2
Ciò determina la costruzione di un linguaggio comune non solo informale, ma che è in grado,
attraverso processi di generalizzazione ed astrazione delle esperienze concrete, di delineare possibili
percorsi competitivi in anticipo rispetto al loro concretizzarsi effettivo, senza che la formalizzazione
eccessiva comporti una rigidità interpretativa delle trasformazioni della realtà quotidiana.
E’ possibile ipotizzare che l’apprendimento ed il linguaggio essenzialmente informale diffusi
in un sistema produttivo locale di piccole imprese traducano efficacemente i mutamenti “vicini” e
contingenti, ma comportino una visione sfocata, miope, degli avvenimenti lontani e futuri.
L’apprendimento ed il linguaggio essenzialmente formale comportano invece una lettura
sfocata degli avvenimenti vicini e contingenti.
Nei momenti di incertezza strutturale è richiesta una sintesi di entrambe le facoltà
interpretative in quanto futuro e contingenza vengono talmente compressi ed avvicinati da non
rendere più possibile una loro chiara distinzione temporale.
E’ necessaria una capacità progettuale e propositiva che si innova ad una tale velocità da
apparire quasi contingente.
2. Ogni impresa scrive il proprio “racconto della conoscenza”. La proposta di alcuni indicatori.
Attraverso la lente d’ingrandimento della conoscenza l’impresa ed anche il territorio, passato
e futuro, assumono differenti contenuti: il passato viene ricondotto al sedimentato di conoscenze di
un’impresa, il futuro è interpretabile come la capacità dell’impresa di generare nuova conoscenza.
Tale capacità si esplica in due direzioni. La prima direzione è rappresentata dalla funzione
adattiva. L’impresa adatta la propria organizzazione interna e la relativa circolazione della
conoscenza in funzione dei mutamenti esterni ed esogeni all’impresa stessa.
La seconda direzione è rappresentata dalla funzione innovativa. La capacità di generare
conoscenza è funzionale per delineare nuove realtà competitive e rinnovate possibilità produttive ed
organizzative. L’impresa in questo caso si pone come agente del cambiamento e non come
inseguitrice del cambiamento.
L’impresa al suo interno è considerata come una totalità interagente di conoscenze che
retroagiscono tra loro in un sistema di interazioni non deterministiche. Il prodotto dell’impresa
può essere così concepito come un precipitato, una materializzazione della conoscenza che circola
e viene messa a sistema all’interno dell’impresa.
L’impresa si confronta e si relaziona con l’ambiente esterno che rappresenta l’insieme degli
spazi relazionali degli attori territoriali. Nel momento dell’interazione parte della conoscenza
contestuale fuoriesce dall’universo conchiuso e si confronta con la conoscenza proveniente dal
sistema esterno con il quale ogni attore interagisce.
Questa interazione con l’ambiente esterno attiva due procedimenti simultanei: l’assimilazione
e l’accomodamento. Nel caso dell’assimilazione è l’ambiente esterno che muta per opera
dell’impresa; nel caso dell’accomodamento avviene il processo inverso, è l’impresa ad adattarsi a
contatto con l’ambiente esterno. Si realizza un processo osmotico tra le imprese ed il territorio.
Ciò comporta che nel tempo le imprese influenzino e stimolino l’evoluzione della struttura
istituzionale territoriale, che, a sua volta, retroagisce sull’evoluzione e sui processi dinamici delle
imprese. Date le diverse sfere relazionali che interagiscono all’interno di un territorio, è possibile
3
ridefinire il concetto di territorio e dei suoi confini: il territorio è disegnato dalle trame dei
“labirinti della conoscenza” che si intrecciano al suo interno e ne marcano i limiti.
Se sono le trame delle relazioni che definiscono l’appartenenza più o meno radicata al
territorio, secondo una lettura basata sulla conoscenza e sui canali che essa attiva, l’insediamento
fisico dell’impresa di per sé non è più indice certo ed univoco dell’appartenenza dell’impresa al
proprio sistema territoriale. Un possibile indicatore di appartenenza è invece il confronto, il
rapporto tra la densità delle relazioni interne all’impresa con la densità delle relazioni esterne
all’impresa; successivamente è possibile distinguere quali di queste relazioni esterne si intrecciano
con il territorio di appartenenza nel quale è fisicamente insediata l’impresa.
Un’impresa può quindi abitare o alloggiare all’interno di un sistema territoriale: se un’impresa
abita un territorio, significa che ne condivide il progetto, significa che le sue dinamiche dipendono
anche dalla dinamica stessa del territorio.
Per questo è possibile individuare di macroclassi di indagine: la circolazione della conoscenza
all’interno dell’impresa, la codificazione della conoscenza, la condivisione della conoscenza con
altre imprese.
Per saggiare la circolazione della conoscenza all’interno dell’impresa, dove risieda e come sia trasmessa, è utile
capire se la conoscenza acquisita è tacita, “personale” dell’imprenditore o se è resa esplicita, condivisa con il
management.
Individuate le dinamiche interne di conoscenza, bisogna comprendere come il sapere accumulato negli anni sia
stato o possa essere codificato e trasmesso come cultura d’impresa, possa essere reso esplicito. Vanno evidenziate le
modalità, le regole della conversione della dimensione tacita verso la dimensione esplicita della conoscenza, la
codificazione della conoscenza.
Successivamente, secondo una lettura trasversale su più imprese, è possibile testare il grado di condivisione della
conoscenza con le altre imprese e col territorio, le dinamiche esterne della conoscenza.
Date queste coordinate è possibile per lo studioso ricercare e classificare indicatori introduttivi al
fenomeno, determinare l’influenza di essi per fondare successive analisi qualitative.
Descrivere il “presente industriale” di un territorio o di una parte del patrimonio
imprenditoriale in esso localizzato è un esercizio complesso; la storia, le tradizioni, i valori di
impresa radicati nel territorio si intrecciano con lo scenario di diversità settoriali, dimensionali,
organizzative e gestionali del tessuto industriale. Dall’integrazione tra passato e presente scaturisce
una composita realtà imprenditoriale in continua evoluzione.
Date queste condizioni, l’analisi presenta limiti evidenti, ma lo schema euristico è funzionale alla
ricerca di fatti, di comportamenti imprenditoriali che rivelino la complessità del “racconto della
conoscenza”. Ogni impresa può così essere consapevole del proprio posizionamento sull’“atlante”
della conoscenza.
4
3. L’impresa come “costruzione in costruzione”
La consapevolezza che guida le note del lavoro è che ogni conoscenza risultato della codifica, ogni
formula cui si perviene dopo la razionalizzazione per la generalizzazione della conoscenza presente
nell’impresa sia un sostituto inefficace del pensiero.
L’importanza del tentativo di codificare la conoscenza nell’impresa consiste nella possibilità di
innescare un processo di riflessione: gli attori economici divengono consapevoli della complessità
che caratterizza la risorsa strategica e scarsa della conoscenza: così come è difficile per un’azienda
imitare le competenze distintive che sostanziano il vantaggio competitivo di un concorrente, così le
best pratices aziendali sono difficili da imitare e diffondere internamente.
A partire dalla consapevolezza della complessità della propria dimensione interna è possibile
comprendere anche il livello di innovazione presente all’esterno dell’impresa: è ipotizzabile che
“l’organizzazione che cambia crea realmente, traendole dal proprio interno, nuove conoscenze e
informazioni allo scopo di ridefinire i problemi e le soluzioni e di ricreare, così facendo, il
contesto”.
L’ipotesi fondamentale dell’epistemologia aziendale, fatta propria in questo lavoro, è che ci sia un
parallelismo tra il progresso compiuto e l’organizzazione logica della conoscenza, dei i corrispettivi
processi mentali formativi. La chiave epistemologica si occupa della formazione e del significato
della conoscenza e di mezzi attraverso i quali la mente umana passa da un livello di conoscenza
inferiore ad uno giudicato superiore.
La trasformazione della conoscenza attiva dei processi nell’impresa, ogni attore si interroga sulla
capacità di articolare nel tempo un progetto, sulla connessione tra sapere individuale, collettivo e
progetto di impresa. Lo snodo tra sapere ed esplosione di un progetto è la chiave di volta per i
processi di apprendimento interni alle aziende, ipotizzando un percorso di sviluppo nell’impresa che
parte dall’imprenditore, dai manager per allargarsi a cerchi concentrici.
Ogni attore diviene consapevole della specificità del proprio racconto della conoscenza,
attivando questa riflessione è possibile creare una presentazione dell’idea che possa anche
descrivere la situazione in cui è stata concepita, il desiderio da cui è scaturita, la soluzione a cui si è
arrivati a coloro che non c’erano al momento della creazione e che possono apportare il loro
originale contributo. Ogni percorso di ricerca è anche il percorso attraverso la ricerca altrui,
un’esperienza mediata dalla conoscenza altrui che noi inglobiamo nella nostra idea di conoscenza e
a cui possiamo contribuire criticamente in una polifonia di significati.
Uno strumento non può sostituire un pensiero, l’addestramento all’uso degli strumenti non può
sostituire l’insegnamento, ecco perché per prendere decisioni adeguate, per leggere il valore delle
informazioni, per saperle ricercare e “ricollezionare”, l’attenzione va posta sui processi
d’apprendimento; l’impresa è qui descritta dalla metafora del cantiere, ovvero una “costruzione in
costruzione”. L’organizzazione stessa, nel suo essere in progress, richiama i processi
d’apprendimento, i percorsi di riflessione e di cumulazione del sapere che non giungono mai ad un
punto di saturazione, ma si sviluppa una competenza basata sulla risoluzione di problemi e di eventi
critici.
5
Grazie alla riflessione sulla conoscenza è possibile mettersi in una posizione di competenza sul
futuro. Il grado di inconsapevolezza negli individui può essere superato o ridotto fornendo alle
persone dei dati, un patrimonio di informazione per scegliere.
L’unico limite è posto dalla nostra comprensione, dalla nostra immaginazione, e dalla nostra
disponibilità a investirci nella ri-creazione del mondo.
1
INTRODUZIONE
Lo scopo di questo lavoro è evidenziare la problematicità che
caratterizza la creazione e lo sviluppo della conoscenza.
Le note sono il “diario di bordo” di un’indagine sullo stato
dell’informazione e sulla capacità cognitiva dell’uomo di ricevere,
elaborare, comunicare, produrre, tradurre in azione la conoscenza in
un contesto in cui il carattere dominante è la complessità.
L’impostazione prevede la partenza dalla prospettiva
epistemologica; grazie ad essa è possibile, secondo chi scrive, dotarsi
delle categorie che consentono di affrontare “l’inconsistenza
materiale” della conoscenza e di individuarne gli effetti reali.
Una volta messo a fuoco lo stato attuale dell’informazione e
sondato il livello cognitivo del soggetto, è possibile porre l’attenzione
sulle modalità del processo di apprendimento, sulla capacità
dell’uomo di esercitare la “riflessione in azione” in un’impresa sempre
più “orientata al pensiero”.
L’importanza della trasmissione dell’informazione, della
conservazione e dell’implementazione continua della conoscenza
emerge nel momento in cui analizziamo i flussi del sapere in un
ambito spaziale: lo sviluppo del “quoziente intellettivo” delle imprese
è favorito da un humus territoriale ad alta densità di relazioni.
E’ possibile pertanto intraprendere una lettura territoriale della
conoscenza grazie alla quale ogni impresa può divenire consapevole
della complessità del proprio “racconto della conoscenza”.
L’importanza che questa assume è suffragata dalla scommessa
posta dall’Unione Europea nell’Agenda 2000, il documento
programmatico elaborato dalla Commissione Europea col quale
vengono dichiarate le priorità politiche, le linee di sviluppo
dell’Unione che saranno perseguite fino al 2006.
L’Agenda è lo strumento di diffusione di un autorevole segnale
indirizzato agli stati membri sul futuro orientamento delle risorse.
2
Il secondo capitolo dell’Agenda si intitola “Porre la conoscenza
in primo piano” e identifica il legame tra conoscenza e nuove
tecnologie: “L’economia mondiale è caratterizzata oggi
essenzialmente dal suo rapido sviluppo verso la globalizzazione e
l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni.
Tali tecnologie determineranno la competitività di tutti i settori
economici a livello mondiale e favoriscono l’emergere di nuovi beni
immateriali…E’ necessario privilegiare lo sviluppo, la circolazione e
l’utilizzo di questi beni immateriali. D’altronde le politiche della
conoscenza – ricerca, innovazione, educazione e formazione –
rivestono un’importanza determinante nel futuro dell’Unione”.
Conoscenza, beni immateriali, tecnologie dell’informazione e
della comunicazione sono componenti di una filigrana comune,
tuttavia il grado di discontinuità delle nuove tecnologie rispetto alle
precedenti comporta che queste compiano prima processi di
istituzionalizzazione e di diffusione consapevole per poter “maturare”.
I contorni della sfida sono più chiari: è richiesta una evoluzione
delle proprietà cognitive dell’attore, che deve essere in grado di
partecipare consapevolmente al processo di “ri-creazione” del
mondo.
Le note tracciano alcune coordinate di questo passaggio nella
speranza di fornire come messaggio l’importanza di mettersi ora in
una posizione di competenza sul futuro.
Il lavoro si conclude con due casi esemplari, l’esperienza di uno
scienziato-imprenditore e di uno scrittore, che racchiudono le “due
anime” della conoscenza: da una parte il nostro “essere nel mondo”
rende ineludibile il confronto con lo stato mutevole delle informazioni,
dall’altra, come uomini, possiamo avere a disposizione nella nostra
ricerca una forma mentis in grado di consentirci l’orientamento.
3
CAPITOLO PRIMO
La prospettiva epistemologica
1.1 La razionalità comunicativa come condizione di progresso
L’evoluzione della cultura scientifica, filosofica ed
epistemologica è accompagnata dall’espansione delle conoscenze al di
fuori del campo di generazione originaria, secondo un diverso ritmo di
sviluppo nel tempo.
1
La tendenza all’interscambio di conoscenze, la “globalizzazione
delle conoscenze” è supportata in modo sempre più efficiente dalle
infrastrutture che sovrintendono alla trasmissione delle informazioni,
il cui scambio è oggetto della comunicazione.
“L’eco di nuove teorie si diffondono contestualmente in aree
lontane anche concettualmente…un problema rilevante e concreto è
rappresentato dal tempo necessario per selezionare le conoscenze o le
idee significative”.
2
Le teorie e la forma mentis metodologica sono causa ed effetto
dell’evoluzione delle teorie scientifiche.
Gli influssi incrociati sono l’effetto della tendenza all’inter e
multi disciplinarità, motivata dalla pluralità di aspetti, di problemi, di
interessi compresenti nell’impresa, dalla molteplicità di prospettive di
osservazione compresenti negli studi economico-aziendali.
La possibilità di aggiornare in tempo reale le concezioni
dell’economia aziendale attraverso un’operazione di trasferimento e di
applicazione di elaborazioni culturali e scientifiche differenti non
comporta automaticamente un miglioramento della qualità delle
conoscenze.
1
R. Ferraris Franceschi, “Problemi attuali dell’economia aziendale in prospettiva
metodologica”, 1997, Giuffré.
2
Ibidem
4
L’applicazione, l’utilizzo di conoscenze, di metodologie, di
modelli teorici di diversa estrazione è in sé problematica; essa
richiede la conoscenza delle situazioni reali e degli ambiti specifici
che raffigurano i contenuti, la chiarezza sugli obiettivi che si sceglie di
perseguire, la capacità di dominare intellettualmente le concezioni
scientifiche, filosofiche e culturali di base, nei loro limiti e potenzialità
che condizionano le proposte metodologiche e i risultati dottrinali.
Il rischio è sommare informazioni ad altre senza compenetrarle
né integrarle in funzione degli obiettivi d’analisi: un sapere
enciclopedico non incrementa la qualità, non porta a conoscenze
innovative, non aumenta la validità empirica delle teorie.
Inoltre i risultati di una scelta metodologica consapevole volte a
privilegiare una prospettiva di osservazione rispetto alle altre sono
affetti per definizione da relatività; ciò perché l’obiettivo prioritario e
irrinunciabile è non trascurare la complessità, carattere dominante del
sistema impresa.
A questo proposito risulta chiaro come dietro ad ogni indicatore
di sintesi proposto, dietro ad ogni elaborazione teorica che lo produce,
vi sia il tentativo di dare una risposta ad una serie di problemi
sottostanti, secondo la prospettiva che lo studioso ha scelto.
Il centro comune dell’indagine dell’economia aziendale a partire
da Gino Zappa fa leva su un indicatore sintetico, espressivo della
capacità dell’azienda di raggiungere il fine a cui la sua attività è
destinata: Zappa propone il reddito d’esercizio come indicatore
significativo.
3
A partire dalla dimensione economica portante si arriva nel
tempo a percepire l’esistenza di altre dimensioni, di fattori di crisi, di
categorie di fattori determinanti che incidono sull’andamento
aziendale al di fuori dei contenuti dei programmi dottrinali del
momento storico considerato: la via verso la crescita scientifica
conduce all’ampliamento dei confini d’indagine, all’espansione
attraverso una forma mentis metodologica inter e multidisciplinare
3
G. Zappa, “Il reddito d’impresa”, Guiffré, 1950.
5
orientata alla relatività, alla provvisorietà, alla non invarianza delle
asserzioni formulate.
Qualsiasi asserzione che risulti confrontarsi con il reale, volta a
delineare un complesso di relazioni tra variabili che raffigurano uno
stato desiderabile, assume tra le premesse o tra gli strumenti di
chiarificazione o tra gli aspetti influenti i giudizi di valore propri
dell’autore. Questi sono necessariamente presenti nella conoscenza di
tipo normativo [il “ciò che dovrebbe essere” in condizioni
predefinibili di tempo-spazio-funzionamento dell’oggetto di studio];
esse esercitano un peso rilevante, tale da condizionare l’uniformità
delle formulazioni, aumentandone la relatività, rendendo problematica
l’interpretazione delle condizioni di falsificabilità ai fini della verifica
delle proposizioni.
I giudizi di valore, collegati all’etica, entrano nella conoscenza
normativa sia nel corso dello svolgimento della ricerca, nella scelta e
nell’attuazione delle procedure metodologiche, sia nella
determinazione degli stati di desiderabilità che incidono sui risultati a
cui si perviene, sia quando diviene opportuno indicare analiticamente
gli stati, i caratteri, le conseguenze provocate dalla non osservanza
delle relazioni evidenziate.
Emerge completamente il “carattere debole” delle asserzioni
normative nel momento in cui si realizza la non-invarianza nel tempo,
nello spazio, nel funzionamento dell’oggetto di studio, l’impresa;
“l’osservatore perturba l’osservato nell’esposizione ai terzi”.
4
Nonostante i limiti evidenziati non si deve confondere a
proposito le caratteristiche, le esigenze, i criteri da applicare
appartenenti a due momenti diversi, relativi a contesti che
rappresentano i cardini a cui in senso strumentale è riconducibile
l’attività di ricerca: il contesto della scoperta e il contesto della
giustificazione.
4
Scrive Aldo Gargani: “Un osservatore, mentre descrive un mondo, sta
contemporaneamente descrivendo sé stesso che descrive quel mondo”, vediamo l’uomo
senza più nessun riferimento che non sia l’uomo stesso. A. Gargani, “Introduzione” in “La
crisi della ragione”, Einaudi, 1979.
6
Se si opera intorno alla validità di complessi teorici formulati, se
ci si occupa di verifiche o di controlli da esercitare sulle strutture
concettuali elaborate nell’ambito del contesto di giustificazione, ogni
processo logico razionale rigorosamente fondato e risultante
dall’integrazione di metodi induttivi e deduttivi, non è posto in
discussione.
Se ci si muove invece in uno stadio della ricerca nel quale
dominano gli aspetti intuitivi umani le limitazioni di un procedimento
necessariamente rigoroso sortirebbero effetti controproducenti, di
rigidità, di costrizione nei confronti della necessaria creatività che
caratterizza il momento in esame. Ad essa è affidato il compito di
intravedere nuovi legami, di superare quelli tradizionali.
Nel contesto dell’indagine sono leciti procedimenti contradditori,
reticolari, seguire vie “tortuose”, avvalersi di metodi molteplici, la
partenza da “mezze intuizioni”, da errori e le false partenze; è invece
necessaria una rappresentazione razionale del lavoro compiuto da
parte del ricercatore al termine della ricerca per comunicare i risultati
raggiunti alla comunità scientifica.
Nel momento stesso in cui si afferma che i risultati quantitativi
in azienda devono essere interpretati alla luce degli aspetti qualitativi,
automaticamente si mette in crisi quel modello razionale
semplificatore costruibile sui dati quantitativi;
5
la ricerca della
soluzione, di una nuova prospettiva a partire dalle stesse osservazioni
è compito del genio, la formalizzazione logica è passo indispensabile,
ma segue l’intuizione, razionalizza la teoria perché sia condivisibile e
sottoposta ai processi di falsificazione.
Una procedura logica rigidamente deduttiva viene sostituita in
ambito manageriale da una logica umana comportamentale, flessibile
che si adegua all’economia aziendale come scienza empirica.
In quest’ottica il procedimento di analisi storica entra nella
tradizione metodologica e culturale. La sua utilità interpretativa
5
R. Ferraris Franceschi, “Sulla costruzione delle teorie e dei modelli”, Giuffré, 1978.
7
risiede nell’offrire ipotesi di ricerca concreta,
6
queste si adattano alla
disciplina data la loro natura probabilistica, la maggioranza delle
spiegazioni storiche possono evidenziare solo alcune delle condizioni
necessarie, premesse incomplete secondo la logica deduttiva,
indispensabili ma non sufficienti per il verificarsi degli eventi.
La sfida metodologica, di “tolleranza” metodologica, non
consiste nella ricerca di illusorie relazioni “asettiche” ricostruibili
mediante l’analisi storica e l’aderenza a teorie astratte aprioristiche o
teleologiche, quanto piuttosto nell’esplicitare con chiarezza le
premesse nascoste, i giudizi di valore e le conseguenze che in ipotesi
possono trarsi da ogni teoria che pretenda di chiarificare eventi reali,
allo scopo di poterle sottoporre a quel controllo interpersonale sempre
in atto nelle comunità scientifiche, che consiste in ragionevoli esami
critici, metodologici, comparativi, senza che il campo di studi perda i
propri connotati di specificità.
7
Non ha senso pretendere l’indicazione passo per passo di una
metodologia ottimale o preferenziale: un percorso logico accettabile è
frutto di una serie di scelte dello studioso finalizzate agli obiettivi che
questi si propone di raggiungere e si avvale della conoscenza storica,
sia come contenuti interpretativi, sia come metodologie di analisi,
oltre che delle asserzioni aprioristiche che rivelano la loro utilità
strumentale.
Commentando Nietzsche, Mario Ceruti parla di “danza che crea”
dove il passo di colui che conosce traccia un’orma scientifica che il
passo successivo riconiuga in un’altra forma, perché non si dà più uno
statuto del sapere, ma un farsi e disfarsi del sapere, dove nel disfarsi
non c’è traccia di distruzione, ma continua e progressiva correlazione
a livelli sempre più alti e sempre più incerti.
8
6
Ipotesi di ricerca desunte dall’analisi storica sono utilmente applicate nella lettura
territoriale della conoscenza, approfondita nel capitolo 3.
7
“Quando manca questa consapevolezza metodologica le più svariate concezioni e filosofie
individuali e sociali imperversano nella dottrina in nome dell’obiettività, del rigore, della
neutralità.” R. Ferraris Franceschi, op. cit.
8
M. Ceruti, “La danza che crea: evoluzione e cognizione dell’epistemologia genetica”,
Feltrinelli, 1989.
8
Il metodo razionale si rivela strumentale, è necessario essere
consapevoli della rigidità connessa al procedimento delle scienze
“esatte”, del rischio che l’aspetto della formalizzazione divenga
dominante e che l’unico tipo di verifica attuabile sia quello basato
sulla coerenza logica interna: l’applicazione tout court sarebbe in
realtà quella che Horkheimer ha indicato come eclipse of reason,
l’eclisse della ragione.
9
Il metodo razionale è, oltre che strumento, verifica del lavoro
svolto a patto di prendere in esame gli aspetti di verifica semantica e
sintattica, pragmatica.
Ci si avvicina ad una razionalità di tipo comunicativo, in cui è
insito il concetto di apprendimento, che si propone di favorire il
dialogo tra differenti posizioni individuando e chiarendo i punti di
riferimento comuni, secondo il pluralismo dei metodi di ricerca, per
riconoscere la validità di una molteplicità di modelli di razionalità nei
differenti campi di analisi, in contesti e forme appropriati.
L’aspetto economico è il centro dell’orientamento delle ricerche,
ma non è più l’unico criterio discriminante per delimitare l’analisi di
una realtà aziendale multiforme in cui domina la complessità: occorre
integrare metodi e tecniche nuovi per accostarsi validamente allo
studio delle specificità della realtà aziendale non ancora
approfonditamente investigate; l’integrazione non si esaurisce nella
applicazione, nell’adattamento da contesti dottrinali differenti:
l’applicazione delle conoscenze non è mai un processo semplice e
schematico, una ricezione supina.
La ricerca deve acquisire sensibilità e consapevolezza
metodologica, chiariti i punti di riferimento comuni.
Solo in questa ottica è possibile non venir meno a quello che
Zappa ricorda essere il principio ispiratore per lo studioso: il dovere
delle teorie verso i fatti.
9
M. Horkheimer, “Eclisse della ragione, Critica della ragione strumentale”, Einaudi,
1969.
9
Le potenzialità della conoscenza hanno come unico limite il
ricercatore stesso.
La metodologia nelle sue varie forme e derivazioni si pone essa
stessa come un complesso di conoscenze, una forma mentis, una
visione sistemica di prospettive, un insieme di strumenti logici ed
interpretativi in grado di incidere sulla qualità del lavoro scientifico,
sia in termini di validazione delle teorie, sia in termini di sviluppo di
sensibilità nello studioso adeguata ai problemi.
Tutto ciò non esclude l’importanza teorica dei modelli tipici
ideali o di modelli euristici che accolgono le correlazioni tra variabili,
con essi è possibile costruire una struttura aperta, dalle molteplici
interpretazioni, lo scheletro di una teoria che nella graduale
risoluzione dei problemi potrà ricevere la configurazione empirica più
adeguata, potenziata la ricerca metodologica.
Nel “Catalogo delle Idee” di Umberto Galimberti, alla voce
“calcolo” leggiamo: “…Ma che significa pensare? C’è un pensiero
che calcola e un pensiero che pensa. Il primo è un pensiero chiuso che
nasce quando l’uomo non si coglie più nel mondo, ma pone il mondo
innanzi a sé e, oggettivandolo, ne dispone in vista del suo impiego,
della sua manipolazione, del suo dominio.
Nel chiuso recinto della sua rappresentazione, l’uomo dis-pone
la natura affinché questa soddisfi le sue esigenze, pone a propria dis-
posizione le cose che gli occorrono, tras-pone quelle moleste, ante-
pone le utili, post-ponendo le meno vantaggiose, si op-pone a quelle
che ostacolano i suoi intenti, es-pone le cose che vuol pro-porre…,
predis-pone i suoi piani per il conseguimento dei fini che s’è pro-
posto. “In tutte queste forme di porre manipolativo”, scrive Heidegger,
“il mondo è portato dal suo stare nell’ ob-stare, al suo star-di-contro.
L’aperto diviene ciò che sta di fronte (ob-jectum) e ruota intorno
all’essere umano. L’uomo si pone di fronte al mondo come di fronte a
un oggetto e propone sé stesso come lente che, di pro-posito, impone
tutte queste posizioni”.
10
A questo punto il linguaggio dice solo la parola del pensiero che
calcola, e la cosa, disposta nel chiuso di questo linguaggio, non dice
più di sé, ma dice semplicemente la sua corrispondenza al calcolo del
pensiero. Dal pensiero calcolante la cosa è proiettata nella
rappresentazione che la include.
…E’ necessario un pensiero capace di uscire dall’ambito rac-
chiuso nella previsione del pensiero che calcola, e di arrischiare
nell’aperto dis-chiuso del pensiero che pensa. Al pensiero che pensa
spetta infatti quel dire che non è mero calcolare e numerare, e che
dicendo pone la cosa in relazioni che, oltrepassando il recinto
delimitato del calcolo, chiamano in gioco i mortali e i divini, il cielo e
la terra”.
10
1.2 Il linguaggio come “valuta del sapere”, la creazione e
diffusione di nuovi linguaggi; l’epistemologia aziendale
La necessità di incentivare lo sviluppo di una razionalità
comunicativa, che consenta l’affermazione di una logica
comportamentale flessibile, orientata al dialogo, finalizzata
all’apprendimento, richiede la costruzione di un linguaggio condiviso,
in grado di produrre nuovo sapere.
Per il management è divenuto necessario comprendere chi siano
gli “operatori del sapere”, come creare learning organization,
organizzazioni di apprendimento costante, per sfruttare le opportunità
e scampare alle minacce della società dell’informazione.
La sfida proposta è tanto più ardua quanto meno è possibile
tracciare confini, identificare contesti definiti e utili che permettano di
capire come la conoscenza venga creata e trasferita dagli individui e
dai gruppi.
La lacuna metodologica può essere colmata facendo riferimento
alla branca scientifico-filosofica che si occupa della creazione stessa
del sapere: l’epistemologia.
10
U. Galimberti, “Idee: il catalogo è questo”, Feltrinelli, 1999.