v
In particolare, il settore italiano delle telecomunicazioni ha subito un
profondo cambiamento con il recepimento in Italia della normativa
europea sulla deregolamentazione, e le dinamiche di tale
trasformazione, non ancora esaurite, hanno impatto sulle strategie
competitive degli attori che in tale settore operano. Laddove la
domanda tende a stabilizzarsi mentre vengono meno le barriere
protettive di monopoli e regolamenti, il tenore competitivo deve
necessariamente crescere, perché ogni cliente acquisito è un cliente
perso da un concorrente. Telecomunicazioni, così come credito,
distribuzione, assicurazioni, trasporti e servizi pubblici godono sempre
meno della protezione di normative che limitano la concorrenza
nazionale o internazionale. Le aziende abituate ad operare in regime di
monopolio, o comunque di protezione dalla concorrenza, si trovano ad
agire in un mercato altamente competitivo; questo si traduce nella
necessità di modificare in modo radicale la gestione dell’impresa e del
mercato attraverso una costante osservazione delle esigenze dei clienti.
Sul piano delle condotte strategiche, l’impatto a livello aggregato delle
nuove tecnologie, degli ampliamenti degli ambiti di rivalità, della
globalizzazione e della deregolamentazione si estrinseca in una
crescente rilevanza della differenziazione competitiva, rendendo sempre
più critica la capacità di soddisfare le attese del consumatore e di
conseguenza la capacità di trattenere e fidelizzare la clientela migliore.
Nel presente studio, ho rivolto la mia attenzione allo studio della
vi
strategia che meglio sembra rispondere all’esigenza dell’ex-monopolista
di settore di minimizzare il churn e massimizzare la retention della
propria base clientela. L’aumento della disponibilità di informazioni e
delle aspettative dei clienti insieme con una crescente complessità
concorrenziale sono i motivi che rendono vincente una strategia
competitiva che abbia come obiettivo primario lo sviluppo di capacità e
competenze mirate ad accrescere la fedeltà e la fidelizzazione dei
clienti migliori. Come efficacemente è stato detto: “l’impresa vincente è
quella che sposa il cliente e non si limita soltanto a sedurlo” (Brindelli,
1996).
L’accresciuto interesse accademico e dirigenziale verso le
interazioni fra domanda e offerta è stato spiegato ricorrendo
all’evidenza della crescente complessità tecnologica, concorrenziale e
relazionale (Busacca, 1994; Busacca, Grandinetti e Troilo, 1999). In
generale, e in numerosi settori economici, l’evoluzione delle forme di
concorrenza, la progressiva saturazione di molti mercati e le strutturali
modificazioni dei processi di scambio, in parte indotte dall’emergere
dell’economia digitale, infatti, stanno obbligando le imprese ad adottare
una prospettiva di prioritario orientamento allo sviluppo e al
consolidamento della relazione con i clienti, recentemente definita da
Valdani e Busacca (1999) customer - based view. Un’impresa che pone al
centro della propria attenzione la clientela, riconosce che ciascun
cliente rappresenta un valore patrimoniale da difendere e valorizzare
vii
(Costabile, 1996) e se più delle altre si dimostra in grado di tenere
legati a sé i clienti a più alto valore, prima o poi acquisisce una posizione
di solida superiorità nel settore in cui opera.
Il mantenimento della fedeltà dei consumatori è da tempo uno dei
capisaldi degli studi di marketing: l’interesse accademico, infatti, è
sempre stato alto rispetto al problema della fedeltà, a partire dai primi
giorni della disciplina manageriale fino ai giorni nostri (Copeland, 1923;
Jacoby e Chestnut, 1978; Webster, 1992; Dick e Basu, 1994; Mellens et
al., 1996; Uncles e Laurent, 1997). Un tale continuativo interesse è
motivato dall’ampio spettro di benefici che si presumono connessi al
mantenimento della fedeltà da parte dei clienti, oltre al flusso di
denaro. L’orientamento al cliente acquista in quest’ottica una rilevanza
particolare, infatti non deve essere più finalizzato alla compressione del
potenziale di varietà e variabilità espresso dalla domanda, quanto
piuttosto alla specificazione di tale potenziale nella direzione più
coerente con le conoscenze possedute dall’impresa e, quindi, con gli
obiettivi di accrescimento del valore patrimoniale e del valore offerto al
mercato (Busacca, 1994).
Lo studio dei processi di scambio è stato portato al centro dell’analisi
economica d’impresa, attirando l’attenzione del mondo accademico e
dei dirigenti aziendali sullo sviluppo e sul mantenimento delle relazioni
fra impresa e i suoi clienti e, conseguentemente, sul ruolo del valore
che, generato dallo scambio, ne determina l’esito e l’eventuale
viii
ripetizione (Hakanson, 1982 e 1986; Gummeson, 1987; Gronroos 1991 e
1994, Marcati, 1992; Ferrero,1992; Grandinetti, 1993). Mantenere e
sviluppare le relazioni di scambio al fine di accrescere il successo e il
valore dell’impresa, richiede la conoscenza profonda dei campi di
generazione del valore per il cliente. Se da una parte il conseguimento di
valore, associato ad un prodotto o servizio stimola il potenziale cliente
alla loro acquisizione, dall’altra la soddisfazione sperimentata con il
consumo rafforza invece il rapporto di fiducia e di fidelizzazione della
clientela e consolida la reputazione dell’immagine del prodotto e
dell’impresa (Costabile, 1996).
Al fine di comprendere i meccanismi della fedeltà è necessario
approfondire i legami esistenti tra quest’ultima e la soddisfazione del
cliente ed analizzare il loro impatto sulla creazione di valore per
l’impresa. Costabile propone un modello di comportamento d’acquisto
del cliente (customer buying behavior) volto all’esame del ciclo vita
della relazione fra l’impresa e lo stesso cliente. L’applicazione del
modello consente di identificare differenti forme di relazione, e quindi
di fedeltà, lungo un continuum temporale che, a partire dai costrutti
“soddisfazione” e “fiducia”, conduce alla customer loyalty.
Come risposta ai bisogni generati dall’emergere delle teorie sul
marketing relazionale e della crescente attenzione rivolta al cliente, si è
sviluppato il Customer Relationship Management, il cui sviluppo è stato
supportato da numerose ricerche, concordi nel dire che trattenere i
ix
clienti è più profittevole che acquisirne di nuovi. Si è passati da una
visione della vendita del prodotto o servizio in ottica transazionale e da
un approccio esclusivamente rivolto alla acquisizione di nuovi clienti, ad
una situazione in cui la priorità è la retention dei clienti e la creazione
di un dialogo con ognuno di essi al fine di capire ed anticipare
l’evoluzione dei bisogni individuali e di massimizzare il lifetime value
generato dalla relazione (Nash, 2000). Queste sono le finalità principali
del Customer Relationship Management che può essere in prima
approssimazione descritto come un insieme di process competencies ed
un’integrazione di strutture funzionali ed organizzative che hanno come
obiettivo la riduzione della dispersione delle informazioni all’interno
dell’impresa e l’utilizzo di queste informazioni per la creazione di un
servizio/prodotto che rispetti le esigenze reali della clientela attuale e
potenziale (Kalakota, Robinson e Tapscott, 1999).
Il mio lavoro presenta, nel capitolo I, una iniziale analisi del processo di
deregolamentazione, attraverso un excursus sulla liberalizzazione del
settore tlc così come si è resa necessaria, è stata da parte delle autorità
competenti fornita del necessario quadro regolamentare ed è stata
accolta nei diversi contesti mondiali: dapprima il mercato statunitense,
che ha posto pionieristicamente fine al monopolio del colosso AT&T; in
seguito il contesto europeo ed infine il recepimento da parte dell’Italia
della disciplina comunitaria, fino all’analisi dello scenario competitivo
che ne è derivato, e che attualmente connota il settore, e delle
x
conseguenze del meccanismo concorrenziale sul piano tariffario
dell’offerta. Proprio su quest’ultimo aspetto si evidenzia il diverso
posizionamento strategico di chi, all’interno del settore, gioca il ruolo di
incumbent, e quindi proteso alla difesa della propria posizione
dominante acquisita nel tempo mediante approcci relazionali e una
strategia di non price competition (maggiore ampiezza della gamma di
prodotti/servizi offerti ad esempio), e i new comers, aggressivamente
proiettati alla conquista di una sempre maggiore penetrazione del
mercato, e quindi naturalmente orientati ad una strategia di primo
prezzo.
L’impianto teorico della strategia relazionale e di fidelizzazione
ingaggiata dall’incumbent, le motivazioni che ne sono alla base e i
meccanismi di consumer behavior e customer loyalty vengono presentati
ed analizzati nella loro validità nel capitolo II. Nello specifico, vengono
confrontati il modello di comportamento d’acquisto presentato da
Busacca ed il più complesso modello dinamico di loyalty di Costabile, per
evidenziare come entrambi, secondo logiche similari ma differenti,
enfatizzino il ruolo degli switching costs nella conquista della fedeltà del
cliente, e la possibilità che il loyalty marketing incida su tali costi di
passaggio. Le strategie di fidelizzazione, strettamente subordinate
all’instaurazione di una relazione con la clientela, incidono sulla
creazione di valore ed il capitolo analizza l’impatto della fedeltà sul
raggiungimento di vantaggio competitivo. L’orientamento al cliente deve
xi
essere finalizzato alla specificazione del potenziale di varietà e
variabilità espresso dalla domanda nella direzione più coerente con le
conoscenze possedute dall’impresa e, quindi con gli obiettivi di
accrescimento del valore patrimoniale e del valore offerto al mercato
(Busacca, 1998).
Di seguito, il capitolo III passerà ad analizzare le componenti del
Customer Relationship Management funzionali alla realizzazione della
strategia di relazione con la clientela. Il capitolo, d’altra parte, metterà
in luce come, solo attraverso una estrema attenzione ai canali attraverso
cui il cliente entra in contatto con l’azienda, si riesca ad ottenere una
gestione veramente integrata del “customer asset” e si riesca a validare
la strategia di fidelizzazione adotatta.
Infine, nel capitolo IV, verrà presentato il caso Telecom Italia S.p.A. e la
strategia di fidelizzazione che la società ha deciso di intraprendere.
Verranno descritte le modalità di definizione, pianificazione strategica
ed implementazione operativa del “Progetto Fedeltà” la cui
responsabilità è stata attribuita al Team Loyalty che lavora
trasversalmente nelle differenti business unit del gruppo. In modo
incisivo il capitolo presenterà la specifica attuazione pratica
dell’impianto teorico criticamente analizzato nei capitoli che lo
precedono e, proprio alla luce di dette teorie, verrà data una
valutazione sulle iniziative intraprese dal management aziendale.
1
1 Il marketing delle Telecomunicazioni: dal
monopolio alla concorrenza
Introduzione
Nel corso degli ultimi decenni, il settore delle telecomunicazioni, in
virtù della sua redditività, ha assunto un ruolo fondamentale a
livello nazionale, regionale e mondiale, sia in termini economici che
in termini sociali, sperimentando la maggiore crescita e creando
nuove opportunità di lavoro in quei Paesi dove sono state create le
condizioni per operare in regime di libera concorrenza.
La rapidità delle trasformazioni tecnologiche che hanno
caratterizzato tale settore, accompagnate dall’introduzione della
concorrenza nel relativo mercato, hanno conferito alle
telecomunicazioni un ruolo d’avanguardia nella globalizzazione
dell’economia. Lo sviluppo di tecnologie avanzate ha portato alla
creazione e allo scambio di nuovi servizi; in questo contesto, le reti
di telecomunicazioni svolgono la funzione di colonna vertebrale
della cosiddetta “società dell’informazione”, nella quale la
comunicazione è utilizzata quale merce privilegiata di scambio e la
ricchezza è rappresentata soprattutto dal possesso delle
informazioni.
Dal punto di vista economico, le telecomunicazioni rappresentano
uno dei più importanti e redditizi settori. E’ l’unico che abbia
mantenuto una crescita costante malgrado la generale recessione
economica che ha caratterizzato l’economia mondiale negli ultimi
decenni. L’evoluzione tecnologica intervenuta nel mercato e gli
innegabili benefici generati, in Paesi quali Stati Uniti e Giappone,
dal processo di liberalizzazione, hanno intaccato le fondamenta
2
della tradizionale teoria del monopolio naturale quale forma
ottimale di gestione di tale mercato, soprattutto relativamente ai
nuovi servizi.
La natura stessa dei nuovi mercati di telecomunicazione,
caratterizzati da varietà, flessibilità e rapidità di sviluppo, rende
ormai necessario realizzare pienamente in ambito multilaterale gli
obiettivi di concorrenza e liberalizzazione.
Appare quindi evidente la necessarietà della concorrenza, quale
unico strumento idoneo a garantire l’effettiva liberalizzazione del
settore, nonché la realizzazione di un sistema efficiente e
competitivo di telecomunicazioni, che sia in grado di assolvere alle
molteplici esigenze dei consumatori e di assicurare ad una pluralità
di operatori il reale accesso al mercato e ai servizi, in condizioni di
parità e a prezzi ragionevoli.
Ad oggi, nella prospettiva di un mercato globale pienamente
liberalizzato, la politica di concorrenza deve mirare ad affinare i
propri strumenti di sorveglianza, ma anche valutare secondo criteri
di flessibilità ogni iniziativa specifica, salvaguardando sia il
progresso tecnologico, sia l’interesse collettivo.
Il recente passato ha visto l’avvio di processi di liberalizzazione e
apertura al mercato di settori precedentemente organizzati in
forma di monopolio. I primi processi di riorganizzazione del settore
delle telecomunicazioni sono stati avviati negli anni ottanta, un
decennio prima di interventi analoghi in altri settori di pubblica
utilità. Ciò può essere stato determinato dalla dinamica tecnologica
che, più che in altri casi, ha esercitato una forte pressione
all’apertura del mercato ad una pluralità di operatori (Cervigni e
D’Antoni,, 2000). Nel settore delle telecomunicazioni, infatti,
l’innovazione tecnologica ha determinato una estensione di servizi
3
disponibili e cambiamenti nelle modalità di offerta dei servizi
tradizionali e negli strumenti per il coordinamento tra i fornitori
(Grassini et al.. 1998).
La riforma regolatoria e la deregolamentazione sono state
implementate a differenti livelli:
A livello globale 69 paesi, rappresentanti più del 93% del
mercato globale delle telecomunicazioni, hanno sottoscritto
l’accordo del World Trade Organization nel febbraio 1997,
che prevedeva la piena liberalizzazione del mercato
domestico delle telecomunicazioni entro il 1° gennaio 1998,
includendo tutti i possibili mezzi di telecomunicazione:
wireline, wireless e satellitare (WTO, 2000).
A livello internazionale, l’Unione Europea ha rappresentato il
principale propulsore di accordi di questo tipo. Il processo di
liberalizzazione, che aveva già preso avvio alla fine degli
anni ottanta, doveva portare alla piena liberalizzazione
entro il 1° gennaio 1998.
Nazionale (governo italiano)
1.1 Il processo di liberalizzazione negli U.S.A.
Non vi è dubbio sulla leadership americana del cambiamento
da un sistema monopolistico alla liberalizzazione del settore delle
telecomunicazioni (Pontarollo e Rovizzi, 1998). Infatti gli Stati Uniti
hanno più coerentemente e radicalmente, oltre che in anticipo
rispetto agli altri Paesi, sviluppato le politiche concorrenziali,
4
guidando successivamente al cambiamento la Comunità Europea e,
a livello nazionali, i singoli Stati membri
1
.
Il settore delle telecomunicazioni statunitense è stato
fortemente caratterizzato dalla presenza ingombrante della AT&T,
holding del gruppo Bell, che aveva detenuto la posizione di
monopolista attraverso il brevetto relativo ai terminali telefonici
prima, fino al 1984, e poi con quello relativo alla trasmissione di
segnali telefonici a lunga distanza
2
. A partire dal 1914, attraverso
provvedimenti che coinvolgevano le autorità politiche statali, prese
avvio il processo di consolidamento obbligato delle compagnie locali
che diede luogo al Bell System. Il monopolio di AT&T venne di fatto
sancito nel 1921 con il Graham Act che escludeva dall’ambito di
applicabilità della legislazione antitrust le compagnie telefoniche
locali. Da quel momento il rapporto tra At&T e l’autorità regolatoria
si caratterizzava come un accordo in cui, in cambio della tutela
della posizione di monopolio e della garanzia di un adeguato
rendimento sul capitale, AT&T si impegnava a sviluppare la rete di
telecomunicazioni con l’obiettivo di raggiungere la copertura
pressoché totale del territorio, a perseguire l’obiettivo del servizio
universale, attraverso la distorsione delle tariffe nella direzione di
bassi prezzi di accesso, e dei servizi locali, e alti prezzi dei servizi
di lunga distanza.
3
1
Unica eccezione è costuituita dalla Gran Bretagna, in cui il processo di
liberalizzazione è stato avviato e condotto in parallelo con gli Stati Uniti.
2
Allo scadere del primo brevetto, nel 1984, si avviò un intenso processo di
entrata nel settore da parte di fornitori indipendenti di servizi telefonici, i
quali installano un numero di apparecchi telefonici 10 volte maggiore di
quelli installati da Bell in 18 anni di monopolio. Dal 1894 al 1900 la tariffa
media mensile si dimezza.
3
L’autorità regolatoria era mossa dalla convinzione che il monopolio fosse
la modalità più efficace, in particolare rispetto all’alternativa
dell’intrconnessione obbligatoria tra i fornitori, ed accettò
5
Nonostante a partire dal 1960 il monopolio venisse messo in
discussione per la fornitura di terminali d’utente e la telefonia di
lunga distanza attraverso onde radio, agli inizi degli anni ottanta
AT&T forniva approssimativamente l’85% del servizio telefonico
locale attraverso le 23 Bell, Operating Company (BOC), di cui
deteneva parzialmente o totalmente la proprietà
4
(Cervigni e
D’Antoni, 2000).
Nel 1982, il Modified Final Adjustment (MFJ) sanciva un accordo
tra AT&T e l’autorità antitrust, il Department Of Justice (DOJ), che
chiudeva un procedimento in cui AT&T era accusata di utilizzare la
sua posizione dominante nelle reti locali, nei servizi di lunga
distanza, e nella fornitura di apparecchiature, per monopolizzare
l’intero mercato. Le numerose pratiche ritenute predatorie dal
DOJ
5
, documentate a sostegno dell’accusa, portarono alla
definizione, nel MFJ, dello scorporo delle attività locali di AT&T,
attraverso la creazione di sette società regionali (Local Exchange
Carrier, LEC). Ai LEC veniva vietato di entrare nella fornitura di
servizi diversi da quelli telefonici locali, ed imposto
l’aggiornamento delle infrastruture di rete necessario a fornire lo
l’autocandidatura di AT&T come persecutore della finalità del servizio
universale.
4
Erano inoltre presenti nel settore: alcune imprese relativamente grandi,
come General Telephone and Electronics (GTE) e United Communications,
che servono le aree meno popolate del Paese; alcuni nuovi entranti nella
trasmissione di lunga distanza; e circa 1500 società telefoniche rurali, che
servivano circa il 4% della popolazione.
5
Tali pratiche consistevano nella negazione dell’interconnessione alla rete
locale ai competitori, trattamento asimmetrico dei collegamenti dei
competitori e di quelli propri in termini di qualità e menutenzione,
riduzini selettive dei prezzi delle linee private e dei servizi digitali,
approvvigionamento dei componenti di rete in esclusiva alla propria
controllata Western Electric (Cervigni e D’Antoni, 2000).
6
stesso tipo di interconnessione a tutti i servizi di lunga distanza
(equal access)
6
.
Inoltre, il territorio degli Stati Uniti veniva suddiviso in 161 Local
Exchange and Transport Area (LATA), dando luogo ad una
trasformazione di alcuni percorsi intra-statali in percorsi intra-LATA,
con l’effetto di trasferire 5 miliardi di dollari di ricavi da AT&T alle
compagnie locali, equivalenti al 50% dei ricavi di AT&T nella
telefonia interurbana commutata
7
(Cervigni e D’Antoni, 2000). La
risultante di tale trasformazione era, in definitiva, la creazione di
una struttura caratterizzata da otto imprese con valori degli
impianti paragonabili fra loro, tra le quali AT&T, pur possedendo un
sesto del valore degli impianti del Bell System, otteneva più di due
terzi dei ricavi totali
8
.
In realtà, l’approccio del DOJ, che pone la questione in termini di
comportamenti anticompetitivi di AT&T, sembra fuorviante, dal
momento che tutte le motivazioni addotte sono riconducibili alla
possibilità di attuare, da parte di AT&T integrata, pratiche
anticompetitive. Nel dibattito non compaiono, invece, motivi di
inefficienza tecnica, prezzi troppo elevati o esercizio di potere di
mercato, né questioni sulla non naturalità del monopolio di AT&T
6
Con gli impianti esistenti, i competitori ottenevano una connessione
qualitativamente inferiore rispetto ad AT&T, poiché era necessario che
l’utente che volesse utilizzare la rete di un fornitore diverso da AT&T,
componesse per ogni chiamata un codice di accesso fino ad 8 cifre. L’equal
access consentiva di indirizzare automaticamente al fornitore prescelto
tutte le chiamate dellp’utente (pre-subscription).
7
Per una esposizione dettagliata della struttura costi-ricavi delle
compagnie interessate dal processo di liberalizzazione statunitense si
confrontino, tra gli altri, McAvoy e Robinson, 1983.
8
Nel 1984 i ricavi totali medi di ciascun LEC sono di circa 10 miliardi di
dollari, quelli di AT&T 33 miliardi (McAvoy e Robinson, 1983).