4
posizioni antitetiche che vedono la conoscenza come frutto della
mente o come prodotto del corpo e dell’esperienza.
Questa impostazione che è stata mutuata da molte discipline
umanistiche, ed ha dato vita ad una materia di studio specifica, la
sociologia della conoscenza, dove incontriamo lo stesso dualismo
tra il razionalismo di Merton e l’empirismo e il riconoscimento
dell’importanza dell’esperienza della scuola della sociologia della
conoscenza scientifica (SSK), animata dalle riflessioni di Kuhn e
Latour.
L’incertezza dei mercati e la velocità dell’innovazione,
esperite dalla società occidentale negli ultimi decenni del secolo
scorso, hanno fatto della conoscenza un soggetto importantissimo
di studio e riflessione da parte di economisti e teorici del
management, diventando, secondo alcuni autori, il fattore
produttivo più importante.
Solo per citare alcuni autori, Drucker
3
afferma che il ruolo
della conoscenza nella nuova economia non è semplicemente quello
dell’ennesima risorsa accanto alle componenti tradizionali della
produzione –il lavoro, il capitale, la terra – ma la sola risorsa
significativa del nostro tempo. Allo stesso modo, Toffler (1990) ha
eletto la conoscenza a fonte del potere di eccellenza e a fattore
chiave dei cambiamenti di potere che precorre; per finire, Quinn
(1992) condivide le idee dei due autori precedentemente citati,
sostenendo che il potere economico e produttivo dell’impresa
moderna risiederebbe nelle sue capacità intellettuali e di servizio
ben più che nel suo hardware (ossia impianti, tecnologie e
strutture).
Questo breve riferimento alle tesi sostenute da questi autori
ci aiuta a cogliere l’importanza che oggi, nella società della new
economy e del terziario avanzato, assume la conoscenza nel
pensiero economico ed organizzativo, diventando un fattore
competitivo essenziale per la sopravvivenza nei mercati globali.
Come sostengono due autori di fondamentale importanza per
lo studio della conoscenza, Nonaka e Takeuchi (1995), la cultura
organizzativa giapponese riconosce l’importanza della conoscenza
3
DUCKER P.F. (1993) “Post-capitalistic society”, New York: Harper Collins.
5
nella generazione del vantaggio competitivo delle proprie aziende,
in quanto permette un’innovazione continua, e ci presentano un
modello che distingue epistemologicamente e ontologicamente la
conoscenza nella cultura occidentale e orientale.
La conoscenza occidentale, esplicita e individuale, si
trasforma in conoscenza tacita e di gruppo nella cultura orientale;
la tesi degli autori prevede una convergenza di questi due estremi,
attraverso un continuo processo di conversione tra uno stato e
l’altro della conoscenza.
Nonaka e Takeuchi prospettano questa convergenza tra
l’approccio orientale ed occidentale nella loro importantissima
opera, attraverso lo studio e la presentazione di casi concreti di
imprese giapponesi; allo stesso modo, numerosi autori occidentali,
europei e americani, si sono impegnati nello studio della
conoscenza in una prospettiva economica, generando una corrente
di idee nuove e molto vicine all’approccio dei due giapponesi.
Questa scuola ha studiato la conoscenza nelle sue
caratteristiche fondanti, e ha sostenuto il passaggio da un modello
lineare di generazione della conoscenza ad un modello a rete, in cui
si riconosce e si sottolinea l’importanza del contesto,
dell’esperienza pratica e della conoscenza tacita che ne deriva,
della condivisione e della collaborazione tra i soggetti interni ed
esterni all’organizzazione che produce la conoscenza.
La dicotomia tra oriente ed occidente di Nonaka e Takeuchi
non rende, quindi, piena giustizia alle riflessioni degli autori
occidentali, ma sicuramente riflette la visione più propriamente
imprenditoriale e industriale occidentale, ancora poco consapevole
dell’importanza della conoscenza come fattore produttivo.
In questa tesi si vuole effettuare una panoramica sulle teorie
sulla conoscenza, focalizzando particolarmente su questo
passaggio da un modello lineare della generazione della
conoscenza, con la netta divisione tra scienza e tecnica, ad un
modello a rete, o parallelo, con l’interazione tra scienza e tecnica,
a cui si attribuisce pari peso e valore.
Da questo passaggio, nasce la definizione di una
conoscenza tecnologica localizzata (Antonelli 1999b), concetto
6
che riassume i valori del modello a rete della conoscenza e che
evidenzia la rilevanza, nel processo di creazione della conoscenza,
del contesto, tecnologico e spaziale, in cui agiscono gli attori, del
lato tacito e dell’apprendimento generato dall’esperienza,
dell’approccio collaborativo oltre che competitivo (coopetition), che
deve animare i soggetti dell’azione, con lo scopo ultimo di
massimizzare l’appropriabilità del bene.
Dalla definizione di questo importante concetto, si passa
all’analisi delle implicazioni che può determinare la nuova
conoscenza sulla società, in particolare modo sull’ambiente
formativo ed educativo, la cui responsabilità è quella di riflettere il
passaggio da un modello all’altro e trasferirlo ai giovani, futuri
soggetti del cambiamento culturale. Si sostiene che la nuova
conoscenza, pratica e contestualizzata, debba essere trasferita nei
nuovi soggetti dell’azione economica, insieme all’approccio
collaborativo e di condivisione della conoscenza, per permettere il
passaggio da un modello organizzativo gerarchico e statico ad un
modello lean ed interattivo; questa categoria di conoscenza
tecnologica localizzata viene definita conoscenza applicativa,
frutto della convergenza tra una conoscenza prevalentemente
pratica generata dalle imprese e una conoscenza prevalentemente
speculativa dell’Università.
Si vuole presentare il modello di convergenza dei soggetti
generatori di conoscenza e della conoscenza prodotta, che
permette il modificarsi della funzione di ricavo d’impresa spingendo
la curva dei ricavi totali verso l’alto attraverso lo sfruttamento del
vantaggio competitivo prodotto dalla conoscenza applicativa.
Nel primo capitolo si vuole delineare una cornice teorica,
utilizzando i contributi di vari autori che nell’arco di quarant’anni
hanno espresso il proprio parere sulla natura del bene conoscenza;
si analizza ciò che fu il primo approccio alla conoscenza come bene
pubblico, databile intorno agli anni ’60, denominato nella
trattazione come modello R&S o modello lineare; si passa poi
all’approccio, sviluppatosi attorno agli anni ’80, definito nella
trattazione come modello a rete e nel quale trova vita il concetto di
conoscenza tecnologica localizzata. Per mettere in evidenza questo
passaggio, si utilizza una serie di coppie concettuali che
7
sottolineano la differenza di connotazione del concetto di
conoscenza utilizzato dai due modelli.
Nel secondo capitolo si parlerà delle implicazioni che la
conoscenza tecnologica localizzata, o MODE 2, come viene definita
da Gibbons et al. (1996), ha sulla società; si tratterà delle
trasformazioni nelle attività produttive, nel mondo del lavoro e
nelle istituzioni deputate al trasferimento della conoscenza, in
particolar modo nell’Università. Il confronto tra il nuovo approccio
alla conoscenza e l’approccio tradizionale accademico, perpetrato
dall’Università italiana, ci conduce all’utilizzo del concetto di
conoscenza applicativa, su cui nascono alcune nuove istituzioni di
formazione, basate su una filosofia del progetto.
Nel terzo capitolo si presenta il modello della convergenza
tra i soggetti responsabili della creazione della conoscenza,
riservando a queste nuove istituzioni il compito di veicolare la
conoscenza applicativa, appropriabile ma collaborativa, a imprese e
Università. Il modello costituisce una sfida alle imprese che,
attraverso la forza lavoro altamente qualificata e orientata alla
condivisione dalla conoscenza tacita ed esplicita, possono diventare
“knowledge creating company”, utilizzando la definizione di Nonaka
e Takeuchi, ossia possono sfruttare il vantaggio competitivo
generato dal processo di creazione di conoscenza.
Allo stesso tempo, il modello costituisce una sfida
all’Università, a cui si chiede di superare la chiusura all’applicazione
della conoscenza prodotta che la contraddistingue, almeno in Italia,
per adeguarsi all’evoluzione epistemologica ed ontologica che ha
già prodotta la nascita di istituzioni alternative, maggiormente
orientate all’aspetto pratico e tacito della conoscenza trasferita.
Si vuole presentare la teoria dell’azione del soggetto
economico nel contesto di questa nuova conoscenza localizzata e
collaborativa, dimostrando come la maggiore appropriabilità di
questa conoscenza, unita al processo di condivisione e di
complementarietà tra diversi tipi di conoscenza e di soggetti
coinvolti, generi vantaggio competitivo e quindi permetta di
aumentare l’isoquanto del ricavo totale, avvicinandolo all’isoquanto
del ricavo potenziale.
8
Per finire, nel quarto capitolo si presenta il panorama
formativo italiano e straniero, attraverso i dati dell’ISTAT e
dell’OECD, per poi introdurre il caso pratico dell’Istituto Europeo di
Design (IED), istituto privato di formazione tecnica avanzata, che
unisce la teoria alla pratica attraverso la filosofia del progetto. La
presentazione della metodologia di insegnamento dello IED ci
permette di sostenere come la conoscenza applicativa richieda una
trasformazione non solo contenutistica, ma anche metodologica, in
quanto l’aspetto tacito non può essere trasferito attraverso il
tradizionale rapporto cattedratico, ma richiede una partecipazione e
una collaborazione tra docente e discente, simile al rapporto
esistente tra “maestro” e “allievo” nella tradizione
dell’apprendistato.
La conoscenza applicativa richiede, quindi, il passaggio del
learning by doing e by using, tipici del contesto produttivo, al
contesto formativo; la metodologia dell’on the job learning assume
maggiore rilevanza e smette di essere considerata come una
formazione di secondo livello, in quanto trasferisce l’approccio
mentale e la connotazione collegata alla conoscenza applicativa.
9
CAPITOLO 1
L’APPROCCIO TEORICO ALLA CONOSCENZA
In questo primo capitolo ho intenzione di delineare una
cornice teorica, analizzando i contributi di illustri economisti che
nell’arco di quarant’anni hanno espresso il proprio parere sulla
natura del bene conoscenza.
Nel primo paragrafo ci addentreremo nella storia
dell’evoluzione del pensiero economico sul tema dell’innovazione e
della conoscenza; nel secondo paragrafo entreremo nello specifico
trattando il passaggio che si è verificato dal modello di R&S al
modello a rete, analizzando le implicazioni sulla conoscenza; nel
terzo paragrafo ritorneremo a discutere di questa transizione del
pensiero economico, partendo da un diverso punto di vista, ossia
dalla differenza tra conoscenza ed informazione. Nel quarto capitolo
cominceremo ad analizzare un’importante implicazione della
conoscenza così come la teorizza il modello a rete, ossia l’aspetto
tacito che questa detiene, in contrapposizione alla caratteristica di
codificabilità previsto dal modello R&S; continueremo nell’analisi
delle implicazioni confrontando l’aspetto di bene collettivo che è
contenuto nel concetto di conoscenza tecnologica, per poi
finalmente definire il concetto di conoscenza tecnologica
localizzata, apprezzandone il carattere di attività collettiva che
sfrutta i fenomeni di complementarietà e di esternalità, sia dal lato
della domanda che dell’offerta, attraverso le necessarie tecnologie
di comunicazione e grazie ad uno sforzo di apprendimento.
Analizzeremo i contributi di vari autori nel definire il rapporto tra la
conoscenza tecnologica localizzata e il cambiamento tecnologico
localizzato.
10
1.1 DALL’ECONOMIA DELL’INNOVAZIONE ALL’ECONOMIA
DELLA CONOSCENZA
L’economia della conoscenza nasce come una branca
dell’economia dell’innovazione, ambito di studi relativamente
recente, che si concretizza in seguito ad un articolo di Abramovitz
4
del 1956; nell’articolo, l’autore si chiede a cosa sia dovuto un
aumento dell’output maggiore rispetto all’aumento della quantità di
input e chiama residuo il contributo del progresso tecnico alla
crescita del prodotto, dato dalla differenza tra il prodotto effettivo e
il prodotto teorico. Da questo articolo prende piede l’idea che
questo residuo sia dovuto all’innovazione: nell’articolo di
Abramovitz il 50% di grano in più prodotto dal campo senza una
motivazione “microeconomica” (ossia l’aumento proporzionale degli
input) viene attribuito all’introduzione della rotazione dei campi,
ossia un modo nuovo di pensare, che assume rilevanza economica
e che permette di spingere l’isoquanto verso l’origine. Non si tratta,
quindi, solo di un cambio della combinazione degli input, che
provocherebbe uno spostamento sull’isoquanto, bensì un cambio
dell’uso degli input.
Nel 1957 Solow
5
formulò un modello che scompaginò il
dibattito economico o, meglio, aprì nuovi orizzonti agli economisti
trasformando la funzione di produzione da Y= (K
α
L
β
), a Y=A(t) f
(K
α
L
β
), in cui la A rappresenta per l’appunto l’effetto
dell’innovazione e passa dal valore di riferimento 1 a 2,3,…in
funzione del tempo, rilevando il progresso tecnologico. Ferme
restando quindi le quantità utilizzate di capitale e lavoro, la
produzione può aumentare se si verifica un aumento di A, ossia del
residuo dovuto all’innovazione.
Questa innovazione, inizialmente, viene attribuita allo sforzo
degli scienziati che, dalla loro torre d’avorio, scoprono e formulano
4
ABRAMOVITZ, M. (1956) Resources and output trends in the United States
since 1870, American Economic Review 46, 5-23.
5
SOLOW R.(1957) , Technical change and the aggregate production function,
Review of Economics and Statistics 39, 312-320.
11
nuove idee che vengono poi assorbite dall’impresa e tradotte nel
cambio tecnologico. Questo modello di cambio, metaforicamente
definito della “manna” in quanto considera il cambio tecnologico
come fattore esogeno, come un qualcosa di imprevedibile che
scende dal cielo ad alterare l’equilibrio economico, ha origine dalle
riflessioni di Machlup
6
, del sociologo della scienza R. Merton e dal
modello di Walras e Pareto, che prevede un equilibrio circolare
perfetto, con l’intrusione accidentale e occasionale dell’imprenditore
innovatore, che altera il cerchio e porta il cambio.
Il contributo di Polanyi
7
e la sua definizione di conoscenza
tacita al fianco di quella codificata, mette poi in luce il fatto che il
procedimento di generazione di idee può seguire anche la direzione
inversa a quella ortodossa: infatti la pratica di un’operazione, i cui
segreti sono raccolti nella cosiddetta conoscenza tacita, può dare
uno spunto scientifico. Si tratta, quindi, di accettare non solo un
procedimento top-down, deduttivo, ma anche la possibilità di un
procedimento di generazione della conoscenza bottom-up,
induttivo.
Inoltre, Schumpeter
8
sostiene che il monopolio e la grande
impresa siano i responsabili e il motore del cambiamento in quanto,
nonostante le inefficienze allocative e produttive, permettono di
sviluppare nuove tecniche e di ottenere efficienza dinamica;
osservazione molto delicata, perché mette in discussione il modello
valrasiano per cui l’efficienza statica si produce soltanto in
concorrenza perfetta, e inoltre perché rende endogena
l’innovazione, in quanto rispondente a logiche strettamente
economiche. Negli anni ‘80 si passa alla metafora della traiettoria,
ossia al concetto di selezione dell’innovazione da sviluppare in
quanto economicamente pertinente e da abbandonare quando
presenta valori inadeguati; la sequenzialità e la complementarietà
tra prodotti e processi innovativi crea una convergenza tecnologica
e dà vita alla traiettoria o “sentiero tecnologico”.
6
MACHLUP F. (1962), The production and distribution of knowledge in the United
States, Princeton: Princeton University Press.
7
POLANYI M.(1958), Personal Knowledge. Towards a post- critical philosophy,
London: Routledge & Kegan Paul.
POLANYI M.( 1966),The tacit dimension, London: Routledge & Kegan Paul
8
SCHUMPETER J.A. (1942), Capitalism, Socialism and Democracy, London:
Unwin.
12
Ancora più allargato è il contesto in cui si pone l’innovazione
durante gli anni ’90, grazie al contributo dato dal costruttivismo di
Latour
9
nella storia e nell’economia della scienza e grazie alle
prospettive aperte dalle nuove tecnologie. Si allarga il raggio di
azione dell’innovazione, che risulta essere il risultato di alleanze e
dell’interazione di numerosi agenti in un sistema complesso. Si
viene a formulare la metafora della rete, che permette la
valorizzazione della componibilità della conoscenza.
Su queste fertili basi si sviluppa una sotto-area di interesse
che ruota attorno al concetto di conoscenza, che assume rilevanza
economica in quanto può essere generata nella stessa attività
produttiva e produce effetti positivi sull’attività economica, alla
stregua delle innovazioni di processo e prodotto. Questa nuova
materia è l’economia della conoscenza, e questa tesi vuole
analizzare l’inversione di tendenza che le teorie sulla conoscenza
hanno subito e che hanno portato a una ridefinizione del concetto
di conoscenza, dei luoghi e mezzi atti alla sua generazione e alla
sua diffusione.
9
LATOUR B. (1987), Science in action. How to follow scientists and engeneers
through society, Milton Keynes: Open University Press.
13
1.2 DAL MODELLO R&S AL MODELLO A RETE
In questo primo paragrafo si eseguirà un’analisi delle
principali teorie nate per definire le caratteristiche della
conoscenza, mettendo in evidenza soprattutto l’approccio moderno
e post-arrowiano che connota il bene conoscenza come quasi
privato, appropriabile, componibile o modulare, rivale e
difficilmente replicabile.
Molti autori (Foray, Metcalfe, Antonelli, ecc..) concordano sul
chiaro processo di trasformazione che ha subito il modello di
generazione e diffusione della conoscenza: alla luce dei loro
contributi, risulta chiaro come si sia passati da un modello top-
down, teorizzato da Arrow
10
e da Chandler
11
, a un modello botton-
up, o di conoscenza tecnologica localizzata, teorizzata con questo
nome da Antonelli e ripresa da numerosi esponenti dell’economia
della conoscenza.
Si può parlare, per riferirsi alla prima accezione di
conoscenza, di modello lineare o chandleriano; esso prevede una
netta separazione tra sapere scientifico e sapere tecnologico e
implica direttamente una netta superiorità del primo rispetto al
secondo.
Questo modello si adatta perfettamente alla metafora della
manna, utilizzata per rappresentare la dinamica di diffusione della
conoscenza, che genera il processo innovativo. La conoscenza
tecnologica, responsabile dell’innovazione e del progresso
economico, è considerata un mero processo di applicazione del
sapere scientifico di base, generato dalle Università e dagli
scienziati; si usa la metafora della manna perché, in base a questo
10
ARROW K.J. (1962a),The economic implications of learning by doing, Review
of Economic Studies 29, 155-173.
ARROW K.J. (1969), Classificatory notes on the production and transmission of
technical knowledge, American Economic Review P&P 59, 29-35.
11
CHANDLER A.D. (1990), Scale and scope: The dynamics of industrial
capitalism, Cambridge: Harvard University Press.
CHANDLER A.D. (1992) Organizational capabilities and the economic history of
industrial enterprise, Journal of economics perspectives 6, 3 pp.79-100.
14
modello, il sistema economico vivrebbe in un sostanziale equilibrio
walrasiano, interrotto solamente dall’imprenditore innovatore che
riceve dall’alto la conoscenza, generata nella “torre d’avorio” dagli
scienziati, e la applica al processo produttivo, provocando uno
sconvolgimento che genera plus valore e che, poi, viene riassorbito
dal sistema, per ripristinare la condizione di equilibrio.
Questa visione prevede un grosso vantaggio per le grandi
imprese, le uniche che possiedono le risorse economiche di
sviluppare laboratori di R&S, nei quali si applicano le conoscenze di
base e si possono così generare innovazioni, producendo extra
profitti reinvestibili in nuova ricerca. Prende, così, vita un circolo in
cui le piccole imprese sono destinate a ricoprire per sempre una
posizione di imitatrici. Il modello chandleriano, definito da
Antonelli
12
come modello R&S, viene connotato dalle seguenti
implicazioni:
• la scienza è un bene pubblico;
• la scienza non è appropriabile e quindi ha bisogno di incentivi
provenienti dalle istituzioni (soprattutto quando sono le
Università a produrla);
• è necessaria la creazione di un forte regime di diritti di
proprietà;
• la comunicazione e la diffusione della scienza può avvenire
esclusivamente attraverso la pubblicazione e lo spostamento
fisico dei dottori di ricerca;
• le grandi imprese possono sviluppare i laboratori di R&S, in
quanto producono extra-profitti.
Queste caratteristiche sono riassumibili con la definizione di
conoscenza come bene pubblico, e sono state analizzate
approfonditamente da Foray
13
. Nella sua opera, basilare per lo
studio di questo bene al di sopra delle righe, l’autore ci introduce
nel centro del dilemma del bene pubblico. Questo dilemma,
esposto da Arrow, evidenzia il fatto che le caratteristiche della
12
ANTONELLI C. (a cura di) (1999a), Conoscenza tecnologica. Nuovi paradigmi
dell’innovazione e specificità italiana, Torino: Fondazione Giovanni Agnelli.
13
FORAY D. (2000), L’économie de la connaissance, Parigi: La Découverte.
15
conoscenza, viste precedentemente, creano un’opposizione tra
l’obiettivo sociale di assicurare un uso efficiente della conoscenza e
l’obiettivo privato dell’inventore di ottenere una giusta ricompensa
e un incentivo all’innovazione.
La conoscenza si presenta come un bene di difficile
appropriabilità, nel senso che l’uso del bene da parte di una
persona non esclude l’uso dello stesso da parte di altre; nella
natura della conoscenza stessa è, quindi, insito il problema della
fuga di conoscenza e della generazione di esternalità positive non
pecuniarie, termine coniato da Marshall
14
e usato per definire
l’impatto positivo e non remunerato di un fattore sui terzi.
Inoltre la conoscenza permette un uso non rivale, in quanto
non si distrugge in seguito alla sua utilizzazione ed è quindi
inesauribile; questa caratteristica fa si che il bene fuoriesca da ogni
regola di fissazione del prezzo, poiché essa ha un costo di
produzione, generalmente anche alto, ma poi l’utilizzo successivo
non richiede la produzione di un esemplare aggiuntivo e quindi non
presenta un costo marginale di utilizzo; per questo bisognerebbe
cederla a un prezzo uguale a zero. Chiaramente così
mancherebbero le risorse per remunerare il produttore. David parla
della caratteristica di uso non rivale usando il termine positivo di
“espansione infinita” [1993]
15
.
Per finire la conoscenza è cumulativa: in altre parole la
conoscenza è il principale fattore produttivo di una conoscenza
futura. Quindi, ciò che le esternalità producono non è soltanto un
beneficio per i terzi, che possono trarne vantaggio economico, ma
creano soprattutto un’accumulazione di conoscenza e il progresso
collettivo. Al contrario, se la conoscenza non venisse diffusa,
potrebbe non sviluppare tutte le sue potenzialità.
L’inappropriabilità, l’uso non rivale e la cumulabilità sono
all’origine del rendimento sociale che possiede la produzione di
innovazioni e che fanno sorgere il “problema del bene pubblico”,
14
MARSHALL A. (1920), Principles of Economics, Londra: MacMillan.
15
DAVID P.A. (1993), Knowledge, property and the system dynamics of
technological change, Proceedings of the World Bank Annual Conference on
Development Economics 1992, World Bank, Washington D.C.
16
descritto già nel 1932
16
da Pigou in termini generali, e poi ripreso
da Arrow nel 1962
17
per quello che concerne il campo specifico
della ricerca e dell’innovazione.
Queste osservazioni sono il frutto della riflessione di numerosi
economisti sulla natura del bene e sulle conseguenze che queste
caratteristiche portano; è indubbio che questo ormai indispensabile
bene muove l’economia post-moderna, ma non può essere
soggetto alle leggi di mercato, in quanto porta con sé delle chiare
inefficienze.
Un incisivo contributo al superamento di queste posizioni e al
modello di R&S arriva da Stan Metcalfe
18
, che mette in dubbio che
il bene conoscenza sia effettivamente un bene pubblico, e introduce
l’ipotesi che si possa considerare un bene privato, o meglio una
forma ibrida, definita da vari autori come bene collettivo o quasi-
privato.
Le osservazioni di Metcalfe trovano una collocazione se si
supera il modello R&S, un po’ restrittivo per descrivere la natura
effettiva del bene conoscenza, e si passa a un modello di sistema
innovativo a rete e di conoscenza localizzata. Questo modello si
fonda su presupposti molto lontani dal modello precedente e, in
primo luogo, teorizza una omogeneità tra la conoscenza scientifica
e quella tecnologica.
Metcalfe afferma che il vero problema del sistema innovativo
europeo sta proprio nell’accettare il ruolo trascurabile della scienza
nel processo innovativo, e riconoscere il legame tra scienza e
tecnologia, definibili come due branche interdipendenti della
conoscenza, entrambe input della creazione di ricchezza, mosse da
problemi diversi ma che utilizzano la stessa maniera creativa di
risolverli. Questo modello propone un cambiamento radicale delle
caratteristiche della conoscenza:
16
PIGOU A.C. (1932), The economics of welfare, New York: Macmillan.
17
ARROW K.J. (1962b), Economic Welfare and the Allocation of Resources for
Inventions, in NELSON (ed.), “The Rate and Direction of Inventive Activity:
Economic and Social Factors”, Princeton: Princeton University Press.
18
METCALFE S.J. (1999), “L’innovazione come problema europeo: vecchie e
nuove prospettive sulla divisione del lavoro nel processo innovativo” in (a cura
di) ANTONELLI (1999a), op. cit.
17
- in contrapposizione al processo top-down, che prevede
un processo lineare di produzione dell’innovazione e generazione
della conoscenza dalla teoria alla applicazione pratica, si parla di un
processo bottom-up di accumulazione di conoscenza tacita, che
nasce dall’applicazione pratica e può generare la conoscenza
teorica.
- Questa conoscenza tecnologica localizzata ha una
componente tacita particolarmente importante, che la rende più
facilmente appropriabile, ma anche più difficilmente comunicabile.
- Questa difficoltà nella comunicazione della conoscenza
tecnologica localizzata, stimola un processo di socializzazione tra
ricercatori, operatori del settore e imprese, in un’ottica di
cooperazione e collaborazione, tipica del modello a rete.
In questo modello a rete la cooperazione, la cumulabilità e la
complementarietà della conoscenza e dei singoli saperi diventano
caratteri fondamentali; la comunicazione della conoscenza prodotta
non è un processo spontaneo, frutto del semplice “spill over” ossia
di “evaporazione nell’aria” della conoscenza, causata della sua non
appropriabilità, bensì è il frutto dell’apprendimento e dello sforzo
interpretativo, che richiede l’attivazione delle capacità cognitive.
Per questo, diventa meno rilevante il problema della protezione
dall’imitazione delle innovazioni attraverso il sistema dei brevetti;
al contrario, questi diventano semplicemente uno strumento per
individuare il titolare del diritto di proprietà e instaurare così una
cooperazione, spesso in regime di outsourcing.
In questa ottica nascono i KIBS (knowledge intensive
business services), che concentrano la propria core competence
nella produzione e nel trasferimento della conoscenza, oltre che
nella creazione delle condizioni migliori per l’interazione tra soggetti
che sviluppano conoscenze complementari.