2
RAFFAELLO: DA URBINO A FIRENZE (1504-1508)
1.1. L’arrivo a Firenze: il contesto culturale della città ad
inizio Cinquecento.
Magnifico ac Excelso Domino tamquam Patri
observandissimo, Domino vexillifero Justitiae excelsae Reipub.
Florentinae.
Magnifice ac excelse Domine tamquam Pater
observandissime.
Sarà lo esibitore di questa Raffaele pittore da Urbino, il quale
avendo buono ingegno nel suo esercizio, ha deliberato stare qualche
tempo in Fiorenza per imparare. E perché il padre fo molto virtuoso
e mio affezionato, e così il figliolo discreto, e gentile giovane; per ogni
rispetto io lo amo sommamente, e desidero che egli venga a buona
perfezione; però lo raccomando alla Signoria Vostra strettamente,
quanto più posso, pregandola per amor mio che in ogni sua
occorrenza le piaccia prestargli ogni aiuto, e favore, che tutti quelli e
piaceri, e comodi, che riceverà da V. S, li riputerò a me propria, e lo
averò da quella per cosa gratissima, alla quale mi raccomando et
offero. Urbini, prima Octobris 1504.
Joanna Feltria de Ruvere9Ducissa Sorae et Urbis Praefectissa
3
Con questa missiva, datata primo ottobre 1504, Giovanna Feltria della
Rovere, sorella del duca Guidobaldo da Montefeltro, signore di Urbino e Senigallia,
vedova del prefetto di Roma Giovanni della Rovere, prefetto di Roma, presentava,
al gonfaloniere della repubblica di Firenze, Pier Soderini, il giovane e promettente
Raffaello
1
.
Pubblicata per la prima volta nel 1754 dall9erudito toscano Giovanni Bottari,
l9epistola fu conservata nella casa Gaddi di Firenze e venduta a Parigi nel 1856, ma
l9originale è oggi disperso. Alcune incongruenze nel testo hanno fatto dubitare della
sua genuinità
2
, tuttavia la stragrande maggioranza degli studiosi ne conferma
l9autenticità e la adduce come primaria testimonianza tra le prove documentarie del
percorso artistico dell9Urbinate. La lettera testimonia che nel 1504, riconosciuto il
talento strepitoso del figlio di Giovanni Santi, pittore dagli orizzonti figurativi
limitati già al suo servizio in tempi ormai lontani, la Praefectissa si sarebbe
interessata a favorire la crescita artistica e intellettuale del giovane Raffaello, come
attesta il passo più importante della sua missiva: <Sarà lo esibitore di questa
Raffaele pittore da Urbino, il quale avendo buono ingegno nel suo esercizio, ha
deliberato stare qualche tempo in Fiorenza per imparare=. Tuttavia, questa lettera
1
GOLZIO 1936, pp. 9-10. (1971).
2
PUNGILEONI 1822, p. 46 sospettò che fosse scritta per un certo pittore Raffaello di
Ghisello, nominato in alcuni documenti, da lui stesso pubblicati, datati 1554 e1557; ma è difficile
ammettere che questo pittore fosse già nato 50 anni prima o che fosse già degno nel 1504 di essere
raccomandato. MUNTZ 1900, pp. 75-70, la ritenne autentica; falsa invece la ritennero il Cavalcaselle-
Crowe, 1882-1885, I, pp. 196-97. Milanesi, nel commento delle Vite del VASARI, (IV, p. 320, n. 1)
pensò che il Bottari primo editore della lettera, ne avesse alterato il passo che suona: <E perché il
padre so che è molto virtuoso ed è mio affezionato=, che, secondo lui, dovrebbe leggersi <E perché
il padre fo molto virtuoso e mio affezionato=. In tal modo si eliminerebbe la fonte del sospetto di
falsità, che si trova nell9affermare ancora vivo Giovanni Santi nel 1504. VENTURI 1920, p. 7, a
sostegno dell9autenticità dello scritto notava che la lettera è datata da Urbino, dove la Prefettessa si
era recata sin dal 2 luglio (la notizia è data dal PUNGILEONI 1822, p. 46 in nota, che la ricavò da un
ms. urbinate della Vaticana) e che giustamente Giovanna Feltria poteva chiamare <suo affezionato=
Giovanni Santi, a cui aveva commissionato l9Annunciazione, ora a Brera, in occasione della nascita
di Francesco Maria, poi duca di Urbino. Oggi si ritiene per lo più autentica la missiva (COLIVA
2006, 36–7), ma nel suo monumentale repertorio, John SHEARMAN 2003, pp. 1457–62, presenta forti
argomentazioni contro l9autenticità ed è stato seguito da TALVACCHIA 2007, p. 55.
4
non impedisce di credere che Raffaello avesse già potuto visitare Firenze in
precedenza. Dopo la morte del padre, avvenuta il primo agosto 1494, e dopo averne
ereditato la bottega insieme a Evangelista da Pian di Meleto, Raffaello continuò in
un primo momento a seguirne le orme, per entrare però molto presto nell9orbita dei
mondi figurativi del Pinturicchio e, soprattutto, di Pietro Perugino
3
. Quest9ultimo,
ricordato con parole assai lusinghiere nella Cronaca rimata di Giovanni Santi
4
, aprì
una seconda bottega a Firenze nel 1493
5
; Giovanni Santi e Perugino si conoscevano
bene per aver lavorato negli stessi luoghi, da Fano a Senigallia, dalla costa adriatica
all9Umbria. Pertanto, sarebbe stato del tutto naturale se Raffaello si fosse rivolto a
una vecchia conoscenza del padre per cercare aiuto e consiglio in un momento
difficile della vita e della carriera
6
.
Lo storico dell9arte Konrad Oberhuber scrive che gli influssi decisivi per la
formazione di Raffaello <vennero da opere del Perugino terminate già nel 1495 e
1496 e perduravano ancora intorno al 1503, quand9egli stava assimilando lo stile più
tardo del maestro=
7
; anche il fatto che il Perugino viaggiava molto fu un modello per
3
DE VECCHI 2002, pp. 15-25, CRESCENTINI 2016.
4
Giovanni Santi è il primo pittore urbinate di una certa rilevanza, dotato di grande
personalità e finezza da umanista. La Cronaca rimata è un testo che il Santi compose nel 1492 in
occasione delle nozze del duca Guidobaldo ed Elisabetta Gonzaga e dedicato al padre dello sposo,
il duca Federico da Montefeltro (cfr. PUNGILEONI 1822).
5
In quello stesso anno Perugino sposò Chiara, figlia dell9architetto Luca Fancelli, un evento
che potrebbe contribuire a rafforzare l9ipotesi di un precoce soggiorno fiorentino del giovane
Raffaello, magari in qualità di ospite nella nuova casa del pittore umbro (cfr. NOVA in ROMA 2020,
p. 423).
6
Bisogna tuttavia ricordare che nessun documento ci testimonia un alunnato continuo di
Raffaello presso il Perugino, come invece ha voluto parte della critica per molto tempo
(BECHERUCCI 1968), né poteva permetterglielo la necessità di mandare avanti, insieme agli altri
collaboratori (Evangelista di Piandimeleto specialmente), quella bottega paterna di cui era il solo
legittimo erede e titolare, e che gli permise di avere la propria indipendenza fin da un9età certo assai
giovanile, ma non del tutto eccezionale per quel tempo: sì pensi al Mantegna, che a diciassette anni
firmava una grande pala d9altare e un contratto per la prestigiosa decorazione a fresco della capp ella
Ovetari agli Eremitani di Padova; si pensi ad Alessandro Allori, che a quattordici anni assumeva
lavori in proprio: per di più, Raffaello doveva essere pressato a bruciare le tappe proprio dalla
necessità di provvedere alla bottega, oltre che dalla propria, ineguagliabile, ambizione personale
(cfr. RIZZO 1983, p. 205).
7
OBERHUBER 1999, p. 17.
5
il giovane Urbinate. Tuttavia, Perugino ritornava sempre nella città toscana, ed è
documentato a più riprese a Firenze nel 1494, 1495, 1497, 1498, 1500, 1501 e 1504,
quando fece parte della commissione incaricata di scegliere il luogo più adatto per
la collocazione del David di Michelangelo. È del tutto plausibile pensare che
Raffaello abbia potuto approfittare dei soggiorni del Perugino per stargli accanto e
iniziare ad esplorare a più riprese il patrimonio figurativo fiorentino
8
.
Il clima che si respirava a Firenze era per Raffaello decisamente diverso
rispetto al suo soggiorno in Umbria. A Firenze gli artisti erano qui più che altrove
in forte concorrenza tra loro e anche tutto il popolo non si peritava di esprimere
giudizi e commenti sulle nascenti opere d9arte
9
. Il centro della città, Piazza della
Signoria, era un crocevia di eventi politici, artistici, religiosi, e talvolta drammatici,
come l9incendio di Savonarola il 23 maggio 1498. Per le strade e le piazze, nei cortili
e nelle botteghe, come quella di Baccio d9Agnolo, si incrociavano artisti e
intellettuali che scambiavano tra loro idee e vedute, suggerimenti e pareri su
tecniche, colori, anatomie e iconografie, occasioni di studio e amicizie che
avrebbero dato frutti ineguagliati. La passione antiquaria forniva poi esempi di arte
antica su cui meditare prima ancora di raggiungere Roma
10
. Firenze era il luogo dove
l9arte si sposava con la filosofia. Ambiente artistico e scuole di pensiero
intrecciavano le ricerche fin dalla fine del Trecento e le relazioni si erano
intensificate a partire da Leon Battista Alberti, teorico dell9arte, moralista,
architetto, per raggiungere il massimo di tensione e di interazione con Ficino,
8
Sul rapporto tra Perugino a Raffaello si darà conto volta per volta nelle schede del capitolo
2. Per una panoramica dei rapporti tra i due pittori si vedano i cataloghi delle mostre recenti dedicati
al Perugino, in particolare <Perugino e Raffaello= (PERUGIA 2013) e <Il meglio maestro d9Italia.
Perugino nel suo tempo= (PERUGIA 2023).
9
Scrive icasticamente MEYER ZUR CAPELLEN 2010, p. 26: <Ein großer Teil der Bevölkerung
nahm deren neueste Errungenschaften zur Kenntnis und kommentierte sie oft mit der sprichwörtlich
scharfen Zunge der Florentiner=.
10
Cfr. HENRY - PLAZZOTTA 2004, passim.
6
Poliziano, Pico e poi Leonardo. La città, liberata dal predominio mediceo,
rappresentava in quello scorcio di anni ai primi del Cinquecento un centro nevralgico
del sistema dell9arte italiana, e si può ben dire che fosse il laboratorio di un rinnovato
umanesimo.
Con l9ascesa al potere del gonfaloniere Pier Soderini le cose erano
ulteriormente cambiate. In città si era avviato un programma di accrescimento
pubblico dell9arte di eccezionale portata e di nuova concezione, dopo il fervore del
primo Quattrocento, in cui erano sorti Battistero, Campanile del Duomo,
Orsanmichele e dopo l9impulso culturale offerto dai Medici e da Lorenzo il
Magnifico nel secondo Quattrocento
11
. Il linguaggio artistico assumeva ora un ruolo
decisivo nella comunicazione e condivisione di valori <laici=, qualcosa di mai visto
dai tempi dell9antica Roma. Per sostenere queste ambizioni artistiche, erano stati
richiamati in città i due massimi artefici del momento: Leonardo da Vinci e
Michelangelo Buonarroti, attivi su più fronti e in grado di meravigliare con forme,
per dirla con Pietro Aretino, <anticamente moderne e modernamente antiche=. Dopo
gli anni oscuri della severa quaresima imposta da frate Savonarola, la
sperimentazione era ripartita e con essa la competizione ai più alti livelli.
A Firenze Raffaello giunse dunque negli ultimi mesi del 1504, trattenendosi
forse per un breve periodo, col proposito di studiare, ma anche con la speranza di
ottenere qualche commissione di una certa importanza, grazie ai buoni uffici della
Feltria. Le sue speranze vennero però deluse, certamente per la sua giovane età, ma
va considerato che il gonfaloniere fiorentino, che non dimenticava che Urbino era
stata terra di rifugio per i nemici della Repubblica, Giuliano de9Medici e suo fratello
il cardinale Giovanni, aveva ormai destinato tutte le risorse finanziarie (quelle
11
CHASTEL 1964.
7
rimanenti dalle spese per la guerra contro Pisa iniziata nel 1494) alla realizzazione
del marmoreo David di Michelangelo, simbolo della ritrovata libertà repubblicana e
inaugurato l98 settembre del 1504, e alla prestigiosa impresa della decorazione della
sala del Maggior consiglio di Palazzo Vecchio. Nel tardo autunno di quell9anno,
Leonardo, incaricato nell9aprile del 1503 di decorare una delle pareti con La
battaglia di Anghiari, stava lavorando al completamento del grande cartone nella
Sala del papa in Santa Maria Novella, e ben presto, nel dicembre, anche
Michelangelo avrebbe iniziato, nello spedale dei Tintori a Sant9Onofrio, il
monumentale studio de La battaglia di Cascina, interrotto nel marzo successivo, ma
ripreso più tardi, dall9aprile al novembre 1506; l9opera fu lasciata incompiuta, come
incompiuta fu la pittura di Leonardo, andata precocemente in rovina per un
insuccesso tecnico
12
.
Firenze era però una città in pieno fermento artistico e culturale. Oltre ai due
progetti di Leonardo e Michelangelo per la sala grande del maggior Consiglio,
c9erano da studiare a Firenze altri capolavori: sicuramente un cartone di Leonardo
con Sant9Anna, la Madonna e il Bambino, esposto nel 1501 nella chiesa dei Serviti
della Santissima Annunziata, e l9incompiuta Adorazione dei Magi per i monaci di
San Donato; forse la Gioconda e poi il già citato David in marmo del Buonarroti,
posizionato sull9arengario di Palazzo Vecchio nel giugno del 1504, dopo un
trasporto eccezionale durato più giorni. In più Michelangelo teneva al riparo dalla
vista altrui la Madonna di Bruges e stava lavorando dal 1502 al Tondo Taddei e a
quello Pitti, in una sorta di dialogo competitivo con Leonardo e quel mitico secondo
cartone (perduto) della Sant9Anna.
Gli anni fiorentini non videro tuttavia un soggiorno permanente di Raffaello
12
Cfr. BELLUCCI-FROSININI 2019.
8
nella città toscana; egli preferì, come il suo maestro Perugino, mantenere gli stretti
contatti, già felicemente avviati, con la committenza perugina e urbinate,
prevedendo soggiorni di studio e di lavoro nelle maggiori città italiane. Come infatti
risulta dal contratto per l9Incoronazione della Vergine della chiesa di Monteluce a
Perugia datato 12 dicembre 1505, il pittore ventiduenne indica, anche per il suo
socio Berto di Giovanni, come luoghi in cui potrà <essere convenuto in giudizio=, le
città di Perugia, Assisi, Gubbio, Roma, Siena, Firenze, Urbino e Venezia
13
.
Tra il 1504 e il 1508 Raffaello fece infatti temporanei ritorni nella sua patria,
sostandovi forse più ripetutamente e frequentemente di quanto non si creda, e dipinse
per il duca Guidubaldo i <due quadri di Nostra Donna piccoli, ma bellissimi e della
seconda maniera= e il perduto <quadretto d9un Cristo che ora nell9orto=
14
, e inoltre
il San Giorgio e il drago citato dal Lomazzo
15
, il dipinto per l9altarolo di Giovanna
Feltria, eseguito fra il 1507 e il 1508
16
, ed i tre ritratti degli Uffizi, ignorati dalle
fonti, ma di provenienza urbinate. Di questi ultimi, il primo in ordine di esecuzione
fu con ogni probabilità quello della duchessa Elisabetta Gonzaga
17
, databile intorno
al 1503, cioè all9epoca del rientro dei Montefeltro in Urbino. Esso è di poco
precedente al Giovane con pomo, da identificare con Francesco Maria della Rovere,
collocabile nel 1504 per i caratteri del ritratto, ancora legato ad una impostazione
peruginesca rispetto ai ritratti dei coniugi Doni. Il Ritratto del duca Guidubaldo fu
invece probabilmente dipinto dal Sanzio fra il 1506 e il 1508, in uno dei rari
13
<Et voluerunt dicte partes et dicti fidejuxores, pro predictis omnibus et singulis et eorum
observatione et solutione, conveniri posse Perusii, Asisii, Eugubii, Rome, Senis, Florentie, Urbini,
Venetiis et alibi ubique locorum et terarum, et ubi una pars alteram invenerit ibi conveni ri
voluerint= (cfr. GOLZIO, 1936, pp. 11-13).
14
Si tratta di due opere ricordate così dal Vasari, che si tende a identificare con la Madonna
di Orléans e la Sacra Famiglia conservata all9Ermitage (cfr. DE VECCHI 1966, nn. 60-61).
15
LOMAZZO 1584, p. 48 (cfr. GOLZIO 1936, p. 309 e SHEARMAN 1983, pp. 14-25).
16
Citato nella lettera del 21 aprile 1508.
17
V. la relativa scheda nel cap. 2.
9
soggiorni del duca in Urbino.
Tuttavia, fu proprio a Firenze, in quella che Benvenuto Cellini battezzerà la
<scuola del mondo=, che Raffaello iniziò il suo personale percorso ascensionale, non
solo mutando il suo stile, finora ancora troppo peruginesco, per mezzo
dell9osservazione e dell9emulazione dei grandi maestri fiorentini, ma anche
divenendo progressivamente scaltro e disinvolto nel suo rapporto con le famiglie più
in vista della nobiltà o dell9alta borghesia cittadina, da cui provenivano le richieste
di nuove opere. Il gonfaloniere a vita Pier Soderini, forte del suo entourage di
consiglieri politici e artistici, avrà avuto un certo peso nel favorire i contatti del
giovane Urbinate con i committenti e con i maestri e gli artisti operanti in città,
anche perché proprio a Soderini si rivolgeva Giovanna Feltria. Ma prima di seguire
i percorsi della committenza fiorentina e le commesse provenienti ancora da Urbino,
è bene soffermarsi sull9influenza che esercitò su di lui l9incontro con gli artisti
fiorentini, in particolare Leonardo e Michelangelo.
1.2. Lo studio dei maestri toscani: Donatello, Leonardo,
Michelangelo.
<Nessuno storico dell9arte avrebbe audacia di attribuire allo stesso maestro la
Madonna Solly, una piccola Vergine col bambino del 1502 e la Madonna del
Cardellino degli Uffizi del 1500, tanto è lo scarto tra la mediocrità della prima e il
fascino della seconda=. Il giudizio espresso da Rudolf Wittkower
18
sintetizza
perfettamente quello della quasi totalità degli studiosi. La differenza tra le opere di
Raffaello prima e dopo Firenze risulta evidente a chiunque ed è incontrovertibile,
18
WITTOKOVER 1962, p. 43.
10
sebbene la critica passata abbia percepito tale cambiamento come l9inizio della
corruzione di quello stile <angelicato= del primo periodo vissuto sotto l9ala
protettrice del padre pittore e del Perugino
19
.
Bisogna innanzitutto sottolineare che gli anni del soggiorno fiorentino furono
determinanti. Se Raffaello avesse soggiornato a Firenze in precedenza, quando
ancora il David non era stato collocato sull9arengario, prima della realizzazione da
parte di Leonardo della Madonna dei fusi, quando non si erano ancora immaginate
le due Battaglie di Palazzo Vecchio, la voglia di conoscere l9arte fiorentina da parte
del giovane artista marchigiano non sarebbe scattata in modo così viscerale e
risolutiva. Raffaello aveva certamente avuto modo di ammirare molte opere, ma
nulla aveva suscito in lui, così pronto ad assimilare e far proprie le idee altrui,
un9impressione potente come quella prodotta dall9incontro con le opere più
innovative di Leonardo e di Michelangelo.
Similmente, è stato scritto che se Raffaello fosse morto nel 1503 sarebbe
rimasto probabilmente un minore e nessuno si sarebbe ricordato di lui
20
, un giudizio
forse esagerato ma comunque comprensibile quando si mettano a confronto le opere
di Raffaello dopo il 1504 con quelle datate precedentemente. Arrivato a Firenze,
l9artista abbandonò quel che aveva imparato e adottò con ardore le nuove forme di
stile, e divenne da seguace dell9arte di Perugino a protagonista del Rinascimento;
Raffaello, avendo già ricevuto una formazione professionale, non aveva bisogno di
entrare nella bottega di un artista affermato; seguì invece la tradizione fiorentina di
studiare i grandi maestri: Masaccio come esempio dell9illustre passato, e Leonardo
e Michelangelo come artisti contemporanei dal talento eccezionale; del resto, questa
19
Cfr. DE VECCHI 2002.
20
Ancora WITTOKOVER 1962, p. 66.
11
netta evoluzione era stata già notata dal Vasari, che rimarcava infatti la differenza
tra le due maniere dell9urbinate, una prima ancora peruginesca e l9altra ormai
fiorentina, con eloquente formulazione:
<né tacerò che si conobbe, poi che fu stato a Firenze, che
egli variò e abbellì tanto la maniera, mediante l9aver veduto molte
cose e di mano di maestri eccellenti, che ella non aveva che fare
alcune cosa con quella prima, se non come fussino di mano di
diversi e più e meno eccellenti nella pittura=
21
.
Osservando la produzione grafica e pittorica dopo il 1504, messa a confronto
con la precedente, si nota un salto di interessi in merito soprattutto alla
rappresentazione del nudo e nella composizione articolata di gruppi a due o tre
personaggi: come se nulla risultassero ai suoi occhi giovanili le cose di prima,
caratterizzate da un tono ancora cavalleresco e cortese, a confronto di un linguaggio
di assoluta modernità, sublime ed eroico, come quello delle due Battaglie e del
David, invenzioni che consentirono al giovane urbinate di interpretare, superando
quei due modelli, il mondo antico, per recuperarlo a modo suo.
Sebbene la collaborazione con Perugino abbia rappresentato un momento
decisivo nella crescita del giovane Raffaello, e sebbene sia rimasto sempre un segno
dell9innegabile influsso di Piero della Francesca nella sua estetica, o quello dei
pittori nordici per quanto attiene il paesaggio e la ritrattistica, e sebbene siano
ipotizzabili viaggi a Venezia, Padova e forse anche Roma prima del 1504, è
impossibile negare come l9impatto con l9arte di Leonardo sia stato snodo
fondamentale nel proiettare Raffaello in un diverso spazio concettuale e tecnico
21
VASARI 1568, ed. 1878-1885, IV, p. 327.
12
rispetto a un mondo cavalleresco come quello che ancora aleggia nelle pale
Tolentino e Ansidei
22
, e perfino nei disegni preparatori per la biblioteca Piccolomini
a Siena
23
. Ci affidiamo ancora a Vasari che nel 1550 scriveva:
<Egli dunque avendo nella sua fanciullezza imitato la
maniera di Pietro Perugino suo maestro, e fattala molto migliore
per disegno, colorito et invenzione, e parendogli aver fatto assai,
conobbe, venuto in migliore età, esser troppo lontano dal vero:
perciocché vedendo egli l9opere di Lionardo da Vinci, il quale
nell9aria delle teste, così di maschi come di femmine, non ebbe pari,
e nel dar grazia alle figure e ne9moti superò tutti gli altri pittori,
restò tutto stupefatto e meravigliato, piacendogli la maniera di
Lionardo più che qualunque altra avesse veduta, si mise a
studiarla, e lasciando, sebbene con gran fatica, a poco a poco la
maniera di Pietro, cercò quanto seppe e poté il più d9imitare la
maniera di esso Lionardo.=
24
In queste frasi si parla di meraviglia e stupefazione, e poi di scelta ponderata
ma convinta, e ancora di studio e fatica. Tutti argomenti che spiegano lo strappo
causato dalla conoscenza dell9arte di Leonardo e la volontà messa in campo dal
giovane pittore per appropriarsi di quel linguaggio cogliendo in esso valori pratici e
spirituali. Studiare significava fare copie accurate dei propri modelli, perché a
Firenze il disegno era considerato il primo passo verso la pittura finale. Nei suoi
22
DE VECCHI 1981, p. 33, GUALDI 2009.
23
BECHERUCCI 1968, p. 28-34.
24
VASARI 1568, ed. 1878-1885, IV, p. 329.
13
Commentarii degli anni Quaranta del Quattrocento, Lorenzo Ghiberti aveva
affermato: <per lo scultore e9l pictore, el disegno è il fondamento et teorica di queste
due arti=
25
. Per lo scultore e per il pittore il disegno costituisce la base e la teoria di
entrambe queste arti. Leonardo dettagliò i passi per imparare a disegnare
correttamente: <Prima disegna dai disegni di buoni maestri fatti da opere d9arte e
dalla natura, e non dalla memoria; poi dal lavoro plastico, con la guida del disegno
fatto da esso; e poi da buoni modelli naturali e il suo devi metterlo in pratica=
26
.
Raffaello comincia pertanto a effettuare disegni e copie delle opere di
Leonardo, Michelangelo e Donatello. Si tratta di schizzi e disegni altamente
istruttivi, perché forniscono informazioni sui suoi interessi, sui suoi artisti preferiti
e sui suoi contatti, e ci permettono di seguire il suo progresso della sua formazione,
perché rivelano in modo esemplare i processi artistici e mentali di un giovane artista
ancora alla ricerca del proprio linguaggio. Tali copie creative, che anche Leonardo
e Michelangelo realizzavano, corrispondono al principio dell9imitatio
rinascimentale
27
, e documentano momenti di studio, ideazione e anche di critica
28
.
La rappresentazione degli affetti e dei desideri, delle emozioni e delle più
intime sensazioni, dalle più esili a quelle più gravi, dalle più radiose o ineffabili a
quelle più oscure e introverse, dimostra in quale misura Leonardo sia stato
importante per Raffaello. Secondo Chastel, <Raffaello ha capito molto presto e
d9istinto che l9aria dolce del suo maestro, il Perugino, la 8facile soavità9non
l9avrebbe condotto a nulla, senza l9introduzione di un principio di variazione, grazie
25
GHIBERTI 1998, p. 5.
26
DA VINCI 1971, n. 484.
27
FERINO PAGDEN 2006.
28
Per i disegni di Raffaello cfr. DE VECCHI, PETRIOLI TOFANI 1982, FIRENZE 1982-1983
JOANNIDES 1983, KNAB-MITSCH-OBERHUBER 1983, FORLANI TEMPESTI 1983, LONDON 1983
LONDON ET AL. 1999-2001, MEYER ZUR CAPELLEN 2001, pp. 103-115, WHISTLER-THOMAS 2017.