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Nonostante questa resti prevalentemente una ricerca qualitativa per gli
strumenti che sono stati utilizzati, non si può negare il suo valore
quantitativo per i numerosi contributi in essa apportati. Infatti sono stati
mappati (e successivamente intervistati) sia i gruppi informali, ossia quei
gruppi che si incontrano nei bar, nelle piazze, nelle vie della città, sia quelli
formali o organizzati. Oggetto di studio del presente lavoro sono stati i
gruppi formali culturali.
Mentre per i gruppi parrocchiali o sportivi sono reperibili numerose
ricerche svolte nel corso di questi anni, per quanto riguarda i gruppi
culturali non esiste una specifica bibliografia di riferimento.
La ricerca ha preso forma grazie al confronto di due punti di vista: quello
socio-psicologico e quello sociologo di tipo sistemico.
Quest’ultimo tipo di approccio è di Niklas Luhmann ed è basato su un
meccanismo di auto-osservazione riconosciuto allo stesso sistema gruppo
(in quanto sistema di comunicazioni chiuso ed autoreferente, anche se
perturbabile dall’esterno). Il filo conduttore è la convinzione che l’unità del
sistema si fondi sulla comunicazione. Un’analisi dell’adolescenza deve,
dunque, studiare la comunicazione alla quale gli adolescenti partecipano.
Questa tesi di laurea è divisa in due parti: una dedicata a chiarire il
fondamento teorico su cui si basa tutta la ricerca e l’altra che sviluppa
l’analisi vera e propria sui gruppi culturali di adolescenti, cercando appunto
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di individuarne la struttura fondamentale che si costituisce attraverso la
comunicazione.
Nella prima parte, in particolare nel primo capitolo, viene trattata l’età
dell’adolescenza, nel secondo capitolo la teoria dei gruppi, infine nel terzo
e nel quarto vengono chiariti i concetti di intervento sociale e di
promozione e prevenzione.
Nella seconda parte, il quinto capitolo è stato utilizzato per spiegare la
metodologia della ricerca e per esporre i risultati della mappatura. Nei
capitoli sesto e settimo, viene elaborato il materiale raccolto attraverso le
interviste sia dei ragazzi, sia degli operatori, al fine di meglio comprendere
la realtà del territorio anconetano.
Mentre l’ottavo riporta l’analisi della devianza, dando particolare rilievo
alle esperienze dei gruppi.
Da ultimo, ma non per questo meno importante visti gli scopi della ricerca,
il nono capitolo dà voce alle lamentele degli adolescenti di Ancona nei
confronti della loro città, degli enti locali e degli spazi a loro riservati.
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CAPITOLO PRIMO
PIANETA ADOLESCENZA
II termine adolescenza e’ stato introdotto nella letteratura socio-psicologica
più di ottanta anni fa, per considerare, delimitare ed identificare uno studio
nel ciclo di vita delle persone reso esplicito dalle imponenti trasformazioni
sociali, culturali ed economiche che accompagnarono la rivoluzione
industriale in America e in Europa.
La condizione giovanile nasce quindi con la borghesia, in quanto questa é
la classe sociale che più delle altre si trova strutturalmente a suo agio nella
società moderna, che è una società differenziata per funzioni e che
concentra il valore della differenza sull’ego. Infatti la cultura borghese
pensa che nei giovani sia più possibile che altrove iniziare a mettere in
pratica l’idea di una precisa individualità in tutte le sue forme. Tuttavia la
prevalente impostazione positivista degli studi iniziali, le teorie endogene-
biologiste e, in parte, quelle psicoanalitiche, hanno contribuito a far
concepire le caratteristiche dell’adolescenza come costanti e perciò
indipendenti da variabili culturali e ambientali. Una simile
rappresentazione, però, soprastimava gli elementi di omogeneità ed
unitarietà del fenomeno. Storicamente l’ego e le sue possibilità relazionali
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si sono rivelate molto meno universalistiche di quanto si credeva.
L’immagine della gioventù rimane quella del valore della differenza
depositato nelle latenze biopsichiche dell’Io. Il fatto che si tratti di latenze
e, quindi, di un insieme di possibilità che vanno attivate dall’esterno tramite
INPUT adeguati, implica che la costruzione dell’individuo non può essere
del tutto indipendente dall’ambito di socializzazione in cui esso
culturalmente si forma e cresce.
I successivi studi di antropologia, le teorizzazioni psico-sociali (da Lewin a
Sherif), hanno permesso di relativizzare il concetto di adolescenza e di
collegare più strettamente i fenomeni ed i comportamenti adolescenziali
alle condizioni storico-sociali e ai tipi di interazione fra individuo e
ambiente presenti nei differenti contesti di esperienza. L’adolescenza
risulta così essere una condizione sociale legata alla complessità dell’età
contemporanea.
1.1. Una fase di transizione
Dal latino adulescens, participio presente di adolèscere, significa
“crescere”, dalla medesima radice coniugata al participio passato, deriva
l’italiano adulto, che perciò significa “che ha finito la crescita”.
Rispetto ad altre fasi dello sviluppo, l’adolescenza non è rigidamente
catalogabile in termini cronologici, coinvolta com’è in particolari situazioni
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personali e sociali concernenti l’ambiente di vita, il benessere economico e
la specifica situazione economico-culturale della famiglia.
In una definizione generale con il termine adolescenza ci si riferisce a
quella fase dello sviluppo umano normalmente compresa tra i tredici e i
diciotto anni circa, che prevede la maturazione di capacità intellettuali,
l’elaborazione di un certo numero di tensioni e conflitti emotivi che portano
ad una stabile identità sessuale e il riconoscimento della norma sociale che
definiscono il ruolo di adulto della società cui si appartiene.
In questo processo di transizione verso lo stato di adulto, entrano in gioco
ed interagiscono fra essi fattori di natura biologica, psicologica e sociale.
L’adolescenza inizia con la pubertà. Le trasformazioni corporee e le
pulsioni infantili, fino a questo periodo, latenti ed ora in piena riattivazione,
sconvolgono e pongono in crisi il senso di identità del giovane, a cui si
impone la ricerca di nuovi equilibri nei rapporti con il mondo e con il
proprio sé. Curiosità, interesse, desiderio di scoperta e di conoscenza, senso
di smarrimento e di angoscia, voglia di appagamento ed autoaffermazione,
necessità di soddisfazione e di controllo delle pulsioni, caratterizzano di
solito gli atteggiamenti, i pensieri, i modi di essere degli adolescenti
rispetto ai problemi ed alle novità del sesso e della sessualità. Va tenuto,
inoltre presente, che si assiste oggi all'anticipazione di questi eventi
fisiologici e conseguentemente anche ad una crescente precocità nell’inizio
di una attività sessuale tra gli adolescenti.
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I cambiamenti fisici, d’altronde, fanno si che l’individuo è trattato dalle
persone con cui è abitualmente in contatto, e anche dagli estranei, in modo
diverso da come era trattato da bambino. Ci si aspetta da lui un
comportamento adulto, ma contemporaneamente lo si continua a
considerare non autonomo, non in grado di prendere da solo certe decisioni.
Gli adolescenti quindi, si trovano stretti nella morsa di un’enorme
contraddizione. Da una parte essi CI SONO (sono cioè riconosciuti
socialmente esistenti in quanto non più bambini) e vengono sollecitati ad
essere soggetti autonomi nei consumi, nella scuola, nella richiesta di
responsabilizzazione, si pretende per esempio che abbiano senso del
dovere, spirito di sacrificio, ecc. ecc. Dall’altra parte invece NON CI
SONO e vengono costretti ad un prolungamento della dipendenza sia
economica che emotiva. Il non esserci si traduce in sostanza, in un’assenza
di autonomia e di potere nelle relazioni sociali.
Per inserirsi in modo attivo nella società, il ragazzo deve in concreto
affrontare dei COMPITI DI SVILUPPO (o COMPITI EVOLUTIVI)
indispensabili per un passaggio soddisfacente alle fasi successive del ciclo
della vita. Havighurst elabora la prima definizione di compito di sviluppo,
come “un compito che si trova a mezza strada tra un bisogno individuale ed
una richiesta sociale”. I compiti evolutivi sono definiti dunque come
abilità, funzioni, conoscenze, atteggiamenti che un individuo acquisisce o
deve acquisire in un certo momento della sua vita. Con una metafora,
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potremmo anche dire che essi sono come delle verifiche periodiche (in
diversi ambiti della vita) che uno studente (l’adolescente) deve superare
con esito positivo per raggiungere il diploma di maturità (divenire adulto).
Infatti, il realizzare con successo un compito evolutivo conduce al
raggiungimento di compiti ulteriori; dal fallimento derivano invece
insoddisfazione, difficoltà nei compiti successivi e disapprovazione sociale.
I compiti di sviluppo si identificano in rapporto con la realtà in cui ogni
individuo è posto: in certe condizioni possono essere affrontati senza
drammi, in altre appaiono tutte insieme e particolarmente difficili creando
frustrazioni, angosce che portano irrequietezza, aggressività e al limite
apatia. Palmonari riprendendo gli studi di Silbereisen, propone la seguente
serie di compiti di sviluppo, riguardanti:
1) il cambiamento fisico (sapersi accettare anche dopo rapidi e rilevanti
cambiamenti di aspetto)
2) la relazione con i coetanei dello stesso sesso e di sesso diverso (accettare
le proprie pulsioni e padroneggiarle secondo valori condivisi, saper
instaurare e custodire rapporti di amicizia)
3) la partecipazione a gruppi
4) l’indipendenza e l’autonomia
5) i rapporti con le istituzioni sociali (scuola, lavoro...)
6) la scelta dei valori, e la coscienza di sé
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7) le prospettive per il futuro (legate anche all’acquisizione del pensiero
ipotetico-deduttivo che rende possibile il distaccarsi dal concreto per
dare importanza anche ad interessi orientati verso ciò che non è
presente).
Occorre precisare che altre classificazioni sono possibili e che importanti
variazioni di questo elenco possono derivare anche da fattori sociali e
culturali.
Schematizzando possiamo dire che essere adolescenti significa:
• cominciare a ricercare autonomia dalla famiglia, nel senso di emancipare
certi ambiti di vita rispetto al controllo dei genitori
• iniziare a sperimentare in proprio, a partire dalla compagnia di amici,
dall’affettività, da nuovi gusti
• fare un salto di qualità nel processo di costruzione dell’identità operando
una vera e propria riorganizzazione del concetto di sé.
1.2. La famiglia
Nell’età adolescenziale, il ruolo della famiglia non può essere negato in
quanto non più espressivo per l’adolescente stesso. La famiglia deve infatti
essere capace di svolgere il suo ruolo rapportandolo alle diverse fasi
evolutive che prima il bambino, poi l’adolescente, quindi il giovane,
attraversano.
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Rispetto all’adolescenza essa dovrà essere capace di mutare il suo ruolo,
dovrà essere capace di lasciarsi usare o di lasciarsi mettere da parte, nel
complesso gioco di legame/dipendenza, distacco/indipendenza che segna il
percorso di vita dell’adolescente.
L’infanzia, ma soprattutto l’adolescenza, pongono all’interno del nucleo
familiare, problemi di rapporto, di relazione, di comprensione, spesso anche
complessi di fronte ai quali i genitori si trovano impreparati. E’ però
importante rendersi conto che il distacco progressivo dalla famiglia può
avvenire senza conflitti laceranti. Ogni passaggio da una condizione ad
un’altra propone inevitabilmente dei conflitti, per lo meno sul piano
emotivo: è evidente che le prime scelte “fuori” dalla famiglia di un figlio
turbano un equilibrio esistente e pongono l’esigenza di ricostruirne uno
diverso. Questi conflitti, questa ridefinizione di sé e delle figure parentali,
non sono necessariamente distruttivi. Fondamentale appare invece
raggiungere un compromesso nel binomio autonomia/dipendenza; dove
autonomia è affermazione forte della propria identità, per differenziazione e
dipendenza è eccessiva identificazione con gli altri.
Gli sforzi di cimentarsi con il nuovo, di adattarsi attivamente a nuove
realtà, richiedono una precisa strategia da parte dell’adolescente ed un
ambiente che lo appoggi, gli offra occasioni di esercizio positivo e lo
gratifichi.
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Sicuramente, non è facile per uno adulto, e forse ancora di meno per un
genitore, operare in modo tale da sostenere gli adolescenti nell’esercizio dei
loro compiti evolutivi. Rispetto all’adolescente, l’adulto corre il rischio di
essere troppo uguale o troppo diverso: nel primo caso per atteggiamenti
falsamente giovanilistici, nel secondo per comportamenti troppo
paternalistici.
Occorre quindi che la famiglia contribuisca (insieme con le altre agenzie di
socializzazione) a dare al figlio adolescente uno spazio di protagonismo
non fittizio, per un impiego delle risorse coordinato ai compiti evolutivi, in
un
impegno progressivo ed armonico.
1.3. Il gruppo dei pari
Nella prima parte dell’adolescenza l’individuo si centra prevalentemente su
uno o pochi coetanei dello stesso sesso: questa esperienza fa scoprire
l’importanza dell’amicizia, del sostegno emotivo e delle opportunità che
offre di esprimere se stessi.
Nella seconda parte dell’adolescenza accanto all’amico o all’amica del
cuore, diventano importanti molti altri coetanei dei due sessi. Questo
avviene perché nel corso della ridefinizione dei diversi sistemi di sé del
soggetto [Mead, 1927-1930; Palmonari 1979, Amerio, 1987] il ragazzo ha
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bisogno di aiuto: con i coetanei egli può compiere un percorso evolutivo
comune il cui esito è rappresentato da un progressivo senso di identità e di
autonomia. Così uno degli interessi prevalenti dell’adolescente dai quindici
anni in su è rivolto al gruppo dei pari: questo costituisce un’entità sociale di
primo piano per indirizzare i processi di socializzazione e di costruzione
dell’identità verso certi esiti o verso altri radicalmente diversi. Un
adolescente in gruppo agisce comunicando con gli altri, realizzando con
loro un particolare compito pratico, assumendo una particolare posizione in
rapporto ad un problema. Tutte queste occasioni rappresentano per lui
situazioni significative in cui, attraverso le reazioni o le risposte degli altri,
il soggetto costruisce un senso del Sé come centro di iniziative e come
persona in possesso di determinati attributi.
Da questo punto di vista, il gruppo può funzionare come un luogo di
apprendimento, di controllo del proprio agire, di una più realistica
valutazione di sé e delle situazioni e può servire a mettere in atto quei
meccanismi che concretizzano in “progetti” le “aspirazioni”.
Il gruppo dei pari è stato descritto da M. e C. Sherif (1964) come un
laboratorio sociale nel quale il ragazzo o la ragazza può sperimentare scelte
e comportamenti autonomi.
Lo spostamento d’interesse verso i coetanei corrisponde ad una
diminuzione della rilevanza attribuita all’autorità ed al potere degli adulti:
sono i coetanei a fornire molti dei criteri di valore di cui c’è bisogno. Per
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cui la qualità delle relazioni fra adolescenti ed adulti può essere conflittuale
e carica di tensioni. Ciò si verifica specie quando gli adulti tentano di
“orientare” gli adolescenti verso scopi o comportamenti che questi non
sentono come propri, quando non si pongono in rapporto con un gruppo di
adolescenti se non per “insegnargli” qualcosa.
Tali difficoltà fanno in genere concludere che con gli adolescenti, specie se
sono in gruppo, è impossibile comunicare. Molte delle ricerche degli Sherif
dimostrano che questa convinzione è fondata su un equivoco. Se gli adulti
rinunciano a voler decidere ciò che il gruppo deve fare e sono veramente
interessati a capire che cosa succede nel gruppo che hanno di fronte, non
sarà poi così difficile trovare il modo di comunicare con loro.
1.4. Formazione dell’identità
In quanto età di rapide trasformazioni, l’adolescenza porta in primo piano il
problema dell’identità, la ricerca di una risposta a domande come “chi sono
io”, “quale posto occupo nel mondo”, “quale senso ha la mia presenza in
esso”.
Le mete che un soggetto elabora nel suo rapporto con il mondo, nel
percorso pre-adolescenziale, appaiono centrate prevalentemente sul
confronto diretto con la realtà circostante entro un raggio temporale che è
quello del presente o futuro prossimo. Con l’adolescenza invece, si
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incentrano attorno a due nuovi nuclei, quelli del Sé e del rapporto con
l’altro ed il raggio temporale tende sempre più ad aprirsi nella direzione
del futuro. C’è quindi un passaggio da una fase di “diffusione dell’Io” negli
oggetti, ad una fase di “approfondimento dell’Io”.
La condizione adolescenziale è profondamente radicata in un terreno socio-
culturale sul quale si sviluppano fenomeni particolari tipici di un certo
ambiente sociale. Il problema dell’adolescenza e dell’identità va dunque
affrontato partendo da presupposti genericamente umani da collocare nel
quadro delle condizioni economiche, sociali, culturali, di un determinato
momento storico.
Oggi siamo di fronte ad una generazione che sta imparando a fare i conti
con una società complessa in cui il percorso di vita individuale attraversa
una sempre più ampia molteplicità di ambiti di vita, fra cui risulta difficile
trovarne qualcuno che prevalga sugli altri, in cui è arduo individuare punti
di riferimento forti (nel senso di molti coinvolgimenti, al punto da porsi
come fonte precisa di identità).
La mancanza di riferimenti forti e facilmente individuabili proprio nel
momento in cui inizia un processo di autonomizzazione dalla famiglia e di
“uscita in mare aperto”, provoca difficoltà nella costruzione dell’identità,
impedendo l’individuazione di un aspetto privilegiato della vita che dia
unità al tutto.
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Questa assenza porta anche a limitati coinvolgimenti nei vari ambiti di vita,
per cui l’adolescente valuta, volta per volta, a seconda delle possibilità di
autorealizzazione e di gratificazione che ne potrà trarre, quanto impegnarsi,
quanto investire emotivamente. E’ quello che viene definito “atteggiamento
di negoziazione”.
In un contesto così il processo di costruzione dell’identità è centrale.
Per identità si intende “l’esigenza che ogni individuo ha di sentirsi lo stesso
pur attraverso esperienze di tipo sociale e relazionale del proprio
comportamento che lo fanno sentire continuamente diverso” [Palmonari,
1985] . Dal punto di vista psicologico, il problema è dunque di riuscire ad
attraversare esperienze diverse pur mantenendo la percezione di essere lo
stesso. L’adolescente si accorge di passare da un gruppo sociale all’altro,
da una rappresentazione di sé ad altre diverse e l’importanza dell’identità è
data proprio dalla consapevolezza che ha di queste continue mutazioni.
Anche l’approccio psicologico deve necessariamente assumere la categoria
dell’identità in una dimensione relazionale, deve cioè collegarla a quella di
socializzazione. Attraverso il proprio rapporto con i gruppi di appartenenza
e con i gruppi di riferimento, l’adolescente chiarisce oltre a quello che è e
che vuole essere, anche quello che non è e che non vuole diventare.