale: le principali convenzioni internazionali di assistenza giudiziaria in 
materia penale. – 1.5. La Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 
1959. – 1.6. Accordo tra Italia e Svizzera del 1998: significative integrazioni alla Convenzione europea 
del 1959. - 1.7. Le novità introdotte dalla Convenzione del 29 maggio 2000 relativa all’assistenza 
giudiziaria in materia penale tra Stati membri dell’Unione europea. 
 
 
1.1. Trasformazioni complessive del diritto penale internazionale: dalla visione         
autarchica del codice Rocco alle attuali prospettive di uno “spazio giuridico 
europeo” 
 
I principi fondamentali che, tradizionalmente, si ritengono regolare i 
rapporti fra gli Stati, sono quelli di indipendenza politica e di solidarietà 
giuridica. Da essi discendono come corollari il principio di sovranità e 
l’obbligazione morale, per alcuni giuridica, della mutua assistenza nella 
reintegrazione del diritto
1
.  
In passato, gli Stati, si sono più preoccupati di salvaguardare la 
propria indipendenza e i propri interessi politici, piuttosto che di cercare di 
allacciare intese con altri Paesi al fine di tutelare un diritto comune 
transnazionale
2
. In tempi più moderni, soprattutto a causa del moltiplicarsi 
dei rapporti commerciali fra Stati
3
, si è invece avvertito un crescente 
bisogno di una tutela giuridica internazionale
4
: il proliferare degli affari, 
                                                 
1
 A. CORDOVA, voce Rogatorie penali internazionali, in Il  Digesto Italiano, vol. XX, parte II, Torino, 
p. 1627. 
2
 A. CORDOVA, Rogatorie penali, cit., p.1628 
3
 Favoriti sicuramente dal miglioramento dei sistemi di comunicazione. 
4
 Le prime manifestazioni di diritto internazionale risalgono al diritto romano con riferimento allo jus 
civile. Nel Medioevo, gli Stati, in perpetua lotta fra loro, si sono interessati maggiormente della tutela dei 
propri interessi politici, ritenendo perciò sconveniente un diritto penale comune; a dimostrazione di ciò il 
mancato rinvenimento di accordi giuridici, aventi ad oggetto la repressione del crimine, risalenti a  tale 
  10 
dei rapporti giuridici e, di conseguenza delle liti ha già reso inevitabile 
l’estensione della cooperazione giudiziaria anche al campo penale. 
Sul terreno della collaborazione internazionale al fine della 
repressione dei crimini, l’assistenza giudiziaria internazionale (entr’aide 
judiciarie, rachtashilfe in strafsachen) costituisce certamente uno degli 
strumenti più importanti e si concretizza in quel complesso di attività 
dirette ad agevolare nei vari Paesi l’esercizio della funzione 
giurisdizionale. Essa investe i giudizi penali, civili, amministrativi e 
l’attività di cognizione oltre che quella d’esecuzione
5
. 
 Agli albori della cooperazione internazionale in materia penale e per 
molto tempo, i rapporti fra Stati si sono fondati sulla logica utilitaristica 
del “do ut des”, all’interno della quale il secondo termine del rapporto era 
rappresentato da una qualsivoglia utilità politica, episodica e non 
programmabile, derivante dalle convenienze del momento
6
. Questo sistema 
ha regolato i rapporti interstatuali fino al momento della conclusione dei 
primi accordi collettivi o bilaterali in materia di assistenza giudiziaria in 
campo penale, aventi ad oggetto l’istituto dell’estradizione, per essere 
infine superato nel ventesimo secolo
7
.  
E’ sotto gli occhi di tutti, infatti, la profonda trasformazione che 
negli ultimi decenni del novecento ha interessato il diritto penale 
internazionale, sempre più proiettato verso una giustizia europea. Appare 
lontana anni luce, oggi, quella visione autoritaria e autarchica del diritto 
                                                                                                                                               
periodo storico. In ambito civilistico, invece, con la clausola della reciprocità gli Stati convennero in 
mutui privilegi di natura civile e commerciale al fine di tutelare l’interesse dei propri sudditi fondatori di 
istituti commerciali  in territorio estero.    
5
 L’assistenza giudiziaria può essere diretta o indiretta. Si ha la prima quando gli organi giudicanti di due 
Stati si pongono a diretto contatto per impulso proprio o di altri organi statali, ad esempio in molti casi di 
comunicazione internazionale di atti giudiziari, nelle rogatorie e nell’estradizione; si ha assistenza 
giudiziaria indiretta, invece, quando il contatto avviene per impulso di parte, cioè per iniziativa dei privati 
interessati, ad es. nel riconoscimento degli effetti civili delle sentenze penali estere. La classificazione 
suddetta, tuttavia, non è assoluta perché molti procedimenti di assistenza internazionale possono essere 
attivati congiuntamente sia per impulso d’ufficio che di parte. Cfr. G. CANSACCHI, voce Assistenza 
giudiziaria internazionale, in Novissimo Digesto Italiano, vol. I, tomo II, Torino, p. 1408. 
6
 C. VALENTINI, L’acquisizione della prova, Padova, 1998, p. 5. 
7
 Le più antiche convenzioni di assistenza giudiziaria stipulate dall’Italia sono quelle con il Principato di 
Monaco del 26 marzo 1866, con la Spagna del 3 giugno 1868, il Guatemala del 25 agosto 1869, 
l’Honduras del 15 giugno 1869, la Francia del 12 maggio 1970. Tali convenzioni contenevano per lo più 
disposizioni generali e di principio, mentre aspetti procedurali quali le modalità di esecuzione di una 
richiesta di assistenza giudiziaria, invece, venivano disciplinati dal legislatore nazionale.    
  11 
penale internazionale che emergeva dal codice Rocco del 1930: questo 
corpo di leggi, infatti, in sintonia con l’ideologia dell’epoca, esprimeva la 
volontà del legislatore di trarre nella propria sfera di giurisdizione non solo 
i reati commessi sul territorio nazionale, ma anche quelli perpetrati 
all’estero (non rilevava il fatto che presentassero legami molto labili con 
l’ordinamento nazionale); ne emergeva, quindi, un modello di Stato non 
solo autoritario e autarchico, ma anche di stampo “ottocentesco”, in cui il 
rapporto fra gli Stati era visto come una relazione fra sovranità esclusive 
che reciprocamente non dovevano interferire fra loro. 
Come accennato il modello ottocentesco può dirsi oggi non più 
attuale e ciò per effetto di due ordini di fattori: il primo, per così dire, 
strutturale, il secondo di natura giuridico – istituzionale.  
Nei fattori di tipo strutturale rientra anzitutto la globalizzazione, che 
riguarda i mercati, i rapporti sociali in genere, i mezzi di comunicazione, i 
beni comuni come l’ambiente e le connessioni ad ogni livello, dai trasporti 
agli affari e quant’altro. In questo contesto “globale” si segnala l’emergere 
di forme di criminalità transnazionali o transfrontaliere. Alla libertà di 
circolazione di merci, servizi, capitali e persone si accompagna, infatti, la 
“libera circolazione del crimine” che si organizza sfruttando a proprio 
vantaggio le difficoltà di cooperazione e armonizzazione fra gli Stati, 
sviluppandosi in forme disparate: a livello finanziario, economico, 
terroristico, mafioso etc.
8
  
Nei fattori giuridico–istituzionali spicca l’evoluzione delle relazioni 
fra Stati rispetto al modello prospettato dal codice Rocco. Attualmente, i 
                                                 
8
 «In conseguenza all’abbattimento delle frontiere nazionali e delle barriere doganali, si sono verificate 
una crescente unificazione e un’altrettanto crescente interdipendenza delle economie e dei soggetti 
criminali. Gli interessi della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta e anche della sacra corona unita non 
sono rivolti solo verso i  Paesi europei, ma anche verso il Sud America, gli Stati Uniti, il Canada, il Nord 
Africa e il Medio oriente. La nascita dei cosiddetti paradisi fiscali è uno dei risultati più evidenti di questa 
propensione mafiosa a varcare i confini, ad allargare le prospettive operative e ad assumere una filosofia 
manageriale nella gestione di vere e proprie holding finanziarie. In questo scenario di “internazionalismo 
mafioso” si sono consolidate nuove e potenti consorterie quali le triadi cinesi, la yakuza  giapponese, i 
cartelli colombiani, cosa nostra americana, la mafia russa, la mafia turca. Il traffico di stupefacenti nei 
rapporti tra queste organizzazioni mafiose nel mondo assume un ruolo di primo piano». Ciò è quanto 
emerso dal “Rapporto sul fenomeno della criminalità organizzata” relativo al 1995, con il quale il 
Ministro degli interni aveva informato la Camera dei deputati anche di un importante capitolo intitolato: 
“Collegamenti e proiezioni internazionali”. Cfr. M. PISANI, Criminalità organizzata e cooperazione 
internazionale, in Riv. it. di  dir. proc. pen., 1998, p. 703 ss.  
  12 
rapporti fra gli Stati, soprattutto in Europa, sono non di separazione ma di 
apertura reciproca, con ricerca di punti in comune, di diritti comuni, di 
politiche e iniziative comuni che si fondino sulla reciproca fiducia; in 
questa linea evolutiva si muovono importanti organismi internazionali quali 
l’Onu, l’OLAF, il G8 e l’Ocse. Tale fides si concretizza con l’adesione a  
strumenti internazionali come la Convenzione europea dei diritti 
dell’uomo
9
, lo Statuto del Consiglio d’Europa, i patti internazionali sui 
diritti dell’uomo.      
Il legislatore costituente, con una certa lungimiranza, ha compreso 
tale evoluzione e le ha dato un fondamento negli artt. 10 e 11 della 
Costituzione. Tali norme, infatti, costituiscono la base di legittimazione 
della operatività diretta del diritto comunitario nell’ordinamento nazionale 
e della recezione del diritto internazionale, consuetudinario o meno, nel 
diritto interno. La collocazione dell’Italia nella società internazionale 
implica, infatti, l’esistenza di un complesso di regole giuridiche che 
vincolino lo Stato nei confronti di altri soggetti di diritto internazionale. 
L’articolo 11, collocato nei principi fondamentali, è molto importante 
perché consente una limitazione del principio di sovranità, purché sia 
finalizzata alla costituzione di un ordinamento che assicuri la pace e la 
giustizia fra le Nazioni. I motivi che giustificano questa disposizione sono 
gli stessi  che sono alla base del ripudio alla guerra enunciato nel medesimo 
articolo: affermare l’esigenza della cooperazione pacifica tra Stati ed in 
particolare istituire un assetto internazionale a carattere democratico.  
In questo contesto, caratterizzato dalla consapevolezza che non si può 
più combattere la criminalità transnazionale con quindici codici diversi (per 
fermarci all’UE), si può notare come la cooperazione giudiziaria 
internazionale in materia penale non sia più vista e vissuta in senso 
tradizionale, cioè come una forma di assistenza che gli Stati si scambiano 
per realizzare i fini della giustizia, ma si sia sviluppata l’idea che prestando 
l’assistenza richiesta in maniera adeguata allo scopo (cioè secondo 
modalità che consentano l’utilizzazione dell’atto richiesto nel procedimento 
                                                 
9
 Essa rappresenta la prima pietra dell’edificio europeo in campo penale. Cfr. Risoluzione del Parlamento 
europeo del 13 aprile 1999  “sulle procedure penali nel quadro dell’Unione”. 
  13 
dello Stato richiedente) si contribuisce ad erigere una diga che argini 
l’imperversare della criminalità. A riprova di quanto detto vi è la 
constatazione che i criminali (e i profitti delle loro attività criminose) sono 
soliti dirigersi non solo verso quei Paesi privi di appropriate misure di 
contrasto, ma anche verso gli Stati che non sono in grado di rispondere 
adeguatamente alle richieste di assistenza giudiziaria. Rispetto al passato, 
poi, oggi c’è una maggior mobilità di persone, cose e capitali e ciò ha 
senz’altro contribuito a rendere più frequente il ricorso alla cooperazione 
internazionale
10
.  
Se la necessità di una cooperazione più stretta ed efficace spinge verso 
il ricorso a nuove forme di assistenza, l’esigenza di evitare delle impunità, 
sovente causate da carenze legislative in punto di contrasto della 
criminalità e dalla  mancanza di strumenti effettivi e adeguati di 
cooperazione giudiziaria, ha dato impulso anche a processi di 
armonizzazione delle legislazioni dei vari Paesi, tanto che si inizia a 
parlare di politica criminale sopranazionale. Da un lato i vari Stati, nel 
recepire le convenzioni nelle varie materie (es. stupefacenti), 
automaticamente introducono procedimenti di armonizzazione fra i loro 
ordinamenti
11
. Per altro verso, un momento certamente significativo nel 
processo di armonizzazione è anche quello dell’Unione europea, che a sua 
volta interagisce con il sistema del Consiglio d’Europa e con il sistema 
comunitario in senso stretto. 
 Come noto l’Unione europea, ha infatti il fine di svilupparsi come 
spazio di sicurezza e libertà in cui la lotta alla criminalità costituisce un 
obbiettivo primario da perseguire attraverso gli strumenti del terzo 
                                                 
10
 Cfr. E. SEVAGGI, Noi e gli altri: appunti e divagazioni in tema di rapporti giurisdizionali con autorità 
straniere, in Cass. pen., 2001, p. 1385 ss. 
11
 Diversi settori  del diritto penale sono già stati armonizzati: corruzione, traffico di stupefacenti, traffico 
di esseri umani, lotta alla falsificazione dell’euro, riciclaggio, diritto ambientale. Nell’ambito della 
criminalità da tecnologia l’Unione europea è stata preceduta dal Consiglio d’Europa con la Convenzione   
“cyber crime” del 3 novembre 2001. Un altro strumento, oltre all’armonizzazione, utilizzato per 
raggiungere l’obbiettivo dello spazio giuridico europeo consiste nella cooperazione tra polizia giudiziaria. 
Questi due strumenti non sono né alternativi, né devono essere necessariamente utilizzati congiuntamente, 
ma presentano sicuramente momenti di interazione fra loro. Armonizzazione degli istituti sostanziali e 
potenziamento degli strumenti di cooperazione saranno più agevoli laddove coinvolgano Paesi con 
culture e ordinamenti vicini.  
  14 
pilastro
12
. Questa scelta risale al codice dell’Unione di Maastricht ed è stata 
rafforzata da interventi successivi,  diretti ad attuare un piano d’intervento 
in campo penale che coinvolga tutta l’Unione: si pensi al Trattato di 
Amsterdam (adottato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore in data 1 maggio 
1999)
13
 e alla successiva Convenzione di Tampere del 1999
14
, in cui si è 
mosso un significativo passo avanti per la creazione di uno spazio di 
giustizia europeo ponendo l’obbiettivo del «reciproco riconoscimento delle 
decisioni giudiziarie e delle sentenze».  
Come chiarito nel vertice di Tampere, alla base di uno spazio di 
giustizia comune vi è il riconoscimento, da parte degli Stati, dei rispettivi 
provvedimenti giudiziari senza mediazioni governative, verifiche di 
legittimità o altri particolari “filtri”
15
. La realizzazione del mandato di 
cattura europeo, il quale diverrà esecutivo dall’1 gennaio 2004, si inserisce 
proprio nel principio del mutuo riconoscimento appena visto. Questo 
istituto rappresenta dunque un ulteriore significativo progresso sul terreno 
della cooperazione giudiziaria e dello spazio di giustizia europeo, dato che 
consentirà ad ogni autorità giudiziaria di riconoscere ed eseguire 
                                                 
12
Il Trattato di Maastricht nel Titolo VI (il c.d. “terzo pilastro”) ha istituzionalizzato la cooperazione nei 
settori della giustizia e degli affari interni. Ciò è significativo se si pensa che sino ad allora la 
cooperazione era puramente intergovernativa, al di fuori dei trattati comunitari. Gli Stati membri 
dell’Unione hanno assunto l’impegno di cooperare tra loro nell’ambito circoscritto dalle materie elencate 
nell’articolo 1, ed in particolare nella lotta contro la tossicodipendenza e la frode internazionale nonché 
nei settori della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria penale. Questa prima base 
giuridica ha consentito di rilanciare il progetto di “spazio giudiziario europeo”, sino a quel momento 
affidato esclusivamente al ruolo creativo della Corte di giustizia. In tal senso E. ANODINA, 
Cooperazione-integrazione penale nell’UE, in Cass. pen., 2001, p. 2901.     
13
Il Trattato di Amsterdam, nell’art. 3, si prefigge come obbiettivo il raggiungimento di uno «spazio di 
libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la prevenzione…della criminalità e la lotta contro 
quest’ultima». Al fine di attuare le disposizioni del Trattato di Amsterdam concernenti lo spazio comune 
di “libertà, sicurezza e giustizia” è stata istituita la Rete Giudiziaria Europea con l’azione comune adottata 
il 29 giugno 1998 dal Consiglio dell’Unione europea. Essa, inoltre, si propone di migliorare la 
cooperazione internazionale penale per rendere più efficace la lotta contro la criminalità. E. SELVAGGI, 
La rete giudiziaria europea: uno strumento per migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale, 
in Doc. giust., 2000, c. 1123.  
14
 Nel Vertice europeo di Tampere per la prima volta una sessione speciale del Consiglio europeo si è 
riunita per discutere unicamente di temi legati alla giustizia ed agli affari interni. Al centro del dibattito le 
problematiche dell’asilo e dell’immigrazione, della lotta alla criminalità organizzata e della realizzazione 
di uno spazio giudiziario europeo. Nelle Conclusioni della Presidenza si legge, tra l’altro: «Il Consiglio 
europeo è determinato a fare dell’Unione uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia utilizzando appieno le 
possibilità offerte dal Trattato di Amsterdam. Il Consiglio europeo riafferma l’importanza di questo 
obiettivo con un messaggio politico forte e ha raggiunto un accordo su un certo numero di orientamenti e 
priorità politiche che faranno rapidamente di questo spazio una realtà». Le conclusioni del Consiglio 
europeo di Tampere sono pubblicate in Cass. pen., 2000, p. 302 ss.  
15
 G. LATTANZI, La nuova dimensione della cooperazione giudiziaria, in Doc. giust.,  2000, c. 1041. 
  15 
automaticamente, con controlli minimi, richieste di estradizione formulate 
dalle autorità giudiziarie di altri Stati membri
16
. 
Un ulteriore sforzo nella direzione indicata è rappresentato, infine, dal 
Corpus iuris, un testo redatto da professori universitari appartenenti a 
culture giuridiche diverse, contenente disposizioni di diritto penale 
sostanziale e processuale (specie per quanto riguarda la prova)
17
.   
Oggi, dunque, si procede verso la creazione di un ordinamento 
sovranazionale che non costituisca solo un impegno convenzionale esterno, 
ma sia il simbolo della scelta degli Stati di far parte di un’Unione europea 
che a sua volta si è trasformata, finendo con l’assumere la giustizia penale 
tra i suoi pilastri fondamentali. Lo spazio giudiziario europeo
18
, invero, è 
quello spazio in cui si costruisce la libertà, la sicurezza, la giustizia del 
cittadino ed è importante tanto quanto e forse più dello spazio di 
circolazione di capitali, servizi, persone all’interno dell’Unione europea 
conquistata a partire dall’anno 1957. 
E’ opportuno evidenziare, infine, come l’assistenza giudiziaria 
internazionale in tema di repressione delle forme di criminalità 
transnazionali, in particolare negli ultimi anni, abbia assunto una fortissima 
accelerazione, arrivando a predisporre strumenti sempre più efficaci in 
tema di integrazione tra i vari sistemi giudiziari; poi, dopo i tragici fatti 
dell’11 settembre 2001 a New York, la necessità di individuare e colpire le 
basi del terrorismo internazionale ha dato un nuovo slancio ai processi di 
semplificazione delle procedure di assistenza giudiziaria.        
 
 
                                                 
16
 Il mandato, che riguarderà non solo chi è già stato giudicato ma anche i latitanti, potrà essere emesso 
per infrazioni che, nello Stato di emissione, siano passibili di una pena di almeno tre anni; si è anche 
stabilita una lista non esaustiva di 32 imputazioni possibili, tra le quali si rammentano: terrorismo, 
cybercriminalità, frode, riciclaggio, corruzione, tratta di esseri umani, omicidio volontario, razzismo, e 
così via. 
17
 Cfr. G. GRASSO, Prospettive di un diritto penale europeo, Milano, 1998.  
18
 Esiste una discrepanza rilevante fra la prospettiva di un’Europa come “spazio comune di libertà, 
sicurezza e giustizia” e la realtà attuale della cooperazione giudiziaria spesso lenta, complicata e aleatoria. 
Le cause di questa situazione sono diverse e vanno dalla scarsa propensione degli Stati  a cessioni di 
sovranità nel settore della giustizia penale, ai limiti degli strumenti internazionali, alcuni inadeguati alle 
nuove emergenze criminali così come alle esigenze quotidiane di certezza e legalità nei rapporti tra i 
privati . Vedi S. MOGINI, I magistrati di collegamento, in Doc. giust., 2000, c. 1136. 
  16 
1.2   L’adattamento del diritto interno al diritto internazionale:      
 principi costituzionali 
 
Nella Costituzione del 1948, a differenza dello Statuto Albertino, si 
evidenzia una maggiore apertura nei confronti della comunità 
internazionale
19
. Un’attenta analisi del testo costituzionale vigente 
evidenzia, infatti, la consapevolezza dei costituenti che lo Stato è calato 
nella realtà internazionale: in tal senso depone la presenza di ben tredici 
precetti internazionalistici
20
. 
La collocazione dell’Italia nella società internazionale implica 
l’esistenza di un complesso di regole giuridiche che vincolano lo Stato nei 
confronti degli altri soggetti di diritto internazionale. Molte di queste 
regole si sono formate con la partecipazione di organi del nostro Stato, 
come le norme che trovano origine in trattati, per la conclusione dei quali 
in molti casi concorrono le volontà di Parlamento e Presidente della 
Repubblica (artt. 80 e 87 Cost.). Per le norme consuetudinarie, invece, il 
consenso dello Stato italiano non costituisce una condizione necessaria 
affinché la norma operi nei suoi confronti, semmai influisce sull’effettività 
del dispositivo di diritto internazionale generale. 
   L’introduzione delle norme internazionali nell’ordinamento statale 
e il loro coordinamento con le norme di origine nazionale costituisce quel 
fenomeno giuridico tecnicamente definito “adattamento del diritto interno 
al diritto internazionale”. La Costituzione Repubblicana prevede 
espressamente l’adattamento automatico al diritto internazionale generale
21
 
                                                 
19
 Lo Statuto Albertino si limitava a stabilire quali organi interni potessero dichiarare guerra e stipulare 
trattati internazionali. La Costituzione del 1948, invece, oltre a regolare più dettagliatamente quelle 
materie, stabilisce che  «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale 
generalmente riconosciute» (art. 10, comma 1), fissa le direttive da seguire in materia di politica estera 
(art. 11 e 35 comma 2) e detta i principi essenziali  inerenti il trattamento dello straniero (art. 10, commi 2 
e 4) in linea con quanto affermato dalle più importanti convenzioni internazionali in materia di tutela dei 
diritti dell’uomo.   
20
 Cfr. gli articoli 10 (commi 1 e 4); l’art. 2, scindibile in due distinte proposizioni; l’art. 26; l’art. 35 
(commi 3 e 4); l’art. 72 (comma 4); l’art. 75 (comma 2); l’art. 78; l’art. 80; l’art. 87 (commi 8 e 9). Cfr. A. 
CASSESE, Lo Stato e la comunità internazionale, in  AA. VV., Commentario della costituzione, a cura di 
G. Branca, Bologna, 1975, p. 461 ss.  
21
 Il diritto internazionale generale, di formazione consuetudinaria, è riconosciuto a tutti i membri della 
comunità internazionale. La consuetudine, che possiamo considerare fonte di primo grado 
nell’ordinamento internazionale, è costituita da un comportamento costante ed uniforme tenuto dagli 
  17 
nell’art. 10 (comma 1), laddove si stabilisce che l’ordinamento giuridico 
italiano debba conformarsi alle norme del diritto internazionale 
generalmente riconosciute
22
. Esiste tuttavia un limite all’adattamento 
automatico che è costituito dai valori fondamentali che ispirano la nostra 
Costituzione
23
.  
Il problema delle categorie di norme internazionali in relazione alle 
quali occorreva predisporre l’adattamento automatico fu affrontato nella 
commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato nominata 
dal Ministro per la costituente. Nei lavori preparatori della commissione 
                                                                                                                                               
Stati, dal ripetersi cioè di una data condotta, accompagnato dalla convinzione dell’obbligatorietà della 
medesima. Gli elementi che caratterizzano questa fonte sono due: la  diuturnitas (prassi) e l’opinio iuris 
sive necessitatis. Rientrano nel diritto internazionale generale anche i principi generali di diritto 
riconosciuti dalle nazioni civili che costituiscono una specie di norme consuetudinarie.  Oltre alle 
consuetudini generali si afferma l’esistenza di consuetudini particolari, cioè vincolanti un ristretto numero 
di Stati, come per esempio le consuetudini  regionali o locali  formatesi tra gli Stati dell’America latina.  
22
 Questa norma sancisce un procedimento c.d. speciale di adattamento, caratterizzato dal fatto che 
introduce nell’ordinamento norme internazionali mediante semplice rinvio ad esse. Una diversa modalità 
di adattamento del diritto interno al diritto internazionale è costituita dal c.d. procedimento ordinario, il 
quale comporta la riformulazione della norma internazionale all’interno dello Stato. Questo secondo 
metodo è indispensabile se la norma internazionale è non self- executing, cioè richieda un’attività 
integratrice degli organi statali per la sua applicazione. Queste due procedure, seppure diverse, in certi 
casi possono coesistere, come ad esempio nell’ipotesi in cui si sia dato ordine di esecuzione a un trattato 
(di solito mediante legge) senza riformularne le norme e successivamente si siano create regole 
corrispondenti alle norme non self-executing contenute nel trattato medesimo. In dottrina, generalmente, 
si ritiene che il procedimento speciale sia preferibile, a causa degli inconvenienti che potrebbe cagionare 
quello ordinario. Tali svantaggi si manifestano nel momento in cui il giudice applica la norma interna di 
adattamento, la quale potrebbe riferirsi a norme internazionali inesistenti o estinte; in aggiunta, 
l’interprete deve applicare la norma nazionale di adeguamento al diritto internazionale, anche se chi ha 
emanato la norma interna (il legislatore nel caso più comune di norme legislative o l’organo 
amministrativo nel caso di regolamenti o atti amministrativi) non abbia interpretato correttamente la 
norma internazionale da introdurre nel nostro ordinamento. Sulla base di quanto detto, il procedimento 
speciale sembra essere il più idoneo ad assicurare l’osservanza del diritto internazionale; l’utilizzo di 
questo tipo di procedimento di adattamento del diritto interno al diritto internazionale, infatti, 
comportando l’introduzione, nel nostro ordinamento, di una norma interna che opera un mero rinvio alle 
norme internazionali vigenti nell’ordinamento internazionale, evita di “incappare” in uno degli 
inconvenienti (appena visti) cagionati dal procedimento ordinario. Cfr. B. CONFORTI, Diritto 
internazionale, Napoli, 1997, p. 296 s.   
23
 Il fatto che l’esigenza del conformarsi dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto 
internazionale generale sia posta da una norma costituzionale, implica che le varie disposizioni della 
Costituzione debbano essere interpretate alla luce del diritto internazionale generale. Nel caso di contrasto 
fra una norma costituzionale ed una internazionale, non risolvibile con l’interpretazione, secondo la Corte 
costituzionale (sent. n. 48 del 1979) prevale la seconda ove si tratti di una norma internazionale generale 
formatasi prima del 1948; se si discute, invece, di una norma internazionale successiva all’entrata in 
vigore della Costituzione, essa prevale sulla Carta Fondamentale soltanto se la norma costituzionale non 
rientri tra i principi fondamentali dell’ordinamento. A tal proposito, si sostiene che l’art. 10 della 
Costituzione, interpretato sistematicamente, contenga una clausola implicita di salvaguardia dei principi 
considerati essenziali al nostro sistema giuridico (B. CONFORTI, Diritto, cit., p. 307 – 308).   
  18 
emerse la volontà di escludere da tale adattamento i trattati
24
. Discostandosi 
da tale orientamento, autorevole dottrina sostenne invece che per 
l’adattamento del diritto italiano al diritto internazionale particolare o 
convenzionale non sarebbe stata necessaria la legge o l’ordine di 
esecuzione
25
. Alla fine prevalse la prima impostazione, come dimostrato dal 
fatto che la seconda non è stata accolta né dalla prassi parlamentare né 
dalla giurisprudenza
26
. L’adattamento automatico del diritto italiano deve 
quindi ritenersi operante rispetto alle sole norme internazionali generali, 
così come individuate dagli interpreti
27
. All’interno della gerarchia delle 
                                                 
24
Tra i motivi principali che influenzarono tale scelta, come primo si annovera l’esempio di altre 
costituzioni, come quella spagnola del 9 dicembre 1931 o la Costituzione di Weimar. Quest’ultima all’art. 
4 recitava: «le regole generalmente riconosciute del diritto internazionale valgono come elementi 
vincolanti del diritto imperiale tedesco»  («die allgemein anerkannten Regeln des Völkerrechts gelten als 
bindende Bestandteile des deutschen Reichsrechts» ). Simile l’art. 7 della costituzione spagnola citata (v. 
PERASSI,  La nuova Costituzione spagnola e il diritto internazionale, in Riv. dir. internaz., 1932, p. 454-
455) . Un altro motivo che indusse ad escludere dall’adattamento automatico le norme convenzionali fu la 
diffidenza manifestata da alcuni deputati (tra cui ad es. Togliatti) nei confronti del diritto internazionale.  
25
 Ciò sarebbe dovuto al fatto che l’art. 10 della Costituzione, nel prevedere l’adattamento del nostro 
ordinamento al diritto internazionale generale, conforma il diritto italiano anche alla norma internazionale 
generale pacta sunt servanda (“i trattati vanno osservati”). Tale adattamento trasforma automaticamente 
in diritto interno i trattati stipulati dallo Stato italiano. La pubblicazione dei trattati sulla Gazzetta 
Ufficiale, pertanto, renderebbe efficaci norme già esistenti nel nostro ordinamento. Due sono le ragioni 
fondamentali di cui la dottrina citata si è avvalsa per argomentare la sua tesi. La prima consisteva nel fatto 
che non accogliendo tali ragioni si sarebbe finito per avvallare l’incongrua prassi parlamentare secondo la 
quale il Parlamento si pronuncia due volte, una prima volta per autorizzare il Capo dello Stato a ratificare 
il trattato, ed una seconda volta per rendere esecutivo il trattato nel nostro ordinamento; e ciò sarebbe 
stato assurdo considerando il fatto che, nella prassi italiana, l’atto di autorizzazione alla ratifica e l’atto 
normativo di esecuzione sono sempre stati contemporanei e contestuali. La seconda argomentazione si 
sostanziava nella constatazione per la quale in Italia sono state applicate molte convenzioni internazionali 
(ad esempio in materia di estradizione) anche quando non esisteva un ordine di esecuzione emesso con 
legge formale. L’ordine di esecuzione, inoltre, nella prassi è stato emesso anche relativamente a trattati 
non ancora in vigore. Ciò dimostrerebbe la sua non necessarietà, poiché, se fosse veramente 
indispensabile, dovrebbe seguire e non precedere l’entrata in vigore del trattato, visto che il suo oggetto 
deve essere costituito da norme internazionali che già esistono (R. QUADRI, Diritto internazionale 
pubblico, Napoli,1968, pag. 64-68). 
26
 Le obiezioni principali che hanno portato a respingere una tale tesi sono varie. Si è osservato anzitutto 
che essa contrasta con la volontà del costituente, il quale, come ben si ricava dai lavori preparatori, ha 
voluto in modo netto e  indiscutibile  escludere che i trattati fossero inclusi nell’art. 10 (comma 1) della 
Costituzione. In secondo luogo, è sembrato che nel nostro ordinamento non ci sia l’esigenza di adattarsi 
alla norma internazionale espressa con il brocardo pacta sunt servanda, non trattandosi di una norma 
materiale. Essa, infatti, sarebbe una norma sulla produzione giuridica che conferisce agli Stati la facoltà di 
concludere accordi e annette a  tali accordi il valore di atti normativi. Infine, si è obiettato che, in 
considerazione del rango costituzionale che avrebbero le norme consuetudinarie, attraverso gli accordi 
con gli altri Stati si eluderebbero le garanzie costituzionali.  
27
 Lavoro reso non facile per la presenza di autorevole dottrina che non riconduce le norme generali alle 
sole norme consuetudinarie, ivi compresi i principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili, ma 
asserisce l’esistenza  di altre categorie di norme generali come per esempio Principi o Dichiarazioni 
dell’Assemblea dell’ ONU.  
  19 
fonti presente nel nostro ordinamento, tali norme vanno a collocarsi ad un 
livello superiore rispetto alla legge ordinaria
28
. 
Nell’ambito del diritto internazionale la fonte più numerosa è 
costituita da accordi (o patti, o convenzioni, o trattati) vincolanti i soli 
Stati contraenti
29
.   
Di regola l’adattamento alle norme pattizie internazionali avviene 
attraverso un procedimento speciale o di rinvio che consta di un atto 
chiamato “ordine di esecuzione” nel quale è manifesta la volontà di 
eseguire ed applicare un determinato trattato all’interno dello Stato. Nella 
maggioranza dei casi l’ordine di esecuzione riveste la forma della legge 
ordinaria, ma esso può altresì essere impartito con atto amministrativo. 
Generalmente, si ritiene che nella gerarchia delle fonti “l’ordine di 
esecuzione” occupi la posizione corrispondente a quella dell’atto normativo 
in cui è contenuto. Parte di dottrina, tuttavia, ritiene che la legge in cui è 
contenuto l’ordine di esecuzione non possa essere derogata da altre norme 
nazionali di pari rango; questo perché essa sarebbe emanata nel rispetto di 
un obbligo costituzionale derivante dall’art. 10 Cost., che recepisce nel 
nostro ordinamento il principio generale “pacta sunt servanda”
30
. Questa 
teoria non è condivisa dalla dottrina maggioritaria e nemmeno dalla 
giurisprudenza, le quali hanno sostenuto che il comma 1 dell’art. 10 della 
                                                 
28
 La dottrina prevalente riconosce alle norme immesse “forza derogatrice” contro le norme primarie 
anteriori e “resistenza passiva” avverso le norme primarie successive. In questa logica, una norma interna 
contrastante con una statuizione di diritto internazionale generale dovrebbe risultare costituzionalmente 
illegittima, perché in violazione dell’art. 10 della Costituzione.   
29
 Gli accordi si possono suddividere in bilaterali o multilaterali. Riguardo ai primi si suole distinguere tra 
gli accordi a portata generale e preventiva (o astratta) e quelli conclusi in relazione a una determinata 
situazione di specie. Un esempio di quest’ultimi è rappresentato dall’accordo, diretto a regolare singoli 
affari giudiziari, tra Stati Uniti e Italia in relazione al caso “Lockheed” (concluso tra il Dipartimento di 
giustizia degli Stati Uniti d’America e il Ministero di grazia e giustizia a Washington il 29 marzo 1976 ed 
entrato in vigore il 6 aprile 1976 dopo essere stato reso esecutivo con D. L. 1 aprile 1976, n.76). Le 
disposizioni di questo si applicano alla fattispecie particolare prevalendo sulle norme di altre convenzioni 
aventi portata generale. Per questa tipologia di accordo bilaterale il diritto internazionale non esige la 
forma scritta e neppure che nella stipulazione si segua un particolare iter formativo. Che la forma scritta 
non sia essenziale per il diritto convenzionale è confermato dall’art. 3 della Convenzione di Vienna del 
1969 sul diritto dei trattati, laddove si stabilisce che «…il fatto che la presente convenzione non si 
applichi …agli accordi internazionali che non sono stati conclusi per iscritto non pregiudica: a) il valore 
giuridico di tali accordi…». Generalmente, in dottrina, si sostiene che le eventuali antinomie fra le norme 
delle convenzioni e quelle consuetudinarie, debbano essere risolte con la prevalenza delle prime perché 
considerate “particolari” rispetto alle norme consuetudinarie ritenute, invece, a carattere generale.   
30
 Di tale opinione è M. MERCONE, I rapporti internazionali nel nuovo processo penale, Napoli, 1989, 
p. 19. 
  20 
Costituzione sarebbe stato formulato con l’intenzione di escludere i trattati 
dalla sua sfera applicativa
31
. Per quanto concerne, invece, il rapporto tra le 
norme che nell’ordinamento interno si formano in virtù della legge di 
esecuzione e la Costituzione, devono essere rispettati i principi che 
regolano la gerarchia delle nostre fonti, con la conseguenza della 
subordinazione delle leggi di esecuzione dei trattati alla nostra Carta 
Fondamentale
32
.             
Circa il procedimento di formazione degli accordi internazionali, la 
costituzione ripartisce diverse competenze fra gli organi dello Stato. In una 
forma di governo di tipo parlamentare
33
 la funzione di indirizzo politico, 
nella quale è ricompresa la politica estera
34
, viene esercitata dal Governo 
che propone e dal Parlamento che approva.   
In particolare spetta al Governo negoziare e concludere trattati in 
base a valutazioni di opportunità politica. Circa il ruolo del Parlamento, 
nella logica democratica della Costituzione del 1948, la sua partecipazione 
nel campo della politica estera è stata decisamente ampliata rispetto a 
quanto previsto dallo Statuto Albertino. Se in quest’ultimo solo l’efficacia 
dei trattati che comportavano oneri finanziari o variazioni di territorio era 
subordinata all’assenso delle Camere
35
, l’art. 80 della Cost. amplia le 
categorie di trattati per le quali la ratifica (compito del Presidente della 
Repubblica) deve essere preceduta da una legge di autorizzazione approvata 
dal Parlamento
36
. 
                                                 
31
 B. CONFORTI, Diritto, cit., p. 313. 
32
 Norme pattizie contrarie alla Costituzione potranno essere sottoposte a controllo di costituzionalità e 
annullate se violano la Costituzione. La giurisprudenza, a tal proposito, ha affermato che la questione di 
legittimità costituzionale deve essere proposta denunciando le norme della legge di ratifica e di 
esecuzione del trattato e non quelle convenzionali.  
33
 Sulla distinzione tra “ forme di Stato” e “ forme di Governo”  e ulteriori ripartizioni interne a queste 
classificazioni, vedi  P. BARILE-E. CHELI-S. GRASSI, Istituzioni di diritto pubblico, 7ª ed., Padova, 
1995, p. 20 ss.  
34
 La stipula di un accordo internazionale costituisce una scelta di politica estera delle nazioni, libere di 
aderirvi o meno in base a scelte discrezionali. 
35
 Per altri tipi di trattati il Re e il Governo agivano liberamente, potendo anche tenere segreti i trattati se 
ritenevano ciò funzionale agli interessi dello Stato (cosiddetta diplomazia segreta). Oggi la politica estera, 
per la sua massima parte, è divenuta pubblica  grazie alla partecipazione del Parlamento alla funzione di 
indirizzo politico. 
36
 Art.  80 della Costituzione: «Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che 
sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del 
territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi».