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Introduzione
Questo lavoro di tesi si pone l’obiettivo di osservare alcune forme di
rappresentazione simbolica nella società contemporanea dell’immagine, della
comunicazione, della pluralità dei linguaggi espressivi. L’arte diviene un ambito
in cui, non solo gli artisti, ma anche tutti i cittadini, possono esprimersi e
alimentare la circolazione di idee, identità, esperienze ed emozioni.
Il primo capitolo illustra il graduale processo con cui il cittadino comincia ad
uscire dalla sua condizione di sudditanza per conquistare sempre di più un ruolo
attivo nella risoluzione di problemi di interesse generale e il difficoltoso processo
con cui la pubblica amministrazione, non senza pregiudizio e scetticismo, prova
ad aprirsi alle esigenze di una collettività che ambisce al soddisfacimento del
proprio bisogno di identità e di appartenenza.
Il secondo capitolo presenta un’analisi della nozione e della storia dell’arte
pubblica, soffermandosi in particolar modo sui concetti di spazio pubblico,
committenza, pubblico, partecipazione, funzione politica e sociale. Questo tipo di
arte designa le complesse e sempre più diffuse realizzazioni artistiche che
privilegiano una dimensione spaziale e comunicativa aperta, fuori dalle mura di
musei e gallerie, e che sono create su misura per le caratteristiche specifiche del
luogo in cui si collocano. Ma quest’arte è considerata “pubblica” per la presenza
del pubblico (composto da spettatori non intenzionali, come sono, invece, quelli
dei musei), con cui dialoga: l’opera diviene il frutto di una collaborazione tra
l’artista e il pubblico a cui è destinata e, in questo modo, il risultato finale
appartiene a tutti i partecipanti. Attraverso l’arte pubblica, la gente impara ad
osservarsi come comunità, ad osservare il contesto, a prendere coscienza delle
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caratteristiche che lo fondano.
Il terzo e ultimo capitolo si concentra sull’analisi di tre casi di studio che
traducono in pratica i concetti teorici discussi nelle parti precedenti del lavoro:
“Accendiamo la speranza”, “Arma il tuo riscatto” e “URBAN AREA – open
spaces Salerno”. Questi tre progetti, tutti di recente realizzazione, pur diversi tra
loro per committenza, composizione ed obiettivi, hanno in comune la
partecipazione giovanile, l’attività sul territorio campano e l’appartenenza al
grande ramo dell’arte pubblica. Così sarà possibile osservare da vicino come le
pratiche culturali, grazie alla forza che possiedono le rappresentazioni del
simbolico, sono capaci di favorire la coesione e l’integrazione sociale e di
generare nuovi modelli di innovazione capaci di gestire la complessità del
presente.
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Capitolo I: Cittadinanza attiva e cittadinanza culturale
1.1 Nuovi equilibri tra amministrazione e cittadini
“Aveva ragione quella postulante che m’ero rifiutato un giorno di ascoltare
fino alla fine, quando esclamò che se mi mancava il tempo per darle retta, mi
mancava il tempo per regnare”. Queste parole, pronunciate dall’imperatore
romano Adriano nel romanzo di Marguerite Yourcenar “Memorie di Adriano”
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,
risultano più che mai attuali. Prima degli anni ’90 del Novecento, gli Italiani
hanno dovuto fare i conti con uno Stato immerso in una logica autoreferenziale,
uno Stato-soggetto a cui i cittadini erano sottomessi senza la possibilità di far
sentire la propria voce, uno Stato-gestore che esercitava un ruolo predominante di
direzione e controllo rispetto alle politiche collettive e non lasciava spazio alla
relazionalità con gli altri soggetti della società, uno Stato-ontologico che
affermava “conto perché esisto” non ammettendo altro tipo di valutazione. Le
pubbliche amministrazioni italiane si nascondevano dietro la regola “del silenzio e
del segreto” fuggendo dalla responsabilità di assumere davanti al cittadino un
compito di spiegazione e di accompagnamento alle loro funzioni. Lo Stato
svolgeva una comunicazione unidirezionale (“one to many”), dove i cittadini
erano soltanto dei terminali passivi, vittime di una delle peggiori malattie
possibili: l’anonimato condannato all’invisibilità. Le cose iniziano a cambiare già
alla fine degli anni ’80, con la legge 67/87 che pone precisi obblighi alle
pubbliche amministrazioni in merito alle attività pubblicitarie (dedicare un
capitolo di bilancio alle spese pubblicitarie, destinare il 50% delle spese alla
pubblicità su quotidiani e periodici, pubblicare un estratto del bilancio su
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YOURCENAR M. (1988). Memorie di Adriano, EINAUDI, TORINO
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quotidiani e periodici, istituzione di una Commissione presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri per la valutazione dei progetti pubblicitari delle pubbliche
amministrazioni). È poi con la legge 241 del 1990 che si afferma il principio della
trasparenza amministrativa e dell’accesso alle informazioni e ai procedimenti
amministrativi. Così la società comincia ad essere consapevole del proprio valore:
una società piena di risorse, vivace, attiva, intraprendente e in grado di affrontare
ogni tipo di ostacolo, compresi quelli creati da una burocrazia che spesso sembra
fare di tutto per frenare il dispiegarsi di queste capacità. Non è semplice
convincere coloro che operano nell’amministrazione a considerare i cittadini come
alleati nell’affrontare i problemi quotidiani e non più come problemi essi stessi,
ma ciò potrebbe essere facilitato dal fatto che è nell’interesse
dell’amministrazione attingere alla dotazione di risorse di cui i cittadini sono
portatori. Gregorio Arena nel libro “Cittadini attivi”
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afferma che queste risorse
“sono rinnovabili senza limiti, in quanto formate soprattutto da informazioni
organizzate sotto forma di esperienze, idee, conoscenze e competenze che, in
quanto tali, non si consumano con l’uso: anzi, sono risorse che aumentano e
migliorano usandole, perché quando i cittadini diventano soggetti attivi nella
soluzione dei problemi di interesse generale essi scoprono anche di avere capacità
spesso fino a quel momento latenti o non percepite come tali”. Uno dei principi
fondanti della Costituzione è il principio “personalista”, secondo cui al centro
dell’attività dei pubblici poteri deve esservi sempre la persona umana, con le sue
esigenze, ma anche con le sue capacità. Nasce così l’ “amministrazione
condivisa”, una formula organizzativa fondata sulla collaborazione tra
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ARENA G. (2006). Cittadini attivi, LATERZA, BARI
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amministrazione e cittadini, in modo tale che questi ultimi escano dal ruolo
passivo di amministrati per diventare co-amministratori, soggetti attivi che si
assumono una parte di responsabilità nel risolvere problemi di interesse generale.
Gregorio Arena riporta alcuni casi riusciti di amministrazione condivisa. Il primo
riguarda l’esperienza dell’Opera Universitaria di Trento che risolse il problema
dell’accoglienza e degli alloggi degli studenti Erasmus grazie alla condivisione di
risorse fra l’associazione degli studenti Erasmus dell’Università in questione e
l’Opera: l’associazione studentesca mise a disposizione la propria organizzazione,
le energie ed il tempo dei propri iscritti e la conoscenza diretta delle esigenze
degli studenti Erasmus; l’amministrazione mise a disposizione i mezzi e,
soprattutto, la propria credibilità ed autorevolezza a garanzia del rapporto con i
locatari. Un altro esempio è quello dell’esperienza compiuta dalla Soprintendenza
archeologica di Sassari e Nuoro che, non disponendo delle risorse necessarie al
recupero ed allo studio di un relitto di nave romana, ha utilizzato come operatori
ventisei turisti appassionati di immersione che, pagando una quota settimanale e
sotto la direzione di un esperto archeologo subacqueo, hanno realizzato in meno
di un mese lo scavo integrale del relitto e hanno conseguito, alla fine dei lavori, un
brevetto di archeologo subacqueo.
A partire dagli anni ’90 del XX secolo, nelle aziende, si diffonde l’orientamento
alla customer satisfaction: a causa del progressivo incremento della pressione
concorrenziale e del bisogno di costruirsi un vantaggio competitivo, le imprese si
orientano verso un insieme di tecniche e strategie volte a mettere al centro i
bisogni e i desideri del cliente e a massimizzare la sua soddisfazione.
Parallelamente, con la già citata legge 241/90, ha inizio il cammino legislativo che
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riconosce centralità alla comunicazione nell’azione pubblica.
Ci troviamo immersi, quindi, nella stakeholders society: società il cui governo è
ampliato alle parti interessate, attraverso la negoziazione e lo strumento del
contratto che coinvolgono l’utenza e tutti gli attori impegnati nel perseguire i
propri interessi legittimi. Esistono nessi sempre più sottili che separano il pubblico
dal privato: il primo abbandona l’idea di essere un sovrammondo e il secondo
cancella l’idea di essere un suddito. Questioni che appartenevano alla sfera
privata, come le preferenze sessuali, il matrimonio, la struttura della famiglia,
sono diventate pubbliche e chiedono di essere incorporate nella cittadinanza.
Il modello gerarchico di government cede sempre più il passo a quello di
governance, in cui lo Stato perde centralità per interagire e cooperare con gli altri
attori del sistema. Questa perdita di potere avviene in tre direzioni: in basso, verso
le amministrazioni regionali e locali; in alto, verso le istituzioni globali e
transnazionali; all’esterno, verso le organizzazioni e i network privati, non profit e
civici, della società civile. Giovanni Moro nel suo “Manuale di cittadinanza
attiva”
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propone la seguente traduzione del termine “governance”: “sistema
allargato di governo”, dove “sistema” ha il significato di insieme di elementi in
rapporto reciproco tra loro, di metodo seguito nel realizzare qualcosa e di regola o
stile di condotta; “allargato” va inteso come ulteriore sviluppo del gioco dovuto
alla presenza determinante di nuovi giocatori; e “governo” rappresenta la capacità
di garantire certezza dei diritti, reciprocità dei comportamenti e senso
dell’interdipendenza attiva nella realtà sociale.
Si può iniziare a parlare di uno Stato-funzione che si fa giudicare non in base alle
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MORO G. (1998). Manuale di cittadinanza attiva, CAROCCI, ROMA