53
3.2 La traviata, genesi dell’opera e prima rappresentazione
Sussiste un acceso dibattito sulle possibilità che Verdi abbia assistito a Parigi a
una delle prime rappresentazioni de La Dame aux camèlias di Alexandre Dumas,
presentata il 2 febbraio 1852 al Théâtre du Vaudeville. Una testimonianza piuttosto
attendibile è fornita da Lèon Ecudier, editore e amico di Verdi, che nel 1856 scrisse:
[Verdi] aveva assistito una volta alla rappresentazione della Dame aux camèlias; il soggetto
lo colpì; sentì vibrare le corde della sua lira vedendo l’eroina della commedia dibattersi tra
la gioia, la vergogna e il pentimento. Al suo ritorno a Busseto egli schizzò lo scenario della
Traviata. E in venti giorni libretto e musica furono pronti ad andare in scena
163
.
Ulteriori conferme riguardanti la conoscenza di Verdi del romanzo di Dumas, prima
della scrittura della Traviata, giungono da vari biografi di Verdi. Ad esempio, Carlo Gatti
scrive nella sua monografia dedicata al compositore: «Verdi è lettore instancabile, e an-
cora più di lui appassionata per i libri è la Strepponi. Essi risiedono da alcuni anni a Parigi,
e il romanzo del Dumas lo devono aver di certo conosciuto subito». Effettivamente la sua
compagna, la celebre cantante Giuseppina Strepponi, stabilendosi a Parigi fin dal 1846
dopo il ritiro delle scene, ebbe quasi sicuramente modo di leggerlo in francese e
163
In «La France musicale», 20, 1856, p. 398
54
descriverglielo
164
. Tutte ipotesi probabili, che pur non disponendo di riscontri oggettivi,
incentivarono una serie di ricami sulla vicenda da parte degli stessi biografi, italiani e
stranieri, fondati più che altro sul fatto che Verdi viveva more uxorio con la Strepponi da
più di dieci anni prima di sposarla nel 1859. Tali biografi ritennero, dunque, di poter
leggere in chiave autobiografica l’accostarsi di Verdi alla Dame aux camèlias che trattava
di una coppia irregolare, stroncata dall’ipocrisia borghese. Verdi, secondo alcuni, avrebbe
addirittura pensato agli stessi interpreti, proponendo Giuseppina per Marguerite Gautier
(Violetta), egli stesso per Armand Duval (Alfredo) e Antonio Barezzi nella figura di
George Duval (Germont). In realtà, attenendosi ai fatti e lasciando da parte la fantasia, le
parole di Verdi in merito al suo rapporto con Giuseppina sembrerebbero respingere ogni
superflua illazione:
In casa mia vive una Signora libera indipendente, amante come me della vita solitaria, con
una fortuna che la mette al coperto da ogni bisogno. Né io, né Lei dobbiamo a chicchessia
conto delle nostre azioni; ma d’altronde chi sa quali rapporti esistano fra noi? Quali gli
affari? Quali i legami? Quali i diritti che io ho su di lei ed ella su di me? Chissà s’ella è o
non è mia moglie? […] Chissà se ciò sia bene o male? Perché non potrebbe anche essere
un bene? e fosse anche un male chi ha il diritto di scagliarci l’anatema? Bensì io dirò che a
lei, in mia casa, si deve pari anzi maggior rispetto che a me, e che a nessuno è permesso
mancarvi sotto qualsiasi titolo; che infine ella ne ha tutto il diritto, e pel suo contegno, e pel
suo spirito, e pei riguardi speciali a cui non manca mai verso gli altri
165
.
Un’altra testimonianza che rivelerebbe la lettura di una copia del dramma da parte
di Verdi, che vale la pena citare, giunge da un colorito racconto dello stesso librettista
Francesco Maria Piave del 1852:
164
Sono senz’altro di questa opinione Gino Monaldi (Verdi, 1839-1898, Bocca, Torino 1899, p. 143), An-
drea della Corte (Le sei più belle opere di Verdi, Istituto d’alta cultura, Milano, 1946, p. 115), Carlo Gatti
(Verdi cit., pp. 363-364), Franco Abbiati (Giuseppe Verdi, 4 voll., Ricordi, Milano, 1959, II, p. 163), fino
a Charles Osborne, che nel suo studio standard pubblicato nel 1969 (The Complete Operas of Verdi. A
Critical Guide; trad. it. Tutte le opere di Verdi, Mursia, Milano, 1975, pp. 258- 259) suggerisce che il
“triangolo” tra Verdi, Giuseppina Strepponi e Antonio Barezzi (imprenditore e mecenate italiano, suocero
di Giuseppe Verdi), abbia contribuito a ispirare la costellazione dei ruoli principali della Traviata.
165
G. Verdi, I copialettere, cit., p. 130.
55
Il libro era già bello e fatto […] quando Verdi s’infiamma d’altro argomento, ed io… ed io
zitto e quieto in cinque giorni dovetti fare la selva che termino di trascrivere in questo punto
[…]. Io credo che Verdi ne farà certo una bella opera perché lo vedo assai riscal- dato. […]
tutto andrà bene, e avremo un nuovo capo lavoro di questo vero mago delle moderne ar-
monie
166
.
Uno straordinario documento, infine, contiene una serie di appunti di Verdi che di-
mostrano come egli, ancor prima di lavorare con il poeta Francesco Maria Piave, avesse
intravisto già la traccia della propria futura opera nel dramma. Si tratta di due pagine di
schizzi in cui Verdi fissò una serie di elementi musicali e drammatici fondamentali ap-
partenenti al primo atto
167
.
L’esordio del 6 marzo 1853 al Teatro La Fenice di Venezia, a causa di interpreti
non all’altezza e della scabrosità dell’argomento trattato, si rivelò quasi un fiasco. Ad
ogni modo la chiave di lettura moderna adoperata da Verdi rappresentò un’evoluzione del
genere senza precedenti, come scrisse un critico dell’«Italia musicale» in occasione della
prima rappresentazione dell’opera di Verdi:
La traviata è la migliore o almeno la più progressiva delle opere moderne, perché a noi
assistendo a quest’opera ne par come d’assistere al dramma stesso di Dumas, tanto che non
sembra nemmeno musica. […] D’ora innanzi per opera di Verdi si andrà al teatro d’opera
con quella medesima disposizione con cui si va al teatro del dramma. […] Verdi è inventore
di un nuovissimo genere di musica, egli ha moltiplicato i suoi mezzi e vuole che essa sia
capace di esprimere non solo i pensieri e i sentimenti in generale, ma anche tutte le loro
modificazioni
168
.
D’altro canto, lo stesso Verdi diede prova di aver avuto dei sentori sul possibile
insuccesso della rappresentazione, come dimostrano queste profetiche parole indirizzate
alla Presidenza del Teatro La Fenice di Venezia:
166
Lettera di Piave a Guglielmo Brenna, Sant’Agata, 28 ottobre 1852, in M. Conati, La bottega della mu-
sica: Verdi e La Fenice, Il Saggiatore, Milano, 1983, p. 301.
167
Per il documento si rinvia a G. Verdi, La traviata: schizzi e abbozzi autografi, a cura di Fabrizio Della
Seta, Istituto Nazionale di Studi Verdiani, 2000.
168
«Italia musicale», marzo 1853.
56
Sia pure la Salvini e compagni, ma io dichiaro che nel caso si dia l’opera, non ne spero
niente sull’esito, che anzi farà un fiasco completo, e così avranno sagrificati gli interessi
dell’impresa (che in fine potrà dire mea culpa), la mia riputazione, ed un forte somma del
proprietario dell’opera. Amen
169
.
Ma il 6 maggio 1854 l’opera venne nuovamente ripresa a Venezia, al Teatro San
Benedetto, ed ottenne un successo clamoroso. Il trionfo fu dovuto molto probabilmente
ad un cast più appropriato e ad una serie di modifiche che vennero apportate rispetto alla
prima versione, che introdussero nuove soluzioni drammaturgico-musicali a dir poco ge-
niali
170
.
3.3 Il rapporto con la censura
I limiti censori dell’epoca, tracciati dalla pericolosità di concedere ai teatri la possi-
bilità di diffondere idee destabilizzanti e inscenare temi irriverenti e scabrosi, non rispar-
miarono di certo La traviata di Verdi. Del resto, non era la prima volta che il celebre
compositore si trovava a far fronte a problemi di censura. Ad esempio, nel 1850 con lo
Stiffelio mise in scena un ministro protestante disposto a concedere il divorzio alla moglie
adultera generando interventi censori eclatanti; e La traviata, che denunciava il basso
profilo etico della società borghese di quel tempo, difficilmente avrebbe potuto evitare la
medesima sorte
171
. Piave, che vantava una grande esperienza con la censura, cercò di
ottenere il visto per l’opera retrodatando gli eventi «A Parigi e sue vicinanze nel 1700
circa»
172
, come recita il libretto della prima assoluta. Verdi, d’altra parte, puntava
169
G. Ruffin, La traviata in breve, in F. Della Seta, La traviata. Melodramma in tre atti, libretto di Fran-
cesco Maria Piave, musica di Giuseppe Verdi, Ricordi, Milano, 2002, p. 51.
170
Ibidem.
171
M. Girardi, Elle mourut ainsi, doucement bercée et consolée en mille paroles touchantes. Realismo
poetico nella partitura di Traviata, in Traviata, Teatro Regio di Torino, Stagione d’opera 1999.
172
La traviata, libretto di Francesco Maria Piave e musica di Giuseppe Verdi, espressamente composta pel
Gran Teatro La Fenice da rappresentarsi nella stagione di Carnevale e Quadragesima 1852-1853. Nell’edi-
zione corrente della partitura La traviata, Ricordi, Milano, 1980, l’epoca è stata ripristinata «A Parigi e sue
vicinanze, nel 1850 circa. Il primo atto avviene in agosto, il secondo in gennaio, il terzo in febbraio».
57
sull’effetto che avrebbe prodotto un soggetto contemporaneo sul pubblico, e in una lettera
a Cesare De Sanctis (1824-1916) del 1 gennaio 1853 risulta chiara tutta la sua determina-
zione:
A Venezia faccio la Dame aux camélias che avrà per titolo, forse, Traviata. Un sogeto [sic]
dell’epoca. Un altro forse non l’avrebbe fatto per i costumi, pei tempi, e per mille altri goffi
scrupoli […]. Tutti gridavano quando io proposi un gobbo da mettere in scena. Ebbene io
era felice di scrivere il Rigoletto
173
.
La volontà di Verdi di rappresentare l’attualità e di non mitigare in alcun modo i
filtri della stilizzazione per attaccare alla radice i valori della società a lui contemporanea,
lo condussero a manifestare le proprie intenzioni all’impresario Lasina, e questi si pre-
murò di avvisare la presidenza del Teatro La Fenice in una lettera del 6 gennaio 1853:
Il Sig.r Maestro Verdi desidera, domanda, e prega perché i costumi della sua opera La
traviata rimanghino, come sono, dei tempi presenti, e non si trasporti l’epoca, come fece il
Poeta Piave ai tempi di Riscelux [=Richielieu]. Il sullodato Maestro mi ha formalmente
dichiarato che crederebbe sacrificata una parte dell’opera sua, se non si facesse luogo alla
di lui domanda, perché conta e spera di ottenere nei due primi atti, mentre in caso diverso,
dovrebbe fare due pezzi che, quantunque diversi, ricorderebbero il Rigoletto
174
.
Altre testimonianze che vale la pena riportare, intrise di una buona dose di sarca-
smo e indici delle chiare volontà di Verdi, provengono da una serie di lettere indirizzate
ancora a De Sanctis e a Luccardi:
Ah! Vi piace La traviata? Quella povera peccatrice così sfortunata a Venezia! Cercherò
bene di metterla all’onore del mondo. A Napoli no, perché i vostri preti e i vostri frati
avrebbero paura di vedere sulle scene quelle certe cose che loro fanno bene all’oscuro.
[Verdi a De Sanctis, 1854]
Ha fatto La traviata pura e innocente. Tante grazie! Così ha guastato tutte le posizioni, tutti
i caratteri. Una puttana deve essere sempre puttana. Se nella notte splendesse il sole, non
vi sarebbe più notte. [Verdi a Luccardi, 1854]
173
F. Abbiati, Giuseppe Verdi, cit., II, p. 189.
174
M. Conati, La bottega della musica: Verdi e La Fenice, cit., p. 306
58
La traviata ha fatto fiasco! […] Perché sul vostro S. Carlo non si potrà rappresentare indif-
ferentemente una Regina od una paesana, una donna virtuosa od una puttana? Perché non
un medico che tasta il polso, non dei balli mascherati etc. etc.? Non è degno!! Perché se si
può morire di veleno o di spada, perché non si può morire di tisi o di peste!! Tutto ciò non
succede forse nella vita comune?... [Verdi a De Sanctis, 1855]
175
La situazione non mutò oltre i confini italici: la rappresentazione della Traviata
all’Her Majesty’s Theatre di Londra il 24 maggio 1856 fu al centro di una anomala tem-
pesta mediatica. Le ragioni sono da ricercarsi, anche in questo caso, nella natura del sog-
getto poco compatibile con il profondo moralismo della cultura inglese dell’epoca. La
società vittoriana preservava un’idea di femminilità diafana e illibata fortemente condi-
zionata da etichette morali e codici sociali volti al rispetto del decoro, al senso della de-
cenza e della dignità; tali condizioni investivano addirittura ambiti artistici, quali ad esem-
pio la pratica musicale:
[Per una donna] gli strumenti a fiato sono decisamente ineleganti e per questo dovrebbero
essere lasciati agli uomini. Suonare il violoncello è ovviamente fuori discussione, mentre
il violino, sebbene non così apertamente osceno, costringe la testa ed il collo ad una posi-
zione sconveniente e che quindi non è raccomandabile. Il pianoforte, invece, nella sua ele-
ganza, è il migliore amico di una gentildonna
176
.
Al fine di inquadrare e contestualizzare al meglio la dedizione dell’Inghilterra vit-
toriana nel salvaguardare in maniera maniacale il ritegno e la compostezza delle donne,
bisogna tener conto di un problema concreto che affliggeva in particolar modo la città di
Londra, ossia quello delle prostitute. Una piaga definita “The Great Social Evil” (il grande
male sociale)
177
; tra i quartieri londinesi più soggetti al fenomeno vi erano lo Stand, il
Convent Garden e l’Haymarket, dove si trovava proprio l’Her Majesty’s Theatre; un rap-
porto della polizia del 20 maggio 1857 censiva ben 45 bordelli e 480 prostitute nel solo
distretto che comprendeva Convent Garden, Drury Lane e Saint Gile’s
178
. Hyppolute
Taine, un osservatore, offre una testimonianza del miserabile spettacolo che offrivano le
strade londinesi al tempo:
175
F. Abbiati, Giuseppe Verdi, cit.
176
L. Picard, Victorian London, The Life of a City 1840 1870, Phoenix, Londra, 2006, p. 123.
177
W.E. Houghton, The Victorian Frame of Mind, 1830-1870, New Haven & London,
Yale University Press, 1957.
178
W. Acton, Prostitution, considered in its moral, Social & Sanitary Aspects In London and Other Large
Cities, John Churchill, Londra, 1857, p. 16.
59
Ogni cento passi si contano 20 prostitute; alcune chiedono un bicchiere di gin; altre ti di-
cono “Signore, è per pagare il mio alloggio.” Non è dissolutezza che ostenta sé stessa, ma
indigenza, e quale indigenza. La deplorevole processione all’ombra delle strade monumen-
tali è nauseante; mi sembra una marcia di morti. È una piaga, la vera piaga della società
inglese
179
.
A fare da contrappeso a tali atteggiamenti vi era una rigida educazione fondata sulla
purezza dei sentimenti, sulla castità prematrimoniale e sulla fedeltà coniugale che si rea-
lizzava, tra l’altro, anche attraverso l’esercizio di una dura censura nei confronti di tutto
ciò fosse ritenuto offensivo in quanto esplicito. Non è difficile a questo punto immaginare
i giudizi negativi espressi nei riguardi della moderna letteratura francese, le cui aberra-
zioni e i licenziosi costumi della capitale erano materia corrente nei romanzi di autori
come Hugo e Dumas. Appare a questo punto quasi scontato che La traviata, avente come
soggetto principale una prostituta, si dimostrò piuttosto inadatta al palcoscenico inglese,
attirando una serie di critiche rivolte alla sconcezza e indecenza del libretto. Eppure, da
quanto riportato da Benjamin Lumley, manager del teatro, l’opera scatenò reazioni di
incredibile entusiasmo, anche se rivolte quasi esclusivamente al soprano Marietta Picco-
lomini: «Ancora una volta le folle impazzite si precipitavano nel foyer del teatro, ancora
una volta nella calca si strappavano gli abiti e si schiacciavano i cappelli, ancora una volta
la frenesia si impossessava del pubblico. Marietta Piccolomini faceva furore»
180
. Dalla
lettura delle prime recensioni, apparse nei più importanti periodi londinesi, risultò evi-
dente che la prima donna calamitò su di sé la totalità dei commenti, mentre al compositore
si fece solo qualche cenno, spesso anche poco lusinghiero, attribuendo il suo successo
all’innegabile qualità degli interpreti piuttosto che al valore della musica
181
. Ad evitare
accese discussioni e giudizi non fu sufficiente nemmeno l’unico emendamento al libretto
179
H. Taine, Notes on England, Holt, New York, 1885, p. 36.
180
L. Benjamin, Reminiscences of the Opera, Hurst and Blackett, Londra, 1864, pp. 375-376.
181
M. Zicari, Giuseppe Verdi in Victorian London, in «Studia UBB Musica», Cluj-Napoca, LVII, 2, 2012,
pp. 153-162.
60
nell’atto II, scena XIV, in cui Alfredo, infuriato, raccoglie attorno a sé gli invitati al ban-
chetto e confessa loro di aver accettato la generosità di Violetta e per ripagarla lancia ai
suoi piedi il suo ritratto
182
, mentre nella versione originale Alfredo lancia il denaro appena
vinto al tavolo da gioco. A fronte di tali posizioni il pubblico continuò in ogni caso ad
assediare il teatro durante tutta la stagione mostrandosi indifferente agli appunti dei critici
più radicali, tanto da rendere necessario l’intervento della polizia per ripristinare il con-
trollo e l’ordine delle strade adiacenti al teatro, erigendo barriere per contenere i più re-
calcitranti
183
.
182
«The Times», Londra, 26 maggio 1856.
183
«The Musical World», Londra, 18 ottobre 1856, n. 42, p. 699.