L'alta incidenza del debito pubblico e il bisogno di migliorare la
qualità, l'efficienza e la quantità di molti servizi inducono a considerare
sempre più necessario il passaggio da un sistema sociale esclusivamente
o prevalentemente pubblico (Welfare State), a un sistema misto, dove
accanto ai servizi pubblici operino anche organizzazioni e imprese private,
for profit e nonprofit.
Gli enti nonprofit operano già da moltissimo tempo nel nostro
Paese. In Italia, le prime forme di organizzazione senza scopo di lucro
nascono durante l'età classica: già nella Roma Imperiale, ad esempio,
vengono istituite delle particolari "infermerie" per gli inabili riconosciuti
veramente meritevoli di soccorso. Dopo quella fase, la loro storia è
caratterizzata da andamenti alterni, ma a partire dall' XI secolo prendono
forma istituzioni fondamentali nella società del tempo come le Pie
Fondazioni, le Opere Pie o le Confraternite (si pensi al caso di Venezia,
ove erano presenti Confraternite molto attive, che operavano in diversi
campi: si occupavano, infatti, sia dell’assistenza alle famiglie dei
confratelli, sia del finanziamento di opere artistiche)
3
.
Alcune di queste istituzioni sono tuttora operanti, ad esempio, nella
forma delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) .
Si può pensare al settore nonprofit attuale come ad un insieme di
strati in cui, partendo dal basso, si incontra per prima l’azione volontaria
“pura”; successivamente si hanno i gruppi e le associazioni (fino agli enti
non commerciali di tipo associativo); salendo ancora si hanno le
fondazioni, le IPAB (come prima ricordato, rappresentano le istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza o le opere pie) e le organizzazioni
non governative; poi si incontrano le fondazioni bancarie, le ONLUS
(organizzazioni non lucrative di utilità sociale) e le cooperative sociali;
quindi si hanno le cooperative vere e proprie con i loro (eventuali)
consorzi, infine le imprese di credito cooperativo.
Da un punto di vista storico, il termine nonprofit è nato in Europa
nella metà degli anni Settanta, ed ha da allora conosciuto una grande
3
Per maggiori informazioni si consulti La pittura nell’età di Carpaccio, di Patricia Fortin
Brown, Albrizzi Editore, 1992, Venezia.
popolarità, legata per lo più alla crisi ed alla riorganizzazione interna dei
sistemi di Welfare europei ed alla constatazione che una grande parte di
beni e servizi di pubblica utilità venivano erogati da organizzazioni private
a finalità sociale.
Attualmente in Italia si utilizzano anche altri termini
4
, quali: terzo
settore, terzo sistema, privato sociale, terza dimensione, azione
volontaria, così come all’estero i termini che hanno conosciuto maggiore
popolarità sono quelli di: nonprofit sector (settore senza scopo di lucro);
économie sociale (economia sociale); philantrophic sector (settore
filantropico); informal sector (settore informale); independent sector
(settore indipendente); voluntary sector (settore volontario).
E’ interessante notare come ciascuno di questi termini enfatizzi ed
ampli uno o più aspetti che si ritengono essere distintivi di questo settore.
La difficoltà di definire e delimitare il settore nonprofit non è un
"problema" solo italiano, dato che un po’ ovunque ci si è scontrati con la
difficoltà di definire un universo di organizzazioni, di natura giuridica
privata e finalità di "pubblica utilità", dotate di forme organizzative, culture
e logiche d’azione diverse tra loro.
Negli anni, inoltre, si è cercato di spiegare cosa spingesse un
singolo o un gruppo di persone ad organizzare una sorta di comunità nella
comunità, allo scopo di soddisfare finalità o ideali condivisi. Come accade
spesso in questi casi, varie categorie di esperti si sono interrogate a
riguardo: economisti, politologi, sociologi.
La risposta dagli economisti
5
consta sostanzialmente di due tesi: la
prima afferma che le organizzazioni nonprofit soddisfano i bisogni
eterogenei cui lo Stato non risponde in quanto operante sulla base di un
"elettore mediano"; la seconda punta sulla loro maggiore affidabilità,
dovuta alla loro caratteristica di non perseguire un utile bensì la
soddisfazione una data necessità.
4
Si confronti il sito www.arci.it, in Terzo settore in pillole
5 Si confronti I finanziamenti privati al nonprofit in Italia: ruolo ed evoluzione degli
intermediari finanziari e orientamento verso una banca etica di Monica Salvato, Venezia
1996.
In base a quanto sostenuto dai politologi, invece, esse
corrispondono ad una versione privata del governo in quanto, grazie al
loro ruolo mediano costituiscono un più “semplice” momento dialettico tra
Stato e società.
I sociologi, invece, non hanno mai trovato un accordo per le loro
teorie a riguardo. Secondo alcuni di essi non esiste un modello generale,
e conseguentemente una teoria, delle organizzazioni nonprofit, quindi
preferiscono lo studio scrupoloso di ogni singola realtà associativa.
Le teorie più accreditate tra i sociologi, in sintesi, sono due: quella
di Seibel e quella, contrapposta, di Salamon
6
.
Seibel vede il settore nonprofit come un esempio di nicchia
organizzativa, cioè di tolleranza per comportamenti organizzativi con un
basso livello di efficienza e di efficacia, che si giustifica perché riduce un
dilemma di legittimazione che è proprio dei sistemi politici democratici. Le
organizzazioni nonprofit servono cioè allo Stato in quanto affrontano i
problemi senza risolverli e senza che la loro mancata soluzione possa
venire imputata allo Stato stesso che, invece, se intervenisse direttamente
produrrebbe dei risultati, ma a rischio di squilibrare l'economia di mercato.
In contrapposizione si pone la teoria di Salamon (1987), secondo le
teorie del quale il libero associarsi dei cittadini in gruppi sarebbe il
"meccanismo preferito" per produrre beni collettivi; i limiti e i fallimenti di
questo meccanismo renderebbero necessario l'intervento dello Stato, che
si configura, quindi, come un'istituzione residuale. L'intervento pubblico,
invece, è comunque indispensabile, ma solo per correggere i "fallimenti"
del volontariato che, secondo Salamon, sono rappresentati da:
- l'insufficienza, per quantità e qualità delle risorse adatte a fornire
servizi (si tratta di un risvolto del problema del free rider: il sistema
volontario crea senso di obbligazione sociale ma non genera risorse
sufficienti);
6
Si confronti I finanziamenti privati al nonprofit in Italia: ruolo ed evoluzione degli
intermediari finanziari e orientamento verso una banca etica di Monica Salvato, Venezia
1996.
- il particolarismo nel rispondere solo ai bisogni specifici di una
categoria o, nei casi estremi, il settarismo;
- il paternalismo nella fornitura di servizi come scelta etica (la
bontà) e non come diritto di chi li riceve;
- il dilettantismo inteso come carenza di professionalità.
Bisogna tener conto, però, che gli studi più approfonditi hanno
riguardato le sole società americana e anglosassone, caratterizzate, al
contrario della situazione italiana, da grandi fondazioni, emanazione delle
grandi aziende.
Nel nostro Paese, invece, caratterizzato da una maggior diffusione
di imprese medio/piccole, il nonprofit si sviluppa in base ad una “matrice
popolare”, creatasi sulla base di una rete di relazioni personali estesasi
spontaneamente nel settore.
Negli ultimi anni, la situazione in Italia comincia ad avvicinarsi alle
esperienze anglosassoni e americane, grazie alla crescente affermazione
di una partnership operativa fra Stato ed organizzazioni nonprofit, dovuta
a molteplici ragioni
7
:
- il settore nonprofit è in grado di realizzare servizi in maggior
grado conformi alle diversificate scelte e preferenze del
consumatore, vista la sua lunghissima esperienza e
conoscenza delle comunità locali e delle loro necessità;
- incoraggia l'introduzione della competizione tra i fornitori
pubblici e quelli privati, facilitando, almeno potenzialmente,
un miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia nel mercato;
- garantisce servizi molto specializzati e a prezzi meno
onerosi, all’intero delle aree tradizionalmente di sua
competenza;
- una maggiore economicità, resa possibile grazie all’impiego
di personale volontario, a strutture burocratiche più snelle, a
minori vincoli rispetto ad altri tipi di imprese, nella gestione
7
Si confronti I finanziamenti privati al nonprofit in Italia: ruolo ed evoluzione degli
intermediari finanziari e orientamento verso una banca etica di Monica Salvato, Venezia
1996
della manodopera e a una maggiore motivazione dei
lavoratori, garantita dalla condivisione delle finalità;
- il settore nonprofit innesca per sua stessa natura processi
partecipativi, è capace di fornire opportunità di impegno che
si trasformano in un'assunzione di responsabilità sociale
sempre più crescente;
- grazie ai vantaggi economici (notevoli gli sgravi fiscali, ecc.),
opera negli ambienti più diversi e con le modalità più
disparate, pur in presenza di un aiuto modesto o nullo da
parte dei pubblici poteri .
1.2 Definizione del settore nonprofit
Le istituzioni operanti nel terzo settore possono essere, come prima
accennato, le più varie per struttura e finalità, condizione che rende ardua
una codificazione generale del settore.
A livello giuridico, rientrano nel concetto di azienda nonprofit i
seguenti soggetti:
1) associazioni riconosciute (art. 14 e segg. Codice Civile);
2) fondazioni riconosciute (art. 14 e segg. Codice Civile);
3) associazioni e fondazioni non riconosciute (art. 36 e segg. Codice
Civile)
4) comitati (art. 39 e segg. Codice Civile);
5) fondazioni e associazioni bancarie, nel caso di non esercizio in via
prevalente della gestione delle partecipazione nella banca (D. Lgs.
20.11.90, n. 356 – Decreto Amato e D. Lgs. 23.12.99, n. 461 –
Decreto Ciampi-)
6) organizzazioni di volontariato (Legge 11.08.1991, n. 266);
7) cooperative sociali (legge 8.11.1991, n. 381);
8) IPAB - Istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza privatizzate
(Legge 17.07.1890, n. 381 – L. 8/11/2000 n. 328);
9) enti ecclesiastici cattolici (Legge 20.05.1985, n. 222);
10) enti religiosi di altre confessioni (v. intese e accordi tra lo Stato
Italiano e le diverse confessioni religiose);
11) organizzazioni non governative (ONG) (Art. 28, Legge 26.02.1987,
n. 49);
12) enti di promozione sociale (art. 3, comma 6, Legge 25.08.1991, n.
287);
13) enti lirici (D. Lgs. 29.06.1996, n. 367);
14) enti di formazione professionale (legge n. 845 del 1978);
istituti di patronato (legge 804/97, 112/1980, DPR 1017/86);
enti di promozione sociale (Legge 7.12.2000, n. 383).
Dal punto di vista tributario, invece, gli istituti nonprofit possono
essere "enti non commerciali" o "ONLUS" (organizzazioni non lucrative di
utilità sociali) disciplinati dal DPR 917/86, Testo Unico delle imposte
dirette e dal decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 o, in alcuni casi,
enti commerciali.
Dal punto di vista economico-aziendale le aziende nonprofit
vengono considerate con maggiore unitarietà: esse, infatti, sono
classificate o come aziende private di sola erogazione (cosiddette aziende
nonprofit “pure”), oppure, come aziende sia di erogazione che di
produzione (aziende nonprofit “composte”)
8
.
Entrambi i tipi di istituzioni hanno come finalità prevalente il
soddisfacimento diretto di bisogni socialmente rilevanti (assistenziali,
culturali, ricreativi, sportivi, di natura ideale, ecc.), rispetto a cui la
massimizzazione del reddito costituisce soltanto una finalità secondaria,
strumentale rispetto al raggiungimento della prima.
Mentre nell’impresa il perseguimento di situazioni di eccedenza dei
ricavi sui costi rappresenta l'obiettivo guida di tutta l'attività, nei suddetti
istituti, questo costituisce esclusivamente il presupposto che consente agli
stessi di perseguire nel tempo le finalità sociali in condizioni di autonomia
economica.
Anche in queste aziende, tuttavia, la soddisfazione delle condizioni
di equilibrio economico costituisce premessa indispensabile per garantire
nel tempo la continuità aziendale e la realizzazione dei fini per i quali
l’azienda nonprofit è stata istituita.
Gli istituti che operano nel terzo settore si distinguono dalle famiglie
in quanto non sono istituti naturali, dagli istituti della pubblica
amministrazione in quanto non basano la propria attività sulla raccolta di
8
Si confronti il Documento di presentazione di un sistema rappresentativo dei risultati di
sintesi delle organizzazioni nonprofit, realizzato nel febbraio 2001 dalla Commissione
aziende nonprofit, istituita e formata dal Consiglio Nazionale dottori commercialisti, e
Economia aziendale, di G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, edizione Il Mulino, Milano, 1994.
tributario, dall'impresa, in quanto non hanno come obiettivo prevalente la
remunerazione dei fattori produttivi in base alle logiche del mercato
9
.
Essi, dal punto di vista economico-aziendale, presentano le
seguenti peculiarità :
1) si configurano come soggetto economico privato. La natura
giuridica privata implica l'indipendenza dallo Stato. Le
organizzazioni in oggetto devono avere legalmente natura privata,
devono, cioè, avere la facoltà di esprimere il proprio gruppo
dirigente e la capacità di impiegare le proprie risorse economico-
finanziarie per il perseguimento dei fini statutari
(convenzionalmente si possono far rientrare nel settore alcuni enti
ibridi, né completamente privati, né completamente pubblici in
funzione del tipo di attività esercitata);
2) costituzione formale. Un'organizzazione è formalmente costituita
nel momento in cui viene percepita e vissuta come "istituzione" e
non come mero gruppo di individui. Fondamentale è la presenza di
uno statuto, di un atto costitutivo o di un altro documento che
codifichi i “cardini” dell’istituzione, dall'accesso dei membri, alla loro
condotta, agli scopi prefissati; regolando, in tal modo, la
consistenza organizzativa dell'istituzione e garantendo la sua
stabilità nel tempo. Questo primo criterio crea, evidentemente, una
prima classificazione, in quanto sancisce un livello minimo di
organizzazione e formalizzazione per accedere al terzo settore;
3) autogoverno. L'organizzazione deve, in altre parole, disporre di
proprie procedure di governo e non venire controllata da entità
esterne. Contemporaneamente deve essere in grado di offrire
garanzie di democraticità e visibilità;
4) assenza di distribuzione di utili di esercizio. Ciò non vieta di
ottenere un utile di esercizio, un ricavo economico-finanziario, un
9
Si confronti il Documento di presentazione di un sistema rappresentativo dei risultati di
sintesi delle organizzazioni nonprofit, realizzato nel febbraio 2001 dalla Commissione
aziende nonprofit, istituita e formata dal Consiglio Nazionale dottori commercialisti, e
Economia aziendale, di G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, edizione Il Mulino, Milano, 1994.
surplus dallo svolgimento delle proprie attività, ma semplicemente
richiede che tale plusvalore sia interamente reinvestito al fine di
migliorare la propria capacità di perseguire il fine per cui l'ente
viene costituito;
5) frequente presenza di proventi dal significativo ammontare destinati
da parte di finanziatori che non si attendono di ricevere
controprestazioni (rimborsi e benefici), proporzionati al valore delle
risorse erogate. L'organizzazione deve beneficiare, quindi, del
volontariato e della filantropia sia sul piano delle risorse umane
impiegabili sia su quello delle risorse finanziarie, in misura variabile,
in quanto storicamente dipendono da Paese a Paese e da epoca a
epoca;
6) rapporto di natura fiduciaria con la collettività di riferimento, sia per i
servizi prestati, che, per i fondi ricevuti;
7) assenza di interessi proprietari che possano essere ceduti, o
riscattati, o che comportino il diritto ad una distribuzione delle
risorse liberate in sede di eventuale liquidazione dell'istituto.
Si ritiene indispensabile, inoltre, che l'ente nonprofit produca
benefici esterni sostanziali, ossia l'attività svolta deve avere delle ricadute
positive, in termini non banali, dal punto di vista sociale e pubblico e questi
benefici non devono essere completamente indiretti, attenuati o intangibili
(M. Knapp e J. Kendall, 1990).
La definizione strutturale/operativa consente attraverso i suoi criteri
di individuare un insieme di organizzazioni che condividono alcune
caratteristiche strutturali e operative, indipendentemente dalla loro
collocazione territoriale, settore di attività o forma giuridica.
Gli istituti nonprofit presentano i caratteri propri dell'istituto
aziendale, quali quelli dell'unità, dell’autonomia, della durabilità e del
dinamismo, ma con rilevanti differenziazioni che incidono fortemente sulla
gestione degli enti stessi
10
.
L'unità si consegue per il "comune sentire" dei partecipanti, non
legato, come nelle imprese, a finalità reddituali, e può venir meno per
svariate ragioni.
L'autonomia si presenta in modo marcatamente diverso rispetto alle
imprese, ove è garantita dagli interessi proprietari, e può, nelle aziende
nonprofit, ridursi in relazione, caso per caso, a specifiche situazioni
(dotazione patrimoniale, capacità di fare raccolta fondi, adesione di
soggetti "forti", ecc.).
La durabilità è legata alla possibilità di essere autonomi e alla
capacità manageriale, che non è sempre considerata prioritaria nelle
realtà nonprofit. Infine, il dinamismo implica la necessità della
programmazione e di condizioni di flessibilità strategica, attualmente, poco
presenti in numerose aziende nonprofit.
10
Si confronti il Documento di presentazione di un sistema rappresentativo dei risultati di
sintesi delle organizzazioni nonprofit, realizzato nel febbraio 2001 dalla Commissione
aziende nonprofit, istituita e formata dal Consiglio Nazionale dottori commercialisti, e
Economia aziendale, di G. Airoldi, G. Brunetti, V. Coda, edizione Il Mulino, Milano, 1994.
1.3 Le fondazioni
In base alla definizione coniata dallo European Foundation Centre
di Bruxelles, una fondazione è “un ente privato senza finalità di lucro con
una propria sorgente di reddito che deriva normalmente - in Italia,
necessariamente - da un patrimonio”. Questo ente, dotato di una propria
organizzazione e di propri organi di governo, “usa le proprie risorse
finanziarie per scopi educativi, culturali, religiosi, sociali o altri scopi di
pubblica utilità, sia sostenendo persone ed enti (fondazione di
erogazione), sia organizzando e gestendo direttamente i suoi programmi
(fondazione operativa)
11
”.
Per quanto concerne specificamente la situazione italiana,
interessante si rivela la definizione fornita dall’ACRI
12
, che, riprendendo la
sopra citata denominazione dello European Foundation Centre, definisce
le fondazioni quali: “Organizzazioni senza fine di lucro, dotate di un proprio
patrimonio, impegnate in molteplici settori: assistenza, istruzione, ricerca
scientifica, erogazioni premi e riconoscimenti, formazione, ecc.. La loro
esistenza è prevista dal Codice civile e la loro struttura giuridica può
variare a seconda del tipo di fondazione che viene costituita ed è
facoltativa la richiesta del riconoscimento che, comunque, può essere
ministeriale o regionale o delle province autonome.
Una fondazione è costituita da un fondatore - inteso anche come
più persone congiuntamente ovvero una persona giuridica - tramite un atto
pubblico o una disposizione testamentaria; la costituzione dell'ente deve
essere sancita da un notaio tramite l'atto di fondazione, mentre per poter
operare necessita di un riconoscimento giuridico che sottopone tutti gli atti
della fondazione al controllo di legittimità di un'apposita autorità vigilante
(secondo le disposizioni dell’art. 12 e seguenti del Codice Civile, poi
11
Definizione tratta dalla voce di glossario “Fondazioni” del sito dell’ACRI www.acri.it.
12
Definizione tratta anch’essa dalla voce di glossario “Fondazioni” dell’ACRI del sito
www.acri.it.
abrogate con il D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361, che ne ha modificato in
parte il contenuto
13
).
Le principali norme organizzative per il corretto funzionamento
dell'ente sono raccolte nello statuto, che costituisce parte integrante
dell'atto di fondazione.
1.4 Le fondazione di origine bancaria
“Le fondazioni bancarie
14
, regolate dalla legge 461/1998, dotate di
un cospicuo patrimonio, nel contesto del Terzo Settore possono gestire
direttamente strutture o erogare fondi finalizzati all’attivazione, promozione
o sostegno di organizzazioni pubbliche o private senza scopo di lucro che
operano negli ambiti della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della
conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, della sanità
e dell’assistenza alle categorie sociali deboli”.
Le fondazioni bancarie sono state introdotte nel nostro Paese con
la legge Amato (legge 30 luglio 1990, n. 218
15
), emanata per apportare
una significativa disciplina del sistema creditizio attraverso la
trasformazione delle banche pubbliche (soprattutto le Casse di Risparmio,
ma anche le Banche del Monte, ecc.) in società per azioni.
Le fondazioni di origine bancaria in Italia sono ottantanove
16
, delle
quali ottantadue originate da Casse di Risparmio, sei da Istituti di Credito
di Diritto Pubblico e una da un Monte di Credito su pegno di seconda
categoria (in base alla legge n. 1396 del 1923)
17
.
13
Si confronti il paragrafo 2.7, nel quale si tratta dell’Autorità di Vigilanza.
14
Definizione tratta dal glossario del sito www.aeropago.it
15
Vedi capitolo 2, paragrafo 2.3, interamente dedicato alla presentazione della suddetta
legge.
16
Si confronti Vittorio Raschetti, Rapporto sulle fondazioni bancarie, 19° numero del
periodico del Centro Studi Banca Europa, consultabile al sito www.bancaeuropa.org
17
Si confronti il sito www.acri.it
Il patrimonio contabile complessivo delle fondazioni bancarie del
2001
18
ammontava ad oltre 36 miliardi di euro; questo valore potrebbe,
però, essere corretto a oltre 48 miliardi di euro, se si considera il maggior
valore delle partecipazioni, valorizzate in base al patrimonio netto
risultante dai rispettivi bilanci delle banche al 31/12/2001, per le
interessenze
19
bancarie non quotate, ed al valore di borsa a fine 2001, per
quelle quotate.
Nel 2001
20
, l'ammontare deliberato per le erogazioni è stato pari a
971,3 milioni di euro, attraverso 21.428 interventi, all’interno dei quali e' da
segnalare, per quanto concerne le attività svolte dalle singole fondazioni,
la predominanza dei progetti realizzati all'interno della regione di
appartenenza (95% del totale erogato, di cui il 79% nell'ambito della
propria provincia), continuando così lo stretto rapporto con il territorio
proprio delle banche dalle quali derivano, rapporto che non è mai venuto a
mancare, neppure dopo l’erogazione della legge che ha scorporato le
fondazioni dalle banche, ossia la legge30/07/1990, n. 218.
L’attività di gestione del patrimonio e di erogazione svolta nel
2001
21
dalle Fondazioni, nonostante una diminuzione della redditività dal
5,5% al 4,9%, conseguente all’andamento dei mercati finanziari, ha
confermato i risultati positivi già ottenuti nel precedente esercizio,
consentendo di destinare 954 milioni di euro all’attività erogativa e 130
milioni di euro ai fondi speciali per il volontariato (in base alla legge
266/91).
L’attività erogativa evidenzia una fortissima concentrazione in
termini dimensionali, settoriali e geografici e conferma, come negli anni
precedenti, la massima attenzione alle domande provenienti non solo
dalla società civile, ma anche dai soggetti pubblici, in primo luogo,
18
I dati si riferiscono a quanto esposto nel Settimo rapporto sulle fondazioni bancarie,
realizzato dall’ACRI nel 2002.
19
Una interessenza è una “partecipazione agli utili di un’azienda gestita da altri o di un
affare”, definizione tratta dal Dizionario Garzanti della lingua italiana.
20
I dati provengono dal Sesto rapporto sulle fondazioni bancarie, realizzato dall’ACRI nel
2001.
21
I dati si riferiscono a quanto esposto nel Settimo rapporto sulle fondazioni bancarie,
realizzato dall’ACRI nel 2002.
territoriali. Nella maggior parte dei casi
22
, i fondi stanziati sono serviti a
finanziare i grandi interventi di restauro e i grandiosi eventi culturali, ossia
le attività nelle quali maggiore è il riscontro e 'ritorno' d'immagine.
Esse, oltre che nuovi e tipici soggetti nonprofit, sono gli enti che
provvedono, grazie ai cospicui mezzi originati dalla proprietà di ingenti
patrimoni azionari riferiti, per l'appunto, alle società bancarie,
all'alimentazione dei fondi speciali presso le Regioni per il finanziamento
dei centri di servizio, posti dalla legge 266/1991 a disposizione delle
organizzazioni di volontariato: a parte ciò, oltreché enti nonprofit in se
stessi, chiamati quindi a svolgere una funzione precisa di utilità sociale
propria, le fondazioni sono anche demandate a finanziare con i loro
proventi - che, di regola, dovrebbero essere rilevanti - il "nonprofit" degli
altri, nei settori dell'arte, della ricerca, della cultura, della sanità.
Le ragioni per cui si è scelto lo strumento della fondazione sono
date dalle caratteristiche di quest'organismo, destinato a durare nel tempo,
oltre che dall'esigenza di staccare il nuovo organismo dalla banca, con un
fondo proprio.
Le finalità caratterizzanti la fondazione sono anche quelle di
contribuire a diffondere una cultura del volontariato e promuovere una
maggiore circolazione dell'informazione in argomento.
Per lo stesso mondo del nonprofit, che si è sempre relazionato con
istituzioni statali o parastatali per ricevere qualche beneficio o contributo,
esse rappresentano una possibilità completamente nuova di integrazione
in ambito locale dell’attività erogativa. Nei consigli delle fondazioni stesse
sono presenti in molti casi i rappresentanti di enti locali, del mondo del
nonprofit, della cultura, delle professioni (per quanto riguarda la
composizione dei consigli, si rimanda ai paragrafi inerenti gli ultimi sviluppi
normativi
23
).
22
Si fa riferimento ai dati presentati all’interno del Settimo rapporto sulle fondazioni
bancarie, realizzato dall’ACRI nel 2002.
23
Si veda, per una sintesi sulle novità normative, le tavole inserite nel secondo capitolo, a
pp. 54, 55, 56.