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INTRODUZIONE
L’ influenza dell’attuale sistema sociale sull’istituzione scolastica
La scuola ha oggi un compito molto più impegnativo che nel passato, dovendo
confrontarsi con una società globale complessa: multietnica e multiculturale e
insieme reticolare e precaria, dominata da logiche economiche talvolta poco attente
alla valorizzazione dell’unicità di ogni individuo. La complessità del sistema
sociale dà origine a contesti nuovi e profondamente diversi da quelli tradizionali,
determinando cambiamenti significativi anche nella condizione esistenziale umana.
Gli stessi bambini e adolescenti devono adattarsi alle continue e repentine
mutazioni di scenari nel sistema sociale e familiare.
In primo luogo, la realtà infantile e giovanile risente maggiormente dell’influenza
esercitata dai mass-media e dagli strumenti informatici che, se da un lato potenziano
le abilità individuali, rendendo gli alunni attenti, critici e preparati, dall’altro
possono causare difficoltà di concentrazione e memorizzazione, frammentarietà
delle acquisizioni, ed isolamento psicologico e sociale. In secondo luogo, i più
giovani si trovano spesso a fronteggiare i cambiamenti critici del sistema familiare,
sul quale si fa sentire l’impatto delle nuove tipologie familiari, dalle convivenze
alle famiglie allargate o a quelle monogenitoriali.
Nell’epoca attuale, alla famiglia gerarchicamente ordinata e definita da specifici
ruoli e funzioni si è sostituito un nucleo domestico caratterizzato dalla variabilità
delle funzioni dei componenti in base alle loro esigenze, dal cambiamento dei ruoli
sociali femminili e maschili, dalla carenza di un saldo sistema valoriale, da ridotte
relazioni con la rete parentale e dall’eccessiva utilizzazione di forme di
gratificazione materiale.
In un tale scenario, anche nella scuola cambiano i bisogni e le motivazioni degli
alunni, per i quali è sempre più pressante l’esigenza di trovare nella scuola stessa
un luogo non più preposto principalmente all’erogazione del sapere, ma orientato
alla formazione personale, alla crescita umana e civile, alla promozione del
benessere individuale, così da fronteggiare quei turbamenti psicologici tipici
dell’odierna realtà giovanile.
Anche le funzioni del docente sono sicuramente molto più complesse che nel
passato, dovendo questi occuparsi non solo del delicato processo “insegnamento-
apprendimento, ma anche delle modalità di trasmissione delle informazioni
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all’interno della relazione docente-allievo, della difficile condizione giovanile e
delle svariate forme di svantaggio e disadattamento oggi esistenti. Quando
l’intervento dell’insegnante consente il superamento di prove ed esami, egli ha
conseguito solo in parte i suoi obiettivi formativi, se l’alunno non porterà con sé,
fuori della scuola, interesse, curiosità e desiderio di esplorare il vasto mondo del
sapere.
Dal momento che sono un’insegnante di scuola primaria con un’esperienza
lavorativa ventennale, posso considerarmi testimone di come il processo di
cambiamento nella società abbia investito la funzione stessa del sistema scolastico,
investendolo della funzione di agenzia formativo-educativa, volta a prevenire
l’insuccesso e la dispersione scolastica, la quale può sfociare nella “sindrome
dell’alunno errante”, che vaga per diversi tipi di scuola superiore tra bocciature e
ritiri, o nell’inserimento precoce nel mondo del lavoro con mansioni scarsamente
professionalizzanti. Secondo i più recenti dati statistici, il 95% degli studenti
consegue la licenza media, il 49% il diploma di scuola superiore e solo il 10% la
laurea.
Anche nella scuola primaria, il numero dei comportamenti “particolari” di alcuni
bambini appare in costante crescita, rendendo i compiti formativi ed educativi della
scuola sempre più gravosi. E’ sintomatico, a questo proposito, il vissuto espresso
da noi insegnanti che accompagniamo i nostri alunni dalla classe prima alla quinta
e, poi, riprendiamo il percorso scolastico ripartendo dalla prima. A ogni nuovo
inizio siamo soliti esprimere la sorpresa e lo stupore di trovarsi di fronte a bambini
sempre diversi e sempre più difficili. Tale vissuto va, forse, letto in relazione a
questo dato di fatto: ai giorni nostri, di fronte a comportamenti problematici di
bambini clinicamente “sani”, il mondo della scuola si trova effettivamente sempre
più abbandonato dalle strutture sanitarie e sociali che, qualche tempo fa,
rispondevano alle richieste di consulenza con le “diagnosi”, le quali permettevano
di inquadrare i comportamenti problematici nelle disposizioni legislative che la
legge 104 prevedeva e normalizzava.
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Tutto ciò appare, allo stato attuale, immerso in un silenzio normativo ed
istituzionale da parte degli stessi vertici del mondo della scuola; di conseguenza, il
problema resta confinato nel vissuto soggettivo degli insegnanti e fa fatica ad
arrivare negli uffici e nelle sedi istituzionali competenti. Il mondo della scuola
primaria si trova, quindi, da un lato a svolgere i pressanti compiti educativi,
sollecitato dalla società e dalla famiglia, dall’altro si trova circondato da carenze
strutturali e istituzionali e dalla mancanza di un pensiero teorico che dia consistenza
anche formale ai vari sintomi di disagio che i bambini del terzo millennio possono
esprimere nell’affrontare il loro percorso scolastico.
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CAPITOLO I
PENSIERO POSITIVO E CLIMA POSITIVO PER MOTIVARE AD
APPRENDERE
Come ci insegna da sempre la pedagogia scolastica, la motivazione ad apprendere
è la strada per il successo formativo
L’impegno verso il successo formativo dei giovani è, dunque, direttamente
proporzionali alla spinta motivazionale degli adulti.
Predisporre un ambiente di apprendimento in cui l’alunno si senta ben accolto,
ascoltato e guidato, motiva fortemente quest’ultimo, allentando lo stress da
prestazione e il timore di insuccessi.
Quello che sembra avere più consistenza nel tenere alto il livello della motivazione
riguarda le strategie didattiche che tengono conto dei diversi stili di pensiero. Infatti
le recenti teorie sulla motivazione stanno rivolgendo l’attenzione verso i processi
cognitivi di più alto livello (metacognizione o abilità di riflettere sul proprio modo
di pensare). Quando s’instaura una buona competenza metacognitiva e un buon
livello di autoconsapevolezza, gli alunni sviluppano una maggiore padronanza e
controllo personale sul contenuto e sui processi del pensiero, riescono a
comprendere il ruolo di quest’ultimo e
è una capacità e una tendenza naturale esistente in tutti i giovani quando si trovano
in una condizione mentale positiva e in un ambiente educativo che li guida,
predisponendo un clima positivo.
Ma come si educa un bambino ed un adolescente al pensiero positivo?
Lo si educa attraverso un percorso di educazione emotiva (Di Pietro, 1992-1999)
che comprende 6 tappe:
1. Riconoscimento delle proprie emozioni
Si tratta di rendere l’alunno consapevole dei propri stati d’animo al loro insorgere,
identificandone tutte le possibili sfumature e la diversa intensità con cui possono
essere provati.
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2. Riconoscimento dei propri pensieri
La capacità di riconoscere i propri pensieri nei momenti in cui vengono provate
emozioni spiacevoli favorisce la capacità di autoregolazione emotiva.
Imparare a riconoscere i propri pensieri automatici, ossia la modalità acquisita e
meccanica con cui interpretiamo e valutiamo gli eventi, aiuta a ridimensionare
alcune emozioni intense come l’ansia, la collera, il dolore.
3. Consapevolezza del rapporto tra pensieri ed emozioni
Uno dei fattori che influisce sulla sofferenza emotiva è la convinzione di essere
vittima delle circostanze esterne, per cui di fronte a determinati eventi si ritiene di
non poter fare nulla per alleviare il proprio turbamento emotivo. Comprendere che
le nostre emozioni sono influenzate dal modo in cui giudichiamo la realtà esterna,
ovvero dal modo in cui pensiamo, ha un potente effetto liberatorio e ci sprona ad
attivare le nostre risorse personali.
4. Stile esplicativo
Il rischio di ritrovarsi in situazioni di forte stress, e di ansia è direttamente collegato
con un modo di pensare che rientra in uno stile attributivo pessimista. Un bambino
o un adolescente pessimista quando si trova ad affrontare eventi negativi, tende
erroneamente, a generalizzare l’aspetto spiacevole della situazione a tante altre
situazioni, a condannare se stesso e a considerare il problema come permanente.
Invece, quel giovane che ha uno stile esplicativo di tipo ottimista tenderà ad
affrontare gli eventi negativi, considerandoli come episodi specifici e quindi
mutabili, evitando inoltre di condannare se stesso.
5. Messa in discussione delle distorsioni cognitive.
L’atteggiamento mentale tipico della persona depressa, si caratterizza per questi tre
aspetti; una visione negativa di se stesso , una visione negativa del mondo, una
visione negativa del proprio futuro.
Nell’ambito della prospettiva cognitivo comportamentale, e in particolare
nell’ambito della terapia razionale emotiva, sono state sviluppate procedure di
disputa e confutazione dei modi di pensare distorti che possono essere appresi anche
da soggetti dell’età evolutiva.