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Introduzione
Non è affatto raro nella storia contemporanea imbattersi in ricerche accademiche e
discorsi attorno allo studio dell’influenza che una celebrità ha sul suo fandom e, più in
generale, su un pubblico mediale. La rappresentazione che i media elaborano e
diffondono della celebrità eleva quest’ultima, nel migliore dei casi, ad un irriducibile
distanziamento dall’audience e ad un modello ispirazionale per i seguaci più fedeli. È
interesse di questa ricerca, invece, spostare il focus sull’effetto che quella stessa
rappresentazione mediale opera sulla celebrità in prima persona, a livello professionale
e, soprattutto, umano. Cosa succede quando il sistema dei media dà avvio ad una
narrativa distruttiva dell’immagine di una celebrità? Nel 2021, la pubblicazione da parte
della New York Times Company del documentario “Framing Britney Spears”, ha
raccolto l’interesse anche del grande pubblico attorno a questo quesito; ciò che
un’ossessiva pressione mediale ha comportato su vita e carriera della popstar Britney
Spears nello specifico, ha condotto audience e lo stesso sistema dei media a rivalutare
quali limiti, in generale, non dovrebbero essere superati nei confronti delle celebrità,
alle quali viene da sempre chiesto di ricoprire ruoli e di soddisfare aspettative talvolta
insostenibili. Il più recente e rinnovato interesse attorno a questo tema ha ispirato ed
incoraggiato i processi di ricerca ed elaborazione contenuti in questo lavoro, oltre al più
personale interesse nello studio della celebrità. Tramite l’osservazione di un caso
specifico ed emblematico, si vuole qui cercare di comprendere quali possano essere
motivi e funzioni dei media nella rappresentazione della celebrità, come la produzione
mediale possa condizionare la carriera di un personaggio pubblico e quali possano
essere le ripercussioni sulla sua persona nella vita privata. Per cercare di dare un apporto
in questo campo di ricerca, si è deciso di dedicare il primo capitolo ad esaminazione e
rielaborazione di studi precedenti e prodotti letterali di rilievo, raccogliendo riflessioni e
differenti approcci teorici sugli argomenti ritenuti qui fondamentali per lo sviluppo della
ricerca: la definizione della celebrità, dei Celebrity Studies e della Fan Culture,
l’osservazione dell’evoluzione dei media, della loro democratizzazione nel globo e del
loro potere rappresentazionale nei confronti della celebrità, ed infine l’introduzione
teorica alla celebrità Pop ed al fenomeno Britney. Il secondo capitolo è dedicato
all’approfondimento della vita professionale e privata della popstar simbolo dei primi
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anni 2000, Britney Spears: il suo caso è stato accuratamente selezionato in quanto
incentrato sul percorso di una giovane artista che, lanciata nell’industria musicale sul
finire degli anni Novanta, all’età di 16 anni, ha dovuto sin da subito fare i conti con un
sistema interessato a lucrare sulla sua immagine, manipolata e costruita a suo
piacimento a favore di un pubblico sempre più affascinato dal suo declino. A più di
vent’anni dal lancio della cantante nell’industria musicale e nella “macchina dei media”,
è possibile osservare con più chiarezza quale sia stato il ruolo dei media nella
distruzione della sua immagine e, d’altra parte, quali siano state invece le possibilità
offerte dagli stessi quando utilizzati dal management per lanciare Britney nel mondo
dello spettacolo prima, e per riprendere in mano le redini della narrativa mediale poi. Si
approfondisce con l’osservazione dell’utilizzo positivo dei social media che il team di
Britney ha fatto nel tempo per renderla un brand appetibile alle masse e sfruttare
dinamiche online convenienti come quella del viral marketing, ed un’attenzione d’altra
parte ai danni che l’applicazione dell’etichetta di role-model sulla celebrità da parte dei
media ha portato inevitabilmente nella gestione della sua immagine. Il terzo ed ultimo
capitolo raccoglie le analisi realizzate su pubblicazioni ed articoli selezionati dagli
archivi di blog, riviste e testate giornalistiche di rilievo, scelti in relazione agli anni in
cui la star ha subito in maniera consistente la pressione dei media, al fine di
comprendere in prima persona quale può essere stata la reale narrativa costruita attorno
all’immagine di Britney negli anni, e come la cantante abbia poi “reagito” per salvarla;
una seconda analisi è stata per questo condotta sugli strumenti utilizzati dalla celebrità
per affrontare i dannosi discorsi mediali costruiti sulla sua persona, osservando nello
specifico l’utilizzo che ha fatto dei social media con la pubblicazione di lettere ai fans,
messaggi di scuse e post di “sfogo”, e i testi di alcuni brani specifici ed un video
musicale in particolare, significativi perché fortemente critici nei confronti di media e
tabloid e per i periodi chiave in cui sono stati pubblicati. Si aggiunge una terza analisi
relativa agli strumenti mediali utilizzati dalla Britney Army, il fandom della star, per
cercare di “rispondere” e comunicare con quest’ultima; è stata proprio l’unione dei fans,
successivamente alla diffusione della notizia che la star sarebbe stata costretta ad
un’ingiusta e limitante tutela legale da parte del padre per più di un decennio, a ridare ai
media una più pura funzione di movimento sociale, permettendo l’organizzazione di
manifestazioni pacifiche per la “liberazione” della cantante e la diffusione di contenuti
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informativi, sotto l’hashtag #FreeBritney, che portassero questo caso di chiaro
sfruttamento all’attenzione delle masse. Al termine di questa ricerca, è possibile
riflettere in maniera più concreta e lineare su quale sia stato il posizionamento ed
orientamento dei media nella vita della star, osservando come per ogni ridefinizione
mediale della sua immagine ci sia stata una conseguenza non indifferente nella
personale gestione di carriera e questioni private, specialmente in un caso in cui ogni
movimento e passo falso è stato immortalato da innumerevoli ed instancabili paparazzi
al servizio del pubblico. La diffusione di narrative talvolta misogine nei confronti della
celebrità permette di dare uno sguardo più ampio a delle questioni socialmente rilevanti
nella cultura americana, le quali hanno senza dubbio influito sulla rappresentazione
sessualizzata e sulla diffusione di discorsi sessisti connessi all’immagine della star,
anche quando non aveva neanche raggiunto la maggiore età. Utilizzando il caso di
studio specifico si è cercato però di dare uno spunto per un’interpretazione più allargata
del potere dei media in un sistema in cui si considera, normalmente, più rilevante
l’influenza che la celebrità ha sul suo pubblico, e non l’effetto contrario.
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1. Lo studio della celebrità e il rapporto coi media
“Una definizione di celebrità è, senza dubbio, l’essere in grado di guadagnare sulla
propria fama.” (Lawler, 2010: 419).
Ne sentiamo parlare in tv, alla radio, sulla nostra rivista preferita e oggi più che
mai nei feed di giornali online e sui social network. Eppure sul concetto di celebrità
aleggia da sempre un velo di ambiguità, un senso di profonda conoscenza e talvolta
desiderio di emulazione del fenomeno, accompagnato d’altra parte da una
misconoscenza della reale provenienza della fama, così ambita e spaventosa allo stesso
tempo. L’autrice Lisa Bloom nel 2012 osserva come il 25% delle donne americane tra i
18 e i 34 anni preferirebbe comunque vincere il premio per America's Next Top Model
piuttosto che vincere il Premio Nobel per la Pace (Bloom, 2012: ii), sottolineando così
una paradossale ossessione per celebrità e tabloid, binomio vincente per una potenziale
influenza etica ed estetica su un pubblico mediale potenzialmente geolocalizzabile
nell’intero globo.
Per meglio definire il concetto di celebrità, è bene distinguerlo sin da subito dal
concetto di star. I discorsi critici relativi a celebrità e stardom prendono avvio negli anni
’70, costituendo inizialmente una componente degli emergenti studi sul cinema del
tempo. Da allora l’interesse per divi del cinema, cantanti e personalità televisive è
cresciuto sempre più, ricercando l’attenzione di studiosi e accademici che ne avrebbero
ridefinito nel tempo dinamiche e margini interni, come quello esistente, per l’appunto,
tra star e celebrità. È tuttora osservabile come il termine ‘star’ continui ad essere usato
per descrivere “coloro che sono conosciuti per un ruolo pubblico in una definita
professione”, e potrebbe pertanto essere distinto dalla nozione di celebrità, la quale
definirebbe, invece, “qualcuno famoso per l’essere famoso” (Boorstin, 1971: 58).
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1.1 Stardom, definizione e studi teorici
“Stardom è un’immagine di come le star vivono” (Dyer, McDonald, 1998: 35).
Capostipite degli studi sul divismo coniugati ai Cultural Studies, Dyer offre un
importante contributo alla definizione di un fenomeno socialmente rilevante come
quello dello Stardom, ponendo subito l’importanza su un aspetto fondamentale della
“star”: la combinazione tra “spettacolare” e vita quotidiana. Seppur considerando
equilibrato il rapporto ordinario/straordinario e come possibile la conciliazione naturale
delle due dimensioni, Dyer sottolinea come in alcuni casi questo rapporto possa
diventare ambivalente e problematico. Nell’immagine immortale di Marylin Monroe,
considerata La Diva che con la sua morte ha costituito un punto di svolta nella
definizione e studio critico dello Star System, riconosce come impressa una nota tragica
e “patetica”, identificabile nella continua ricerca del raggiungimento dello stardom
contrapposto però ad un sentimento d’infelicità connesso alla realizzazione di quello
stesso desiderio; Dyer rimanda così ad una riflessione sul vero significato e sulle reali
motivazioni dietro alla ricerca della “fama” nella vita delle persone, nonché a una
scoperta di malinconia e nevrosi nel mondo delle star. Da un punto di vista esterno,
secondo Dyer è facile identificare il lato spettacolare e desiderabile del lifestyle della
star: piscine, grandi case, costumi sontuosi, limousine, feste e il coinvolgimento nel
mondo fashion (Dyer, McDonald, 1998: 38). Veblen avrebbe accostato allo stardom il
concetto di “consumo vistoso”, col quale individua la “tendenza dei ricchi a mostrare
ostentando che sono ricchi”. “Allo stesso modo, attività come arte e sport non sono
perseguite per salute o illuminazione, ma per mettere in mostra il tempo libero e il
denaro a disposizione” (Dyer, McDonald, 1998: 39).
Nella sua ricerca intitolata “L’elite senza potere” (1963: 75), anche Alberoni
individua nello stardom un fenomeno sociale vero e proprio, costituito da un potere
politico limitato o quasi inesistente, compensato però da un’enorme e quasi esagerato
interesse da parte di un pubblico nei confronti della vita privata delle star. Nella sua
concezione, il vero potere delle star e delle celebrità è la privacy, ma devono al
contrario la propria esistenza e reputazione alla pubblicità. Sempre Alberoni individua
le condizioni che hanno permesso storicamente la nascita dello stardom: uno stato di
diritto, una burocrazia efficiente, un sistema sociale ben strutturato, una società a “larga-
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scala”, uno sviluppo economico al di sopra della sussistenza e una condizione di
mobilità sociale (Alberoni, 1963: 30-34; Dyer, McDonald, 1998: 7). Ma l’elemento
fondamentale per l’accettazione sociale della star è proprio il suo non occupare
“posizioni di rilievo istituzionale”; esisterebbe infatti un meccanismo sociale di
separazione che garantirebbe alla star il far parte del “sistema” senza avere però la
possibilità di influenzarlo in alcun modo. Si osserva per di più che nelle relazioni
pubblico-star ogni singolo membro del pubblico conosce la star, ma la star non conosce
nessun individuo: essa vede il pubblico come una collettività. Analizzando quindi le
condizioni necessarie per lo sviluppo del fenomeno, è facilmente intuibile come la storia
di star e celebrità affondi le sue radici all’interno di dinamiche ampiamente connesse
alla natura sociale dell’essere umano. E, in fin dei conti, siamo tutti fan di qualcuno o
qualcosa (Lewis, 1992: iv).
Secondo Morin, invece, lo stardom costituisce il vero e proprio ponte tra reale ed
immaginario (1961: 32-34). La star costituirebbe, secondo la sua concezione, un essere
ibrido nella partecipazione tra umano ed ultraterreno, ispirando nella società varietà di
religione-culto. Nella sua indagine, infatti, Morin ipotizza una corrispondenza tra star ed
eroi del mito classico, attribuendo loro quello che Max Weber definisce “il potere
carismatico”, il più importante dei tre ipotizzati nella sua analisi sociologica del potere
(Pitassio, 2019: 17-19). Visione totalmente opposta a quella precedentemente riportata
di Alberoni, in quanto la star acquisisce la stessa importanza di un profeta, in grado di
influenzare “potere tradizionale” e “potere legal-razionale”. Secondo Pitassio, Morin
identifica nel divismo un carattere istituzionale, una netta corrispondenza col culto e
l’adorazione di idoli semidivini, sostenuta da una vera e propria liturgia ed
un’impostazione antieconomica data da “una trasformazione dell’esperienza religiosa
nelle società contemporanee di cui il culto delle celebrità è parte” (Pitassio, 2019: 18).
“La star partecipa alla gioia di tutto il mondo, ha pietà di tutte le sue disgrazie,
interviene costantemente nel suo destino” (Morin, 1961: 8). Se da una parte Morin
riconosce una natura “divina” nell’essenza della star, d’altra parte osserva anche come
la sua nascita non sia spontanea ed immotivata, bensì inquadrabile in un sistema
capitalistico e volto alla produzione di profitto; dello stesso pensiero è il semiologo
Roland Barthes, il quale riconosce sicuramente un valore artistico nella star, ma
attribuisce la stessa importanza al suo corrispondente valore commerciale.