33
1.6.1 Lo stile di conduzione induttivo e lo stile di conduzione deduttivo
Per stile di conduzione si intende il metodo di insegnamento adottato dai tecnici nelle sedute
di allenamento, ovvero l’insieme delle modalità e delle strategie con le quali l’allenatore
trasmette ai propri allievi le sue competenze, siano queste di natura tecnica, tattica o
etico/comportamentale
67
. Tutto ciò va a influenzare la qualità della relazione fra tecnico e
atleti.
Ci sono due tipologie di stili di conduzione:
• Stile direttivo, deduttivo o riproduttivo: l’allenatore, durante lo svolgimento
dell’attività, impartisce ordini, comandi e prescrizioni dando un riscontro immediato e
preciso sull’azione svolta dal giocatore o dalla squadra.
68
(Esempio: “No Marco, non così, potevi passarla a Luca che stava dall’altra parte!”)
• Stile non direttivo, induttivo o produttivo: approccio in cui il tecnico cerca di
condurre il giocatore alla ricerca di una soluzione autonoma. Ciò avviene attraverso la
formulazione di domande induttive, ponendo dei problemi e creando un ambiente con
regole e situazioni che mettano il giocatore nella condizione di adattare i propri
comportamenti ricercando soluzioni personali.
69
(Esempio: “Marco avevi altre soluzioni? Secondo te potevi passarla a Luca?”)
Attraverso questi piccoli esempi possiamo constatare che, nonostante la situazione sia la
stessa, è il modo di gestirla che fa la differenza, in quanto un conto è correggere l’allievo
facendogli sentire il “peso” dell’errore e limitandosi a quello, un conto è farglielo notare in
maniera costruttiva, facendo entrare in una prospettiva di problem solving, evitando, così, che
avverta l’errore come un qualcosa di assolutamente negativo e da cui stare lontani a tutti i
costi per paura di essere rimproverati o giudicati.
In ogni caso, per poter adottare un metodo rispetto all’altro, il tecnico deve conoscere pregi e
difetti di entrambe le modalità di conduzione oltre che, chiedersi, in quanto allenatori, se
l’obiettivo che dovrebbe perseguire è l’apprendimento dell’allievo o che il giovane sia
espressione del pensiero adulto.
➢ Situazioni in cui risulta efficace lo stile di conduzione direttivo
70
:
- Contesti in cui è necessario un elevato livello di sicurezza per salvaguardare la salute
degli atleti;
- Quando si allenano gruppi molto numerosi e con problemi disciplinari (scarsa
propensione all’ascolto e poco tendenti all’organizzazione);
67
Florit Stefano, “Lo stile di conduzione dei Centri Federali Territoriali”
68
Ibidem
69
Ibidem
70
Ibidem
34
- Si ha necessità di trasmettere rapidamente alcuni concetti (lavoro settimanale su
aspetti che hanno a che fare con le partite);
- È utile nel breve tempo (i comportamenti desiderati si manifestano solo perché
stimolati dall’allenatore, dopodiché vengono dimenticati in assenza di stimolazione).
71
➢ Svantaggi dello stile di conduzione direttivo:
- Tende a limitare le scelte autonome da parte dei giocatori;
- Diminuisce le opportunità di ricerca personale da parte del giocatore;
- L’allenatore crea dipendenza negli atleti che ricercano costantemente le sue
indicazioni;
- Il giocatore avrà pochi strumenti per potersi migliorare autonomamente ed essere più
consapevole del suo percorso.
72
➢ Vantaggi dello stile di conduzione non direttivo:
- Elevato livello di coinvolgimento sul compito da parte degli atleti;
- Autonomia e ricerca di soluzioni personali (pensiero divergente-creatività) da parte dei
giocatori;
- Efficace nel lungo termine (i comportamenti desiderati vengono messi in atto dal
giocatore come frutto di una rielaborazione personale di quanto gli è stato insegnato);
- Favorisce lo sviluppo delle life skills (le competenze di vita individuali e sociali) e
dell’intelligenza emotiva utili nel calcio e nella vita di tutti i giorni;
- Rivisitazione dell’errore (non più visto come fallimento ma come elemento
indispensabile nel percorso di crescita dell’individuo);
- Viene definito anche produttivo proprio perché produce degli effetti non solo sul
singolo che viene rinforzato e reso protagonista del percorso ma anche sul resto della
squadra che comprende ciò che quella data esercitazione richiede e quali sono i gesti
adeguati per poterla eseguire al meglio.
Lo stile di conduzione non direttivo richiede
73
:
- Competenze metodologiche specifiche da parte degli allenatori (sapere cosa, come e
quando fornire le indicazioni tecnico-tattiche);
- Molta pazienza in quanto il processo di apprendimento risulta più difficile da valutare
ed inizialmente può essere meno stabile;
71
Ibidem
72
Ibidem
73
Ibidem
35
- Un periodo di adattamento all’approccio dal momento che gli atleti potrebbero non
essere abituati a questo tipo di conduzione e trovarsi in difficoltà davanti un contesto
che li lascia più liberi.
Non si può dire che ci sia uno stile di conduzione giusto a sbagliato a priori in quanto, come
possiamo notare, ognuno dei due stili di conduzione può essere utile ed efficace a seconda
delle situazioni. È importante, comunque, nella scelta, tener presente:
- l’obiettivo dell’esercitazione e della seduta,
- la fascia d’età a cui è rivolto l’intervento,
- il livello di abilità dei discenti,
- il tipo di compito motorio da insegnare.
La spiegazione dell’esercitazione
Deve essere chiara, sintetica e seguita da una dimostrazione, quest’ultima particolarmente per
i piccoli atleti. Ciò significa che il tecnico non potrà improvvisare in campo ma preparare a
casa, nei dettagli, le proposte da presentare ai ragazzi e questo implica che, in quanto
facilitatore dell’apprendimento, dovrà scegliere con cura le parole adatte per far comprendere
agli atleti obiettivi e compiti alla base dell’esercitazione e se necessario, nella fase di
preparazione e organizzazione antecedente alla seduta di allenamento, potrà cronometrarsi per
calcolare il tempo impiegato nell’esporre l’esercitazione o ancora verbalizzarla, guardandosi
allo specchio. Questo “allenamento” preliminare sarà indispensabile per favorire l’immediata
comprensione dei compiti da parte degli atleti e prediligere un maggior tempo di impiego
motorio riducendo i tempi morti.
La padronanza di questi aspetti consentirà di poter fare le opportune correzioni nel momento
dello svolgimento dell’attività, di poter dare gli adeguati feedback agli atleti e recepire, in
maniera immediata, il modo in cui affrontano quella data esercitazione.
Nel momento in cui il tecnico si appresta ad introdurre l’esercitazione deve accertarsi di avere
tutti gli atleti davanti a sé e che essi abbiano l’attenzione rivolta a lui, qualsiasi fonte di
distrazione è bene rimuoverla prima che il tecnico incominci a spiegare. Un altro elemento
che svolgerà un ruolo determinante sarà il tono di voce del tecnico che dovrà essere deciso e
autorevole, per trasmettere fermezza e sicurezza agli atleti e né troppo alto (da urlare) e né
troppo basso (da non essere sentito).
Inoltre, è opportuno che, il tecnico, non si soffermi troppo su un gioco o un esercizio ma che
cerchi diversi modi e varianti in modo da non annoiare gli atleti ma mantenere alta la loro
attenzione, la loro motivazione e di conseguenza la loro partecipazione all’esperienza
sportiva. Tutti questi fattori si possono considerare promotori di apprendimento.
La dimostrazione
Particolarmente per i piccoli atleti è importante che il tecnico mostri ciò che sta chiedendo
loro, dal momento che, essi ancora non sono in grado di immaginare una data situazione e dal
momento che gran parte degli apprendimenti sono il frutto dell’osservazione e dell’imitazione
36
di ciò che altri mettono in atto. La dimostrazione del gesto può essere fatta dal tecnico o il
tecnico può anche delegare uno degli atleti nella dimostrazione del gesto.
La correzione
Il momento di correzione è un momento molto delicato in cui il tecnico deve tener conto
innanzitutto che sta comunicando con un bambino o un ragazzo e che è fondamentale non
anteporre le proprie esigenze, le proprie aspettative, la fretta di veder conseguiti dei risultati ai
tempi dei ragazzi e ai loro bisogni, tra cui quello di sentirsi considerati, accolti e compresi per
quelli che sono e non semplicemente per quello che fanno.
La correzione dovrà essere breve, chiara, puntuale e individualizzata.
74
Un errore comune è
quello di fermare tutto il gruppo per l’errore del singolo.
75
Le interruzioni dell’attività devono
essere ridotte al minimo. Una strategia utile, ce la insegna la tecnica del sandwich, una tecnica
comunicativa che consiste nell’addolcire la correzione facendola pesare meno alla persona
che la riceve. L’obiettivo è quello di portare, in questo caso il giovane atleta, ad un processo
di autoanalisi e soprattutto di riflessione rispetto a degli errori commessi, inserendo il
messaggio correttivo a seguito di un rinforzo o feedback positivo per farlo digerire meglio
all’interlocutore e metterlo in una condizione di apertura e propositività.
Va detto che, per poter trasferire correzioni di questo tipo, il tecnico dovrà avere un certo
livello di competenze. In genere, il maestro di sport che ha e che sente di avere le competenze
necessarie appare più rilassato e sereno nella conduzione degli allenamenti rispetto al tecnico
frustrato e urlante che, in maniera troppo facile, esordisce con frasi di questo tipo di fronte
all’errore dell’atleta: “No, ma che fai?!”, “Ma che roba è questa?!”.
Il maestro di sport, inoltre, nel veicolare rinforzi, feedback e domande dovrà porre attenzione
anche ad altri tre aspetti che vanno a determinare l’effetto del suo stile di conduzione sulla
sfera cognitiva, psicologica ed emotiva dei giovani atleti:
• Il Timing
Le informazioni tecniche non devono essere fornite prima dell’esecuzione di una scelta o
dell’azione compiuta dal giocatore, in quanto anticipare le scelte dei giocatori, fornendo delle
soluzioni di gioco inibisce le opportunità di scelta di questi ultimi.
76
Sarà importante veicolare
le varie informazioni nel momento adeguato, per esempio se Marco effettua un’azione
corretta o un bel gesto tecnico in partita, il tecnico deve rinforzarlo subito, nel momento in cui
è stata realizzata quell’azione, non alla fine della partita o dopo qualche minuto altrimenti
quel rinforzo perderebbe di valore e non produrrebbe un effetto significativo né su di lui né
sui suoi compagni.
• Il livello di specificità
Feedback generali come “bravo”, “bel tiro”, “grande”, non identificano nessuna caratteristica
tecnica, tattica o etica che possa permettere all’atleta di acquisire nuove consapevolezze sul
compito. Dire, invece, “Bello stacco di testa Marco, coraggioso ed effettuato al tempo
74
Rossi Barbara, Marziali Floriano,“Il maestro di sport”, Calzetti e Mariucci, Perugia, 2009, p.57
75
Ibidem
76
Florit Stefano, “Lo stile di conduzione dei Centri Federali Territoriali”
37
giusto”, trasmette all’atleta e, in realtà, a tutta la squadra, importanti informazioni sui
comportamenti e gli atteggiamenti utili da effettuare in campo.
• La frequenza
Il tecnico dovrà imparare a equilibrare rinforzi positivi (“Bravo”; “Grande”, “Continuiamo
cosi”), feedback descrittivi positivi (Grande Marco, ottimo controllo orientato, ti ha permesso
di guadagnare spazio e tempo”) e domande induttive (“Marco, come dimostri di voler ricevere
palla? Me lo fai vedere?”).
Una conduzione adeguata non può prevedere feedback continui ma nemmeno l’assenza di
interventi mirati, pe cui sta all’allenatore il compito e la capacità di rendersi conto del
momento adeguato in cui trasmettere messaggi significativi agli atleti e di saper individuare
quei comportamenti privilegiati che vale la pena di evidenziare.
(Tabella Slide Ennio Martin, Corso Grassroots livello E - FIGC “Le relazioni psicologiche
nella scuola calcio”, www.figc.it, consultato l’8/01/2022)
1.7 Conoscere le tappe evolutive
Affronteremo, attraverso un breve excursus, quelle che sono le conoscenze e le
consapevolezze che il maestro di sport deve necessariamente acquisire per poter entrare in
relazione con i suoi atleti, per sapere se le sollecitazioni a cui li sottopone sono adeguate alla
loro età e trasmettere loro valori etici e concetti tecnico-tattici nel modo più adeguato
possibile utilizzando un linguaggio appropriato.
38
Bambini 6-7 anni: come ragionano?
I bambini di 6 e 7 anni li vediamo in campo rincorrere tutti la palla, scordandosi che ognuno
di loro ha un compito ben preciso, in quanto non ancora capaci di comprendere il punto di
vista dell’altro (egocentrismo infantile). L’acquisizione della prospettiva altrui arriva tra gli 8
e i 10 anni. In questa situazione, in cui tutti i bambini ricercano simultaneamente la palla è
fondamentale il ruolo degli adulti, i quali, non dovranno guardare negativamente a questo
aspetto, ma considerarlo come una fase naturale e necessaria per la crescita dei bambini,
preoccupandosi, invece, di stimolare ulteriormente il loro entusiasmo e il loro piacere per la
pratica dell’attività sportiva.
I bambini di questa fascia d’età non sanno ancora comprendere le cause dei risultati delle
azioni. Per esempio non sanno che la vittoria e la sconfitta dipendono da tutto un insieme di
fattori che convergono in una partita come l’impegno, la fortuna, le abilità degli atleti, le
difficoltà incontrate ecc…, a loro basta giocare per il puro piacere che ne deriva da questa
esperienza.
Il ruolo degli adulti sarà quello di mantenere costante l’interesse dei bambini verso il gioco.
L’attività deve coinvolgere intensamente i bambini soddisfacendo il loro desiderio di
movimento, di divertimento, di varietà e di socializzazione.
77
L’unica regola è fornire poche
regole semplici e lasciarli liberi di giocare, di esprimersi e di sperimentarsi.
In questa fascia d’età, i bambini considerano l’abilità sportiva come risultato dell’impegno e
spesso non si impegnano quando sanno di non saper fare.
78
Quindi, acquisita questa
consapevolezza, la prima cosa che l’adulto deve fare è rinforzare l’impegno dei bambini
sostenendo così anche la loro passione. In questo clima che infonde accoglienza e fiducia
anche i bambini più timidi, introversi ed insicuri si sentiranno di potersi cimentare nella
sperimentazione.
Bambini 8-9 anni: imparare a raggiungere obiettivi comuni, divertendosi.
Le motivazioni che caratterizzano i bambini in questa fascia d’età sono: trarre piacere
dall’attività sportiva, muoversi pensando, sapersi assumere dei rischi calcolati e saper vivere
in gruppo.
79
Per soddisfare queste motivazioni, il tecnico potrà adoperarsi attraverso la
presentazione di esercizi ed esercitazioni sempre diversi, promuovendo la dilatazione dei
tempi di attività motoria e riducendo i momenti di pausa; potrà proporre esercitazioni che
impiegano maggiormente la sfera cognitiva in modo da attivare la capacità di problem solving
negli atleti e permettere loro di operare delle scelte autonomamente. Il bambino si assumerà
dei rischi se sa che l’allenatore apprezzerà questo suo modo di agire e non premierà soltanto
le azioni corrette
80
o stabilite, a priori, da lui.
A questa età i bambini preferiti non si scelgono solo per caratteristiche individuali come la
maestrìa nel gioco e la forza fisica ma anche in base ad abilità interpersonali come la lealtà e
77
Settore Giovanile e Scolastico, “Noi, gli educatori e i giovani”, 2007, p.16
78
Ibidem
79
Ivi, p.18
80
Ivi, p.19
39
l’accettazione reciproca.
81
L’allenamento dovrebbe essere strutturato in modo tale da
incentivare la collaborazione fra gli atleti e favorire lo sviluppo della capacità di mettersi nei
panni degli altri, ponendo un limite agli individualismi nel gioco che sono motivo di scontri e
conflitti. Maggiore sarà il senso di amicizia che i bambini sviluppano, maggiore sarà la
coesione in campo.
82
In merito alle regole, i bambini di questa età ne comprendono la motivazione e l’utilità
(l’allenatore non “impone regole perché è grande”, come pensano i bambini di 5 anni, ma a 8
anni “bisogna ascoltare l’allenatore perché è esperto e sa cosa è utile per noi”). Fondamentale
in questo la coerenza dei tecnici.
Ragazzi 10-11 anni: le motivazioni degli esordienti
83
Sono diversi i fattori che danno ai ragazzi di questa fascia d’età la spinta a proseguire il loro
percorso sportivo:
- La volontà di diventare famosi attraverso il calcio
- Rinforzi estrinseci rimandati da genitori, coetanei, tecnici
- Desiderio di viaggiare
- Ottenimento di una buona forma fisica
- Bisogno di acquisire nuove abilità sportive e di far parte di una squadra
- Desiderio di competere
- Amicizia: bisogno di trascorrere del tempo con i coetanei condividendo nuove
esperienze
- Divertimento di fronte nuove sfide
- Allenarsi in gruppo
- Spendere energia: l’attività fisica diviene il momento in cui si regola l’energia psichica
individuale (consente di scaricare tensioni, ansia, nervosismi)
Una delle motivazioni più ricorrenti, da come si può notare, è legata al bisogno di far squadra
e di collaborare insieme anche se il raggiungimento di obiettivi sportivi di squadra non
rappresenta ancora una componente fondamentale del loro modo di vivere il calcio.
Ragazzi di 12-14 anni: agonismo e adolescenza
I ragazzi di questa età si trovano ad affrontare una delle fasi più delicate del proprio percorso
di crescita che è l’adolescenza, periodo che prevede grossi cambiamenti biologici, psicologici
e sociali e che terminerà con l’ingresso del giovane nel mondo adulto.
81
Ibidem
82
Ibidem
83
Ivi, p.23
40
In questo periodo, i ragazzi tendono a mettere in discussione le regole date dai genitori,
contrapponendosi con i propri modi di fare.
84
Si ricercano nuovi amici e si passa gran parte
del tempo con loro condividendo idee e nuove esperienze. In questa fase l’allenatore potrebbe
rappresentare un punto di riferimento per il giovane più dei genitori. Ma è importante che i
genitori persistano nello svolgere il loro ruolo educativo cercando di non essere troppo
autoritari ma nemmeno troppo lassisti.
In questa fase, entrerà in gioco anche l’agonismo, quindi gli adulti di riferimento, ovvero
genitori, allenatori, insegnanti, dovranno lavorare congiuntamente per far comprendere ai
giovani il significato delle partite (intese come momenti di verifica del lavoro settimanale) e
far riflettere sulla competizione come esperienza di condivisione e confronto tra la propria
squadra e quella degli avversari dove sarà possibile scoprire i propri punti di forza e gli aspetti
da migliorare rispetto a se stessi e alla propria squadra e conoscere nuovi compagni e nuovi
esempi a cui attingere.
CATEGORIA SFERA
PSICOLOGICA -
COGNITIVA
SFERA CULTURALE –
EDUCATIVA
SFERA FISICO-
MOTORIA
SFERA TECNICA-
COORDINATIVA
PICCOLI
AMICI (5-6
anni) E
PRIMI CALCI
(7-8 anni)
Egocentrismo
predominante (il
pallone è suo e
non vuole
condividerlo)
Pensano che
tutto dipenda da
loro (sia eventi
positivi che
negativi)
Agiscono qui ed
ora
Capacità attentiva
limitata nel
tempo
Regole sacre perché
date dagli adulti di
riferimento non
perché le
comprendono
Allenatore:
generatore di
entusiasmo e di
stimolazioni
Lavorare
sull’autoefficacia
Attività motoria
come
opportunità di
conoscere il
proprio corpo
Gioco: strumento
didattico per
eccellenza
Esercizi che
premiano il piacere
del gioco individuale
Sviluppo schemi
motori di base
Dominio palla
Conduzione palla
Calciare
Ricevere
1 vs 1
Capacità
coordinative
PULCINI (9-
10 anni)
Traggono
maggiori
soddisfazioni
nell’intraprender
e azioni sportive
Reciprocità legata alle
relazioni con gli altri
Desiderio di mettersi
alla prova
Periodo d’oro
della motricità
Maggiore
capacità di
Sviluppare schemi
motori di base e
coordinazione fine
Maggiore
disinvoltura nel
84
Ivi, p.25
41
più complesse
Si assumono
rischi calcolati
Comprendono
motivazioni e
utilità delle regole
Capacità di
interiorizzazione
Capiscono il
punto di vista
dell’altro
Collaborativi e
maggior senso di
appartenenza al
gruppo
Valutano
realisticamente le
proprie capacità
(autostima)
attenzione
Desiderio di
imparare e
migliorarsi
movimento
ESORDIENTI
(11-12 anni)
Bisogno di
mettere alla
prova le proprie
competenze
Bisogno di stare
con i coetanei
Calcio: strumento
di promozione
sociale e
popolarità fra pari
Agiscono in base
a considerazioni
di
vantaggio/svanta
ggio
Comprensione
realistica del
mondo
Ricercano coetanei
dello stesso sesso
L’immagine del
proprio corpo
influenza i rapporti
sociali: sensibili a ciò
che pensano gli altri
Movimenti
complessi
Incremento
potenza
aerobica
Incremento capacità
coordinative
Automatizzazione
comportamenti
tecnici
Perfezionamento
gesto tecnico
42
1.8 Allenare attraverso le emozioni positive
Nello sport giovanile, come del resto nella nostra vita, le emozioni rivestono un ruolo
determinante. Nel caso specifico dello sport, le emozioni influenzano la riuscita di un gesto
tecnico ma anche il percorso di crescita globale dell’atleta. Emozioni positive, clima di
squadra sereno ed uno stile di coaching efficace sono componenti che agiscono da facilitatori
dell’apprendimento e contribuiscono ad un armonioso sviluppo personale e atletico.
85
La qualità dei rapporti tra allenatori e atleti e tra gli atleti stessi ha un ruolo fondamentale
nell’influenzare l’apertura e la curiosità verso nuove esperienze. Il legame tra queste due
dimensioni: apertura e curiosità, è palese nel momento in cui si valuta come ci si sente quando
si apprende.
86
Le emozioni negative possono essere la causa o l’effetto delle difficoltà di apprendimento.
Tutte le volte che, in fase di apprendimento, il bambino o il ragazzo interiorizza fiducia e
credenze positive sulla possibilità di farcela, questi stati d’animo ed emozioni si presenteranno
ogni volta che si troverà in situazioni future simili.
Tutte le volte in cui, in fase di apprendimento, il giovane proverà angoscia, senso di
inadeguatezza, paura del giudizio e senso di impotenza sarà portato a rivivere quegli stessi
stati, ogni qual volta si troverà in situazioni in cui gli è richiesto di imparare qualcosa. Per
esempio, consideriamo la situazione in cui il tecnico ha come obiettivo di allenamento quello
di insegnare ai suoi atleti il duello o dribbling. Se all’errore dell’atleta, l’allenatore esordisce
con un’esclamazione di questo tipo: “Nooo, non così, ma che stai combinando?!”, in quel
momento l’atleta potrà sentirsi inadeguato e angosciato perché giudicato dal suo tecnico,
quindi tutte le volte che in partita si presenterà il duello, egli accederà al file mnestico della
“non fiducia”, trasmessogli dal tecnico, e si defilerà da quella situazione mosso da un
sentimento di impotenza.
Quanto detto ci indica che apprendimento ed emozioni viaggiano insieme nelle sinapsi
durante il processo di consolidamento mnestico.
87
La nozione appresa finirà nella memoria procedurale o semantica, ma la memoria
dell’emozione negativa provata finirà nella memoria autobiografica, compromettendo
significativamente autostima e autoefficacia del bambino.
88
Il ripetersi di questo meccanismo conduce al fenomeno noto come “impotenza appresa”, il
bambino tenderà a demotivarsi di fronte alle difficoltà con un atteggiamento rinunciatario che
si impara ad assumere dopo qualcosa che si interpreta come un fallimento e che porta a
sentirsi impotenti, inefficaci e incapaci di modificare la situazione
89
e la cosa ancora più grave
è che tutto ciò se lo riporteranno nella loro vita.
Come il tecnico può agire per evitare che si attivi il meccanismo dell’impotenza appresa?
85
Rossi Barbara, “Il supporto indispensabile. Psicopedagogia e neuroscienze in aiuto dello sport giovanile”,
Calzetti e Mariucci Editori, Perugia, 2020, p.47
86
Ivi, p.22
87
Ivi, p.23
88
Ibidem
89
Ibidem