0.0 Introduzione 2
scapito della velocita` di misura e viceversa.
Nei rivelatori a dispersione di lunghezza d’onda si sfrutta la dif-
frazione alla Bragg da parte di un piano cristallino per selezionare la
lunghezza d’onda dei raggi x che vengono trasmessi a un contatore
proporzionale a gas. Variando l’inclinazione e il piano cristallino si ef-
fettua la scansione dell’intervallo di energie interessante ricostruendo
lo spettro completo. Questo metodo consente di raggiungere elevate
risoluzioni intrinseche e ritmi di conteggio elevati (fino a 50000 even-
ti al secondo), al prezzo di una procedura di misura lunga a causa
dell’elevato numero di passi richiesti per coprire il range di energie
voluto.
I dispositivi a dispersione di energia si basano sulla misurazione
dell’energia rilasciata dai fotoni incidenti in un rivelatore a stato soli-
do o a gas che converte l’energia rilasciata in ionizzazione; ad esem-
pio nei dispositivi a semiconduttore si sfrutta la produzione di coppie
elettrone-buca e si misura la carica corrispondente: per queste appli-
cazioni si usano in genere diodi PIN raffreddati per diminuire il rumore
termico. In questo modo si copre contemporaneamente tutto lo spettro
di energia richiesto; anche se questi sensori hanno risoluzione di gran
lunga peggiore di quelli a dispersione di lunghezza d’onda sono molto
piu` diffusi in ambito industriale grazie alla loro praticita`, velocita`ed
al loro costo piu` basso. La risoluzione si puo` migliorare diminuendo
l’area dell’assorbitore, ma poiche` un oggetto piccolo intercetta meno
fotoni di uno a grande area conseguentemente diminuisce l’efficien-
za di conteggio. Per questi rivelatori occorre quindi raggiungere un
compromesso tra la risoluzione e il rate di conteggio.
Il gruppo di cui faccio parte ha sviluppato per la spettroscopia X
ad alta risoluzione dei microcalorimetri in cui si misura la variazione di
temperatura, collegata all’energia del fotone incidente dalla relazione
∆T = E/C (dove C e` la capacita` termica dell’assorbitore). Questi
0.0 Introduzione 3
calorimetri vengono usati in ambiente criogenico (T ≈ 100 mK)per
minimizzare le fluttuazioni termiche intrinseche, che sono proporzion-
ali alla temperatura, e la radice della capacita` termica del sistema,
che cresce almeno linearmente al crescere di T[1]. Per molti anni si
sono adoperati termistori al Germanio drogato per misurare la vari-
azone di temperatura ∆T: aumentando la temperatura diminuisce
la resistenza del Germanio, misurando questa variazione si ottiene la
corrispondente energia depositata. La precisione della misura dipende
quindi dal guadagno di questo trasduttore e dalle condizioni di lavoro,
ripercuotendosi anche sull’effettiva risoluzione.
Successivamente per migliorare questo tipo di spettrometri si e`
passati all’uso di sensori a transizione di fase superconduttiva o TES
(TransitionEdgeSensors)alpostodeitermistorialGermanio.ITES
funzionano come trasduttori per la misura termometrica di ∆T in
base al passaggio di un materiale dallo stato superconduttivo a quel-
lo normale. Nella pratica si realizza un film, generalmente a forma
di serpentina, di materiale superconduttore con una data tempera-
tura critica T
C
e si pone in contatto termico con l’assorbitore; tutto
l’oggetto viene poi immerso in un bagno che lo mantiene termostatato
poco al di sotto della temperatura critica. Mantenendo una differenza
di potenziale costante
1
ai capi della serpentina si dissipa una piccol-
issima potenza termica determinata dalla resistenza residua secondo
la relazione P = V
2
/R;questafas`ı che il film superconduttore si pon-
ga sul margine della transizione di fase, nelle condizioni ideali per
fornire le sue migliori prestazioni. Quando un fotone incide sull’assor-
bitore l’aumento di temperatura fa muovere il superconduttore “lun-
go” la transizione, verso valori di resistenza maggiori causando una
variazione nella corrente dal momento che la differenza di potenziale
e` tenuta costante. Mediante uno SQUID si misura questa variazione
1
questo punto e` molto importante per ottimizzare il funzionamento del TES
0.0 Introduzione 4
e si risale all’energia depositata.
Con i sensori a transizione di fase si risolvono vari problemi creati
dai termistori e cioe`:
• la bassa sensibilita` termometrica α =
1
R
dR
dT
che per i TES e`1÷ 2
ordini di grandezza piu`elevata;
• l’elevato rumore Johnson nel punto di lavoro in cui le resistenze
assumevano valori di 10
8
÷ 10
9
Ω;
• le non linearita` prodotte dalla debole interazione elettrone-fonone
nel semiconduttore drogato.
Questi fattori uniti comportano un limite effettivo alle prestazioni
dei rivelatori con sensori semiconduttori introducendo errori di vario
tipo. Usando i TES si migliora il guadagno dal momento che la tran-
sizione e` molto brusca e avviene nell’arco di pochi decimillesimi di
Kelvin.Inoltre il fatto che il sensore a transizione di fase sia costituito
da una sottile serpentina di materiale comporta che abbia una capacita`
termica piu` bassa del corrispondente sensore semiconduttore “bulk”.
Operando con un sensore a transizione di fase mantenuto a tempe-
ratura di poco inferiore alla temperatura di transizione T
C
si ottiene
un netto miglioramento anche dellavelocita` di conteggio: infatti, il
problema principale e` la lentezza insita nei dispositivi termici, dovuta
alla velocita` con cui il calore passa dall’assorbitore al termometro e
da questo al bagno che termostata il tutto. Nei sensori a transizione
di fase si rimedia anche a questo inconveniente grazie al meccanismo
del feedback elettro-termico negativo: aumentando la temperatura del
dispositivo in eeguito all’assorbimento di un fotone si incrementa la
resistenza del film superconduttivo; siccome il medesimo e` alimentato
a tensione costante, diminuisce la potenza termica dissipata nel film e
questo si raffredda piu` rapidamente: percio` il rate di conteggio e` fino
a 100 volte piu` alto che nei normali termistori. Se si alimentasse la
0.0 Introduzione 5
serpentina a corrente costante si otterrebbe l’effetto inverso, diminu-
endo drasticamente il rate di conteggio. Il grosso ostacolo all’utilizzo
industriale di rivelatori di questo tipo e` dato dalla miniaturizzazione
necessaria al loro buon funzionamento, che ne limita il rate di conteg-
gio: infatti per ottenere una risoluzione di qualche eV occorre costruire
rivelatori con aree non piu` grandi di alcuni decimi di mm
2
.Aquestosi
e` pensato di porre rimedio preparando una matrice di pixel costruiti
secondo il principio dei microcalorimetri e nell’usarla per coprire una
superficie piu`ampia.
I problemi da risolvere nella costruzione di una matrice di mi-
crocalorimetri sono dovuti a due fattori: la necessita` di operare a
temperature inferiori al Kelvin e la difficolta` di interfacciamento con
l’elettronica di lettura.
Attualmente come stadio di uscita si usa un DC-SQUID accoppia-
to induttivamente al circuito di polarizzazione della serpentina: questo
oggetto ha pero` dei limiti di banda passante che rendono impossibile
seguire il segnale del rivelatore in presenza di un grande numero di
eventi da rivelare. La sostituzione dello SQUID attualmente in uso
conunDC-SQUID-ARRAYapi`u stadi, dotato di una maggiore ve-
locita` di risposta non ha sortito gli effetti sperati. Dovendo passare
da un singolo calorimetro ad un assemblaggio di migliaia di rivelatori
il problema risulta ancora piu` pressante a causa dei vincoli imposti da
una disposizione compatta. Ci si e` trovati quindi nella condizione di
ridisegnare su basi nuove un’elettronica di lettura e multiplexing per
un array di microcalorimetri. I dispositivi utilizzabili in luogo dello
SQUID devono soddisfare richieste ben precise: devono innanzitutto
essere in grado di lavorare in ambito criogenico, devono essere imple-
mentabili insieme al calorimetro in modo da avere un insieme di celle
indipendenti e devono dissipare poca potenza, fornendo una banda
passante dell’ordine del MHz.
0.0 Introduzione 6
Tra le nuove possibilita` offerte dagli sviluppi scientifici si e` scelto di
indagare le potenzialita` offerte da dispositivi realizzati con nanotubi
di carbonio. In passato il gruppo ha progettato elettroniche basate su
MOSFET, MESFET, J-FET E BJT, con lettura basata su tecniche
in DC e a modulazione. L’interesse verso questa tecnologia e` anche
motivato dall’eventualita` di realizzare dispositivi non convenzionali
che utilizzino, ad esempio, gli effetti dell’alta densita` di corrente che
si raggiunge in un’area di pochi nm
2
.
Nel nostro laboratorio non c’era esperienza pregressa nella fisica
e nella tecnologia dei nanotubi di carbonio. La prima parte del mio
lavoro e` consistita nella rilettura critica della produzione scientifica
sull’argomento per individuare le metodologie di produzione, manipo-
lazione e costruzione di dispositivi elettronici. Tra le varie tecniche
di produzione di nanotubi (pag. 1.4 e segg.) ho selezionato per i
nostri scopi una variante della “pulsed laser deposition” descritta nel
capitolo 2. Mi sono percio` occupato della progettazione del reattore
(par. 2.1.1) e della verifica dei risultati attraverso confronti con i cam-
pioni reperibili sul mercato. Ho ottenuto nanotubi di qualita` parago-
nabile quelli commercialmente disponibili (figure a pag. 36 e 38). Mi
sono poi occupato di come realizzare un dispositivo elettronico, con un
occhio di riguardo ai FET. Al momento della progettazione di questo
oggetto avevo osservato che la transconduttanza dei FET a nanotubi
realizzati da altri gruppi (se ne parla nel par. 3.2.2) era bassa a causa
del limitato effetto di campo,dovuto al fatto che la geometria non con-
sentiva di avvicinare il tubo all’elettrodo di gate. Per eliminare questo
inconveniente ho pensato di usare come gate uno strato di alluminio,
il cui ossido e` molto sottile (∼ 4 nm) e fornisce un perfetto isolamento
tra il metallo e il nanotubo.
Durante il lavoro di preparazione delle maschere fotolitografiche e`
apparso un articolo (parlo di [25]) che mostrava la validita`diquesta
0.0 Introduzione 7
idea avendo riscontrato un incremento della transconduttanza in un
dispositivo costruito come avevo pensato.
Molta parte del mio lavoro di laboratorio si e` concentrata sulla
realizzazione della struttura su cui depositare ed allineare i nanotu-
bi. Ho dovuto affrontare numerose difficolta` tecniche (descritte nel
cap. 4) per superare le quali ho dovuto apportare molte modifiche al
mio progetto, per cui lo sforzo di depositare ed allineare
2
i nanotubi di
carbonio agli elettrodi al fine di effettuare misure elettriche e`ancora
in corso durante la scrittura di questo lavoro.
2
tra l’altro volevo utilizzare una recente procedura di autoassembling per questo
scopo
Capitolo 1
Il rutilante mondo dei nanotubi
“Come fate per capire quanta bicicletta
c’e´ nelle vene di un uomo?”
Flann O’Brien
1.1 Struttura dei nanotubi
La struttura cristallina dei nanotubi puo´ essere ricondotta a quella
della grafite: essa si presenta formata da strati sovrapposti, detti fogli
di grafene. Gli atomi di carbonio di ogni piano sono disposti in un
reticolo esagonale dovuto all’ibridizzazione degli orbitali di legame sp
2
;
i vari strati sono tenuti insieme da forze di Van Der Waals , questo
fas`ı che i piani siano debolmente interagenti fra di loro dando luogo
alla caratteristica sfaldabilita´ della grafite: al contrario gli atomi di
uno stesso foglio hanno un legame molto forte.
La cella elementare del reticolo planare del grafene e´ definita me-
diante i vettori cristallografici a
1
e a
2
che si ottengo congiungendo
un atomo di carbonio con due atoni situati in posizioni equipollenti
(fig. 1.1).
Si puo´ rappresentare un nanotubo di carbonio con un foglio di
grafenearrotolatoechiusosusestesso;poich`e esistono infiniti modi
8
1.1 Struttura dei nanotubi 9
per compiere questa operazione occorre introdurre alcuni concetti per
definire la geometria di un nanotubo. In figura 1.2 si vedono i tre tipi
in cui vengono classificati i nanotubi riferendosi al loro aspetto e cioe`:
zigzag
armchair o “a poltrona”
chirali
Come si vedra` in seguito ( pag. 13 ) la geometria dei nanotubi influenza
le loro proprieta` elettroniche, per cui e` molto utile poterli distinguere
in maniera rapida. Il concetto usato per discriminare i vari tipi di
nanotubi e` la chiralita`, ovvero il modo con cui sembra che il tubo
si avvolga: come si vede anche da fig. 1.2 la chiralita` si ricollega al-
l’aspetto estetico del tubo fornendo tutte le informazioni desiderate
sulla struttura cristallina.
Figura 1.1: Vettore chirale