5
un’identità culturale giovanile, prodotto della crisi post-industriale e
dell’evoluzione tecnologica, ha attirato su di sé l’attenzione delle scienze sociali.
Momento di rottura con il quotidiano il rave illegale, innestato con microchip
emozionali, vere espansioni di memoria ram per processori neurofisiologici sotto
forma di pasticche, capsule e piccoli pezzettini di carta imbevuta di liquidi
lisergici, ha re-interpretato gli schemi comunicazionali che garantivano la normale
interazione con il mondo esterno, le barriere dello spazio e del tempo sono state
infrante e rimosse dalla festa, dal caos digitale, dal frastuono sintetico, dalla
confusione psico-attiva. La comunicazione, la trasmissione dei dati avviene
attraverso altri mezzi: il linguaggio del corpo stimolato dal fluire del suono
compatto e potente, veicola le sensazioni espandendole come balsamo benefico su
tutto il corpo; la musica, la sua potenza ipnotica si manifesta nei suoi diversi livelli
di percezione stimolati da additivi più o meno sintetici. L’enorme carica politico-
sovversiva rappresentata dal rave illegale è stata più volte sottolineata e ha
stimolato riflessioni e paragoni con le più disparate esperienze. L’illegal rave,
ricoverato in cliniche pubbliche e private, convenzionate e non, è stato sottoposto
ad un check-up completo, analisi e scansioni in tutti i formati possibili sono state
effettuate sul paziente riuscendo nel difficile tentativo di spiegare ed imbrigliare il
fenomeno all’interno di un paradigma sociale, tentativo volto al chiarimento di
alcuni aspetti di derivazione strettamente antropologica e sociologica.
Questo lavoro non pretende di aggiungere nulla di nuovo a quanto finora è stato
detto e scritto sui rave parties e in particolare sugli illegal raves. Il suo vero scopo
6
consiste nell’approfondire due diverse tematiche individuate e studiate con due
metodologie diverse tra loro per il tipo di approccio, ma con il solo fine di
apportare altre analisi e altri dati alla ricerca antropologica che ha visto nel
movimento rave un reale oggetto scientifico da studiare e da capire.
Ultimo lavoro di un percorso accademico abbastanza lungo e tormentato, questa
tesi nasce dall’interessamento ad un fenomeno che a tutti gli effetti fa parte della
mia generazione, fenomeno che all’epoca forse avevo frainteso, ma che poi, con il
passare del tempo ho iniziato a capire, ad apprezzare e ad approfondire.
Partecipai al mio primo rave, tutto compreso, nel settembre del 1991, a Fiano
Romano, nei pressi di Roma, rave che si tenne in un campo sportivo; ricordo che
quella sera suonarono Lori D, Leo Young, Mauro Tannino, Cirillo e, special guest
della serata, direttamente dall’Olanda, gli N-Joi
4
. Frequentai qualche discoteca e
un altro rave, ma questa volta a Parigi durante la notte di capodanno tra il 1992 e il
1993 all’Amicale, teatro in disuso situato nel quartiere di Anvers. Nel marzo del
1999 con la mia industrial band ho suonato all’apertura di un rave al Livello 57,
famoso centro sociale di Bologna e vanto anche qualche piccola “apparizione” in
alcuni illegal svoltisi ultimamente nei dintorni di Roma.
Posso vantare poche partecipazioni, ma all’epoca tutti i miei amici erano stati
invasi dal fomento e dal fanatismo estremo emanato dal mondo tecnologico
innovativo, trasgressivo e sempre più creativo, fascino dorato dei primi rave
parties e del dilagare del fenomeno club-house.
4
Ancora conservo il flyer della serata.
7
Molti assorbirono il colpo, altri ancora tentano con tutte le forze di tornare ad una
vita normale, fatto sta che i rave parties hanno modificato, sovvertito e
rivoluzionato il modo di divertirsi e di interagire usato da noi giovani degli anni
’90 e del nuovo millennio. Constatazioni ed esperienze personali, frammenti di
vita vissuta mixate ad una grande passione per la musica è la motivazione
principale che mi ha spinto a provare a creare una piccola mappa di batesoniana
memoria ideale ed utile per ricostruire un fenomeno mutato nel tempo e che molte
volte è stato sul punto di morire, ma che ancora respira.
La prima sezione della tesi è composta da un’ampia descrizione del fenomeno dei
rave parties così come è stata raccontata e spiegata da alcuni studiosi e giornalisti.
I temi trattati sono vari e disparati: dalla semplice ricostruzione storica e sociale
del fenomeno, all’analisi degli stati modificati di coscienza presenti e conseguiti
durante il rave; si tratta di un’insieme di pubblicazioni off-line, su supporto
cartaceo e pubblicazioni on-line, ovviamente su supporto digitale, presenti nel
Web. Il capitolo termina con un tentativo di ricostruzione storica della nascita dei
due generi musicali elettronici che hanno dato vita al movimento dei raves.
La seconda sezione si apre con un’analisi volta a delineare e a definire il concetto
di comunità virtuale sottolineando il fatto di come la comunità rave è allo stesso
tempo una comunità virtuale che vive e agisce nella rete e che per questo semplice
fatto può essere studiata attraverso una web-etnografia. L’assenza di notizie
relative alla scena americana, poco conosciuta in Europa, mi ha incuriosito e mi ha
spinto ad intraprendere un vero viaggio virtuale attraverso diversi siti Internet
8
degli Stati Uniti per cercare di conoscere ed esaminare le differenze ed i punti di
contatto tra i due movimenti raves, quello europeo e quello statunitense. Grazie
alla presenza di numerosi documenti on-line ho potuto ricostruire una piccola, ma
preziosa cartografia del movimento rave americano, il tutto supportato da una
vero e proprio tentativo di indagine etnografica telematica svolta all’interno di una
mailing-list dedicata esclusivamente ai raves. I risultati di una piccola serie di
interviste realizzate con il classico metodo face to face, danno vita a quattro
racconti che ben illustrano il fenomeno dei rave parties ai suoi esordi, tra il 1989 e
il 1992 in Italia e in particolare a Roma. Minimi sono i cenni storici, sui diversi
testi italiani e nord europei, sulla scena italiana, e in particolare romana, relativi al
periodo compreso tra il 1989 e il 1992. Piccole descrizioni del fenomeno
etichettato subito come movimento puramente commerciale, strumentalizzato nel
suo momento più buio da oscure e latenti forze politiche.
Le attenzioni degli autori e degli studiosi interessati ai raves sono state tutte rivolte
alla mutazione spontanea che ha dato origine agli illegal, fenomeno non del tutto
diverso da quello originario, ma che trae la sua dirompente carica innovativa dal
suo innesto su circuitazioni politico sociali diverse, su esperienze nomadi e tribali,
sull’impatto a volte devastante, a volte creativo del rapporto esistente tra spazio,
metropoli e territorio. Quattro testimonianze che tentano di descrivere e di fare
luce su quelli che sono stati in assoluto i primi raves tenutisi a Roma e troppo
spesso dimenticati e denigrati.
9
RAVE PARTIES: LETTERATURA E PUBBLICISTICA OFF-LINE E ON-LINE.
Il fenomeno dei rave parties è esploso e si è imposto a partire dalla fine degli anni
’80 nella cultura giovanile, dapprima in Europa, poi negli Stati Uniti fino ad
espandersi nel resto del mondo occidentale e non solo.
Da semplice fenomeno musicale, che ha visto un’evoluzione totale nel modo di
comporre e creare musica per mezzo di strumenti elettronici e digitali sempre più
sofisticati ma allo stesso tempo alla portata di tutti, si è imposto all’attenzione
dell’opinione pubblica come fenomeno culturale che ha interessato e continua ad
interessare una buona parte della comunità giovanile.
La nascita di questo movimento ha determinato un cambiamento radicale sia nel
modo di creare che nel modo di fruire la musica: sociologi, psichiatri e psicologi,
antropologi, medici, giornalisti, si sono interessati al “problema” dei rave parties
e, anche se si tratta di un fenomeno relativamente recente con poco più di 10 anni
di vita, non sono certo mancati studi e pubblicazioni volte a far luce su quello che
sembra aver “scardinato” il “normale” rapporto esistente tra musica, ballo e
comportamento sociale, almeno per quanto riguarda la cultura giovanile
occidentale.
Nei primi anni ’90 i rave parties balzano all’onore della cronaca giornalistica in
relazione ad una serie di decessi collegati all’uso di “nuove” sostanze stupefacenti,
in particolare ecstasy (MDMA) assunte da alcuni ragazzi e ragazze proprio
durante lo svolgimento di alcuni rave parties. Il panico morale scatenato dai media
10
ha fatto sì che i rave parties siano diventati sempre più un nuovo oggetto di
studio; sono diverse le pubblicazioni ed i libri che trattano il fenomeno dei raves,
fenomeno che è stato sezionato e analizzato sotto diversi punti di vista: storico-
sociale, medico-scientifico, sociologico, tutti gli aspetti e le varie sfaccettature dei
rave parties sono stati oggetto di studio, sono stati passati al setaccio per cercare di
comprendere come questo nuovo fenomeno culturale, che interessa il mondo
giovanile, abbia ormai trasformato radicalmente e per sempre il modo di divertirsi,
di pensare e di essere giovani oggi, di come si sia trasformato il rapporto esistente
tra musica e ballo e, soprattutto, tra musica , ballo ed uso di sostanze stupefacenti
volte alla ricerca e al raggiungimento di stati modificati di coscienza, della trance
indotta dal ballo, dalla musica, dalla droga. Si può parlare, a mio avviso, di un
movimento dei rave parties che possiede una forte carica rivoluzionaria perché ha
cambiato il modo in cui i giovani si relazionano con il mondo a loro esterno, che
ha sovvertito i normali codici comunicazionali dell’interazione tra i gruppi sociali
creando una nuova comunità ed una nuova sub-cultura fortemente legata alla
tecnologia: quella industriale degli spazi riutilizzati per il party, quella elettronica
e digitale dei campionatori, dei synth, delle drum machine e del Web, quella
chimica delle sostanze stupefacenti.
Utile ad una ricostruzione del contesto storico sociale in cui è nato e si è evoluto il
fenomeno dei rave parties è il libro scritto da due giornalisti inglesi Matthew
11
Collin e John Godfrey: ” Stati di Alterazione. La storia della cultura Ecstasy e
dell’Acid House”, tradotto e pubblicato in Italia nel 1998 dalla Mondadori.
5
Il libro ricostruisce la nascita e lo sviluppo della cultura dell’ecstasy, dell’acid
house e del fenomeno dei rave parties in Inghilterra verso la fine degli anni ‘80.
Per gli autori si tratta del movimento giovanile più eterogeneo e “sconvolgente”
che il Regno Unito abbia mai conosciuto : ”La cultura dell’ecstasy, e cioè la
combinazione della musica dance (in tutte le sue varie forme) con le droghe, è
stata il fenomeno dominante della cultura giovanile inglese per almeno un
decennio. Essa ha generato onde d’urto che continuano a riverberarsi nella
cultura e nella politica, influenzando la musica, la moda, le leggi, la politica
governativa e numerosissime altre aree della vita pubblica e privata. ”
6
Per
Matthew Collin la spiegazione della diffusione di questa nuova cultura tra i
giovani inglesi ed europei è semplice, addirittura banale: ”è la forma di
divertimento migliore che ci sia sul mercato, uno spiegamento di tecnologie –
musicali, chimiche ed informatiche – che assicura il raggiungimento di stati
alterati di coscienza; esperienze che hanno cambiato il nostro modo di pensare, di
sentire, di agire, di vivere.”
7
Per l’autore la cultura dell’ecstasy e dei rave parties
è una cultura che si basa su opzioni, su libere scelte e non su regole : ”Essa è
basata su una formula che si potrebbe dire ad “accesso aperto” : invece di
un’ideologia ben definita, offre una serie di possibilità che ognuno può usare per
5
M. Collin and J. Godfrey , Altered State. The story of Ecstasy and Acid House, 1997
6
M. Collin e J. Godfrey, Stati di Alterazione. La storia della cultura Ecstasy e dell’Acid House, Mondadori, 1998,
pag.14.
7
ibid. pag. 14.
12
definire la propria identità, possibilità che possono essere adattate alla storia,
alla condizione sociale e ai sistemi di credenze di ogni individuo. E’ infinitamente
pragmatica e malleabile, aperta ai nuovi significati.”
8
Una cultura aperta al
mutamento, capace di fagocitare e rielaborare simboli e significati, dinamica e
sempre capace di reinventarsi; ma anche una cultura capace di sospendere la
normale comunicazione sovvertendo gli schemi comunicazionali e
conversazionali sinora conosciuti: “La missione di riappropriarsi della coscienza,
di inventare, anche se solo per un attimo, una sorta di utopia: è ciò che il filosofo
anarchico Hakim Bey chiama una “zona temporaneamente autonoma.”
9
Cultura dell’ecstasy e dei rave party che “mette a disposizione un forum in cui la
gente può portare i propri racconti di classe, di sesso, di razza, di economia o di
morale ”
10
, ma attenzione, ammonisce l’autore, “la sua definizione, bisogna
ripeterlo, è soggetta all’interpretazione individuale: si può trattare della semplice
felicità della danza, oppure delle relazioni razziali o dei conflitti di classe; si può
trattare delle ripercussioni sociali dell’economia della droga, o dei cambiamenti
nei rapporti di genere, oppure ancora di riaffermare una perduta nozione di
comunità. In tutti i casi, sono storie che dicono qualcosa sulla vita degli anni
Novanta. E nei pochi casi in cui questa cultura ha adottato un atteggiamento
esplicitamente politico (per rompere con i regolamenti e sfidare le leggi sulle
licenze, o gli interessi costituiti che controllano l’industria del tempo libero), il
potere si è preoccupato, e ha fatto ogni sforzo per contenerne e limitarne
8
ibid. pag. 15.
9
Ibid. pag. 15. vedi H. Bey, T.A.Z. Zone Temporaneamente Autonome, Shake Edizioni, Milano, 1998.
10
Ibid. pag. 15.
13
l’impatto.”
11
Per l’autore lo sviluppo di questo nuovo movimento culturale è
stato determinato dal particolare momento storico che ha interessato l’Inghilterra
negli anni ’80: “Lo sviluppo della cultura dell’ecstasy è stato condizionato dal
tempo, dal luogo e da situazioni sociali ed economiche ben precise. Essa è stata
un prodotto della fase finale dell’era thatcheriana, quando la mappa psichica
dell’Inghilterra veniva drasticamente ridisegnata, le vecchie regole perdevano
significato, le vecchie certezze si squagliavano come neve al sole, e le nuove
dovevano ancora stabilirsi.”
12
Il libro prosegue ricostruendo gli scenari che hanno visto la nascita negli Stati
Uniti, in particolare a New York, Chicago e Detroit, della musica dance e
l’apertura dei primi veri club per gay dove all’epoca era possibile ascoltare i primi
embrioni sonori di questo nuovo tipo di musica. Viene ripercorsa l’evoluzione
della figura del Dee Jay e del nuovo modo di fare musica per mezzo di tecniche
innovative di mixaggio dei dischi in vinile integrate con l’uso di strumenti
elettronici e digitali: ”… i musicisti cominciarono ad usare l’elettronica per
creare il nuovo paradigma della dance music, lui
13
si mise a trafficare proprio
con i materiali grezzi del suono: disassemblava i dischi, li editava su nastro
allungando certe parti e tagliandone altre, e ricostruiva il flusso della musica per
dare alla sua pista qualcosa di più”
14
; nonché la storia dell’uso e della
diffusione dell’ MDMA negli USA e poi in Europa: ”In Gran Bretagna l’ecstasy
11
Ibid. pag. 16.
12
Ibid. pag. 16.
13
Frankie Knuckles, Dee jay e pioniere della House Music di New York e di Chicago.
14
Ibid. pag. 29.
14
venne dichiarata illegale nel 1977, molto prima che negli Stati Uniti… La MDMA
circolava nei club gay di Londra e nei night-club esclusivi di Soho fin dagli anni
Settanta, ma i sacchetti con la polvere erano un piacere strettamente riservato
alle stelline e ai fighetti che frequentavano i locali New Romantic come il Club
For Heroes, The Wag e il Camden Palace… Quando agli inizi degli anni Ottanta,
la gente che tornava da New York cominciò a parlare di questa droga nuova e
meravigliosa, l’ecstasy, tutto cambiò: allora tutti volevano provarla.”
15
Collin
sottolinea come all’inizio la diffusione dell’ecstasy in Inghilterra non era associata
al ballo, ma di come veniva usata e assunta per lo più in feste private: ”Ma Londra
era indietro di anni rispetto a New York; mentre Larry Levan (Dj newyorkese)
16
stava elevando la musica della droga a una forma d’arte, a Londra nessuno aveva
ancora mai sperimentato come la combinazione di chimica e suono riuscisse a
formare una sinergia capace di dare non solo piacere, ma ispirazione.”
17
La ricostruzione storica della cultura dell’ecstasy prosegue con il raccontare quella
che è stata considerata come l’estate più sconvolgente e creativa degli anni ‘80, la
famosa “summer of love”, ossia la diffusione della musica house e dell’ecstasy nei
primi club di Ibiza, isola rinomata già a partire dai primi anni Settanta per la forte
presenza di gruppi e comunità hippies e beatnik e per la forte tolleranza degli
abitanti. “Negli anni Ottanta, in corrispondenza dell’aumento della
disoccupazione in Gran Bretagna, arrivò nell’isola una nuova leva di turisti. Non
erano i classici saccopelisti, o i croceristi da due settimane sempre alticci. Erano
15
Ibid. pag. 51.
16
Corsivo mio.
17
Ibid. pag. 55.
15
ragazzi vivaci e curiosi, poco attratti dalla prospettiva di lavorare come schiavi
per un salario da fame o di sopravvivere col sussidio di disoccupazione: meglio
andare via, vedere il mondo, prendere un po’ di sole e divertirsi, piuttosto che
rimanere in una Gran Bretagna piovosa e deprimente.”
18
Due locali notturni erano la meta privilegiata di questi giovani inglesi, locali che
passarono alla storia e che, al giorno d’oggi, sono ancora attivi: il Pacha e
l’Amnesia; l’ecstasy cominciò ad arrivare ad Ibiza all’inizio degli anni Ottanta,
seguendo le strade dei viaggiatori internazionali, dei gay e dei devoti della New
Age molto attivi a quell’epoca nelle isole Baleari. “Per una sorta di bizzarra
sincronicità, il diffondersi dell’ecstasy coincise con le prime importazioni di
musica house. All’inizio della stagione 1987 i Dj inglesi Trevor Fung e suo cugino
Ian St Paul di Carshalton, che trascorrevano la vacanze sull’isola fin dai primi
anni Ottanta, aprirono un bar estivo a San Antonio. Il Project (che mutuò il suo
nome da un locale notturno di Streetham) divenne il punto di riferimento per tutti
i clubber inglesi che stavano nell’isola, e lì si incontrava molta della gente che
avrebbe formato il nucleo dell’ambiente acid house in Gran Bretagna.”
19
Nell’autunno del 1987, in Gran Bretagna, forte del successo estivo, aprirono
numerosi club dove era possibile ascoltare il sound house e acquistare ecstasy; in
poco tempo questi club furono presi d’assalto non solo da chi proveniva
dall’esperienza ibizenca, ma anche da altre persone che non avevano mai ascoltato
questo tipo di musica e naturalmente non avevano mai prima di allora assunto
18
Ibid. pag. 58.
19
Ibid. pag. 61
16
pasticche di ecstasy. Nel giro di un anno vi fu una vera e propria esplosione
dell’acid house. Ovviamente la stampa e, soprattutto, la legge non restarono a
guardare: numerosi articoli su riviste e quotidiani iniziarono a far conoscere
all’opinione pubblica questo nuovo tipo di divertimento legato all’assunzione di
una “nuova” droga di cui si sapeva ancora ben poco e, con i primi decessi per
ecstasy avvenuti già nel 1988, anche le autorità pubbliche iniziarono a prendere i
primi provvedimenti e di conseguenza molti clubs furono chiusi.
Fu così che molti acid parties iniziarono ad essere organizzati in zone sperdute
della campagna inglese, lì si era al sicuro dalla polizia e, soprattutto dai giornalisti:
”Ma anche se la campagna di isteria si era momentaneamente affievolita,
l’interesse per la stampa tabloid per la acid house provocava lo spiacevole
risultato che gli organizzatori trovavano posti da affittare con sempre maggiori
difficoltà. Mandavano delle squadre di esplorazione nelle fattorie più isolate,
offrendo ai proprietari qualche centinaio di sterline in cambio dell’affitto della
proprietà per girare qualche scena di un film o di una trasmissione televisiva via
satellite. Qualche volta la polizia, subodorando quello che c’era sotto, faceva
pressioni sul contadino perché si tirasse fuori dall’affare; spesso Colston-Hayter
e Roberts
20
non erano sicuri del luogo fino a poche ore dall’apertura, come nel
caso di Back to the future 2, a South Warnborough nell’aprile del 1989, quando si
dovettero adattare in un sito da bestiame pieno di mangime. I partecipanti presero
20
Due organizzatori e promoter londinesi.
17
la cosa con ironia pensando che quel cumulo puzzolente di pallottole, in fondo,
fosse divertente come scivolo da parco giochi.”
21
Nell’estate del 1989 la terminologia era cambiata: ”di “feste acid house”, ormai,
parlava solo la stampa. Quell’anno le feste più grandi e spettacolari i
partecipanti le chiamavano “rave”, un termine ereditato, come tanti altri aspetti
di questa cultura, dal black soul (ma la parola era già stata usata nel 1961 dal
“Daily Mail” per descrivere i giovani che facevano casino ai festival jazz, e nel
1966 il lancio della rivista di controcultura “International times” era stato
segnato da quello che la rivista stessa definì “un rave durato tutta la notte”, con i
Pink Floyd al Roundhouse di Londra).”
22
Dopo aver analizzato il “mito” di fondazione dei rave parties, Collin continua il
suo libro descrivendo la “scena” inglese in tutti i suoi particolari, dalle feste più
famose passate ormai alla storia, ai tentativi fatti dalle forze dell’ordine per
cercare di fermare l’espansione del movimento rave che aveva ormai invaso tutto
il Regno Unito. L’autore non tralascia di parlare dell’unione che avvenne nei
primi anni Novanta tra i traveller e i raver, vera operazione sincretica nata
dall’incontro di due grandi sub-culture: ”Nel 1990 cominciava a prendere forma
un’alleanza fra i traveller e i raver. I primi avevano i posti e il know how per
organizzare e gestire un evento che durasse giorni, e non ore; i secondi avevano il
suono elettronico e la nuova sostanza sintetica così affascinante, l’ecstasy.”
23
21
Ibid. pag. 103.
22
Ibid. pag. 105.
23
Ibid. pag. 205.
18
E’ in questo periodo che in Inghilterra vengono organizzati i primi grandi raduni
raves, veri e propri festival techno che si tenevano all’interno di quelli che erano
considerati i vecchi raduni hippy: Glastonbury, Castlemorton, Stonehenge, ecc.
caratterizzati dalla presenza dei grandi Sound System e delle varie Techno tribe
che avevano carpito la grande potenzialità del movimento rave. Ma il governo
inglese non restò immobile, le pressioni dell’opinione pubblica contraria allo
svolgimento di questi grandi eventi collegati all’uso di sostanze stupefacenti
fecero sì che una nuova legislazione fu presto varata per contenere, annientare e
controllare il proliferare di queste grandi feste illegali. Il Criminal Justice and
Pubblic Order Act divenne legge definitiva dello stato nel 1994 e di fatto
impediva l’organizzazione di feste ed eventi senza regolare autorizzazione; legge
che tra l’altro vietava ogni riunione con più di dieci persone che ascoltavano
musica elettronica cosiddetta “ripetitiva” caratterizzata cioè da un battito
continuo.
Il libro di Collin, scritto in collaborazione con Godfrey, offre al lettore una chiave
di lettura storica del fenomeno dei rave parties, racconta in maniera semplice ed
esaustiva, attraverso le voci dei protagonisti e non solo, la storia dell’incontro tra
la nuova musica e le nuove droghe, incontro che ha determinato per sempre un
cambiamento nel modo di vivere la notte e il divertimento di migliaia di giovani e
che ha determinato un radicale mutamento nello stile di vita e nei miti dei giovani
d’oggi.